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Alle 8.05 di venerdì 29 luglio 1983 la città di Palermo è scossa da un boato. Una FIAT verde 126, imbottita con 75 Kg di tritolo, esplode in via Giuseppe Pipitone all’altezza del civico 59. Nel vile attentato mafioso perde la vita il magistrato Rocco Chinnici, Capo dell’Ufficio Istruzione e padre fondatore del pool antimafia. Insieme al giudice muoiono quella mattina il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, addetti alla scorta di Chinnici, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
Rocco Chinnici, il padre del pool antimafia
Rocco Chinnici entra in magistratura nel 1952, avendo come prima destinazione il tribunale di Trapani in veste di uditore giudiziario. Dopo essere stato pretore a Partanna arriva a Palermo nel 1966, dove prende servizio presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale, nel ruolo di giudice istruttore.
Nel 1970 gli viene assegnato il caso della cosiddetta “strage di viale Lazio“, in cui compaiono molti nomi di criminali di mafia. Nel 1980, in seguito agli omicidi del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile e del procuratore Gaetano Costa, Chinnici, visto l’isolamento in cui versano i servitori dello Stato nella loro lotta contro la criminalità organizzata, ha l’idea di costituire una struttura collaborativa di magistrati, nota come “Pool antimafia”.
Chinnici seleziona personalmente coloro che entrano a far parte di questo gruppo: i magistrati Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello e il Vice questore e il Commissario della Squadra Mobile di Palermo Ninni Cassarà e Beppe Montana. Con la creazione del pool il magistrato siciliano rivoluziona il metodo di lavoro dell’Ufficio, intuendo che quello mafioso è un fenomeno globale e radicato, da affrontare e combattere nel suo insieme e non per ogni singolo reato.
In una raccolta di scritti di Chinnici pubblicata dopo la sua morte, Paolo Borsellino spende nella prefazione dell’opera parole di enorme ammirazione e di riconoscimento per il suo amico e collega:
“A capo della struttura giudiziaria più esposta d’Italia, si prefisse di potenziarla opportunamente e renderla efficace strumento di quelle indagini nei confronti della criminalità organizzata, troppo a lungo trascurate in precedenza. Uno per uno ci scelse: noi magistrati che solo dopo la sua morte avremmo costituito il così detto pool antimafia.
Credeva fermamente nella necessità del lavoro di equipe e ne tentò i primi difficili esperimenti, sempre comunque curando che si instaurasse un clima di piena e reciproca collaborazione e di circolazione delle informazioni. Gli era così chiara l’unitarietà e l’interdipendenza fra tutte le famiglie mafiose e palese la connessione fra tutti i loro principali delitti che a lui risalgono la paternità o almeno l’ispirazione dei primi provvedimenti di riunione delle istruttorie sui grandi delitti di mafia.”
La lotta alla mafia di Chinnici
L’intensa attività di Rocco Chinnici non si esaurisce nelle aule di giustizia; egli è infatti convinto che la lotta alla mafia e al traffico di stupefacenti debba essere combattuta anche sul piano culturale, sociale e umano.
Per tale motivo il giudice partecipa in qualità di relatore a molti congressi e convegni giuridici e socioculturali e si reca nelle scuole per parlare agli studenti del fenomeno mafioso e dei pericoli legati all’uso delle droghe. Proprio al coinvolgimento attivo dei giovani nella lotta alla criminalità organizzata Chinnici ripone molte speranze:
“La mia fiducia è nelle nuove generazioni. Nel fatto che i giovani si ribellino, respingano il potere della mafia. Questa è la grande speranza che sta germogliando. E’ necessaria però un’opera di più ampia sensibilizzazione. Specialmente in rapporto al fenomeno droga e ai centinaia di milioni che la sua organizzazione comporta.
La nostra società corre un gravissimo pericolo. Ecco perché i giovani devono insorgere contro la mafia e la sua droga, con tutte le forze e il coraggio che hanno. Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai.”
In una delle sue ultime interviste il magistrato esterna la propria consapevolezza di essere nel mirino della mafia, ma ciò non intacca la sua determinazione a continuare il proprio lavoro:
“La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare.”
La strage di via Pipitone, 29 luglio 1983: l’attentato a Rocco Chinnici
La mattina del 29 luglio 1983 Rocco Chinnici esce di casa, come ogni giorno, per recarsi a lavoro. Alle ore 8.05 una FIAT verde parcheggiata lì davanti viene fatta esplodere con un telecomando a distanza, proprio nel momento in cui il magistrato sta salendo in macchina.
Ad azionare il detonatore che provoca la conflagrazione è l’affiliato di Cosa Nostra Antonino Madonia. Nell’esplosione oltre a Chinnici perdono la vita due uomini della sua scorta, i carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portiere del palazzo Stefano Li Sacchi.
Giovanni Paparcuri, autista della blindata del giudice Chinnici, viene investito dall’esplosione ma riesce miracolosamente a sopravvivere. I primi ad accorrere sul teatro della strage sono i due figli del magistrato, Elvira Chinnici di 24 anni e Giovanni Chinnici di 19, che si trovano in casa al momento dell’esplosione.
Durante i funerali celebrati nella chiesa di San Domenico il cardinale Salvatore Pappalardo recita nella sua omelia:
“Si è parlato in questi ultimi tempi di volere erigere un monumento alle vittime della mafia: è un gesto che, dove e come lo si voglia fare, può avere il suo significato ma certo il monumento più valido è il nome onorato che questi caduti lasciano ai loro figli e alla nazione tutta: è l’esempio del dovere compiuto fino al sacrificio.”
Quello a Rocco Chinnici è il primo attentato effettuato con l’utilizzo di esplosivo a Palermo; gli altri due saranno nove anni dopo quello di Capaci del 23 maggio 1992 e di via D’Amelio del 19 luglio 1992.
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