CONTENUTO
Il 7 luglio 1647 la popolazione napoletana insorge contro l’insostenibile pressione fiscale del viceré spagnolo. A capo della sommossa popolare c’è il pescivendolo e contrabbandiere Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello. I disordini durano qualche giorno e si concludono in modo veramente inaspettato.
Napoli nel 1647
Il contesto storico su cui si colloca la rivolta di Masaniello dell’estate 1647 a Napoli è costituito da una diffusa crisi materiale e sociale, causata dalla durezza delle spoliazioni spagnole. A livello europeo, sono in atto le ultime battute della sanguinosissima Guerra dei trent’anni, che ha martoriato per tanto tempo l’intero continente provocando agitazioni e rivolte in molte aree.
Napoli, insieme agli altri territori governati dagli spagnoli, è ridotta alla fame per l’enorme pressione fiscale alla quale viene sottoposta. La città è in quel momento un’affollatissima metropoli di circa mezzo milione di abitanti, che ha perso il proprio status passato di sede monarchica.
Poco più di un sesto dei napoletani possiede un’occupazione stabile e si tratta prevalentemente di pescatori, artigiani, commercianti, avvocati e altri professionisti. La grande nobiltà, composta da meno di mille famiglie, vive di rendita, mentre qualche esponente della nobiltà minore occupa incarichi pubblici e amministrativi.
Esiste poi un ceto di borghesi arricchiti, “il popolo grasso“, composto da mercanti, intellettuali e ricchi commercianti; a questi si affiancano “i lazzari“, coloro che vivono di lavori saltuari e sono visti dagli altri con disprezzo e compassione.
La fiscalità spagnola alla base della Rivolta di Masaniello
La Spagna impone al Regno di Napoli le gabelle, ovvero le tasse sugli scambi e sui beni di consumo, attraverso il viceré, il quale detiene poteri autonomi di governo anche se formalmente deve sottostare agli ordini provenienti da Madrid. Il potere dell’imposizione fiscale lo esercita la città attraverso i “sei sedili“: la nobiltà ne occupa cinque e il popolo uno.
L’effettiva riscossione delle tasse avviene tramite funzionari e organismi controllati dai vari sedili e a pagare le gabelle è solo il popolo. Nel gennaio 1647 viene approvata una nuova gabella sulla frutta fresca e secca; la misura è pesante poiché insieme al pane la frutta rappresenta la base dell’alimentazione popolare.
I protagonisti della rivolta: Giulio Genoino e Masaniello
Negli eventi della primavera e dell’estate del 1647 due figure emergono su tutte: Giulio Genoino e Tommaso Aniello, detto Masaniello.
Il primo è un intellettuale anziano, da decenni impegnato nella lotta giuridica per il riconoscimento di antichi diritti della ricca borghesia. Da sempre avversario della nobiltà Genoino si pone al centro di un movimento che chiede un ritorno all’antico, anche come forma di protesta per la pessima gestione del governo da parte dei nobili.
Masaniello, invece, è un popolano, uno dei tantissimi lazzari che vivono a Napoli. Egli diventa subito il catalizzatore della rivolta e incarna la prima figura storica che esprime il genuino spirito popolare napoletano. All’epoca dei fatti ha ventisette anni e fa il pescivendolo. E’ sposato con una giovanissima popolana ed è stato precedentemente in carcere per essersi rifiutato di pagare le gabelle. Masaniello è in contatto con Genoino il quale al momento della sollevazione lo finanzia e cerca di indirizzarlo.
7 luglio 1647, scoppia la rivolta di Masaniello
L’opposizione di Napoli contro la gabella sulla frutta assume una forma violenta a partire dalla primavera, dopo che un’insurrezione anti-fiscale divampa a Palermo. Il 6 giugno, il giorno della festa dell’Ascensione, a Napoli prende fuoco un casotto del dazio e nella settimana successiva i segnali di rivolta si moltiplicano.
Dietro all’organizzazione delle proteste vi è Masaniello e dietro di lui i consigli e il denaro di Giulio Genoino. Con i soldi dell’intellettuale Masaniello organizza una banda di circa duecento ragazzi armati di canne. Al grido di “Viva ‘o Re ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno” il 7 luglio 1647 la sommossa esplode nella piazza del mercato della città, dove i venditori si rifiutano di pagare le gabelle.
Da una tribuna improvvisata Masaniello arringa la folla e il viceré spagnolo Rodrigo de Leon, duca d’Arcos, riesce a stento a salvarsi dalla collera popolare rifugiandosi in un convento. Nei giorni successivi, secondo la tradizione, pare che Masaniello abbia amministrato la giustizia stando seduto sul davanzale di casa, con la popolazione ai suoi ordini.
Gli insorti respingono i vari tentativi delle truppe spagnole di rientrare in città, tuttavia non attaccano i castelli dove sono trincerati i soldati poiché l’obiettivo principale dei rivoltosi non è cacciare gli spagnoli ma ottenere riforme sociali e amministrative.
Dopo qualche giorno il viceré si convince a trattare con Masaniello e i due giungono subito ad un accordo: il capopopolo riconosce l’autorità del viceré, il quale in cambio promette nuove istituzioni per la città e un maggiore equilibrio tra il potere nobiliare e quello popolare.
Nel giro di pochi giorni però Masaniello inizia a dare segni di squilibrio mentale; viene per questo abbandonato dai suoi più fedeli seguaci e successivamente arrestato. Il 16 luglio un gruppo di sicari, tra i quali ci sono anche suoi ex compagni di avventura, lo uccide con una raffica di archibugio.
Il suo corpo è fatto oggetto di scempio: il cadavere decapitato viene abbandonato sulla spiaggia, in mezzo a cumuli di spazzatura, mentre la testa viene portata in trionfo al viceré come prova della sua morte.
Masaniello alla corte del Viceré spagnolo
Nella sua cronaca degli eventi dell’estate del 1647, intitolata “Partenope liberata“, il medico Giuseppe Donzelli descrive tra le varie cose anche l’incontro del 14 luglio tra Masaniello e il Viceré duce d’Arcos in seguito al quale il capopopolo inizia a dare segni di squilibrio mentale.
“Il 14 luglio venne un’ambasciata a Masaniello da parte del Viceré, che invitava esso e la sua famiglia a diporto nella deliziosa e amena riviera di Posillipo. La Viceregina mandò la sua solita carrozza a sei cavalli, per condurre la moglie di Tomaso Anello con le altre donne sue parenti. (…) Arrivati a Posillipo il Viceré gli onorò assaissimo, godendo unitamente di una sontuosissima colazione e nello stesso modo la Viceregina trattò le donne avendo di più regalata la moglie di Tomaso Anello di una collana di mille e cinquecento scudi. Di questo congresso con il Viceré mormorò non poco il popolo, dicendo essere altri tempi, che di andare a Posillipo. Dopo questo convito fu osservato che Tomaso Anello non operò più con sano giudizio perché cominciò a fare molte azioni da frenetico”.
Il bilancio della rivolta
Il viceré non gioca un ruolo da protagonista nella congiura che elimina Masaniello dalla scena di Napoli e della storia. Tutto avviene nell’ambito del mondo popolare, lo stesso in cui nasce la stella del giovane capopopolo. Gli spagnoli non riescono a gestire la ribellione sul nascere, né sono loro gli artefici della sconfitta popolare.
La rivolta di Masaniello palesa gli stessi limiti delle altre rivolte che scoppiano in quegli anni: esse si dimostrano movimenti privi di una direzione politica, incendi alimentati da protagonisti diversi e destinati a spegnersi in breve tempo. Nonostante questo il potenziale rivoluzionario napoletano si dimostra nell’estate del 1647 imponente, tanto da spingere gli spagnoli a rivedere per qualche tempo la loro politica fiscale.
I 3 libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i 3 libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia sulla “Rivolta di Masaniello“, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- Silvana D’Alessio – Masaniello. La sua vita e il mito in Europa
- Angelo Panarese – Spagna e Mezzogiorno (secoli XVI e XVII). La rivolta di Masaniello del 1647-48