CONTENUTO
Il discorso del re, trama
Gli eventi narrati dalla mano registica di Tom Hooper iniziano nel 1925 con il discorso di chiusura dell’Empire Exhibition allo stadio di Wembley; il discorso che il duca di York Albert, interpretato da Colin Firth, recita, o meglio tenta di recitare, sarà un fiasco totale dal momento che a causa della sua balbuzie non riuscirà a portarlo a termine.
Dopo questo fallimentare tentativo avviene un salto temporale di circa nove anni: ci troviamo nel 1934, a palazzo, dove ci viene introdotto il personaggio della moglie, interpretata da Helena Bonham Carter, che risulterà centrale per la cura della balbuzie del marito. Sarà infatti proprio lei che si recherà allo studio di Lionel Logue, interpretato da Geoffrey Rush, un terapista che aiuta i propri pazienti con metodi innovativi e fuori dall’ordinario. Sebbene con qualche dubbio Albert decide di affidarsi a Longue. Superato lo scetticismo iniziale i risultati del lavoro iniziano a farsi vedere.
Durante un ritrovo di famiglia per assistere il padre in punto di morte entra in scena la figura del fratello Edward, futuro re d’Inghilterra, che ai tempi aveva già iniziato la relazione frutto di scandalo con Wallis Simpson. Nel frattempo la terapia di Albert procede e se all’inizio il rapporto tra Logue e il principe era teso con il passare del tempo cresce la confidenza, tanto che Albert inizia a parlare della propria infanzia e delle ingiustizie che ha dovuto subire, momenti in cui Logue riconosce l’origine della sua balbuzie; nel momento in cui Logue manifesta la sua idea di come Albert sarebbe un magnifico re, il principe, prendendolo quasi come un insulto, decide di interrompere il loro rapporto.
Il regno di Edward non dura a lungo, dal momento che decide di abdicare in favore del fratello per poter così sposare Wallis. Albert si ritrova così ad essere re, senza aver ancora risolto definitivamente il suo problema. Ricerca così l’aiuto di Logue. Il momento decisivo arriva, allora, quando Albert, ormai diventato re Giorgio VI, deve tenere il discorso di entrata in guerra dell’Inghilterra contro la Germania di Hitler, e seppur con un momento di esitazione iniziale pronuncia un magnifico discorso riuscendo a trasmettere il sentimento di orgoglio che prova per la propria patria. Il film si chiude con la famiglia reale che si affaccia al balcone di Buckingham Palace ad osservare la folla entusiasta che è accorsa ad applaudirlo.
Cast e attori del film “Il discorso del re”
Il cast del “Il discorso del re” coinvolge tre tra i più apprezzati attori dell’ultimo decennio, che vengono guidati in modo sublime dalla mano di Tom Hooper. Con queste premesse sembra quasi ovvio che il prodotto sia di qualità ma il tocco in più deriva dalla sceneggiatura di David Seidler che riesce a descrivere magistralmente la storia di Giorgio VI e del rapporto che ebbe con Lionel Logue, colui che lo curò dalla balbuzie.
Troviamo un Colin Firth all’apice della sua bravura con un’interpretazione, che gli valse un Oscar come miglior attore protagonista, curata nei minimi particolari, grazie ai quali vengono fatte risaltare le diverse sfumature del carattere di Albert. L’insicurezza nel momento in cui diventa re e la forza d’animo durante il discorso finale sono solo due degli esempi in cui è possibile ammirare la maestria della sua recitazione.
Il co-protagonista di Firth, interpretato da Geoffrey Rush presta il suo volto al terapeuta Lionel Logue. Rush riesce a trasporre su pellicola quella che doveva essere stata l’indole del terapeuta, cioè quella di un confidente, un amico per Albert. Rush riesce a rendere tutto questo attraverso una recitazione pacata e calma, senza scatti o movimenti improvvisi, che trasmette solamente tranquillità. Se vogliamo trovare un opposto nel modo di usare il proprio corpo lo troviamo in re Giorgio V, interpretato da Michael Gambon, che quando si trova a parlare intimamente con il figlio Albert non riesce a trattenere la pazienza e si lascia andare a movimenti secchi e improvvisi.
Nota di merito anche per la controparte femminile, portata in scena da Helena Bonham Carter, che interpreta la moglie di Albert e futura regina d’Inghilterra. La Carter, anche se con poche ma indispensabili scene, fa trapelare tutto l’affetto, la dedizione e il supporto di una moglie devota che si schiera in prima linea a fianco del marito nei momenti più cruciali, supportandolo in ogni sua decisione.
Dal punto di vista della sceneggiatura è importante sottolineare la rappresentazione del vizio del fumo di cui era succube Giorgio VI, vizio che sarà anche la causa della sua morte. Questo vizio nasce come una sorta di “terapia” per la sua balbuzie, “terapia” consigliata da molti medici per distendere e rilassare i nervi ma con scarsi risultati.
La maggior parte degli esercizi che vediamo nel film e il rapporto tra Logue e il futuro re sono stati tratti dalla testimonianza e dai diari di uno dei figli di Logue stesso.
La storia vera de “Il discorso del re”: analogie e differenze tra film e storia
Le differenze tra la pellicola cinematografica e la storia reale sono davvero minime e non totalmente rilevanti. Possiamo affermare con certezza che tutti gli eventi che vengono narrati sono accaduti realmente, un esempio può essere fornito dagli esercizi che lo stesso Logue proponeva e che sono stati ritrovati nei vari diari che tenne durante tutta la fase della terapia con Albert. L’unico di cui non si hanno notizie certe della sua reale avvenuta è quello della futura Regina Madre seduta sullo stomaco di Albert, dal momento che la casa reale è sempre stata restia a diffondere informazioni private. Nell’ipotesi che questo non sia realmente accaduto, bisogna pensare che sia stato inserito con l’unico scopo di mettere in luce e sottolineare il forte rapporto che intercorreva tra Elizabeth ed Albert.
Un’altra differenza, anche se in questo caso è forse meglio parlare di licenza poetica, riguarda la durata della terapia condotta da Giorgio VI, che se nella pellicola viene rappresentata come qualcosa con una durata di pochi anni (a cavallo tra il 1936 e il 1939), nella realtà durò circa tredici anni (iniziando nel 1926) e portò il futuro re a guarire quasi completamente dal suo problema di balbuzie. Altra licenza poetica, che è stata attuata per motivi di lunghezza, è la misura del discorso di entrata in guerra pronunciato da Giorgio VI alla fine del film: esso rappresenta circa 2/3 del discorso che venne realmente pronunciato dal re alla radio.
Se proprio dobbiamo trovare un motivo di incongruenza, lo possiamo notare nell’aver totalmente messo da parte gli anni del governo di N.Chamberlain (primo ministro dal 1937 al 1940). Tale governo fu fautore degli accordi di Monaco che vennero caldamente apprezzati da Giorgio VI, ma nel film non ne viene fatta parola, eclissando così tre anni controversi della storia britannica.
Un altro punto di allontanamento dalla realtà, o meglio che non viene sottolineato nella pellicola (C.Hitchens, giornalista e critico britannico, ne parla in un articolo su Slate), sono le simpatie filo-naziste di Edoardo e di Wallis e la rappresentazione della figura di Winston Churchill. Nella pellicola la figura di Churchill viene ridotta ad una sorta di macchietta complottista che non nutre grandi simpatie per Edoardo, mentre nella realtà sembra che provasse una profonda simpatia e fedeltà per Edoardo tanto da essere stato proprio lui a suggerire all’allora primo ministro Baldwin e allo stesso re di rimandare le nozze con Wallis Simpson, sperando che l’amore di quest’ultimo fosse soltanto passeggero.
Nonostante queste incongruenze storiche, possiamo dire che il film tratta principalmente della relazione tra Giorgio VI e Logue, del loro rapporto che si evolve fino a diventare una sincera amicizia. Mi sembra quindi normale che certi eventi passino in secondo piano soprattutto se non sono centrali per lo sviluppo della storia.
Il discorso del re: recensione e voto di Fatti per la Storia
Il discorso del re è un film che esalta il rapporto di amicizia tra due uomini di diversa estrazione sociale ed esamina l’importanza della fiducia in sé stessi per superare gli ostacoli che la vita ci pone davanti. Fin dalla prima inquadratura il personaggio di Albert ci viene presentato come una persona insicura, lo vediamo o meglio per prima cosa vediamo le sue labbra che tentano di ripetere il discorso che dovrà pronunciare da lì a poco, in contrasto con la figura del presentatore radiofonico che invece esegue una sorta di rito per preparare la propria voce per l’annuncio.
L’immagine successiva che ci viene fornita di Albert è una relazione di rilievo con quello che sarà per tutto il film il suo più acerrimo antagonista: il microfono. Albert è chiaramente spaventato dal parlare in pubblico, e questi sono solo alcuni dei gesti che ce lo fanno capire; quello che ancora non sappiamo è il perché sia terrorizzato, lo capiamo nel giro di pochissimo: lui è il duca di York, e il discorso che sta per proferire è un suo compito in quanto membro della famiglia reale e in più, non appena inizia a parlare, ci accorgiamo che questo suo terrore di parlare al pubblico è probabilmente dato dal fatto che è balbuziente.
È dopo questo fallimento che entra nella vita del futuro re, grazie alla moglie, Lionel Logue un terapista dai metodi decisamente poco convenzionali che sin da subito cerca di instaurare un rapporto di parità con il suo assistito chiamandolo ad esempio Bertie, nome usato solamente dai famigliari, rapporto che all’inizio sembra quasi unilaterale.
Ed è proprio durante la prima seduta che ci viene rilevato il carattere e soprattutto i timori e le angosce di Albert, che viene ripreso dapprima, mentre è seduto sul divano, come se fosse in un angolo, isolato, con le spalle al muro, probabilmente ad indicare il suo stato di inadeguatezza verso quello che dovrebbe essere il suo ruolo nella società; altro particolare interessante il muro alle sue spalle presenta delle crepe, che rivelano le crepe metaforiche che Albert cela nel suo animo, le sue ferite più profonde che verranno alla luce solo in seguito durante una chiacchierata con Logue.
Un particolare veramente interessante che ci viene presentato della figura di Logue è che è un grande stimatore di William Shakespeare, infatti non appena dopo aver chiesto ad Albert se parlando con sé stesso balbettasse, gli chiede di leggere da un libro. Il pezzo da leggere in questione è il famoso monologo di Amleto tratto dall’opera omonima.
Altra relazione nella vita di Albert che è interessante analizzare è quella con la moglie e la sfera privata. Si nota come Elizabeth vesta sempre con colori tenui e confortevoli, mai accesi, proprio per indicare il suo totale appoggio al marito e la sua totale comprensione. Allo stesso modo le due figlie, Elizabeth e Margaret, vestono anche loro con dei colori tenui che spaziano dall’azzurro al rosa chiaro proprio a sottolineare la totale, probabilmente inconsapevole, fiducia nel padre che per loro è appunto solamente questo e non un personaggio pubblico.
Il momento decisivo arriva per Albert nel momento dell’incoronazione dove, sempre guidato da Logue, lo troviamo in un primo momento come se fosse quasi schiacciato dall’immensità della cattedrale, momento che trova il suo massimo nella discussione con l’Arcivescovo e nel momento in cui si viene a scoprire che Logue non possiede nessun titolo. Ma è appunto solo un momento, che culmina nel preciso istante in cui il futuro re, lasciando uscire quello che probabilmente è il suo pensiero più intimo, si rende conto che anche lui ha una voce. In questo preciso istante il personaggio di Albert riacquista la padronanza dell’inquadratura.
Un momento di scoraggiamento l’aveva già avuto durante la scena della presentazione ai membri del parlamento in cui i membri stessi vengono ripresi dal basso verso l’alto, come ad indicare una sorta di superiorità e senso di oppressione nei confronti del nuovo re, incertezza che dura, anche in questo caso, solamente un attimo, dal momento che nell’inquadratura successiva vediamo i membri del parlamento sfocati e l’occhio ci cade sui ritratti dei reali precedenti, come a volere significare che Giorgio VI è uno di loro e per questo non deve avere timore.
In conclusione possiamo dire che la pellicola nel complesso sia molto positiva, riuscendo senza arroganza a presentare dei temi forti quali l’amicizia e la fiducia in sé stessi, a farci capire che anche un personaggio di tale portata può avere problemi comuni e che l’unico modo per affrontarli sia quello di farsi aiutare dagli amici e dai famigliari, arrivando a maturare una nuova consapevolezza di sé stessi. Consapevolezza che porta Albert ad essere un re amato e soprattutto stimato dal proprio popolo, che, come vediamo alla fine del discorso radiofonico, lo accoglie trionfante fuori dai cancelli di Buckingham Palace.
Il trailer del film “Il discorso del re”
I libri consigliati da Fatti per la Storia
- Mark Logue-Peter Conradi, Il discorso del re. Come un uomo salvò la monarchia britannica, Tecniche nuove, 2011.