CONTENUTO
Le Repubbliche Partigiane
La breve vita della Repubblica Partigiana di Alba, che prende corpo nel contesto della Resistenza cuneese, si inserisce nel più ampio disegno della Resistenza in merito alle zone libere. Il 2 giugno 1944, il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) emana una Circolare nella quale la Resistenza armata è chiamata a organizzare un’azione insurrezionale, tale per cui il popolo italiano possa riabilitarsi nel contesto internazionale attraverso l’opposizione diretta contro le forze antifasciste. Ad essa fa seguito il 10 giugno l’appello del Comando Brigate Garibaldi per la preparazione di un’offensiva generale, confermato dallo stesso CLNAI quattro giorni dopo. Il centro di comando elabora delle strategie uniformi per coordinare le operazioni militari e l’organizzazione sociale durante l’occupazione dei paesi e delle vallate, la quali vengono esplicitate nelle disposizioni del CVL (Corpo volontari della libertà) del 25 giugno.
Tali direttive sono espresse a fronte della previsione della conclusione del conflitto in tempi brevi, speranza alimentata anche della liberazione di Roma, avvenuta tra il 4 e il 5 giugno 1944, ma il rallentamento delle operazioni offensive degli alleati, porta inevitabilmente a una riorganizzazione della lotta perseguita dalla Resistenza. Concorrono inoltre a una non totale aderenza alle disposizioni generali dei limiti oggettivi in merito alla tempestività dei collegamenti tra le formazioni e alcuni elementi caratterizzanti le singole bande sia in termini di organizzazione ed eventuale orientamento politico, sia in riferimento al tessuto sociale con cui queste si relazionano, nonché alle modalità di interazione con i vari comandi.
Il centro di comando vede nella creazione delle zone libere la possibilità di strutturare un’organizzazione amministrativa post bellica affidata alla nuova classe dirigente antifascista, mentre dal punto di vista militare la realizzazione delle medesime, ha il suo fondamento sulle tattiche della lotta armata messe in atto dalle bande. I punti nevralgici dell’azione sono le periferie, dove le organizzazioni si presentano, nella maggior parte dei casi, non fortemente politicizzate, ma costituite perlopiù da giovani renitenti alla leva, contadini, che raramente ricoprono ruoli di comando principalmente rivestiti da militari, intellettuali o antifascisti formatisi nell’ambiente operaio.
Il retaggio dell’organizzazione sociale fascista, artefice di una netta divisione tra economia urbana e rurale, identifica buona parte della popolazione civile di queste aree periferiche, non soltanto geograficamente, ma anche in termini di lontananza dall’attiva partecipazione politica sviluppatasi nel contesto operaio e propria del tessuto urbano interessato da molteplici flussi commerciali e maggiori opportunità di confronto e scambio. Ragione per cui nelle periferie la presenza dei nuclei di partito e del CLN non è omogenea e poco capillare e che nonostante si rilevino degli esempi molto significativi di collaborazione, non soltanto in termini di assistenza tra la popolazione e le bande, si possono osservare in alcuni casi delle difficoltà legate a divergenze politiche e culturali. Non di rado, infatti la comunicazione con la popolazione delle zone rurali necessita della mediazione da parte dei parroci.
Le zone libere
La creazione delle zone libere al Nord può essere suddivisa in tre tempi: il primo periodo, nei mesi di giugno e luglio pone il focus sull’organizzazione militare della Resistenza, a cui vengono assoggettate tutte le altre funzioni strutturali. Montefiorno, una delle prime zone libere del Nord Italia, diventa un “distretto partigiano”. In un secondo momento, tra settembre e ottobre, gli obiettivi politici vengono delineati con maggior chiarezza e si rileva la necessità di definire tutte le componenti organizzative di governo delle zone libere. A Ossola, una delle poche zone libere non caratterizza dalla prevalenza della proprietà contadina, i rappresentanti di governo, esponenti dell’antifascismo nazionale, assumono un ruolo fondamentale nell’organizzazione amministrativa e sociale, mentre a Carnia si stabilisce una netta distinzione tra competenze militari e politiche e una cooperazione parallela tra l’amministrazione comunale elettiva e il CLN.
In questa seconda fase della Resistenza non vi è più soltanto l’obiettivo di sconfiggere il nemico, ma anche avviare un’organizzazione politica e sociale per il post liberazione, progettare e sperimentare i futuri ordinamenti. Tali motivazioni, applicate in modo meno sistematico originano le amministrazioni delle zone libere dell’Imperiese, delle Langhe, dell’ Alto Monferrato e dell’Oltrepò. La terza fase ha inizio il 13 novembre 1944 con il proclama del generale Alexander, il quale comunica la sospensione delle operazioni degli Alleati, chiedendo ai partigiani di attestarsi su posizioni difensive. Nei mesi di novembre e dicembre la massiccia repressione messa in atto dall’esercito tedesco porrà fine all’esperienza delle Repubbliche Partigiane.
Le zone libere al Nord Italia:
- Appennino emiliano: Montefiorino, area del modenese e reggiana,
- alcuni territori del parmense, del pavese e dell’Appennino ligure,
- Piemonte alpino e prealpino (valli del Cuneese, valli di Lanzo, Biellese orientale, Alta Val Sesia, Ossola), collinare (Langhe e Monferrato),
- Carnia e Friuli Orientale.
La Resistenza nel cuneese: chi sono i protagonisti?
L’avvocato Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, Duccio, con il proclama tenuto dal balcone della sua abitazione in piazza Vittorio Veneto a Cuneo il 26 luglio 1943, giorno successivo alla caduta del fascismo, esorta i suoi concittadini a proseguire la guerra fino alla sconfitta dei nazifascisti. Duccio Galimberti, che sarà proclamato Eroe nazionale e insignito della Medaglia d’oro al Valor miltare, Medaglia d’oro della Resistenza, fonda a tre giorni dall’armistizio dell’8 settembre la formazione Italia Libera. La banda composta da professionisti e intellettuali appartenenti alla borghesia parte alla volta di Valdieri per rifornirsi di armi e stabilirsi a Madonna del Colletto tra la Valle Gesso e la Valle Stura.
A questa si unirà il distaccamento guidato da Dalmastro, che annovera tra le sue fila gruppi di ufficiali alpini, operante nella Valle Grana, dando così vita, sotto la guida di figure tra le quali si ricordano Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, Giorgio Bocca e Nuto Revelli a Giustizia e Libertà. Nei pressi di Boves, sul monte Bisalta il il tenente di complemento della Guardia di frontiera Ignazio Vian ha organizzato un nucleo autonomo di partigiani, all’incirca centocinquanta uomini, per la maggior parte ex militari della IV armata guidata dal generale Vercellino e di stanza in Provenza nel periodo antecedente l’armistizio.
Il 19 settembre i partigiani della formazione di Vian catturano due sottufficiali tedeschi, nonostante la restituzione degli ostaggi, i tedeschi attaccano le postazioni partigiane, incendiano la cittadina di Boves e conducono una feroce rappresaglia contro la popolazione civile, uccidendo ventitré persone e bruciando più di trecento abitazioni. Vian riorganizza la formazione, ma in seguito a un ulteriore rastrellamento tra la fine del ’43 e il gennaio del ’44, con l’intento di tutelare la popolazione, la banda verrà definitivamente sciolta per poi confluire nel 1° GDA di Mauri, con Vian in qualità di vicecomandante del raggruppamento. Vian sarà arrestato il 19 aprile 1944 e condotto nella caserma di via Asti a Torino, subirà torture e sevizie fino alla morte per impiccagione avvenuta il 22 luglio 1944 in corso Vinzaglio.
In Val Varaita è attiva una banda formata da ex militari che più tardi sarà assorbita dalle Brigate garibaldine, mentre a Borgo San Dalmazzo opera la formazione Saben, costituita da abitanti del medesimo comune e da civili provenienti da altre zone limitrofe, evidente esempio di autorganizzazione popolare. La banda del capitano degli alpini Pietro Cosa operativa in Val Pesio, dopo aver resistito a una massiccia offesiva tedesca, si disperde momentaneamente a seguito di un rastrellamento, per poi dar vita alla I Divisione Alpina.
A Barge l’ufficiale di cavalleria Pompeo Colajanni “Barbato”, fonda con il filosofo Ludovico Geymonat le Brigate Garibaldi della Valle Po. Barbato diventerà poi comandante della IV Brigata Garibaldi Cuneo e nel maggio del 1944 ricoprirà il ruolo di comandante della I Divisione Garibaldi Piemonte. Le formazioni stanziate in queste valli condividono la linea d’azione orientata alla lotta armata contro l’occupazione nazifascista e alla teoria mazziniana della guerra per bande, ma presentano delle divergenze ideologiche correlate alle motivazioni che hanno orientato la loro scelta: politiche per Italia Libera, militari per la formazione di Boves.
Per i primi è necessario un comando collegiale sia politico che militare, non vi sono distinzioni gerarchiche, tutti sono chiamati a svolgere qualsiasi compito e la banda dev’essere sovvenzionata dagli stessi membri. Per contro le formazioni autonome militari sono mosse da un ideale monarchico liberale, fedeli al giuramento prestato al re e aderenti ai valori patriottici e militari, mantengono al loro interno la gerarchia con gradi e ordini tradizionali, ivi inclusa la separazione anche fisica tra ufficiali e truppa. Non è raro che una formazione raccolga al suo interno divergenze ideologiche e di pensiero, in alcuni casi conseguenza diretta della politica fascista finalizzata a celare le linee programmatiche dei partiti considerati illeciti e quindi molto spesso ignote soprattutto ai più giovani.
In seguito all’occupazione nazista di Cuneo, avvenuta il 12 settembre 1943, Italia Libera si trasferisce a Paraloup, la formazione è caratterizzata da un comando collegiale: Galimberti, Bianco, Scamuzzi, mentre il coordinamento militare è affidato al tenente Sacchetti, pur essendo legata al Partito d’Azione, la formazione non sostiene come necessaria la politicizzazione dei componenti. Al fine di creare una rete con i maquisards, si stabiliscono i primi contatti con la Resistenza francese e nel mese di maggio avrà inizio la collaborazione con i partigiani d’Oltralpe. Viene avviata la costituzione di una rete di collegamenti con le zone vicine e con la popolazione locale.
Dino Giacosa e Aldo Sacchetti sono i responsabili del Servizio X, che ha il suo centro nevralgico nell’ex fornace di Vallera, dove vengono smistate comunicazioni di staffette e informatori, oltre a fungere da nascondiglio per ex prigionieri di guerra alleati. Proprio Vallera, nella Valle Gesso è il luogo prescelto per le riunioni organizzate da Galimberti. Il 13 gennaio 1944 Galimberti viene ferito in combattimento a San Matteo, portato nelle Langhe per essere curato, si trasferisce poi a Torino, dove riceve la nomina di vice comandante del Comitato Militare Regionale Piemontese. A Torino, in una panetteria di via Vigone, Galimberti autore con l’amico Antonino Repaci del Progetto di Costituzione confederale europea ed interna (terminato proprio l’8 settembre del 1943) è arrestato il 28 novembre 1944, per essere poi trasferito a Cuneo dove verrà giustiziato il 3 dicembre.
Le formazioni partigiane nelle Langhe
Le Langhe sono un territorio caratterizzato dalla predominante presenza della piccola proprietà terriera; la società prevalentemente contadina è pressoché avulsa dalle dinamiche della lotta politica, eccezion fatta per la partecipazione ad associazioni e cooperative agricole di matrice socialista e per l’interesse manifestato dai lavoratori transfrontalieri per il Partito Socialista. In questo contesto sostanzialmente pacifico, il clero riveste un ruolo estremamente rilevante, non soltanto in qualità di mediatore tra le classi sociali, ma anche nel contribuire a mantenere nella popolazione un profondo sentimento di lealtà nei confronti della monarchia sabauda. Con l’avvento del fascismo le cooperative agricole sono private del loro significato, il regime non attua delle politiche a sostegno delle realtà contadine, di conseguenza la popolazione assumerà un atteggiamento disinteressato nei confronti della politica e del fascismo, confermando la lealtà alla monarchia e il rispetto per l’autorità ecclesiastica.
I soldati della IV Armata, che dopo l’8 settembre giungono in queste terre, trovano i langaroli ben disposti ad accoglierli, essi considerano gli ex militari e gli ex prigionieri alleati vittime di una guerra che non hanno mai condiviso. Permane però nella popolazione locale un atteggiamento ambivalente, poiché se da un lato offre accoglienza e supporto alle bande che si stanno formando spontaneamente sul territorio, manifestando chiari sentimenti di opposizione al fascismo, dall’altro risente delle conseguenze e dei rischi che questa manifestazione di solidarietà e la presenza partigiana comportano.
Il tessuto sociale e la conformazione morfologica del territorio sono indubbiamente due elementi indispensabili per la formazione delle bande della VI zona, ma non sono sufficienti per la sopravvivenza delle stesse, si evidenzia la necessità una riorganizzazione tattica degli ex militari abituati a combattere secondo altre strategie militari, importante è sicuramente il contributo di chi ha già esperienza di guerra partigiana, come ad esempio coloro hanno combattuto in Spagna. Inoltre mentre gli ex militari hanno armi e rifornimenti militari, le altre formazioni devono provvedere al recupero di un armamento oltre che alla ricerca di un rifugio sicuro.
Nelle Langhe emergono con rilevante intensità le divergenze di pensiero delle varie formazioni, la cui declinazione si riverbera nelle decisioni militari e politiche. In tutti i territori, ma ancor più in quest’area, si rende necessaria una mediazione tra le formazioni autonome formate da ex militari, le quali affermano la loro autonomia rispetto alle ideologie dei partiti politici, i garibaldini, brigate organizzate dal Partito Comunista italiano, le Brigate Matteotti, espressione del Partito Socialista e le formazioni di Giustizia e Libertà, i cui nuclei sono per la maggior parte stanziati sulle montagne e dislocate in numero più esiguo nelle valli.
In merito alla gestione delle zone libere, le formazioni autonome sostengono la scelta diretta degli organismi amministrativi e rifuggono la mediazione dei partiti politici, per contro i garibaldini sostengono forme di autogoverno popolare, avviate attraverso le rappresentanze del CLN per poi giungere alla costituzione di giunte comunali elette dai cittadini.
Organizzate le bande con una struttura militare e create le divisioni, le formazioni devono ora provvedere ai rifornimenti e ai rapporti con la popolazione civile. Dopo una prima fase in cui sono gli stessi capi di brigata o di distaccamento a occuparsi di dirimere le questioni di natura amministrativa nei piccoli centri abitati, con l’ampliamento dei territori da controllare conciliare tale attività con quella militare diventa pressoché impossibile, rendendo urgente la creazione di un istituto preposto alla gestione delle medesime.
Nel mese di settembre del 1944 le formazioni garibaldine e quelle degli autonomi, si insediano nei presidi della VI zona: gli autonomi al comando di Mauri, che designa quale centro di comando Marsaglia, controllano Barbaresco, Mango, Neive, l’alta valle Bormida, l’area intorno a Carrù arrivando fino all’Astigiano e all’Albese, contemporaneamente i garibaldini occupano Cravanzana, Mombarcaro, Belbo, Dogliani, Faletto, Monforte, Barolo, Serralunga e La Morra. Nasce quindi l’esigenza di istituire una delegazione civile per i garibaldini con sede a Monforte, la cui direzione è affidata a De Benedetti e Portonero, mentre gli autonomi costituiscono un Ufficio Affari Civili diretto dal maggiore Ferdinando Travaglio “maggiore Peschiera”.
Queste istituzioni hanno principalmente il compito di occuparsi dei rifornimenti alimentari, evitando confische coatte da parte delle divisioni, rifornendo sia i partigiani che la popolazione delle derrate alimentari e dei beni di prima necessità soggetti al monopolio fascista, di cui i civili sono privati a causa della collaborazione con la Resistenza, anche ricorrendo al mercato nero, ma parimenti hanno lo scopo di favorire la comunicazione tra partigiani e popolazione civile.
La Repubblica Partigiana di Alba
«Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944».
Beppe Fenoglio
Le Langhe sono una zona libera, sotto il controllo delle formazioni partigiane, in molti comuni la popolazione locale è stata accompagnata all’istituzione di forme di autogoverno attraverso la costituzione di Giunte popolari. In questo contesto la conquista di Alba, quale potenziale capoluogo delle Langhe, assume innanzitutto una valenza strategica. Non è secondario, però, il valore dimostrativo dato dall’abilità nel generare e sostenere forme di governo a livello amministrativo.
La conquista di Alba è coordinata da Enrico Martini “Mauri”, ufficiale del III Alpini Pinerolo, insignito della Croce di Guerra al valor militare a seguito della Campagna di Etiopia e promosso maggiore per meriti di guerra per il valore dimostrato sul campo nella Campagna in Africa Settentrionale. Già durante la guerra egli consolida la sua fede nella patria in opposizione al fascismo e nel pieno rispetto del giuramento prestato alla monarchia. Il comandante che prima opera in Val Maudagna, a seguito di un rastrellamento nel mese di gennaio è costretto a spostarsi in Val Casotto, dove avverrà un durissimo scontro con i tedeschi. Nei mesi di febbraio e marzo i continui rastrellamenti dei tedeschi nelle valli di Lanzo, Bormida, Belbo e Casotto provocano uno sbandamento delle formazioni, con un conseguente stallo delle operazioni, che porta Mauri a spostarsi nelle Langhe.
Mauri, che nel libro di Beppe Fenoglio è presentato come il “Comandante Lampus” è al comando del 1º GDA (Gruppo Divisioni Alpine), formazione autonoma militare, che si distingue per l’indipendenza dal Comitato di Liberazione Nazionale e per l’assenza di riferimenti ideologici e politici ufficiali, benché i componenti della formazione, siano per la maggior parte di fede monarchica, liberale, cattolica democratica o moderata, uniti dall’antifascismo. Mauri affida la conquista di Alba alla II Divisione Langhe di Piero Balbo “Poli”, il “Comandante Nord” di Fenoglio, unitasi al GDA nel mese di agosto. Il CLN invia un distaccamento garibaldino, la 48^ Brigata Garibaldi, nonostante le Brigate Garibaldi siano contrarie all’azione, reputando la città difficilmente difendibile e non condividendo la scelta di permettere ai fascisti il ritiro delle truppe in armi e un gruppo GL.
Il 10 ottobre 1944 i repubblicani abbandonano Alba senza combattere, consentendo l’ingresso nella città delle brigate Belbo, Canale e Alba, insieme a un distaccamento della IV divisione Garibaldi di “Nanni” Giovanni Latilla e a una formazione GL, nel pieno rispetto degli accordi intercorsi il giorno precedente tra il comandante “Carletto” e Radaelli, tenente colonnello del Battaglione Cadore dell’esercito repubblicano. Nell’attesa di poter convocare elezioni dirette, come già avvenuto nel comune di Murazzano e in altri comuni dell’area, la II Divisione istituisce un comando di presidio, un ufficio informazioni per la gestione delle comunicazioni, mentre la gestione della pubblica sicurezza e della polizia partigiana sono coordinate rispettivamente al dott. Sturla e dal dott. Orelia.
Il 23 ottobre 1944 il capitano degli Alpini Enzo Bramardi “Fede”, ufficiale del 1° GDA viene liberato dalla prigione di via Asti a Torino, a seguito di uno scambio di prigionieri e rientra al comando, dove gli viene proposto di subentrare al tenente “Carletto” in qualità di Comandante della piazza di Alba nella difesa della città. Le forze fasciste riorganizzatesi intendono prendere nuovamente il controllo della città, Mauri nei giorni seguenti i primi combattimenti, il 30 e il 31 ottobre, incontra il Commissario Straordinario per il Piemonte Zerbino alla presenza di ufficiali partigiani e gerarchi fascisti, con la mediazione di Mons. Grassi vescovo della città.
Durante i rendez-vous al comandante vengono illustrate le condizioni per la resa e nell’ultimo incontro, al quale Mauri non partecipa viene chiesto ai partigiani di issare la bandiera bianca sul campanile dopo il primo colpo di cannone sparato dai fascisti, così da aver modo di ritirarsi. Mauri ordina a Fede di issare il tricolore optando in questo modo per la strenua difesa della città contro l’esercito nemico composto da più di tremila uomini in armi e ben equipaggiato. Nella difesa di Alba sono impegnati verosimilmente tra i 1300 e i 1500 uomini. Le Brigate Matteotti si uniscono alle formazioni degli autonomi. L’intervento dell’armamento pesante è pertinenza della IV Divisione Alpi, della Brigata Tanaro e di un Reparto armi pesanti della I Divisione, disponendo in tal modo di una decina di mortai, 4 mitragliere e 4 piat (anticarro paracadutate dagli alleati inglesi).
La brigata Castellino della I Divisione Langhe guidata dal comandante Cesale, si posiziona a difesa del lato Ovest tra il ponte di Pollenzo e Villa Miroglio, l’area Nord Nord-Est è affidata a tre brigate della II Divisione Langhe, la brigata Alba, la brigata Canale di “Pepe” Giuseppe Toso che si trova in seconda linea sulla medesima direttrice, mentre la brigata Belbo occupa la zona antistante le colline, il lato Est è sotto il controllo della Brigata Garibaldi di Rocca, mentre sul lato Ovest c’è la 48^ Brigata comandata dall’ex ufficiale Marco Fiorina “Kin”, che invia altri due distaccamenti sulla direttrice di Pollenzo in supporto al distaccamento Rupe di Roddi, a Nord sulla direttrice Verduno-Roddi. Il distaccamento garibaldino guidato da Michel costituisce la riserva. I campi a Nord-Ovest vengono allagati, altri cosparsi di mine, si scavano delle trincee e sono chiamati a partecipare alla difesa anche civili muniti di pale e picconi. Per l’arretramento è prevista un’ulteriore linea di resistenza e in città si improvvisano barricate e sbarramenti alla vie d’accesso, la cui costruzione non può però essere terminata per mancanza di tempo.
L’esercito repubblichino, privo del supporto logistico delle truppe tedesche, ma in condizione di superiorità numerica e avvantaggiato dalla quantità di armi e munizioni attacca i molteplici fronti, per contro le brigate con le munizioni che scarseggiano sono costrette a ripiegare fino alla resa. La sera del 2 novembre l’ingresso delle truppe repubblichine in città, segna la fine della breve esperienza della Repubblica partigiana di Alba. La città sarà definitivamente liberata il 26 aprile 1945 con la resa del presidio repubblichino di fronte al comandante delle formazioni autonome Mauri e a un ufficiale alleato.
Link utili consigliati
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Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Costagli Sergio, Cronaca di un’esecuzione. Duccio Galimberti fu ucciso a Cuneo, Nerosubianco, 2019.
- Fenoglio Beppe, I ventitré giorni della città di Alba, Einaudi, Torino, 2022.
- Martini Mauri Enrico, Partigiani penne nere, Edizioni del Capricorno, Torino, 2016.
- Billò Ernesto, La Resistenza dei giovanissimi. Vicende, figure e destini fra Cuneese, Monregalese e Langa, CEM, 2024.