CONTENUTO
“La vera storia della Lega lombarda” di Franco Cardini (Oscar Mondadori) ricostruisce in un racconto limpido e veloce gli avvenimenti, i personaggi, lo scenario sociale ed economico che fu sfondo e motore dei fatti che portarono alla battaglia di Legnano del 29 maggio 1176, in cui parte dei comuni italiani dell’epoca sconfissero l’imperatore Federico I detto Barbarossa, grazie a un paziente e minuzioso lavoro di documentazione storica.
Su quello scontro e sugli antefatti scorsero poi negli anni fiumi d’inchiostro, decontestualizzando l’episodio e indirizzandolo verso le forme che la contemporaneità, di volta in volta, prendeva. Nel mezzo ci si è persi quasi del tutto di obiettività e Cardini cerca di rimettere ordine.
Il libro è rapido, leggibile da tutti; la mole decisamente minima è pur tuttavia il suo maggior difetto, approfondendo poco. Comunque, interessante e consigliabile per chi fosse totalmente o quasi digiuno dei fatti del periodo raccontato.
I rapporti tra Milano e Federico I Barbarossa
Il 1° dicembre del 1167 i rappresentanti di sedici città si riunivano per dar vita alla “Societas Lombardie”, ossia la “Lega Lombarda”: erano Milano, Lodi, Cremona, Brescia, Bergamo, Piacenza, Parma, Bologna, Modena, Verona, Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Mantova e Ferrara. Ma nell’Italia centro-settentrionale le alleanze erano mutevoli e avevano una logica solo nella difesa del proprio “particulare”. Il concetto di patria era allora circoscritto entro le mura cittadine.
Milano aveva distrutto Lodi più volte riducendola a umile vassallo. Milano sosteneva Crema per creare difficoltà alla rivale Cremona. I novaresi erano avversari di Milano perché quest’ultima sosteneva i conti di Biandrate, loro nemici; Parma era avversaria di Piacenza per il controllo della “Via Francigena” e si appoggiava a Milano, quindi Milano osteggiava Piacenza. Milano difendeva Tortona in odio all’imperiale Pavia; ma Milano opprimeva anche Como per il controllo dei passi alpini. Genova e Venezia erano troppo distanti per interessarsi di quanto avveniva nella Pianura Padana. Poco più a sud del Po Bologna, città fedele all’imperatore, aveva contrasti con Ancona, città bizantina.
Al tempo della prima discesa del Barbarossa in Italia (1154), quando cinge d’assedio Milano, c’era tutta la Lombardia con lui unita dalla comune avversione per la politica espansionistica dell’antica Milano. Al fianco dell’imperatore c’erano parmensi, cremonesi, pavesi, novaresi, astigiani, vercellesi, comaschi, bergamaschi, vicentini, trevigiani, padovani, veronesi, ferraresi, ravennati, bolognesi, reggiani e contingenti dei centri minori.
Per la cronaca l’assedio durò pochi mesi e i milanesi si presentarono al cospetto dell’imperatore scalzi, miseramente vestiti, imploranti pietà per evitare la distruzione della città.
Otto anni più tardi Milano fu interamente distrutta dal Barbarossa perché aveva osato riprendere le armi contro i propri nemici alleati all’impero. L’assedio questa volta durò sei mesi (agosto 1161 – primi giorni del ’62) e la decisione dell’imperatore fu di radere al suolo la città. Ebbene quando iniziò la demolizione della città (20 marzo 1162) i lodigiani abbatterono Porta Orientale, Porta Romana fu abbattuta dai cremonesi, i novaresi distrussero Porta Vercellina, i comaschi Porta Comacina, Porta Ticinese i pavesi, Porta Nuova fu distrutta dagli abitanti del Seprio e della Martesana.
Le cronache dell’epoca fanno capire la soddisfazione delle città vicine nel distruggere l’odiata Milano, il tutto alla faccia di presunte aspirazioni di unità del “popolo padano” in lotta contro l’odiato straniero.
I motivi del dissidio tra Comuni e Impero
Quali sono i motivi che portano “Federico il Barbarossa” a scendere cinque volte in Italia: la prima nel 1154, l’ultima nel 1174? Il problema è che con l’andare del tempo il Sacro Romano Impero aveva perso il controllo dell’area settentrionale dell’Italia, che faceva parte del suo territorio. Le frequenti lotte tra i feudatari tedeschi, la necessità di armare lunghe e costose guerre, i contrasti con il papato di Roma avevano portato i predecessori del Barbarossa a trascurare il “Regnum Italie”, di cui avevano il titolo di “Rex Italie”.
Federico di Hohenstaufen, dopo aver finalmente pacificato la Germania, era pronto a scendere in Italia a reclamare quelle regalia (“iura ragalia”), ossia tasse e diritti vari, che le città non versavano più da tempo alle casse dell’impero.
Non quindi la libertà fu l’aspirazione di quanti presero le armi contro l’imperatore ma la difesa di un “diritto” ritenuto ormai avente forza di legge: l’autorità dell’impero era riconosciuta ma l’imposizione delle tasse e dei balzelli era considerata un arbitrio.
Anche la parola “Libertas”, così ammantata oggi di fascino, nel Basso Medioevo aveva altri significati più concreti: per i “mercatores” (ricca borghesia) e i “milites” (aristocrazia inurbata) – le due classi fondamentali nei Comuni – simboleggiava il mantenimento delle consuetudini e dei diritti acquisiti, tra i quali la non devoluzione delle tasse all’impero.
Dallo scontro alla riappacificazione
Ora invece alla vigilia del 1176 la situazione era mutata e i rapporti di forza erano a netto vantaggio di Milano e dei suoi fieri o recalcitranti alleati. Pesava molto la lontana scomunica comminata al Barbarossa dal papa Alessandro III, strenuo nemico dell’imperatore, nel 1159. Ma soprattutto faceva paura la politica del Barbarossa che pretendeva e otteneva il rispetto di antichi tributi e di diverse prerogative imperiali.
Per le riottose città del Nord, prima alleate del Barbarossa, era preferibile ridare a Milano il precedente ruolo antitedesco nel tentativo di ridimensionare la politica germanica nel nord Italia. Così avvenne. Prima ci fu il giuramento nel monastero di Pontida del 7 aprile del 1167, probabilmente leggendario. Siamo invece sicuri che tre giorni prima ci fu un accordo tra Milano, Bergamo e Cremona che prevedeva anche la ricostruzione delle mura di Milano e quindi la resurrezione della città. La fondazione della Lega Lombarda il 1° dicembre stesso anno.
Con gli anni la Lega si allargò imponendo a Pavia e Como, città imperiali, di aderirvi: quanta spontaneità ci fosse e quante minacce di distruzione da parte di Milano è facile da percepire. Dal 1167 al 1176, anno della celebre Battaglia, ci furono dieci anni dove la Lega Lombarda minacciò di naufragare a causa dei tanti dissidi derivati delle diverse politiche dei propri membri.
La quinta e ultima discesa di Federico nel 1174 ridette fiato alla Lega e a chi chiedeva con forza un definitivo regolamento dei conti con il Barbarossa. Pavia e Cremona approfittarono subito per rompere con la Lega e passare dalla parte di Federico. Ma anche lui non se la passava bene a causa delle frequenti ribellioni dei feudatari in Germania accanto alle preoccupazioni per la politica dei Normanni nel Sud Italia e del Papa a Roma.
La battaglia di Legnano avvenne quasi per caso con l’imperatore che stava muovendo verso la fedele Pavia per ricevere rinforzi e le forze della Lega accampate nei pressi di Legnano, fra il Ticino e l’Olona, per sbarrargli il passo. Rischiò di morire il Barbarossa travolto al centro dello schieramento tedesco dal coraggioso attacco della cavalleria della Lega. Difficile se non impossibile calcolare il numero dei morti e dei prigionieri, ma dovettero essere numerosi, soprattutto dalla parte del Barbarossa.
Ma seppe subito riprendere in mano la situazione. Incominciò a trattare singolarmente con i Comuni esautorando la Lega, poi fece di Milano il fulcro della sua politica italiana e così la fiera avversaria del Barbarossa divenne dopo il trattato di Costanza (1183) la più ghibellina delle città del nord, tanto che Federico nel 1185 decise che il matrimonio tra il figlio Enrico e Costanza di Altavilla fosse celebrato proprio a Milano.
Il mito della battaglia di Legnano
La Lega Lombarda cadde presto nel dimenticatoio e fu recuperata solo nel primo Ottocento che cercava di scoprire i fatti politici dei secoli precedenti che potevano prestarsi a una lettura di tipo nazionale. Sismondi, Pellico, Cantù, Berchet, Giusti, Mamiani, Hayez, Gioberti, Verdi fino al Carducci fecero di Pontida, della Lega Lombarda e della battaglia di Legnano un mito.
Solo D’Azeglio si rifiutava di stare al gioco: “Noi moderni, con le nostre idee, abbiam fatto tanti eroi d’indipendenza dei congiurati di Pontida, i quali, meglio studiati, si trovano esser stati vassalli (come tutti gli altri) in questione con il loro signore, e che avrebbero dato del matto a chi avesse voluto metter innanzi che Federico non era il loro padrone e signore”.
Quello della Lega lombarda è un mito recente, creato dal Risorgimento romantico. È fantasia Pontida, ma sono fantasie anche Alberto da Giussano con la “Compagnia della Morte” o “Compagnia del Carroccio”, perfino la famosa “Martinella”, ossia la campana sul Carroccio. Questi carri, la cui funzione era sacrale e militare, non ne erano dotati.
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La vera storia della Lega lombarda, Franco Cardini, Oscar Mondadori