CONTENUTO
Nell’ultimo decennio dell’800 si osserva un aumento della crisi dei mercati interni che favorisce tumulti di piazza nelle due nazioni neolatine. Lo sfociare di reazioni antisemite e nazionaliste, spesso legate alla ripresa dell’antico regime monarchico genera nuovi rancori che permangono nella società piccolo borghese e proletaria fra i due Paesi. All’inizio del ‘900 si assiste però ad una ripresa della produzione che riapre il decollo dell’economia libero scambista, si contiene e si minimizza la conflittualità fra la classe operaia nativa e quella immigrata.
La corrente ideologica del Panlatinismo e le nuove scuole letterarie premono per il riavvicinamento. L’Italia di Giovanni Giolitti e la Francia radicale di Clemenceau rilanciano a dialogare. Ma l’ombra dell’Action Française e lo spettro anarchico e socialista spingeranno a nuove divisioni che porteranno alla freddezza iniziale reciproca nei primi mesi della Grande Guerra.
La crisi economica di fine secolo. La reazione nazionalista ed antisemita dell’Ancien Régime
Fervono le volontà reciproche di riapertura fra le sorelle latine. Vengono rimossi alcuni ostacoli, come l’eccesso di reciproci dazi doganali. Benché le rispettive masse cattoliche stentino a fraternizzare; però una certa ripresa di dialogo non manca. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, tuttavia il Patto di Londra assicurerà nel 1915 la presenza dell’Italia nelle file dell’Intesa formalmente a fianco della Francia, capovolgendo l’alleanza coi Paesi dell’Europa Centrale, ma lascerà non pochi strascichi negativi negli esiti del Trattato di Versailles del 1919 fra i due Paesi.
Allo scoccare del nuovo secolo, non pochi storici italiani e francesi considerano il 1898 un anno difficile per la situazione sociale nei rispettivi paesi, circostanza che acuisce le non tanto tranquille relazioni economiche e politiche fra i due Stati, funestati da episodi di reciproca intolleranza. Per esempio il linciaggio di operai emigrati ad Aigues-Mortes avvenuto nel 1893 nell’attuale Regione francese dell’Occitania, ricordato nel nostro precedente intervento del 14.1.2024 su questo blog.
In Italia è divenuto intollerabile l’aumento del costo del pane, conseguenza della politica protezionista del Governo Crispi – 1887/1896 – rivolto a limitare con alti dazi doganali i prodotti francesi agricoli, specialmente legati al frumento ed ai suoi relativi derivati (riso, crusca, ecc. ecc.), nonché i prodotti siderurgici e metallurgici. Operazione che danneggiò l’esportazione e l’importazione di prodotti da e per la Francia.
Guerra doganale che genera una reazione nel mercato del lavoro. Il grano russo ed americano molto economico, resta bloccato a marcire nei depositi di confine francese perché colà sbarcato ma non immesso nel mercato italiano. Perciò gravi disordini esplodono in varie parti d’Italia per il connesso aumento del prezzo del pane. All’inizio di maggio si ha il picco di scioperi e cortei. A Milano scatta la legge marziale e l’ordine ritornerà dopo violenti scontri e centinaia di morti e feriti. Naturalmente il Governo fa arrestare molti esponenti del giovane Partito Socialista.
Il notabile meridionale Di Rudinì viene estromesso ed il 29 giugno assume i pieni poteri il generale Luigi Pelloux, legato alla Corte di Umberto I di Savoia. In Francia, nello stesso anno, Clemenceau, capo dell’opposizione democratica, e Zola, eminente scrittore socialista, premono in Parlamento e sulla stampa per la riapertura del processo Dreyfus, ufficiale dell’Alto comando francese a loro dire condannato ingiustamente per spionaggio a favore della Germania, degradato ed inviato ai lavori forzati in Cayenne, trattato come un traditore con deboli prove, ma creduto tale solo perché di origine ebraica e straniero.
Un episodio montato ad arte dal partito conservatore cattolico e dai militari ex bonapartisti, che non solo aspirano a sottrarre le masse contadine dall’influsso socialista e radicale, ma anche a convogliarli in una guerra di rivincita sulla Germania imperiale vincitrice a Sedan nel 1870. L’episodio italiano di Aigues-Mortes già narrato nel precedente articolo è un evento ora strettamente connesso all’ondata xenofoba predetta. Di più: il Non expedit di Pio IX contro lo stato laico italiano, viene adottato dalla politica conservatrice in contrapposizione all’enciclica sociale Rerum Novarum di Leone XIII, di fatto chiaramente aperta alle istanze sociali delle campagne.
Inoltre i silenzi colpevoli del potere Esecutivo e dello Stato Maggiore sulla vicenda Dreyfus, seguono il flusso reazionario presente in Italia coi moti del 1898 ora citate. Le due sorelle latine, malgrado i contrasti apparenti, sembrano perseguire obiettivi comuni conservatori e fuori dalla domanda culturale di rinnovamento sociale ed economico che la borghesia dirigente ormai pretende. Fra il 1894 ed il 1901- peraltro funestate in Italia dagli attentati anarchici mortali a Re Umberto il 29 luglio 1900 ed al Presidente francese il 25 giugno 1894 – i rispettivi Governi vedono un’incisiva crescita dei Partiti democratici decisi ad un maggiore avvicinamento ed alla risoluzione di questioni sociali e morali fortemente divisivi.
Il presidente Waldeck-Rousseau – forte dell’appoggio radicale e socialista ottenuto nel giugno del 1899 – ed il nostro Saracco – che era riuscito ad ottenere un accordo bipartisan fra Destra e Sinistra storica, con la benevola neutralità del gruppo socialista – raggiungono un accordo doganale paritario al ribasso delle rispettive tariffe doganali, nonché la separazione delle sfere di influenza fra i due paesi nell’Africa del Nord, dove il Marocco passa alla Francia e la Libia – allora chiamata Tripolitania – all’Italia, anche se è probabile una guerra con l’Impero Ottomano titolare di quel territorio sabbioso molto difficilmente coltivabile rispetto alla Tunisia, dove peraltro la convivenza fra le due comunità francesi ed italiani si avvia lentamente a superare le originarie conflittualità, facendosi leva sul comune sentimento capitalista di mero sfruttamento delle risorse locali.
Spicca in merito il patto del 14 dicembre 1900, almeno di non belligeranza, che deriva dal mutamento dell’opinione pubblica medio borghese in senso laico. Waldeck-Rousseau – fiduciario della borghesia industriale della città del centro sud – circoscrive il revanscismo agrario e si permette di varare una legge che regola fiscalmente le imprese connesse alle Congregazioni Religiose (1.7.1901). Saracco e Zanardelli frattanto, digerita la tragica morte di Umberto I ed i grandi scioperi socialisti, favoriscono il ritorno al Governo di Giolitti – dopo il suo allontanamento in occasione dello scandalo della Banca Romana nel 1892 – rovesciando la politica filotedesca di Crispi e sostenendo la Francia centrista, tendendo la mano ai socialisti democratici di Turati.
Clemenceau insieme al giovane socialista Jaurès; e Turati – con Treves e Salvemini, nuova linfa del partito, nonché ad un certo Mussolini, una giovane speranza del Partito – convincono contemporaneamente i Governi a liberalizzare le associazioni operaie, a varare una legislazione sociale a tutela del lavoro femminile e minorile, a consentire la riforma dei salari ed ammettere forme minime di sciopero. La tolleranza di un regime lavoristico più vicino alle esigenze sociali però non limita l’espansionismo coloniale in Africa ed in Asia di tutte le grandi Potenze, perfino della Russia zarista, degli Stati Uniti e del Giappone, come dimostrano la rivolta nazionalista cinese dei Boxer, la guerra angloboera in Sudafrica e la conquista delle Hawaii degl U.S.A, strappate da Theodore Roosevelt alla Spagna decadente di Felipe VI.
Ma il primo decennio del ‘900 però si caratterizza anche per una svolta culturale epocale: impressionismo, espressionismo, verismo, naturalismo e spiritualismo, attraversano le arti e le scienze sociali da New York a Parigi, da Roma a Mosca e perfino nella Turchia ottomana spaccata da idee conservatrici e da nazionalismi che chiedono l’ammodernamento dei costumi. Anche le correnti religiose e politiche tradizionali, liberalismo, socialismo, cattolicesimo, chiedono riforme: parlamentarismo democratico, modernismo religioso, scientismo accentuato, ma anche misticismo e mesmerismo spiritualista imperversano nei salotti borghesi, accanto alle scoperte scientifiche più sorprendenti, come il telefono, il cinema e l’automobile.
Dall’Europa delle Nazioni si è arrivati all’Europa degli Imperi. Dalla Rivoluzione francese alla terza Rivoluzione industriale ed all’economia di produzione capitalista, all’economia marginalista, che guarda ora al consumatore di massa ed all’economia finanziaria. Miriadi di storiografi si sono esercitati nell’individuare le linee di tale sviluppo ed anche non pochi sono coloro che si sono dedicati su tale contesto per definire a monte le ideologie dietrologiche. Qui non c’è lo spazio ed il tempo di ritornare al riguardo, anche perché il secolo ventesimo è stato lacerato da un Primo Conflitto Mondiale altrettanto superato ed assorbito dal Secondo in orrori e lutti indicibili conseguenti, come ormai la storiografia appare concorde.
Certamente, necessita una rilettura di filosofia della storia nel secolo scorso fino all’attuale. Ed il tutto va verificato allo scopo di delimitare i rapporti fra le sorelle latine finora perseguito. Ebbene proprio tutti gli ismi finora accennati – cui si deve anche includere in Italia la ideologia del futurismo – discendono da un pensiero filosofico frutto della reazione al positivismo scientifico, laico e materialista, altamente diffuso nella seconda metà del secolo decimo nono, figlio delle Rivoluzioni nei secoli decimo settimo ed ottavo.
Nei primi anni del ‘900 si assiste ad una metafisica della soggettività da Nietzsche a Freud e ad un’etica personalista – da Eucken a Bergson – nonché dall’estetica individualistica – si pensa a Pirandello e Wilde, fino alla filosofia della forza vitale, spesso legate al Nazionalismo politico ed alle culture che rimarcano le proprie caratteristiche identitarie in opposizione alle teorie di progressiva mondializzazione del pensiero economico libero scambista e libero concorrenziale fondate, sullo scambio e sul dialogo.
Se l’economia classica guarda al fattore produttivo, onde la graduale ascesa dell’economia sociale dove l’imprenditore non può non fare i conti con un mercato che gli forniva i fattori della produzione – terra, lavoro e capitale da accumulare e poi investire, ora gli si pone il problema della distribuzione del prodotto finito. Quindi, l’imprenditore classico cerca materie prime, più lavoratori, più moneta liquida. La finanziarizzazione del Mercato è obbligatoria. L’Imperialismo segue la intensificazione del consumatore per vendere sempre di più. Da qui la logica del consumo di massa.
La politica diventa invasiva,coloniale, guidata dal regime dell’influenza, o meglio del dominio dell’uomo sulla massa, dove il consumatore diventa il nuovo schiavo moderno, perché lo scambio di denaro, di forza lavoro e di materie prime per la produzione avvenga rapidamente, monetizzando ed investendo capitali senza lacci e laccioli etici,collettivi od ideologici. Ma a tale mutamento di prospettive economiche e sociali, resiste la domanda spirituale di radici e di identità. Di qui, il sorgere di filosofie politiche identitarie e fondate sulla lingua, la religione e le più radicate tradizioni popolari; ma anche l’interesse economico nazionale per acquisire mezzi di produzione necessari alla crescita economica, ovvero a smaltire eccessi di produzione non consumabili.
Altrimenti, l’inflazione, o la deflazione, possono interrompere il ciclo economico, soggetto infatti a decolli e cadute in misura della domanda del prodotto. Un regime di stop ad go che necessita di un’ideologia non più soltanto materialista rivolta al progresso sociale scisso dalla ricchezza individuale. Nuove ideologie sembrano attecchire nel pensiero delle classi dirigenti rivolte a garantire la logica del produrre per continuare, cioè produrre in massa attraverso il consumo a catena in mercati sempre più vasti. Vale a dire le ideologie del panslavismo, del pangermanismo, del panlatinismo, ecc. ecc. Pensieri connessi all’unico credo autentico che permea le creature dell’Io in tutte i rami del vivere moderno.
E’ però evidente che le culture interessate di tali orientamenti non possono non venire in conflitto. Dunque questa sembra la radice del Primo Conflitto Mondiale e dei successivi conflitti mondiali fino ad oggi. La generale metafisica del soggettivo regge la filosofia della storia contemporanea, del tutto aliena alla filosofia dell’altro che ha retto il mondo europeo anzi mediterraneo, dopo la caduta dell’Impero Romano classico.
Rinviando ad altra più ampia sede la storia della ideologia panslavista e pangermanica, riemerge con tragica evidenza la prima nell’ultimo decennio dell’800; sopita e strisciante la seconda, anche nell’Europa attuale. Ma è il fenomeno panlatinista qui occorre ricordare, proprio perché lambisce la ricerca che stiamo conducendo, almeno nei primi decenni del secolo scorso. Entriamo dunque brevemente nella questione. Per ragioni di brevità, esamineremo prima le varie tematiche e poi la teoria panlatinista che tenta di mediare le vecchie e nuove polemiche. Il tutto fra il 1900 ed il 1915.
Il decollo economico di Primo ‘900
A leggere uno storico francese dell’epoca, Jean-Pierre Lemonon, nei primi anni del nuovo secolo si assiste ad un notevole progresso riconosciuto al Nostro Paese, sia nella situazione finanziaria, che nel Bilancio dello Stato, nonché nell’agricoltura, nell’industria e nel commercio. Se non è possibile entrare nei singoli settori esaminati dagli studiosi francesi sull’Italia, basta per ora il caso dell’industria della seta, campo di battaglia con la Francia.
Invero, la citata guerra dei dazi ha impedito le esportazioni per la Francia a causa dei costi tributari; cioè 2 Franchi per ogni chilo di filati di seta e poi per 3 Franchi fra il 1882 ed il 1892, quasi una forma di ritorsione per i fatti della Tunisia e poi per il riavvicinamento dell’Italia alla Germania voluta dal Crispi. Di qui, la forte giacenza nell’Italia delle quote di produzione che porterà alla riconversione degli impianti di filatura verso tessuti misti e che guadagnerà con tale artifizio la diminuzione delle imposte all’entrata nel Paese vicino, con la conseguenza del risorgere della domanda francese.
Gli accordi bilaterali del 1902 quasi allo scadere del rinnovo della Triplice alleanza con Austria e Germania, confermati dal Ministero degli Esteri francese Delcassé, riaprono definitivamente i nuovi rapporti in positivo. La decadenza dei dazi sul grano, dopo decenni di perdite insopportabili sulle popolazioni delle campagne, contribuisce alla ripresa della situazione economica e sociale. Il decollo del commercio marittimo, le entrate postali derivate dalle rimesse dei tantissimi emigrati in America ed in Australia; la riforma dei contratti agrari; le leggi urbanistiche che per Napoli ed il sud, nonché l’acquedotto Pugliese che aiuterà non di poco l’economia agraria di quella regione; costituiscono tutte un complesso di eventi che la stampa politica fa derivare dal cambio di politica economica non più protezionista fra i due Paesi.
Banche, industrie e commerci risentono positivamente del nuovo clima di distensione fra i coniugi latini dopo un trentennio di guerra fredda. Nel 1904 Giolitti nei suoi diari cita la visita Roma del Presidente della Repubblica Loubet e nota il coronamento della sua opera di miglioramento nei rapporti con la Francia e all’uopo ricorda il suo interessamento per la partecipazione della flotta francese a Genova in occasione delle feste in Memoria di Colombo nell’estate del 1892, prodromo della robusta presenza italiana all’Expo di Parigi del 1900.
Nondimeno, lo statista piemontese mostra la sua simpatie per la sorella latina proprio nel ricordare i più antichi colloqui di collaborazione tenuti ad Algeciras in merito alla divisione delle rispettive sfere di influenza del Marocco e sulla Libia. Insomma, il nuovo corso della classe dirigente liberale, tra Giolitti, Tittoni (Ministro degli Esteri) e Luzzatti (Ministro dell’economia) ed i radicali francesi, cioè il Loubet ed il Delcassé (Ministro degli Esteri), crea un clima di amicizia che non piace già al von Bulow, Ministro di Guglielmo II imperatore tedesco. Un primo attrito profetico della situazione italo-tedesca del 1914.
Il Panlatinismo ed il riavvicinamento culturale
Nel 1916 – in piena guerra mondiale – lo storico francese Louis Bonnefon Craponne pubblica un libello patriottico che esalta la figura dell’operaio industriale italiano, cioè L’Italie au travail. Come si è premesso, le vicende dell’emigrazione italiana in Francia, dopo i fatti di Aigues-Mortes, subiscono un’inversione di tendenza. Il Bonnefon parte dal dato statistico: cantieristi, tessitori, muratori, marittimi, ma anche imprenditori agricoli, pagano ai lavoratori immigrati una lira per giornata, salario che li rende merce a buon mercato e particolarmente docili e competitivi, ben più contenti dell’occupazione scarsa e peggio retribuita nelle campagne meridionali italiane.
E poi lo stesso storico tesse le lodi di quegli operai: partendo dalla esperienza personale a Torino, sviluppa la loro intelligenza pratica, passando dalle campagne alle fonderie, fino alle nascenti industrie automobilistiche. Officine metallurgiche guidate da capitani d’industria comprensivi delle necessità operaie meno abietti di quelle imprese agricole di provincia, dove il bracciante mantiene un regime semi feudale. Ecco dunque, la necessità di elevare i salari per favorire l’accesso della nuova manodopera. Il quadro è descritto in modo benevolo: l’operaio metalmeccanico italiano, oltreché intelligente, è sobrio, diserta le bettole, non frequenta i bordelli, la sera si corica presto, è tutto casa e famiglia..Dio, Patria e Famiglia, sono i valori cui obbedisce, spesso lontano dagli schemi di Zola.
E’ poi anche interessato alle questioni tecniche e remunerative, nel quadro di una visione comunitaria e non conflittuale col datore di lavoro. Se le trattative si interrompono, il Bonnefon – con spirito di mediatore nei dialoghi fra sindacati ed industriali – rileva la tendenza collaborativa e di comunanza col Patronato. Senz’altro fra gli italiani ha fatto scuola l’ideologia di Don Giovanni Bosco e della sinistra moderata di Turati e Treves, cioè il ricorso all’arma dello sciopero solo come ultima spiaggia.
Certamente, la mitologia dell’alleanza fra lavoro ed impresa, suggellata dalle strette di mano fra Giolitti e Turati nel decennio 1904-1914, ha nella Francia di Jaurès e Clemenceau un forte successo, tanto più che fin dal 1915 italiani e francesi combattono fianco a fianco contro il Kaiser tedesco e l’Imperatore austroungarico. E se in economia va in soffitta il conflitto di classe; in politica emerge un profilo ideologico identitario fra governanti e governati, l’idea cioè della unificazione dei popoli latini, sia in Europa che nelle Americhe. E’ in questo continente che sorge il verbo panlatinismo e la concezione di una parallelismo razziale che impone la solidarietà fra Nazioni di lingua, costumi e religioni neolatine, cioè di una storia unitaria derivata dalle origini romane e mediterranee.
Ma perpetua fenomeni analoghi ben più noti. Il Panslavismo, che maschera l’ossessione zarista di estendere la nazione russa dal Baltico al Mar Nero ed al Mar del Giappone; od il Pangermanesimo che aspira ad una Germania dal Mar del Nord alla Olanda e perfino alla riva destra del Reno, senza contare lo spazio vitale verso la Russia. Permaneva un’idea di espansione in spregio alle condizioni attuali, frutto della formazione degli Stati nazionali in età rinascimentale, ormai internazionalmente riconosciute dal Trattato di Westfalia del 1648.
E’ evidente ora la domanda alternativa di mondializzazione dell’economia che impone sempre nuovi mercati per compensare eccessi di produzione e carenze di consumi di volta in volta, sempre più in linea col colonialismo extraeuropeo ormai causa di conflitti. E’ una realtà appena calmierata dal Trattato di divisione delle influenze nei continenti extraeuropei, intervenuto a Berlino nel 1878 per effetto della politica di equilibrio fra le Nazioni più forti voluta dal Bismarck dopo il conflitto armato con Napoleone III nel 1871. E già il pensatore più noto di un panlatinismo a guida francese, lo scrittore Stendhal, ritiene che il latinismo sia la stella cometa di Napoleone III, che propone l’unità culturale dei popoli latini chiamati a governare ogni popolo loro vicino.
Ma anche qui emerge l’interventismo francese nella politica messicana con la istituzione di un Impero neolatino franco – messicano. E lo stesso potrebbe dirsi per l’alleanza col Piemonte di Cavour cui fa da sponda nella seconda guerra di indipendenza fino a Solferino. Iniziative espansive che durano spazio di un mattino: da una parte la progressiva separazione del nascente stato italiano dopo l’armistizio di Villafranca contestato in Italia della Destra storica; dall’altra la reazione nazionalista messicana di Benito Juarez che porta alla fucilazione del presunto Imperatore del Messico Francese Massimiliano d’Asburgo Lorena (19.6.1867).
In realtà, l’ideologia panlatinista nasce fin dal suo termine definitorio in America latina all’indomani delle sollevazioni contro la Spagna in veste indipendentista fin dal 1812 e poi a seguito di varie guerre di confine negli anni ’50 del’800 per merito di Torres Caceido (1830-1889) e poi in Francia per opera dello storico Michel Chevalier (1806-1879), senza contare il nostro Michele Bertolami (1815-1872) che tradusse le opere di Chevalier. Malgrado la fine dell’impero napoleonico e la nascita della terza repubblica, l’idea non tramonta, anzi appare a fine secolo sull’onda dell’analoga ideologa tedesca, anzi in rischiosa contrapposizione rancorosa e foriera di nuovi conflitti armati.
E’ il momento di un Associazione paramilitare antesignana delle bande fasciste e naziste del primo dopoguerra: vale a dire l’Action Francaise, di ispirazione monarchica e nazionalista, anzi violentemente contraria ad ogni relazione pacifica col vicino tedesco. Guidata poco dopo la fondazione – 1899 – da un discepolo del filosofo Sorel, fautore della violenza come motore della storia, Charles Maurras, nei primi anni del’ 900 auspica il ritorno degli Orleans: è conservatrice, cattolica, populista e sovranista, cioè si richiama al popolo come unica fonte del diritto, nega ogni affratellamento europeo, salvo coi popoli latino che però tende a guardare in modo sovranista.
E’ anche corporativa, come lo è già l’ideologia liberale repubblicana che rinnega ogni conflittualità fra lavoro ed impresa; ma è anche autonomista e pretende per esempio l’autonomia della Corsica e della Savoia. E’ pure antisemita, soprattutto colpevolista nel caso Dreyfus. Infine è antigermanica e pretende i territori dell’Alsazia e della Lorena anche a costo di guerreggiare di nuovo. Infine, il Maurras riapre la questione romana, chiedendo all’Italia di rivedere la questione della Stato vaticano, restituendolo al Papa. Tre illustri francesi ne fanno parte: Georges Bernanos, scrittore cattolico, Marcel Proust, scrittore decadentista, lettore accanito della stampa del movimento; ed il filosofo Jules Lemaître, innovatore del teatro e precursore di Pirandello.
Malgrado l’iniziale diffidenza con la cultura italiana, presto Maurras fa breccia in Pascoli ed in D’Annunzio, mentre il giovane Mussolini è influenzato proprio per la comune adesione al citato pensiero del Sorel. Già fra gli immigrati italiani – ormai integrati nella società francese – fin dal 1911 le simpatie per il movimento revanscista non mancano: l’elemento umano di convivenza fra i giovani figli di italiani e la gioventù conservatrice francese emerge nelle considerazioni di Albert Dauzat (1877-1955) che da linguista neolatino rispolvera lo spirito panlatinista in materia di diritto romano e di grammatica generale, nonché di toponomastica unitaria fra italiano e francese, sviluppando usi e costumi latini fra i due Paesi, consentendo uno spirito di integrazione peculiare in occasione del cinquantenario della guerra di indipendenza del 1859 e spesso Cesare Battisti, esule a Parigi e suo ascoltatore all’università, ne vanta lo spirito irredentista nonché contrario all’annessione della Bosnia Erzegovina da parte dell’Austria, comune idea coi popoli oppressi di lingua latina.
Dauzat scrive nel 1911 Mers et montagnes d’Italie – di cultura classica italiana, citando anche i nuovi intellettuali e le nuove riviste fiorentine, da Papini a Prezzolini. L’ideologia dell’Action Française va a braccetto col nazionalismo italiano e lo spirito imperialista, antisocialista e antipacifista e lega le due anime populiste all’espansione reciproca nel Mediterraneo verso Tripoli e Casablanca. L’Italia di Giolitti e la Francia dell’Action Française. L’Inghilterra vigila certamente perché Malta, Gibilterra e Suez vengano lasciate in pace; la Russia imperiale accetta l’intesa fra la Francia e l’Italia a condizione di avere capitali a basso interesse e personale tecnico specializzato, pur di avere quella ferrovia transiberiana che la proietta fino al Giappone.
Già tra il 1910 ed il 1911 l’occupazione della Libia serve a Giolitti per calmare il fronte interno scosso dall’ondata socialista e cattolica e convogliare l’interesse nazionale verso nuove colonie che possano dare qualche speranza alle masse lavoratrici preoccupate dal risorgere dell’inflazione dopo la fase ciclica favorevole fra il 1903 ed il 1907. La conferenza europea di Algeciras (1906) vede già il formarsi dei due blocchi europei, cioè Francia, Inghilterra e Russia contro Austria Ungheria e Germania. Un precario equilibrio destinato allo scontro finale nel 1914.
Mentre a Parigi nasce un governo ancora disposto a continuare un diverso rapporto con la sorella latina, dove l’ambasciatore a Roma Camille Barrère diventa mediatore con Roma ed il Vaticano di Pio X e fautore un modernismo moderato con il giovane Paul Maritain ormai critico del pensiero cattolico conservatore. A Firenze un altro intellettuale, legato a Maurras, lo storico Julien Luchaire, fonda l’Istituto Francese sull’influenza Galligana in Italia da Cartesio a Voltaire. Il tutto in contrapposizione al tedescofilismo di Croce e Gentile, all’epoca portatori dell’hegelismo idealista.
Insomma, se i socialisti sono spaccati fra i sindacalisti vicini alla figura dominante di Jaures ed ai professori della cattedra germanisti legati a Salvemini; i cattolici popolari di Sturzo invece cominciano a guardare al modernismo francese del moderato Maritain, mentre Mussolini inneggia alla violenza del Sorel e si accosta a D’Annunzio ormai seguace di Maurras. Francofoli e tedescofili combattono una guerra per ora solo ideologica, che però Giolitti e le masse cattoliche liberali e tradizionaliste del Gentiloni e di Sonnino svalutano in senso pacifista e neutralista, sperando che la politica di non intervento in una guerra armata fra ambedue la parti sia la chiave per avere senza colpo ferire Trento e Trieste.
Il Daurat, fin dal 1912, rileva nelle sue lezioni alla Sorbona quale sia l’ampiezza del Nazionalismo italiano, ritrovandone tracce perfino nel Risorgimento ed anche in Mazzini. Del pari Jacques Bainville, storico medievalista (1879 -1936), un altro dirigente dell’Action Française, antiparlamentare e populista, solleva il confronto fra le Nazioni borghesi, sedute sugli allori, vecchie per mentalità, come la Francia e la Gran Bretagna; mentre le nazioni giovani, come l’Italia e la Germania, sul modello nietzschiano amano dominare e saranno comunque le nazioni del futuro.
L’alleanza fra le nazioni latine può essere un freno all’imperialismo tedesco e russo? Le considerazioni intellettuali del Bainville avranno due effetti imprevisti: non solo non possono subito essere recepite dalle masse socialiste e cattoliche; ma anche quando saranno più popolari nel primissimo dopoguerra, tali idee si ritorceranno contro gli stessi proponenti. Per esempio non tace Scipio Sighele: pur aderendo al pensiero razionalista, è anche irredentista, nella sua breve quanto intensa vita di antropologo criminale (1868-1913). Si oppone al legittimismo e al reazionarismo politico dell’Action e segnala che anche l’Italia latina deve richiedere alla sorella Nizza, la Corsica e la Tunisia, anticipando già nel 1910 un Mediterraneo come quello voluto dal Fascismo.
Del resto, la cultura cattolica di destra francese, nella foia di contestare la maggioranza radicalsocialista troppo tollerante dall’Italia di Giolitti, dichiara per bocca di René Pinon – direttore della rivista reazionaria Des deux mondes, a carattere internazionale e revisionista – che la passata cessione di Nizza è un fatto compiuto, ma potrebbe essere restituita all’Italia purché questa riapra il discorso dello Stato Vaticano. Una sorta di scambio connessa alla repressione del Modernismo di Pio X neppure sgradita a Parigi, dove Bernanos si schiera ancora su posizioni cristiano tradizionali.
Quanto all’impresa libica di Giolitti (1911-1912), mai vi è stato un dissidio così pericoloso per le relazioni fra i due Stati latini. L’action Française difende la Turchia contro l’aggressione italiana fin dallo sbarco di Tripoli (29 settembre 1911), mentre gioisce il Pascoli: la Grande Proletaria si è mossa (26 novembre). Anche se Renè Pinon svela come fautore e potere forte dell’iniziativa invasiva sia il Banco di Roma, su volontà comune del Papa e di Giolitti per sedare le turbolenze rosse nelle campagne, oltreché per dividere le cooperative cattoliche ormai sul punto di avviare un’alleanza sindacale con quelle socialiste, di cui la classe agraria avverte un rischio immenso, peraltro auspicato da Don Luigi Sturzo, un prete progressista parroco di Caltagirone e che perfino il socialista Salvemini benedice, prevedendo un Governo coi cattolici alle elezioni del 1913, approfittando della ammissione al voto di tutti i cittadini maschi che hanno compiuto i 30 anni.
Se Giolitti ed il cattolico Gentiloni preparano un accordo politico di governo conservatore; lo stesso avviene in Francia, dove Raymond Poincaré accetta la Presidenza della Repubblica con l’appoggio di circoli militaristi che ottengono il prolungamento della ferma militare da due anni a tre. E sempre il Pinon nel giugno del 1912, tuona contro gli italiani imperialisti del Mediterraneo, avvisando che l’invasione della Libia è una premessa per la domanda di restituzione della Corsica e di Nizza. Un’oscillazione di pace e guerra fra le sorelle latine che anticipò per parte sua la prossima Grande Guerra, dove non era ancora chiaro da che parte militi l’Italia.
Bibliografia:
- In generale una cronaca vivace e dettagliata è fornita da INDRO MONTANELLI, L’Italia dei Notabili, Rizzoli,1973 e L’Italia di Giolitti, Rizzoli, 1974. Più di recente vd. Salvatore Lupo, Il passato del nostro presente, ed. Laterza, pagg. 139 e ss., 2010.
- Sulla storia della reazione nazionalista ed antisemita di Primo Novecento in Francia, cfr. ARNO MAYER, Il potere dell’Ancien Régime fino alla prima guerra mondiale, Roma – Bari, Laterza,1982. Per il decollo economico europeo dei primi anni del ‘900, vd. La Rivoluzione industriale fra l’Europa ed il Mondo, ed. Bruno Mondadori, Milano 2009.
- Sugli episodi conflittuali, vd. A. DE BERNARDI-LUIGI GANAPINI; Storia d’Italia,1860-1995, La politica estera pagg. 18-33; 98 e ss., B. Mondadori, 1996.
- Sul Panlatinismo, vd. gli scritti italiani di ETTORE ROTA, Rapporti di pensiero fra Italia e Francia avanti e dopo la Rivoluzione Francese, in Nuova Rivista Storia, I. 1917, fasc. 1-2. Sull’Action Française, vd. EUGEN WEBER, L’Action Française, Parigi,1964.
- ERNEST LÉMONON, L’Italie économique et sociale (1861-1912), Parigi, 1913.
- LOUIS BONNEFON CRAPONNE, L’Italie au Travail, Parigi, 1916.
- Sul riavvicinamento fra Italia e Francia il 1900 ed il 1913, cfr. la biografia di Giovannni Giolitti di Vittorio Beonio,ed. Il sole 24/ore I protagonisti della Grande Guerra, nr. 17/2014.
- Sulla Panlatinismo mediterraneo di René Pinon, vd. il suo L’empire de la Méditerrané, disponibile su https://archive.org