CONTENUTO
“Polibio. Il politico e lo storico” di John Thornton (Carocci editore) ha un’articolazione tripartita: la vita, l’opera e la fortuna. Il fine del libro è ribadire la necessità di partire dalla biografia di Polibio per tentare di cogliere i messaggi che intendeva trasmettere attraverso l’opera.
Le Storie di Polibio, nonostante ce ne sia pervenuto solo un terzo, illuminano l’età della conquista romana, dalla prima guerra punica sino alla distruzione di Cartagine e di Corinto nel 146 a.C., con la chiarezza che deriva dalla testimonianza di un osservatore contemporaneo (almeno per l’ultima parte del periodo narrato) e competente: Polibio considerava la sua esperienza politica e militare un essenziale, irrinunciabile prerequisito dell’attività storiografica.
Così, attraverso le Storie di Polibio ci si può fare anche un’idea della storiografia ellenistica, che è andata in gran parte perduta. Certo, Polibio ha i suoi pregiudizi, e ci presenta autori come Timeo o Filarco, dai quali lo separavano un’intensa rivalità letteraria e profondi dissensi politici, attraverso una lente deformante; ma al tempo stesso, ci consente di cogliere qualità, varietà e ricchezza della produzione storiografica di età ellenistica.
Polibio è un testimone imprescindibile dell’età di cui scrisse, e non solo per il tema centrale delle Storie, la conquista romana dell’intero bacino mediterraneo. Ci si deve guardare però dal farsi condizionare dai suoi giudizi e bisogna tentare piuttosto di recuperare attraverso le sue condanne e le sue polemiche anche le ragioni dei suoi avversari.
Il fatto che il suo punto di vista sia pervenuto fino a noi non ne assicura la validità, e soprattutto non ci esime dallo sforzo di ricostituire il quadro completo dei dibattiti politici e storiografici in cui quella di Polibio era solo una voce fra le tante.
Gli obiettivi della sua opera
Polibio lungo tutto il corso dell’opera si interroga in modo quasi ossessivo sul problema politico di quale fosse per una potenza egemone la strategia migliore per mantenere il proprio dominio. La risposta che dà a questa domanda è sempre la stessa: l’unico modo che garantisca di poter mantenere a lungo la propria posizione egemonica è trattare con mitezza e benevolenza i popoli soggetti e i nemici vinti, al fine di guadagnarsene la riconoscenza e sottrarre loro ogni pretesto di rivolta.
L’insistenza di Polibio su questi motivi rappresenta piuttosto il tentativo di trasmettere un messaggio alla classe dirigente romana. Ai suoi lettori, Polibio illustra tanto gli esempi di quanti, per aver trattato con eccessiva durezza i popoli soggetti, finirono per perdere l’egemonia, quanto quelli di quanti invece se ne guadagnarono il favore e la fedeltà per averli colmati di benefici.
Ed è chiaro l’obiettivo che Polibio si propone: indurre i membri della nobilitas ad adottare quei modelli di comportamento che lo storico si sforzava di presentare come i più vantaggiosi per la potenza egemone, ma che risultavano i più convenienti piuttosto per i popoli soggetti. A questo fine è volta anche la rappresentazione di personaggi come Scipione Africano ed Emilio Paolo, di cui Polibio traccia dei ritratti idealizzati, modelli cui ispirarsi più che immagini fedeli della loro politica.
Un intreccio fra storiografia e politica
E’ dalle esperienze di Polibio che scaturisce l’intreccio fra storiografia e politica che è il carattere distintivo delle Storie. Questa è certamente la caratteristica principale delle Storie. L’intreccio fra storiografia e politica in Polibio è presente a vari livelli. Quello più scoperto ed elementare è forse la costante difesa della politica della Lega achea, e al suo interno della linea seguita dal gruppo dirigente guidato da Filopemene e Licorta.
Abbiamo detto della centralità nel suo progetto storiografico del tentativo di indirizzare la politica del senato verso la mitezza nei confronti dei popoli soggetti attraverso il ricorso a una strategia retorica collaudata da secoli nell’ambito delle trattative diplomatiche con le potenze egemoni.
Non meno significativa è anche, sul piano della politica interna alle comunità greche, la denigrazione costante dei sistemi politici democratici cha ancora si facevano portatori di istanze volte alla difesa degli interessi dei piccoli proprietari indebitati. Ogni volta che Polibio si imbatte in un regime che promuoveva gli interessi degli áporoi, i cittadini più poveri, lo presenta nei termini più negativi, rifiutandogli il titolo di democrazia per proporne letture in chiave tirannica, o quanto meno di corruzione, malattia del corpo civico. Così, l’ostilità di Polibio ha distorto la nostra percezione della vitalità delle istituzioni democratiche in età ellenistica.
Polibio può fornire un contributo decisivo sul tema tanto dibattuto della democrazia nelle città ellenistiche e della sua vitalità. Anche in questo caso però, come per gli aspri giudizi nei confronti dei suoi predecessori, va letto sforzandosi di andare oltre la sua condanna dei regimi democratici più avanzati sul piano della politica sociale. Il ceto dirigente della Lega achea, cui Polibio per nascita apparteneva, aveva dovuto accettare le istituzioni democratiche, ma continuava a guardare con ostilità e sospetto alle forme politiche capaci di difendere concretamente gli interessi economici delle masse, intervenendo sugli assetti proprietari.
Diverse letture suscitate nei secoli
La storia della fortuna di Polibio in età moderna parte dall’uso pratico che se ne fece fin dal Cinquecento, cercando in particolare nel VI libro, dedicato alle istituzioni militari e politiche romane, istruzioni pratiche per il presente. Si tratta di un capitolo importante della storia della cultura europea.
In tempi più vicini a noi, poi, a Polibio spesso si è voluto attribuire il merito di aver colto per primo il significato della missione di Roma nel quadro della storia universale, dipingendolo come il cantore soddisfatto della conquista romana. Questa impropria assimilazione a una filosofia della storia di origine moderna, che Polibio non può in alcun modo aver anticipato, ha condizionato gran parte dell’antichistica italiana del Novecento, ma continua a riaffiorare anche in altri ambienti.
A mettere al riparo da simili rischi, può e deve contribuire un maturo sforzo di restituzione di Polibio al suo contesto politico e culturale, che è a parere dell’autore il compito principale degli studi polibiani in questa fase.
La sfida che si pone all’interprete contemporaneo, è quella di recuperare le posizioni che Polibio condanna, di non lasciarsi condizionare dai suoi pregiudizi. Solo in questo modo si potrà apprezzare la vitalità delle istituzioni democratiche nelle città greche ancora nel II secolo a.C. o, su un altro piano, ricostruire i valori che animarono la disperata rivolta acaica repressa nel 146.
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Polibio. Il politico e lo storico, John Thornton, Carocci editore