CONTENUTO
di Giulia Spositi, studentessa di Lingue e Civiltà Orientali presso l’Università La Sapienza di Roma
La rivoluzione sudcoreana dell’Aprile 1960 è una delle rivolte più importanti dell’Asia Orientale. Sebbene sia una delle tante rivoluzioni dimenticate e messe in secondo piano dalla storia occidentale, a suo tempo ebbe notevole eco nelle rivolte studentesche di tutto il mondo.
Il contesto storico e politico
Dopo la brutale guerra di Corea del 1950-1953, Syng-man Rhee prese le redini di una Corea del Sud ancora ferita dal conflitto e con l’economia a terra. La sua elezione nel 1948 non fu esente da contestazioni e da spargimenti di sangue. Appoggiato dagli Stati Uniti, il cui intento principale era bloccare ad ogni costo l’espansione comunista nella penisola coreana, nelle elezioni del 1948, nonostante furono macchiate da denunce di brogli, violenze e omicidi di coloro che si rifiutavano di votare, Rhee ottenne la maggioranza.
Nel corso del suo secondo mandato, dopo una nuova elezione nel 1952, minacciò e torturò senza pietà chiunque si oppose al suo disegno autoritario – utilizzando spesso lo spauracchio del comunismo come giustificazione – venendo spesso aiutato anche dalla mafia locale con la quale aveva preso accordi affinché lo supportasse durante le elezioni. Rhee sfruttò ogni metodo lecito ed illecito pur di farsi rieleggere, come la modifica della Costituzione nel 1954 per abolire il limite dei mandati presidenziali.
Infine, eliminò fisicamente ogni possibile avversario politico in nome della “sicurezza nazionale”. Nonostante i più che fondati sospetti di brogli, Rhee vinse anche le elezioni del 15 Marzo 1960.
Come riporta lo storico Maurizio Riotto nel suo Storia della Corea:
Erano le realtà cittadine a pagare per lo sfascio istituzionale e la corruzione dilagante e proprio le città erano divenute i centri del dissenso, focalizzato soprattutto intorno agli studenti e agli intellettuali.
Dalle prime rivolte alla rivoluzione d’aprile
Il popolo coreano, stanco e con una sete di una libertà che bramava sin dalla fine della colonizzazione giapponese nel 1945, era sempre più deciso a porre fine al dominio autoritario di Rhee. Due settimane prima delle elezioni del 1960, il 28 febbraio alcuni studenti liceali scesero in strada per protestare contro una possibile manovra politica del presidente per estendere il suo mandato ma la manifestazione terminò con l’arresto di 120 persone. Il 15 Marzo, il giorno delle elezioni, una folla studentesca formata da 10.000 giovani guidò un’enorme marcia a Masan, chiedendo nuove elezioni.
Fu proprio quel giorno che, inconsapevolmente, Rhee si auto-inflisse la sconfitta. Usando la scusa dell’ “ispirazione comunista” e col consenso del Comandante Generale statunitense Carter Magruder, fece reprimere le rivolte non solo a Masan, ma anche a Pohang, Daejon, Suwon, Osan e Jeonju, le quali godevano pubblicamente del sostegno di professori, giornalisti e avvocati.
Poco meno di un mese dopo la violenta repressione, l’11 aprile 1960 un pescatore raccolse dalle acque del mare di Masan il cadavere di un 16enne, Kim Ju-yol, ucciso da un candelotto lacrimogeno delle forze dell’ordine finitogli in un occhio durante la protesta nella città. Nuovamente, la polizia e il presidente Rhee giustificarono la tragica fine del ragazzo con le sue presunte ideologie comuniste. Ma le strumentali accuse di comunismo erano giustificazioni che ormai la popolazione sudcoreana non accettava più.
Iniziò così la rivolta studentesca di Aprile.
Dopo una settimana dal ritrovamento del cadavere, furono inviati degli squadroni anti-comunisti per reprimere una manifestazione a Seoul. Le milizie, senza alcuna pietà, si scagliarono contro gli studenti con manganelli e catene; violenze che avvennero sotto lo sguardo inerme della polizia. In risposta all’attacco, gli studenti di ben sei università di Seoul si organizzarono per una nuova protesta che sarebbe scoppiata il giorno dopo, il 19 aprile, sempre nella capitale sudcoreana. La partecipazione fu enorme: oltre 100.000 persone si ritrovarono per le strade, dirette verso il palazzo presidenziale.
Rhee tentò di rispondere attraverso la repressione da parte delle guardie del palazzo presidenziale, le quali uccisero 20 studenti, ma la reazione di quest’ultimi non fu quella che il presidente si aspettava.
Dividendosi in gruppi, i giovani distrussero il quartier generale del partito liberale di Rhee e della Lega Giovanile Anti-comunista, gli uffici editoriali del giornale governativo e cinque stazioni di polizia – che invano tentò di reprimere le proteste.
Da Seoul a Incheon, da Daegu fino a Gwangju, in tutta la Corea del Sud si levava unanime la voce dei liceali che chiedevano democrazia e libertà.
I morti e i feriti continuavano a crescere ma questo non fermò la lotta degli studenti, che per sette giorni consecutivi continuarono a manifestare nella capitale. Il 25 aprile, 258 professori universitari si riunirono alla Seoul National University marciando insieme ai loro studenti: era la prima volta nella storia coreana che i professori entravano nel quadro della lotta contro la tirannia. Il messaggio era ormai chiaro: il popolo non chiedeva solo le dimissioni di Rhee ma anche quelle di tutta la sua amministrazione. Per questo motivo, dopo un’assemblea svoltasi il 25 aprile, 50.000 manifestanti attaccarono la casa del vice-presidente Lee Ki-poong.
Fu in questo contesto di lotta, di potere popolare, che gli Stati Uniti decisero di intervenire. Come avevano concesso a Rhee la sua posizione di presidente, così chiesero la sua dipartita – non perché concordassero con gli studenti sudcoreani, la cui protesta stava ormai facendo il giro del mondo, ma perché temevano che il vero volto del regime sudcoreano da loro sostenuto venisse rivelato.
L’ambasciatore americano e il Generale Magruder visitarono Rhee in Corea del Sud il 26 aprile, proponendogli di andare via dal Paese così come vi era tornato nel 1945: tramite un aereo militare statunitense. Lo stesso giorno, Rhee annunciò le sue dimissioni e volò alle Hawaii, dove morì 5 anni dopo.
Le conseguenze della rivoluzione d’aprile e l’eredità del movimento sudcoreano
Come citato all’inizio, la rivoluzione d’aprile sudcoreana del 1960 ne ispirò molte altre in tutto il mondo. Dalla Turchia fino agli Stati Uniti, i giovani guardavano ai loro fratelli sudcoreani con rispetto e ammirazione, come ad esempio l’attivista, scrittore ed ex-membro dello Students for a Democratic Society Tom Hayden, che durante la Conferenza Internazionale in ricordo del 30esimo Anniversario della rivolta di Gwangju, disse:
Fui esilarato di vedere come giovani della nostra età avessero rovesciato il regime dittatoriale di Syngman Rhee. Attraverso quel movimento [del 19 Aprile], ho imparato la storia della Guerra Fredda per la prima volta. Quegli eventi hanno messo in discussione la nostra ingenua convinzione che i nostri genitori stessero combattendo per un mondo libero. Posso dirvi che quel movimento ispirò l’SNCC (lo Student Nonviolent Coordinating Committee) e il movimento nero nel Sud.
Senza saperlo, nel loro piccolo, i coreani avevano reso il terreno fertile per le rivolte studentesche mondiali del 1968. La rivoluzione d’aprile dimostrò il proprio impatto e la propria eredità soprattutto nel corso della storia coreana; fu, infatti, la base dalla quale nacquero la rivolta popolare di Gwangju del 1980, la rivolta operaia del Giugno 1987 e lo sciopero contro il neo-liberalismo del 1997, per citarne alcuni.
Quella del 19 aprile 1960 fu solo una delle numerose prove della forza che un popolo unito può tirar fuori per combattere i suoi oppressori.
Revisionato da Valerio Spositi, Comitato scientifico Fatti per la Storia
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- Maurizio Riotto – Storia della Corea. Dalle origini ai giorni nostri
- George Katsiaficas – Asia’s Unknown Uprisings: South Korean Social Movements in the 20th Century, Vol. 1