CONTENUTO
La società russa tra Ottocento e Novecento
L’ultimo decennio dell’Ottocento si apre con la morte di Alessandro III, lo zar che si era contraddistinto per il carattere anti-riformista, e la salita al trono di Nicola II. Gli anni novanta sono anni caratterizzati dallo sviluppo economico e dal boom demografico. Il volano dell’economia russa è senza dubbio il settore ferroviario, indispensabile per rendere competitivo un paese che stava facendo dell’industria pesante e dell’estrazione mineraria la base della sua crescita. La politica economica scelta dall’allora Ministro delle finanze Witte per perseguire tali obiettivi si basa sul mantenere in attivo la bilancia dei pagamenti, attraverso l’esportazione di cereali e un afflusso di capitali esteri, in gran parte francesi.
L’obiettivo dell’esportazione dei cereali grava però sulle spalle dei contadini, i quali vengono pesantemente tassati e devono far fronte ad una crescente penuria di terre dovuta anche alla crescita demografica iniziata intorno agli anni settanta dell’Ottocento. Pertanto, se da un lato l’autocrazia russa promuove lo sviluppo dell’industria pesante e dei grandi centri economici imperniati sulla produzione di ferro, acciaio, carbone e petrolio, dall’altro accresce la crisi del settore rurale, nonostante alcuni tentativi di porvi rimedio vengono intrapresi da Witte nel 1902 con la creazione del Comitato speciale per i bisogni dell’agricoltura.
I simboli di questo sviluppo sono la fioritura e la diffusione della cultura russa, anche in territorio europeo, e il rinnovato espansionismo dell’Impero in Occidente. Qui, la vittoria contro gli ottomani nel 1878 sembra vendicare in qualche modo la sconfitta nella guerra di Crimea del 1855 ma l’ostilità europea nei confronti della potenza zarista obbliga la Russia a volgere lo sguardo ad Oriente, dove nel 1904 si scontrerà con l’imperialismo giapponese. Questo nuovo sviluppo economico ha però delle profonde debolezze: la popolazione urbana è ancora poco più del 15% di quella totale; le grandi città sono molto distanti tra loro; gli operai sono circa un milione e mezzo e il cuore dell’industria pesante si sposta nella regione del Donbass, connettendo le sorti dell’impero zarista a quelle dell’Ucraina.
I contadini, dal canto loro, a seguito dell’aumento demografico e dell’ondata modernizzatrice vedono disgregarsi i loro gruppi familiari. Proprio questa loro estraneità alla crescente modernizzazione negli anni di Nicola II li rende più permeabili alla propaganda dei socialisti, i quali indicano nella ridistribuzione delle terre il loro obiettivo.
Un altro effetto della modernizzazione a cavallo tra i due secoli è quello della scolarizzazione e dell’aumento del benessere. Ad essi iniziano ad accedere anche comunità e classi sociali che sino ad ora erano rimaste ai margini, contribuendo in tal modo anche alla nascita di diversi nazionalismi, spesso in aspro conflitto nei territori con diverse realtà linguistiche. Un problema, quello delle realtà nazionali, acuito dalle grandi migrazioni causate dalla nuova modernità e che accresce i risentimenti degli autoctoni.
A cavallo tra i due secoli, la società russa vede quindi una classe contadina fortemente provata dalla tassazione e dalla disgregazione dei gruppi familiari ma notevolmente attiva, soprattutto nella richiesta di nuove terre; una classe operaia che, sebbene ancora relativamente minoritaria, soffre delle pesanti condizioni socio-economiche nei centri industriali come Pietrogrado e Mosca ed inizia a mobilitarsi per una maggiore giustizia sociale; una classe borghese-imprenditoriale che, seppur in contrasto con le rivendicazioni operaie, vede in queste ultime uno strumento di modernizzazione di un ordine arcaico e di un sistema in pesante declino.
La crisi dello zarismo e la rivoluzione del 1905
I mutamenti in corso nel Vecchio Continente e il loro impatto sulla società russa mal si combinano con un sistema politico, quello russo, incapace di rinnovarsi. L’occidentalizzazione delle diverse componenti sociali russe inizia a produrre, in special modo tra i socialisti, una visione contrapposta e alternativa di società rispetto a quella portata avanti dall’autocrazia zarista.
L’intransigenza europea all’espansione russa nei Balcani, come si è detto, spingono l’Impero dei Romanov a volgere il loro interesse nell’Estremo Oriente. Nel 1891, infatti, si dà inizio alla costruzione della Transiberiana la quale, terminata nel 1903, assieme al permesso cinese di arrivare sino nella Manciuria settentrionale, permette ai russi di stabilirvi una loro presenza: una zona d’influenza che in breve si trasforma anche in una presenza militare.
L’espansionismo russo, principalmente in Manciuria e Corea, arriva ben presto a conflìggere con un altro imperialismo di una potenza emergente: il Giappone. Quest’ultimo, infatti, non vede di buon occhio l’avanzata zarista in Estremo Oriente e, dopo il fallimento di diversi negoziati con i russi, l’8 febbraio 1904 decide di attaccare la loro flotta a Port Arthur, in Manciuria, dando inizio alla guerra russo-giapponese.
Il conflitto è un disastro per i russi: nell’Impero iniziano a manifestarsi sentimenti disfattisti e di feroce malcontento sociale. La pesante sconfitta subita riaccende gli animi e le proteste, soprattutto tra i giovani che iniziano ad avvicinarsi così al socialismo. Sul piano internazionale la sconfitta è, forse, ancor più pesante: l’immagine che ne esce è quella di un popolo bianco che viene sconfitto da una “razza inferiore”, che però aveva saputo sfruttare a pieno la modernizzazione iniziata dopo la Restaurazione Meiji del 1868.
La conseguenza più immediata delle pesanti sconfitte che la Russia stava subendo dal Giappone è la Domenica di Sangue. A San Pietroburgo le condizioni della classe operaia sono assai precarie: le difficoltà economiche ed esistenziali portano così ad organizzare una serie di scioperi che culminano con quello del 22 gennaio 1905. Giunti al Palazzo d’Inverno per chiedere maggiore giustizia sociale, la risposta che gli operai pietroburghesi ricevono è il sangue; i cosacchi a cavallo iniziano a sparare sulla folla, demolendo definitivamente la già scarsa credibilità di cui gode l’autocrazia zarista.
Le sconfitte con il Giappone e la Domenica di Sangue erano state precedute da una serie di assassini politici, di manifestazioni di strada e di pogrom in tutto l’Impero; dalla Polonia a Baku, dall’Ucraina alla Georgia sino al Medio Volga, i disordini urbani e le manifestazioni si moltiplicano tra il 1895 e il 1900. La rivoluzione del 1905 è pertanto la dimostrazione palese delle fragilità dell’Impero, fragilità sulle quali Lenin e i bolscevichi stanno costruendo la loro rivoluzione.
Da Stolypin allo scoppio della Prima Guerra Mondiale
L’estensione delle proteste nelle varie città a seguito della Domenica di Sangue costringono Nicola II a venire timidamente incontro alla richieste dei manifestanti, come il suffragio universale, una nuova assemblea costituente e i diritti di libertà individuale. L’ondata di scioperi e disordini, però, non era arrivata nelle campagne e questo permette allo zar di riprendere il controllo della situazione. I contadini, invece, ben presto comprendono che la riforma agraria non è nelle idee di Nicola II e questo li conduce sempre di più nelle braccia dei socialisti rivoluzionari.
Nel campo socialista, le discussioni sul se e come organizzare una rivoluzione in Russia andavano avanti da tempo. Si era discusso se il paese fosse o meno pronto per una rivoluzione socialista e quale tipo di partito dovesse portare avanti le istanze rivoluzionarie. Mentre alcuni ritenevano improbabile che la Russia passasse da un sistema di produzione principalmente rurale direttamente ad un sistema socialista, Lenin e Trockji credevano che ciò non solo potesse essere possibile ma che proprio le condizioni della Russia di allora, definita come un insieme di regimi socio-economici appartenenti a sviluppi storici differenti ma presenti nella stessa èra, potessero permettere di saltare un’intera fase dello sviluppo storico. Con questa nuova analisi materialistica dello sviluppo storico, Lenin e Trockji prendono così le redini del movimento socialista, forgiando un partito formato da rivoluzionari di professione. La linea dettata da Lenin, però, nel 1903 porta ad una frattura all’interno del Partito Socialdemocratico Russo e alla nascita dei bolscevichi, guidati da Vladimir Lenin, e dei menscevichi, guidati da Julij Martov.
Nel mentre Lenin affina la sua teoria rivoluzionaria, cercando di sfruttare anche i diversi nazionalismi in chiave anti-zarista, l’Impero riprende a crescere economicamente e con esso l’occupazione. Lo sviluppo di monopoli e di centri capitalistici non sembra però assicurare uno sviluppo e una ricchezza per tutta la popolazione e pertanto la classe operaia torna a scioperare, come nel 1912 nelle miniere d’oro della Lena dove gli scioperanti vengono brutalmente repressi, suscitando sdegno e solidarietà. Tra i contadini, intanto, inizia a manifestarsi un ricambio generazionale, con dei giovani con una formazione molto più elevata di quella dei loro padri e con esperienze alle spalle nell’industria e nell’esercito. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l’Impero russo è perciò una delle realtà più dinamiche del continente europeo ma allo stesso tempo anche una delle più fragili. Come sostiene lo storico Andrea Graziosi, la Russia è “Un paese quindi insieme forte e fragile, in via di sviluppo ma ancora sottosviluppato e attraversato da quattro linee di frattura principali che dividono i villaggi dallo stato, le nazionalità non russe dall’impero, la nascente società civile dall’autocrazia e dalla corte, e i nuovi strati operai, privi di protezione sociale, dallo stato e dalla borghesia“.
Gli anni che vanno dal 1905 allo scoppio del primo conflitto mondiale, sono anni di riforme, come quelle di Pëtr Arkad’evič Stolypin che spaziano dal pugno di ferro per il mantenimento dell’ordine pubblico alla riforma agraria con il fine di creare una classe di contadini proprietari terrieri, passando per il rafforzamento dell’Impero attraverso una “rivoluzione dall’alto” sul modello prussiano.
Sul piano politico il caos lo fa da padrone. Dal 1906 al novembre 1907 si succedono tre differenti Dume, l’assemblea rappresentativa della Russia imperiale. La prima, insediatasi il 27 aprile 1906, cade sulla questione della riforma agraria a seguito di uno scontro tra il governo e i deputati. Alla caduta di questa prima Duma segue una violenta ondata repressiva e una violenza politica di matrice terroristica che permette a Stolypin, fino ad allora Ministro dell’Interno, di diventare Primo Ministro di un regime di difesa eccezionale. E’ in questa occasione che si delinea la sua politica riformatrice e repressiva sottolineata poco fa. I lavori per l’elezione di una nuova Duma iniziano dal settembre 1906 e vedono crescere la fiducia di Stolypin in una vittoria del blocco filo-governativo, anche a seguito di una pesante svolta a destra che coinvolge funzionari locali e provinciali e mette al bando partiti ritenuti sgraditi. Le elezioni della seconda Duma del gennaio 1907, però, non danno ragione a Stolypin: i socialisti ottengono una solida maggioranza a danno della destra e dei cadetti.
Caratterizzata da una forte conflittualità tra estrema destra ed estrema sinistra, la Duma uscita dalle elezioni di gennaio non riesce a svolgere un buon lavoro dal punto di vista legislativo, tanto che già da aprile i vertici dello Stato segretamente decidono di procedere al suo scioglimento e di stravolgere la legge elettorale. Quest’ultima viene cambiata così radicalmente da configurarsi come un vero e proprio colpo di Stato: riduce notevolmente il diritto di voto dei contadini comunitari, delle popolazioni urbane e degli abitanti di nazionalità non russa nelle periferie dell’Impero, a tutto vantaggio dei proprietari terrieri russi.
La nuova legge elettorale porta i frutti sperati: insediatasi nel novembre 1907, la terza Duma si caratterizza a forte maggioranza monarchica, dove gli interessi dei proprietari terrieri sono difesi dalla Lega di Aleksandr Ivanovič Gučkov. Questi anni sono particolarmente duri per l’estrema sinistra, provata dalle deportazioni, dalla repressione e dal carcere, tanto che Lenin, Martov e Černov – quest’ultimo tra i fondatori del Partito Socialista-Rivoluzionario Russo – sono costretti a fuggire dalla Russia e rifugiarsi tra Svizzera, Francia e Inghilterra.
Nel frattempo, la leadership di Stolypin inizia a scontrarsi con gli ottobristi di Gučkov, i quali richiedono un’azione più decisa contro i legami tra forze di polizia e movimenti di estrema destra, un maggiore finanziamento all’istruzione pubblica e per affidare alla Duma le competenze relative alla gestione del bilancio statale. Anche i rapporti con lo zar iniziano ad incrinarsi, soprattutto a seguito del formarsi di una cerchia di reazionari intorno al sovrano. In questo clima di crescente isolamento, nel settembre 1911, a Kyev, Stolypin viene assassinato e sostituito da Vladimir Nikolaevič Kokovcov, allora Ministro delle Finanze, fino al gennaio 1914.
La Russia nella Prima Guerra Mondiale
All’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914 e alla seguente dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, l’Impero russo risponde con una mobilitazione totale e l’ingresso nel conflitto, a seguito della dichiarazione di guerra della Germania, viene accolto da un profondo entusiasmo. Quindici milioni di uomini vengono reclutati nell’esercito zarista, un esercito che rappresenta fedelmente lo sviluppo diseguale del paese: nuclei militari con una solida preparazione – che sarebbero andati poi a formare i migliori quadri dell’Armata Rossa e i migliori soldati dei Bianchi nella guerra civile – erano circondati da una enorme massa di contadini non integrati e spesso non riforniti.
Le fragilità dell’Impero e del suo esercito portano in breve tempo al disastro militare: nel 1915 Polonia, Galizia, Lituania e parte della Lettonia sono perdute, un disastro tale che fa decidere a Nicola II di prendere direttamente il comando dell’esercito. Nonostante la conversione del tessuto produttivo in un’economia di guerra e la conseguente crescita di occupazione e salari, le criticità non accennano a ridursi e la Russia inizia ad essere travolta dagli eventi. Nelle periferie dell’Impero, in particolar modo in Asia centrale, i conflitti tra le diverse comunità nazionali iniziano ad esplodere contro la coscrizione.
In questo quadro di contraddizioni, delusioni e rivolte nazionali, spicca la figura di Lenin che alla fine del 1914 riesce a far leva sulle popolazioni oppresse, sottolineando come la guerra in cui l’Impero era impegnato servisse anche a permettergli di mantenere il controllo su Polonia e Ucraina. Un ragionamento, questo di Lenin, che viene posto in forma più strutturata nella sua opera del 1916 Imperialismo, fase suprema del capitalismo, nel quale le questioni delle lotte di liberazione e del colonialismo vengono poste al centro della sua elaborazione teorica.
Nell’estate del 1916 diversi successi sembrano risollevare gli animi dell’esercito russo, come quelli in Galizia e Bucovina, nella Romania orientale – entrata in guerra a fianco dello zar – e in Persia e Turchia contro l’Impero Ottomano. Alla fine del 1916 è però evidente che, anche a causa della necessità di coprire un’area geografica immensa che andava dal Baltico al Mar Nero, la guerra non poteva essere vinta.
Dalla Rivoluzione di Febbraio alla Rivoluzione d’Ottobre
All’inizio del 1917 il forte malcontento popolare, le sconfitte militari, la fame e il discredito totale verso la famiglia reale contribuiscono a creare un clima di rivolta di massa. Tra il 23 e il 27 febbraio, Pietrogrado è il teatro di una nuova, spontanea mobilitazione popolare. Questa volta sono i simboli dello Stato zarista ad essere presi di mira, come le statue, gli stemmi e tutto ciò che raffigura l’autocrazia e il potere imperiale dei Romanov. Caduti i simboli dello zarismo, nuovi emblemi vengono alzati, come la bandiera rossa del movimento rivoluzionario socialista.
Le manifestazioni di protesta iniziano in occasione della festa della Donna e vengono sostenute dal pomeriggio e nei giorni seguenti dagli operai, scesi in sciopero per il pane. La decisione dello zar di reprimere la rivolta non fa che aggravare la situazione. Il 27 febbraio è il giorno della svolta. Iniziano gli scontri con la polizia, i saccheggi e le vendette nei confronti di informatori e agenti al servizio dell’autocrazia. E’ la fine della dinastia. Nicola II, in viaggio verso Tsarskoye Selo, subisce un dirottamento del suo treno e, con lo scopo di salvare l’Impero e la dinastia, il generale Alekseyev gli chiede di abdicare. Ma ormai l’ordine è irrimediabilmente compromesso. Quando si diffonde la voce che a Nicola II sarebbe subentrato il cugino Michele, la rivolta si infiamma ancora di più e così, il 3 marzo, la monarchia dei Romanov crolla sotto il peso delle mobilitazioni. La rivoluzione di febbraio ha vinto.
Il 2 marzo un nuovo governo provvisorio prende il comando del decaduto impero zarista e ad esso si affianca il Soviet dei deputati operai. Ne risulta così un dualismo di potere, per il quale il Soviet detiene il potere senza responsabilità e il Governo detiene la responsabilità senza il potere. Nella notte tra il 1 e il 2 marzo, Governo e Soviet giungono ad un accordo che prevede l’amnistia per i prigionieri politici, le libertà civili e la garanzia dei diritti sociali rivendicati nel 1905-1906, la sostituzione delle forze di polizia con milizie popolari e l’inizio dei lavori per arrivare a nuove elezioni per l’Assemblea Costituente.
Nei giorni della rivolta, a Pietrogrado gli operai sono i veri protagonisti della rivoluzione. Nelle settimane successive alla caduta dei Romanov, nascono decine di Soviet e la classe operaia, come la società russa in generale, subisce una politicizzazione e una radicalizzazione crescente. Le mobilitazioni dei lavoratori, già nel mese di marzo, portano ad ottenere la giornata lavorativa di 8 ore per tutte le categorie a parità di salario. Questa crescente politicizzazione rende la classe operaia sempre più sensibile alle idee dei rivoluzionari bolscevichi: i comitati di fabbrica sostituiscono i sindacati come centro delle mobilitazioni; la formazione della Guardia Rossa favorisce la militarizzazione di numerosi settori operai e le città di Vyborg e Kronstadt si trasformano in vere e proprie fucine di militanti bolscevichi.
Nelle campagne, all’inizio della primavere la situazione è ancora relativamente tranquilla. Solo con l’avvicinarsi dell’estate e la nomina del socialista rivoluzionario Černov a Ministro dell’Agricoltura, i contadini iniziano a rivoltarsi contro i proprietari terrieri e a confiscargli le terre. Le periferie, a differenza del 1905, sono state pesantemente oggetto delle azioni belliche degli Imperi centrali. L’incapacità del governo di determinare l’integrità dei confini di queste terre e di difenderne l’autonomia senza disgregare l’integrità territoriale dello Stato, non fanno altro che acuire la già precaria tenuta sociale delle terre di confine. Escludendo i polacchi e i finlandesi, però, nessuno ancora si sbilancia a richiedere l’effettiva indipendenza ma solamente tutele linguistiche e autonomie nel quadro di una Russia federale.
Nelle fila dell’esercito, i comitati dei soldati iniziano ad assumere un atteggiamento conflittuale nei confronti dei loro ufficiali. Soprattutto nelle campagne, i soldati-contadini attuano una vera e propria rivolta contro i signori terrieri, confiscando loro le terre e, a volte, uccidendoli. Sebbene il sentimento anti-tedesco fosse assai vivo nei giorni della rivoluzione, con l’inizio della primavera e le voci che giungono dalle campagne per la spartizione delle terre dei proprietari, i comitati dei soldati iniziano a guardare alla pace con sempre maggior convinzione.
All’interno del governo inizia invece a crearsi una divergenza di visione con il Soviet: mentre il primo intende proseguire la guerra fino alla vittoria, il secondo adotta la linea del “difensivismo rivoluzionario“, ossia l’adesione ad una campagna “di classe” contro la guerra imperialista combinata ad una difesa ad oltranza contro i tedeschi. Con l’interesse comune a ripristinare l’ordine, governo e Soviet trovano una soluzione nelle dimissioni di Gučkov e Miljukov e l’entrata nel governo di 5 ministri socialisti. Una soluzione, però, che invece di generare maggiore stabilità nella gestione del potere favorisce una maggiore polarizzazione politica. Un terreno la cui fertilità viene prontamente sfruttata dai bolscevichi.
La Rivoluzione d’Ottobre e la presa del Palazzo d’Inverno
Dopo l’ondata rivoluzionaria del febbraio 1917, Lenin, Martov e gli altri rivoluzionari che erano all’estero iniziano a tornare in patria. Lenin, rientrato in Russia grazie all’aiuto tedesco, si scaglia immediatamente contro la linea del difensivismo rivoluzionario, trovando sostegno tra soldati e operai che dall’inizio della primavera mostrano una sofferenza crescente nel proseguimento del conflitto. Ma Lenin si scaglia contro tutta la linea dei menscevichi al governo, puntando ad una rottura netta con l’esperienza del governo provvisorio, all’uscita dal conflitto e al superamento della “fase borghese” per giungere definitivamente alla rivoluzione socialista.
Le tesi di Lenin, divenute note successivamente come le Tesi di Aprile, inizialmente vengono respinte dai menscevichi e accolte con scetticismo dai bolscevichi. Solo a seguito di un’aspra battaglia interna la linea di Lenin riesce a prevalere. Come già sottolineato, le tesi di Lenin fanno breccia negli animi degli operai e dei soldati che non vogliono altro che la fine della guerra. Una prova della forza delle idee leniniane è data dal fatto che, dopo la crisi di aprile che ha portato alla formazione di un secondo governo provvisorio, le file dei bolscevichi vengono alimentate da sempre più schiere di operai e contadini che, il mese successivo, proclamano una serie di scioperi contro il nuovo governo.
Quest’ultimo, soprattutto tramite il ministro della guerra Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, è fermamente convinto che un successo militare possa rinvigorire gli animi dell’esercito e allontanare il malcontento popolare. Dopo una serie di vittorie lungo il confine austro-ungarico, che sembravano dar ragione a Kerenskji, la controffensiva tedesca di luglio distrugge ogni speranza. La disfatta si trasforma in una ritirata disordinata e spinge definitivamente i soldati nelle braccia dei bolscevichi.
All’inizio di luglio, a seguito di una crisi di governo dovuta al riconoscimento dell’autonomia dell’Ucraina, Pietrogrado è l’epicentro di una nuova rivolta che rischia di sfociare in un colpo di Stato. I mitraglieri e i marinai di Kronstadt, accorsi in città, danno prova della loro forza e organizzazione bloccandone i centri nevralgici. Giunti quasi alla presa del potere, però, i militanti bolscevichi attendono direttive sul cosa fare e come portare avanti l’offensiva finale per la conquista del potere; direttive che non arriveranno. Il vacillare del Soviet di Pietrogrado e dei dirigenti bolscevichi permette così alle forze governative di ricompattarsi e di incaricare Kerenskij alla formazione di un nuovo governo.
Le conseguenze per i bolscevichi sono pesantissime: la repressione del governo si abbatte su dirigenti e militanti che vengono incarcerati in massa e nell’immaginario comune inizia a rendersi verosimile l’idea che i bolscevichi volevano abbattere il governo per favorire l’avanzata tedesca. Lenin, nel frattempo, riesce a rifugiarsi in Finlandia,
Il nuovo governo Kerenskij assume sempre di più una deriva autoritaria, a causa anche della nomina di Kornilov a capo delle forze armate a cui segue il ripristino della pena di morte e il divieto di riunione; disposizioni che trovano la ferma condanna del Soviet. Ma il rapporto tra Kerenskij e Kornilov si incrina definitivamente in estate dopo la Conferenza di Stato. Kerenskij crede che Kornilov intenda scalzarlo e, onde evitare questo epilogo, nomina se stesso comandante in capo e chiama in sua difesa tutte le forze democratiche, compresi i bolscevichi, a seguito della decisione di Kornilov di far marciare su Pietrogrado le truppe a lui fedeli. Bloccato e incarcerato grazie al contributo decisivo dell’organizzazione bolscevica, la controrivoluzione di Kornilov viene sventata.
Lo spettro della controrivoluzione e la precarietà del governo Kerenskij non fanno che aumentare la popolarità e il sostegno ai bolscevichi, tanto che nelle elezioni delle Dume municipali tra agosto ed ottobre, ottengono importanti successi. Un successo che si manifesta anche nel Soviet di Pietrogrado a danno dei menscevichi. Sebbene non tutti all’interno del Partito fossero d’accordo con Lenin per intraprendere nell’immediato un’insurrezione armata, il 21 ottobre il Comitato Rivoluzionario Militare (Milrevkom) si proclama suprema autorità militare della capitale, sancendo l’effettiva perdita di controllo da parte del governo provvisorio. Fino al 24 ottobre nulla è noto sul momento esatto dell’insurrezione ma Lenin intende prendere il potere prima dell’apertura del Congresso Panrusso dei Soviet, stabilita nel pomeriggio del 25.
Con un’azione mirata ai luoghi strategici della città – come strade, stazioni, poste e ponti – il Milrevkom ne prende il controllo. La mattina del 25 Kerenskij fugge e Lenin dichiara definitivamente caduto il governo provvisorio. La rivoluzione, così, si dirige verso il Palazzo d’Inverno, dove i ministri erano asserragliati nella vana attesa di rinforzi. Ai rivoluzionari basta un colpo dell’incrociatore Aurora per dichiarare definitivamente vittorioso l’assalto al Palazzo d’Inverno e la vittoria dell’insurrezione bolscevica.
La vittoria dell’Ottobre non pone, però, fine alle criticità con cui dovrà fare i conti il nuovo governo, a cominciare dall’uscita dal conflitto bellico e dalla devastante guerra civile che insanguinerà i territori dell’Impero russo dal 1918 al 1922. Solo dopo la vittoria dell’Armata Rossa e la fine di ogni conflitto, nascerà l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nel dicembre 1922.
Rivoluzione russa del 1917, riassunto
La Rivoluzione russa del 1917 segna la fine dell’Impero zarista e l’inizio di una nuova era socialista. La Russia, coinvolta nella Prima Guerra Mondiale, viene a trovarsi in una situazione di profonda crisi: l’esercito subisce pesanti sconfitte al fronte e il paese si confronta con una grave carenza di cibo, malcontento sociale e disoccupazione. Nonostante la mobilitazione iniziale, i disastri militari mettono a nudo le fragilità del regime zarista e portano la popolazione sull’orlo della rivolta.
Nel febbraio 1917, a Pietrogrado, esplodono proteste spontanee: operai e soldati scendono in piazza contro la fame e le difficoltà quotidiane. Le manifestazioni portano rapidamente alla caduta dello zar Nicola II e alla fine della dinastia Romanov. Al posto del regime zarista nasce un governo provvisorio, ma la situazione rimane caotica, con i Soviet – organi di rappresentanza dei lavoratori e soldati – che si affiancano al governo in una delicata e anomala realtà di “doppio potere”.
Nel frattempo, Lenin, tornato dall’esilio con l’aiuto tedesco, guida i bolscevichi verso una rivoluzione socialista. Con le sue “Tesi di Aprile”, chiede la fine della guerra e il passaggio immediato del potere ai Soviet, guadagnando sempre più supporto tra una popolazione ormai stanca del conflitto. Mentre il governo provvisorio fatica a mantenere il controllo, il fermento rivoluzionario cresce.
La Rivoluzione d’Ottobre si concretizza quando i bolscevichi, guidati da Lenin, prendono il controllo dei luoghi strategici di Pietrogrado e culminano la loro azione con l’assalto al Palazzo d’Inverno che provoca la fuga del governo provvisorio. È l’inizio del potere bolscevico, ma la strada verso la stabilità è lunga: il paese viene travolto dalla guerra civile, che si concluderà solo nel 1922 con la nascita dell’Unione Sovietica.
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- John Reed – I dieci giorni che sconvolsero il mondo. La cronaca della rivoluzione d’ottobre in presa diretta, Rizzoli, 2017.
- Alexander Rabinowitch – 1917. I bolscevichi al potere, Feltrinelli, 2017.
- Lev Trotsky – Storia della rivoluzione russa, Mondadori, 2018.
- Guido Carpi – Russia 1917. Un anno rivoluzionario, Carocci, 2017.
- Angelo d’Orsi – 1917. L’anno della rivoluzione, Laterza, 2016.