CONTENUTO
Trama del film Roma città aperta
Gli eventi raccontati hanno luogo durante l’occupazione nazista di Roma, iniziata subito dopo l’armistizio di Cassibile nel settembre 1943 e terminata con la liberazione della città da parte degli Alleati nel giugno 1944.
Sin dall’inizio sappiamo che la Gestapo è sulle tracce dell’ingegnere Giorgio Manfredi (Marcello Pagliero), un membro della Resistenza nonché uno dei capi militari del Comitato di Liberazione Nazionale il cui vero nome è – come si scopre in seguito – Luigi Ferraris.
L’uomo riesce inizialmente a sfuggire trovando rifugio a casa del suo amico Francesco (Francesco Grandjacquet), tipografo e anch’egli parte della rete clandestina. È grazie all’aiuto della compagna di quest’ultimo, Pina (Anna Magnani), che i due vengono in contatto con don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi), un parroco noto nella comunità locale per l’aiuto economico e logistico fornito ai partigiani: trasferimenti segreti di soldi, asilo per i fuggiaschi e documenti falsi.
Durante una retata nazifascista nel palazzo dove vivono Pina e i due uomini, Francesco viene catturato mentre Manfredi riesce ancora una volta a scappare. È il momento della famosissima scena in cui Pina viene colpita a morte da un proiettile mentre cerca di rincorrere la camionetta su cui è stato caricato il suo compagno. Successivamente il gruppo di ostaggi viene liberato grazie a un agguato partigiano, a cui partecipa anche Manfredi.
Nel frattempo scopriamo che Marina (Maria Michi), artista ed ex fidanzata di Manfredi, collabora con i nazisti in cambio di droga, soldi e vestiti. Succube di una carismatica funzionaria tedesca di nome Ingrid, sarà lei a rivelare il nascondiglio dell’ingegnere. A questo punto sia Manfredi che don Pietro vengono catturati: il primo viene torturato nel tentativo di ricavare maggiori informazioni sulla Resistenza, mentre nella scena finale il secondo viene fucilato – entrambi uccisi per non aver proferito parola.
Roma città aperta: trailer e riconoscimenti
Il film, diretto da Roberto Rossellini, è il primo della cosiddetta trilogia antifascista: a Roma città aperta (1945) seguono Paisà (1946) e Germania anno zero (1948). La pellicola riscuote un grande successo grazie anche alla presenza di attori del calibro di Anna Magnani e Aldo Fabrizi, così come alla collaborazione di Sergio Amidei e Federico Fellini per la sceneggiatura. Alcuni fra i riconoscimenti ricevuti sono la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1946 e, nello stesso anno, il Nastro d’Argento alla miglior regia e alla miglior attrice non protagonista per Anna Magnani.
Contesto storico di Roma città aperta
Le riprese del film iniziano già nel 1944, al termine dell’occupazione della capitale e mentre la guerra è ancora in corso nell’Italia settentrionale. I nove mesi appena trascorsi, dal settembre 1943 al giungo 1944, hanno avuto costi pesanti per la popolazione civile romana. La dichiarazione secondo cui Roma avrebbe dovuto essere una “città aperta” non viene mai riconosciuta dai nazisti, che impongono un duro regime di occupazione.
La Resistenza si riunisce attorno al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), organizzazione politica e militare eterogenea che rappresenta tutte le forze ostili al nazifascismo – è il 9 settembre 1943. A fianco del CLN agiscono dei gruppi paramilitari denominati GAP (Gruppi di Azione Patriottica), perlopiù di matrice comunista, responsabili di attacchi e sabotaggi a danno degli occupanti. A questo punto inizia un lungo periodo fatto di rastrellamenti e angherie, di privazioni e resistenza sia attiva che passiva, a cui si aggiungono i bombardamenti da parte degli Alleati.
Tale situazione è ben rappresentata nel corso del film pur senza fare riferimenti espliciti a episodi realmente accaduti. La pellicola, infatti, esce nei cinema nel settembre 1945, quando i fatti narrati sono ancora freschi nella memoria collettiva. Si tratta di un momento in cui c’è bisogno di ricostruire l’identità nazionale nonché di dare un messaggio politico alla società italiana; e Roma città aperta svolge proprio una simile funzione, scegliendo di esaltare l’eroica resistenza dei cittadini romani.
L’equilibrio politico e sociale è estremamente delicato: per questo motivo episodi come l’attentato di via Rasella o l’eccidio delle Fosse Ardeatine non vengono apertamente rappresentati nel film. Come vedremo più avanti, vi si trovano invece dei riferimenti più impliciti e simbolici.
Al termine del conflitto, la strana alleanza politica presente nel CLN riesce a traghettare l’Italia nuovamente verso la democrazia; vengono indette le elezioni per l’Assemblea Costituente e un referendum per scegliere fra repubblica e monarchia – entrambi tenutisi il 2 e il 3 giungo 1946. La coalizione fra i partiti antifascisti ha però vita breve a causa del cambiamento degli equilibri internazionali e del sopraggiungere della Guerra fredda.
Il PCI (Partita Comunista Italiano), ad esempio, viene sempre più visto come un pericolo per la neonata repubblica, che viene da subito guidata da una maggioranza democristiana. L’Italia entra nell’orbita statunitense e accede così agli aiuti economici del Piano Marshall – fondamentali per la ricostruzione del Paese – e in seguito aderirà alla NATO nel 1949.
Roma città aperta: fra realismo e simbolismo
Il Neorealismo cinematografico è una corrente sviluppatasi in Italia a partire dal secondo dopoguerra e che ha come tema la realtà delle classi meno abbienti, con un particolare accento sugli aspetti sociali e politici. Il film di Rossellini risponde a tali canoni ma allo stesso tempo rimanda a degli elementi più simbolici e, dunque, meno immediati da cogliere.
Innanzitutto, gli aspetti realistici. La pellicola è stata girata subito dopo la liberazione di Roma e le scene non sono filmate in studio, bensì nelle strade della città, fornendoci in tal modo una prova visiva di come la capitale apparisse durante e subito dopo la guerra. Quella che vediamo è una Roma in macerie, impoverita dalla guerra, la cui gente è affamata – esemplare è la scena dell’assalto al forno per rifornirsi di pane.
Il personaggio di don Pietro è ispirato a due figure realmente vissute: don Pietro Pappagallo, giustiziato durante il massacro delle Fosse Ardeatine; e don Giuseppe Morosini, torturato nel vano tentativo di ottenere informazioni sulla Resistenza e infine fucilato nel 1944. Lo stesso vale per Pina, la cui vicenda richiama quella di Teresa Gullace, una donna uccisa da un nazista mentre cercava di comunicare con il marito prigioniero.
Si tratta di una storia reale che diventa l’ispirazione per la celeberrima sequenza del film in cui Pina (Anna Magnani) insegue disperatamente la camionetta su cui si trova il compagno. Francesco, infatti, urla più volte il nome di Pina ma all’improvviso il suo grido si trasforma in “Teresa!”.
Per quanto riguarda gli aspetti simbolici, questi servono soprattutto a esaltare la carica emotiva del racconto e l’operato eroico della resistenza romana. Abbiamo già accennato al messaggio politico del film e alla necessità di lasciarsi ciò che era appena successo alle spalle per affermare nuovi valori sociali e politici. Da tale punto di vista la pellicola sembra rappresentare lo scontro morale fra il Bene e il Male, la popolazione romana (e in certa misura anche i fascisti) in contrapposizione ai nazisti. Ne sono un esempio i personaggi di Pina e Marina: la prima umile, tenace e antifascista; la seconda attratta dalla possibilità di arricchirsi, succube e collaboratrice dei nazisti. Come sottolineato dai più critici, si tratta però di una visione dei fatti in bianco e nero, troppo semplificata.
Infine, Rossellini inserisce nella narrazione due riferimenti visivi a opere d’arte ben note, per sottolineare ancora di più il valore morale della vicenda: un fotogramma della sequenza in cui viene torturato Giorgio Manfredi, alias Luigi Ferraris, ricorda il quadro Crocifissione di Renato Guttuso (1941); mentre la posa di don Pietro che regge il corpo senza vita di Pina assomiglia molto alla Pietà di Michelangelo. Questo prestito fra le diverse arti è soltanto uno degli elementi che hanno reso Roma città aperta uno spartiacque nella storia del cinema italiano e non solo.