CONTENUTO
Introduzione
Con la fine della Seconda guerra mondiale si apre una lunga fase di rivalità tra le due Superpotenze uscite vincitrici dal conflitto. Il lungo periodo, descritto generalmente con l’espressione “Guerra Fredda”, vede il mondo diviso in due “blocchi” contrapposti divisi politicamente e fisicamente dal Muro di Berlino. La rivalità fra Stati Uniti e URSS viene espressa e combattuta con le armi della politica, dell’economia, dello sviluppo e della propaganda.
In questo scacchiere geopolitico assumono molta importanza i rapporti di alleanza fra i paesi all’interno dei due blocchi; tali rapporti politici, economici e anche militari sono delineati e controllati attraverso due Trattati: il Trattato del Nord Atlantico firmato nel 1949 a Washington e il Trattato di Varsavia, firmato nell’omonima città nel 1955.
Il Trattato firmato a Washington il 4 Aprile 1949 ha dato origine alla “North Atlantic Treaty Organization” più nota con la sigla NATO[1] (in italiano Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico). Si tratta di una Organizzazione internazionale nata all’indomani della Seconda guerra mondiale come strumento per mettere i paesi dell’Europa Occidentale sotto la Protezione degli Stati Uniti rispetto ad una potenziale minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica. Il Patto di Varsavia, nato in risposta all’alleanza Atlantica, unisce in una alleanza politica e militare l’URSS e i paesi dell’Europa dell’est[2] e si dissolto nel 1991 insieme all’Unione Sovietica.
La Guerra Fredda (1947-1991)
Nei quasi 50 anni di storia, dal 1945 al 1991, i rapporti tra la NATO ed in particolare gli Stati Uniti e l’URSS ed i suoi alleati vivono fasi alterne, tra momenti di crisi e periodi di maggiore distensione dei rapporti. Tra i momenti di maggiore crisi internazionale vanno sicuramente citate la guerra in Corea, durata tre anni e conclusasi con l’armistizio di Panmunjeom del 1953 che ha stabilito l’attuale suddivisione della regione in due Stati, Corea del Nord all’epoca sotto l’influenza sovietica e Corea del Sud sotto l’influenza occidentale; e la crisi missilistica di Cuba, forse uno dei momenti in cui maggiormente si è rischiato l’esplosione di una nuova guerra mondiale e probabilmente anche nucleare.
Le invasioni di Vietnam e Afghanistan rispettivamente da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica vedono le Superpotenze intervenire militarmente in prima persona, in entrambi i casi per sostenere o contrastare la nascita di governi non graditi. L’invasione americana del Vietnam dura 20 anni dal 1955 al 1975, è considerata la più grande sconfitta militare subita dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. L’invasione sovietica dell’Afghanistan dura invece 10 anni, dal 1979 al 1989, e anche in questo caso stiamo parlando di una tragica sconfitta per le forze occupanti, viene decisa e messa in atto dal Segretario Generale Leonid Bréžnev, ed è stata definita da alcuni storici come il “Vietnam sovietico” ed ebbe anche gravi ripercussioni sulla già fragile economia dell’URSS.
La NATO durante questo lungo periodo di tempo e fino alla dissoluzione dell’URSS nel 1991 non è mai chiamata ad intervenire militarmente, sono invece le superpotenze “in prima persona” a muoversi con il proprio esercito quando necessario oppure ad organizzare un sostegno indiretto tramite l’invio di finanziamenti economici e armi.
Riguardo il Patto di Varsavia la situazione è leggermente diversa perché l’URSS esercita su di esso una politica di potenza che non esclude anche l’intervento militare quando ritenuto necessario. Casi concreti di tale approccio sono gli interventi militari sovietici in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968 entrambi con lo scopo di reprimere insurrezioni e tentativi di liberalizzazione.
Nel novembre del 1968, pochi mesi dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, il Segretario Generale dell’URSS Bréžnev in occasione di un discorso pubblico espone e teorizza la cosiddetta Dottrina Bréžnev[3] secondo cui se uno Stato del blocco orientale avesse intrapreso un processo di sviluppo verso il libero mercato questo sarebbe stato un problema dell’intera Alleanza e perciò sarebbe stato lecito e necessario l’intervento militare da parte di Mosca per arginare il tentativo di liberalizzazione. Tale dottrina funge da giustificazione teorica all’intervento militare in Cecoslavacchia, paese aderente al Patto di Varsavia.
L’invasione dell’Ungheria, sebbene portata avanti da Chruščëv [4] oltre dieci anni prima, segue perfettamente sia la linea politica dettata in seguito da Bréžnev, sia in generale la politica di potenza esercitata dall’Unione Sovietica sui paesi alleati.
La dissoluzione dell’URSS
La dissoluzione dell’URSS si compie nei giorni successivi al 25 Dicembre 1991 data in cui l’allora Presidente dell’Unione e Segretario del PCUS Gorbačëv annuncia in mondovisione le proprie dimissioni. La bandiera rossa sul Cremlino viene ammainata e contestualmente nascono 15 nuovi Stati sovrani fra cui la Russia che è sicuramente il più economicamente e militarmente potente, oltre ad essere quello che eredita dall’Unione Sovietica sia l’armamentario nucleare sia il seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La politica internazionale dei paesi occidentali e dell’Alleanza Atlantica negli anni successivi al 1991 subisce un inevitabile e radicale cambiamento di rotta. Soprattutto per quanto riguarda la politica economica si cerca di includere la nuova Federazione Russa nel sistema internazionale, esempi di questa nuova politica sono la sua inclusione nel G7 e nel Consiglio d’Europa. Si tratta tuttavia di una integrazione senza parità poiché la Russia è uno Stato appena nato, si trova in grande crisi economica ed è concentrata nel risolvere le sue grandi questioni interne legate al repentino passaggio da una società di stampo socialista ad una caratterizzata dal mercato aperto.
Per quanto riguarda la politica estera dei paesi occidentali nel 1991 viene meno il principale avversario e pericolo per l’Occidente ovvero l’URSS e ciò comporta che la stessa esistenza dell’Alleanza Atlantica perde di importanza e di senso pratico. Gli Stati Uniti, e in generale gli alleati occidentali, aggiungono perciò al primario obbiettivo difensivo dell’Alleanza nuovi obbiettivi come la cooperazione internazionale e mantenimento della pace.
Si tratta di operazioni in risposta a crisi internazionali, effettuate anche con poco preavviso, distanti dal punto
di partenza anche al di fuori del territorio degli alleati ovvero fra i paesi che prima della caduta del Muro di Berlino appartenevano al Patto di Varsavia. Per portare a termine tali nuovi scopi non è più sufficiente il solo “effetto deterrente” e anzi come vedremo non ci si ferma neanche davanti all’uso della forza militare.
Tale cambio di prospettiva nella politica della NATO è descritto nel “Concetto strategico”[5] ovvero un documento che stabilisce e descrive le linee guida politiche e operative, tale documento non è prodotto a scadenze regolari, ma solo quando i paesi membri ritengono necessario rinnovare la strategia dell’Organizzazione (gli ultimi sono datati 1991,1999, 2010, 2022). Nel documento del 1999 si introduce la funzione di “prevenzione e gestione delle crisi” fuori dal territorio degli stati membri per prevenire la guerra affrontando la crisi ad uno stadio iniziale.
Il primo intervento militare della NATO è l’Operazione Deliberate Force in Bosnia-Erzegovina che ha
inizio il 30 Agosto 1995 durante il conflitto esploso nella Ex-Jugoslavia. L’Unione Sovietica a quella data si è dissolta da ormai quasi 4 anni e la Russia accetta suo malgrado il nuovo ruolo che, Stati Uniti in primis, vogliono ritagliare per la NATO. Quattro anni dopo la NATO, senza ricevere l’assenso dell’ONU, bombarda la Serbia di Milošević e pone fine alla guerra esplosa nel Kosovo, anche in questo caso la Russia pone solo minima resistenza sebbene si stia parlando della Serbia storica alleata del Cremlino.
Fino a quando il pericolo dell’URSS era reale la NATO ha svolto il suo compito “deterrente” senza bisogno di veri interventi militari, quando il “pericolo rosso” si è dissolto gli Stati Uniti, e l’Europa al seguito, hanno cercato nella risoluzione militare dei conflitti internazionali una nuova finalità e motivazione per l’esistenza dell’Alleanza Atlantica.
L’espansione verso Est della NATO
Il tema dell’allargamento ad est dell’Alleanza Atlantica è purtroppo tornato prepotentemente di attualità dopo l’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente richiesta di aderire alla NATO da parte di paesi storicamente neutrali come la Svezia e la Finlandia. L’espansione NATO è un processo iniziato nel corso degli anni ’90 e proseguito con ancora maggiore intensità nel primo decennio del 2000. Prima della formale richiesta di Svezia e Finlandia l’ultimo paese ad entrare era stata l’Albania nel 2009.
Il processo di adesione di un paese alla NATO è regolamentato dall’Articolo 10 del Trattato e avviene in forma volontaria. Quando uno Stato fa formale richiesta di entrare nell’Alleanza sono i paesi membri a valutare se accettare o meno la domanda, tale decisione è presa in base a degli standard economici, politici e sociali che ogni paese membro deve aver raggiunto. L’adesione di un nuovo paese deve essere poi votata all’unanimità.
Il processo di adesione si suddivide in tre fasi principali: la prima fase è composta da discussioni e negoziati preliminari, il cosiddetto “Intensified Dialogue”; la seconda fase si apre per i paesi formalmente candidati ad entrare nell’Alleanza e prevede l’applicazione delle riforme richieste per farne parte; la terza e ultima fase prevede il concreto ingresso nella NATO del paese candidato. Pur essendo l’adesione all’Alleanza di un nuovo stato in forma volontaria la NATO ha portato avanti nel corso degli anni politiche mirate a convincere ed attrarre nuovi stati all’interno dell’Alleanza o comunque sotto il suo raggio d’influenza. Gli stessi interventi militari nell’est europeo e nei Balcani durante gli anni ’90 hanno avuto come scopo anche quello di “occidentalizzare” i nuovi stati che andavano nascendo. Il Kosovo, ad esempio, è ancora oggi, almeno nelle sue istituzioni, un paese estremamente filo atlantico e filo statunitense.
L’Articolo 5 del Trattato Atlantico
Un fattore importante nel processo di espansione della NATO è l’Articolo 5 del Trattato Atlantico il quale sancisce che ogni attacco militare ad uno degli stati membri debba essere considerato come una aggressione all’intera Alleanza e perciò ogni membro deve dare il suo contributo per aiutare lo Stato aggredito. Tale articolo ha avuto un ruolo centrale nella politica di espansione della NATO: molti paesi dell’est europeo, dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica, hanno poi fatto richiesta di aderire alla NATO per avere “protezione” nel caso in cui la Russia avesse cercato di riannetterli con l’uso della forza.
Si tratta di una paura non del tutto infondata se analizzata da un punto di vista storico: l’Unione Sovietica, come già scritto, durante la sua storia ha più volte invaso paesi del blocco orientale per contrastare governi non graditi oppure per sostenere governi di stampo socialista. Le operazioni di prevenzione e gestione delle crisi contenute nel “Concetto Strategico” del 1999 sono denominate “Operazioni non Articolo 5” proprio perché superano e spostano gli obbiettivi difensivi stabiliti nel Trattato del 1949.
La promessa non mantenuta
Nel febbraio del 1990, il Segretario di Stato americano James Baker nel corso della Conferenza di Ottawa “Open Skies” riguardo l’appena avvenuta unificazione della Germania rassicura Gorbačëv affermando: “Se una Germania unita rimarrà nella NATO, dovremmo occuparci della non espansione della sua giurisdizione ad est”. Gli ultimi documenti desecretati sembrano confermare l’ipotesi che si sia trattata di una rassicurazione fatta solo in forma orale e mai messa su carta, tuttavia ciò non ne diminuisce l’importanza soprattutto analizzandola adesso che conosciamo la politica estera americana degli anni ’90.
Nel valutare tale affermazione si deve però tener conto che quando questa è stata pronunciata l’Unione Sovietica e il blocco orientale erano ancora esistenti e perciò in quel dato momento l’allargamento verso est della NATO rimaneva un’ipotesi abbastanza vaga su cui lo stesso Baker probabilmente non avrebbe scommesso. É interessante notare come all’interno del Governo americano fossero presenti figure importanti contrarie a tale approccio alla politica internazionale e in tal senso l’elezione a Presidente di Bill Clinton nel 1992 è stata cruciale. Il predecessore repubblicano G. H. W. Bush , all’interno del cui governo Baker era Segretario di Stato, ha portato avanti una politica estera molto meno espansiva rispetto al suo successore.
Altra figura fondamentale nel cambio di approccio politico statunitense è quella di Madeleine Albright che diviene Segretario di Stato nel 1997 sotto la Presidenza Clinton. La Segretario di Stato nel 1999 convinse lo stesso Presidente e le alte gerarchie militari del Pentagono riguardo l’opportunità di un intervento militare della NATO in Kosovo allo scopo di garantire la stabilità e la sicurezza dell’intera area geopolitica. La stessa a proposito dell’Alleanza Atlantica commentava: “Abbiamo a che fare con una nuova NATO, e la nuova NATO esiste per confrontarsi con i problemi d’instabilità che consideriamo più impellenti nel momento in cui entriamo nel XXI secolo” [6].
Le operazioni promosse dalla Albright appartengono alla tipologia inserita all’interno del “Concetto strategico” redatto lo stesso anno. Gli ultimi documenti redatti e resi pubblici coincidono temporalmente con l’avvio di operazioni militari da parte della NATO. Durante gli anni Novanta l’amministrazione Clinton segna il passaggio dalla funzione di difesa dei paesi membri, ruolo che la NATO ha svolto affidandosi esclusivamente all’effetto deterrente, ad una nuova funzione di gestione e risoluzione di crisi internazionali da svolgere anche attraverso vere e proprie operazioni militari.
La situazione attuale
Oggi è evidente come i rapporti tra la Russia e l’Occidente vivano un momento di grave crisi. È anche evidente come il tentativo dei paesi occidentali di includere la Russia nel sistema internazionale occidentale abbia ad oggi totalmente fallito. Non è facile dire se anche la fase, iniziata nel 1991 e caratterizzata dall’unipolarismo americano sia terminata o stia solo vivendo un periodo di crisi transitoria, certamente l’invasione russa dell’Ucraina e il successivo intervento indiretto della NATO riportano alla mente avvenimenti e strategie politico militari caratteristici della Guerra Fredda.
La Russia durante il primo decennio del 2000 ha nettamente migliorato la sua situazione economico-finanziaria tornando a percepirsi come una Superpotenza; le divergenze geopolitiche con l’Occidente, che negli anni ’90 erano sotterrate dai problemi economici, sono tornate ad essere centrali nella politica di Mosca e di Putin che governa il paese, quasi ininterrottamente, dall’inizio del millennio.
Esempi di tali divergenze sono le crisi in Libia e Siria esplose tra il 2011 e il 2012 e su cui la Russia ha preso posizioni totalmente opposte rispetto all’Occidente. Anche l’attuale crisi ucraina ha origine negli stessi anni quando il Presidente eletto Viktor Janukovyč, politicamente vicino a Mosca, non firma gli accordi di associazione con l’UE[7] scatenando nel paese, soprattutto nella zona intorno a Kiev, le manifestazioni e gli scontri con le Forze dell’Ordine che hanno preso il nome di “Euromaidan”.
Con il drammatico salire della tensione il Presidente Janukovyč è costretto a lasciare il paese e la risposta della Russia non si fa attendere. Putin non riconosce il nuovo governo provvisorio e nel marzo del 2014 occupa militarmente[8] la Crimea. Dopo l’annunciata indipendenza nella regione viene indetto un criticato[9] referendum sull’autodeterminazione della penisola. L’adesione formale alla Russia viene approvata dal 95,32% dei voti e viene proclamata il 18 Marzo dello stesso anno.
L’invasione russa dell’Ucraina è quindi un tragico ulteriore passaggio di una complessa crisi geopolitica che si trascina da anni e che rappresenta solo uno dei fattori che hanno contribuito a deteriorare ulteriormente il rapporto tra la NATO e la Russia.
Guardando al futuro dalla prospettiva odierna sembra sempre più centrale e fondamentale il ruolo della Cina, la quale fino ad adesso ha tenuto una posizione neutrale: ha accettato e condiviso le motivazioni russe dell’invasione, ovvero difendersi dall’allargamento della NATO ad est e più in generale dalle mire imperialistiche americane; in sede ONU si è astenuta in quasi tutte le votazioni riguardanti il conflitto ucraino, tuttavia ha rispettato le sanzioni economiche occidentali, pur criticandole a parole, e nella pratica non ha mai sostenuto Mosca.
Certamente la Cina ha la necessità di tenere aperti i canali diplomatici e commerciali con l’Europa e soprattutto con gli Stati Uniti, destinatario della maggior parte dell’export cinese. Con la Russia condivide l’avversione verso l’“unipolarismo” americano e con il Cremlino ha siglato una “partnership strategica” all’inizio del 2022. Questo patto presentato il 4 Febbraio di quest’anno sembra però essere maggiormente centrato sulle questioni ideologiche che su quelle economiche dove i due paesi viaggiano ognuno sulla propria strada e dove non sempre gli interessi possono coincidere.
[1]Sito ufficiale NATO https://www.nato.int/natowelcome/index_it.html#:~:text=La%20NATO%20%C3%A8%20un’alleanza,multinazional%20di%20gestione%20delle%20crisi. [2] I paesi facenti parte del patto di Varsavia: Polonia, Germania Est, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria e Albania. [3]La Dottrina Bréžnev che prende il nome dal Segretario che l’ha ideata, ha origine da un discorso tenuto dallo stesso Segretario durante un Assemblea del Partito Comunista Polacco nel novembre del 1968. [4] Nikita Sergeevič Chruščëv, Primo Segretario del Partito Comunista Sovietico alla morte di Stalin nel 1953, diventa Presidente dell’URSS nel 1956 e resta in carica fino al 1964. [5]Nella sua storia la NATO ha approvato 8 Concetti Strategici, solo gli ultimi 4 sono stati resi pubblici, l’ultimo approvato nel 2022 è ovviamente incentrato sul conflitto in Ucraina. https://ilbolive.unipd.it/it/news/nuovo concetto-strategico-nato-fine-controllo [6]Cit Madeleine Albright in “Le guerre jugoslave 1991-1999” J. Pirjevec [7]Gli accordi di associazione con l’UE prevedono il rafforzamento del dialogo politico e della cooperazione, rafforzamento delle relazioni economiche e commerciali per una graduale integrazione dell’Ucraina nell’UE [8]Le truppe russe inviate in Crimea sono senza insegne del paese d’origine e vengono denominate “omini verdi” [9] Il referendum indetto in Crimea nel marzo del 2014 è criticato e non riconosciuto come valido da gran parte della Comunità Internazionale
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- “La NATO”, M. Clementi, Il Mulino, 2002
- “La lunga alleanza. La NATO tra consolidamento, supremazia e crisi”, A. Colombo, Edizioni FrancoAngeli, 2001.
- “La NATO in Jugoslavia: dalla guerra al colpo di Stato”, R. Giusti A. Höbel, La Città del Sole, 2006.