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I rapporti fra il secondo impero francese e il Nuovo Regno d’Italia (1860-1869), un matrimonio difficile
La presente ricerca prosegue l’esposizione adottando la metafora del rapporto di coppia fra Italia e Francia. Dopo il corteggiamento e il rapporto d’amore fra Cavour e Napoleone III, segue un decennio di matrimonio difficile. Le questioni della nuova famiglia europea: la Romana, col Papa Pio IX terzo incomodo; la Renana, con la Prussia che bussa a denari pretendendo dalla Francia le provincie ricche del Reno; la Sociale, dove i figli di quella famiglia esigono dai genitori assistenza sociale, sicurezza, lavoro e diritti sociali. Questioni che irrompono nelle loro nuove case, minando l’unione originaria e aprendo un dissenso sotterraneo che si rifletterà lungo il ‘900.
1860-1864 – un breve periodo di buon convivenza
Il decennio intercorso fra la fine della Repubblica Romana (1849) e lo scoppio della seconda guerra di Indipendenza (1859) è considerato tradizionalmente una sorta di ufficiale fidanzamento fra il secondo Impero Francese di Napoleone III e il Piemonte di Vittorio Emanuele II, stipulato da un sacerdote d’eccezione, Camillo Benso Conte di Cavour, capo del Governo Piemontese dal 1852 al 1861, salvo brevi periodi in cui il Nostro Conte ha pause di riflessione come quando avviene nelle buone famiglie in caso di dissapori fra i coniugi.
Ora, l’esempio del fidanzamento e dei successivi momenti di separazione fra le due Nazioni Sorelle, costituisce l’oscillazione e l’eterno ritorno alla casa comune, un panorama dialettico dei rapporti fra i due Stati fra la fine della Seconda Guerra d’Indipendenza fino alla Convenzione di Settembre del 1867, Trattato che sembra risolvere definitivamente la più grossa questione, quella Romana, intercorsa in quel periodo. Continuando dunque la metafora delle relazioni prematrimoniali, fra il 1849 e il 1853, va osservata l’ascesa politica di Luigi Napoleone Bonaparte, pronipote di Napoleone il Grande.
Divenuto Presidente della seconda Repubblica francese dopo il 1848 e fino al 1852 e poi Imperatore dei francesi – Napoleone III – dal 1852 al 1870. Il primo quinquennio del politico francese è caratterizzato dalla progressiva mediazione interna fra la classe agraria conservatrice piccolo borghese e la grande borghesia industriale e finanziaria delle città, produttiva di ampie aperture ai mercati esteri e acquisitiva di un forte prodotto interno lordo atto a contenere la domanda di miglioramento delle classi lavoratrici sconfitte dalla reazione conservatrice alla Rivoluzione del 1848.
Il progresso delle relazioni industriali e della crescita complessiva dell’economia si ha del pari nella nazione sorella piemontese, presto guidata dal Conte di Cavour. Nondimeno, l’effetto espansivo tocca anche la sponda destra del Reno, appetita dalla finanza francese e dalla politica prussiana, malgrado l’appartenenza formale di quei territori alle antiche casate nobiliari di lingua tedesca. Un fermento economico che assilla anche la classe dirigente austriaca già scossa dalle Rivoluzioni romantiche del 1848.
Senza contare la questione Romana, considerato che un elemento essenziale che regge l’alleanza politica interna della Francia raggiunta dopo il 1848, è la difesa dallo Stato della Chiesa nell’Italia Centrale, cardine della politica che provoca nel 1849 l’occupazione di Roma repubblicana e il ritorno forzato di Pio IX, divenuto ormai il campione riconosciuto della conservazione antiliberale in Europa. E tuttavia, il Governo di Otto von Bismarck comincia a tessere il processo di unificazione tedesca con a capo la Prussia, avviando alleanze politiche ed economiche fra i tanti piccoli e medi Stati a destra del Reno, scalzando a poco a poco la classe commerciale francese rimasta legata al vicino francese, solleticando lo spirito nazionalista romantico ora refrattario a una visione sempre meno aperta al dialogo.
Inoltre un fenomeno analogo interessa le relazioni commerciali alpine e prealpine sud-occidentali, tanto da coinvolgere la vicina area Lombardo-Veneta, ormai autonoma economicamente dalla sfera di controllo austriaco a seguito di modifiche delle barriere doganali adottate dai Governi locali dell’area padana, evoluzione di innovazione commerciale che crea una progressiva insofferenza del mondo industriale e finanziario austriaco, analogo alle vicende renane di cui si è detto.
La situazione sociale si muove in modo non dissimile: la borghesia lombardo-veneta accampa l’introduzione di diritti civili e politici simili a quelli mantenuti in Piemonte dopo il 1849, alla fine della prima guerra di indipendenza e che la Francia Imperiale ha ribadito nel nuovo regime liberale dopo il 1853. Ma se non fosse per la Guerra di Crimea, la situazione di equilibrio in Europa resterebbe immutata. Con la Pace di Parigi (1856) le pretese della Russia zarista sul Mediterraneo orientale sono contenute, salvo piccoli guadagni territoriali sui Balcani e senza peculiari restrizioni all’Impero Ottomano.
La capacità di espansione della Prussia rimane limitata, ma la speranza di riacquisire maggiori spazi sul Reno verrà soltanto differita. Il piccolo Piemonte, con la sua limita partecipazione alla spedizione anglo-francese nella Crimea a Sebastopoli, fa breccia nella politica antiaustriaca di Napoleone. Il Piemonte di Cavour e lo stesso Napoleone attaccheranno l’Imperial Regio Governo in Lombardia e vinceranno con non pochi sforzi a Solferino e a San Martino (1859).
![Battaglia Solferino e San Martino](https://www.fattiperlastoria.it/wp-content/uploads/2021/05/Battaglia-Solferino-517x336.jpg)
Il 24 giugno del 1859, l’esercito Austro-Ungarico si ritira nel suo punto più difeso nella pianura padana, il quadrilatero con centro a Mantova. Ma i Ministri e i generali dell’Imperatore francese fanno un quadro disastroso delle spese di guerra, mentre il Ministro dell’Interno fa presente che il numero dei morti – 1.622 – ha sollevato nel partito conservatore agrario e cattolico forti critiche, specialmente quando la parte avversaria contava 2.292 morti, figli di contadini cattolici gli uni come gli altri. E poi l’idea di Napoleone III è quella di una sostituzione di influenza, non certo quella di favorire un movimento nazionale italiano.
E già dopo l’entrata in guerra accanto al Piemonte (aprile) e la sconfitta degli austriaci a Palestro (30 maggio) il nodo utilitarista dell’imperatore francese viene al pettine: il comandante della spedizione francese Mac-Mahon, malgrado avesse battuto gli Austriaci sul naviglio alle porte di Milano, non gli nasconde forti perplessità sull’enorme di morti in battaglia, mentre gli Austriaci del Generale Gyulai restano bloccati dall’azione congiunta franco-piemontese, ma si chiudono in sicurezza a Mantova, al centro di un quadrilatero di fortezze quasi insuperabili. Intanto Massa-Carrara, Modena e Parma sono già in rivolta, tanto che vengono cacciati il granduca Leopoldo, il duca Francesco V e il duca Roberto e la Reggente Maria Luisa. Toscana ed Emilia chiedono ormai di appartenere al nuovo Regno d’Italia. E dunque la minaccia allo Stato Pontificio si fa palese.
L’opinione pubblica cattolica francese grida a gran voce di fermare la guerra. Nondimeno, anche la situazione sul Reno si fa calda: la vecchia idea prussiana di raggruppare gli Staterelli centro renani per sferzare l’attacco alle spalle della Francia, diventa un incubo. E poi i socialisti e i radicali di Ledru-Rollin premono per riavere un governo parlamentare e una Repubblica democratica, auspicata da intellettuali del calibro di un Hugo e di un Flaubert. Insomma una morsa politica che obbliga Napoleone il piccolo (come lo definisce Victor Hugo) a trattare la pace a Villafranca (8 Luglio).
L’Austria cede la Lombardia alla Francia e questa la riconsegna al Piemonte, mentre il Veneto rimarrà all’Austria. Vittorio Emanuele II cede e firma la pace. Cavour, apparentemente escluso, si dimette dal Governo e il generale La Marmora lo sostituirà in un breve periodo di sconvolgimento politico che vedrà una serie di plebisciti di varie Regioni Centrali dirette all’annessione al Piemonte, senza contare la straordinaria impresa meridionale della Spedizione dei Mille del 1860 a guida di Giuseppe Garibaldi, conclusa a Napoli il 21-22 ottobre con un altro plebiscito di annessione allo Stato Sabaudo.
Il 17 marzo del 1861 – ancora col Cavour ritornato al Governo e con il patronaggio dello stesso Napoleone III – viene proclamato ufficialmente il Regno d’Italia a conduzione Sabauda. Villafranca resta la tappa di una probabile fine del fidanzamento, non solo perché il Triveneto è incuneato nell’Italia Unita; non solo perché Roma è ancora la capitale di uno Stato pontificio satellite della Francia cattolicissima, quasi una enclave analoga alla Danzica polacca nella Germania dal post guerra mondiale; non solo perché il Trattato di Zurigo del 10 novembre del 1859 che è un accordo formale, visto che il ritorno all’ordine degli Stati centrali filoasburgici è una mera clausola di stile superata dalle elezioni plebiscitarie; soprattutto perché la rinascita del movimento democratico e radicale a guida di Garibaldi – e con il Giuseppe Mazzini nell’ombra – chiede Roma e Venezia, rischio aggravato dalla morte improvvisa di Cavour, l’unico politico che poteva garantire il matrimonio del Regno d’Italia con l’Imperatore e col Papa.
I due diventano quindi i sovrani più conservatori nel panorama europeo rispetto alla unificazione italiana stante l’accentuata laicità del movimento democratico, ormai entrato nel Parlamento italiano. E non è un caso che la Parigi di Napoleone III accolga gli esuli monarchici del Regno delle due Sicilie, Francesco II e Maria Sofia d’Austria. Dalla loro Corte partono infatti non poche congiure per ritornare a regnare a Napoli, ivi compresa la rivolta del sette e mezzo di Palermo (1866) e l’assistenza economica alle bande di briganti nell’Italia peninsulare (1863-1866).
La marcia indietro di Napoleone III nei confronti dell’Italia – altresì aggravata dal forte prestito al Piemonte per la guerra del 1859 concesso a margine del Patto di alleanza di Plombières del 1858 e che sarà ulteriormente incrementato dal secondo prestito per la terza guerra d’Indipendenza del 1866 – è causa della grave crisi economica che mette in pericolo le finanze del Regno subito dopo la Terza Guerra d’indipendenza contro l’Austria per Venezia e per l’intero Veneto, salvo Trento e Trieste, ultimo baluardo austriaco in Italia.
Per ora le pressioni interne francesi di fonte cattolica continueranno con forte acrimonia in difesa dello Stato Pontificio. Il filofrancese Ricasoli succede al Cavour e nei primi mesi del suo mandato accetta l’appoggio della sinistra parlamentare di Crispi e Cairoli e non procede subito a sciogliere il partito radicale garibaldino, la c.d. società per l’Emancipazione dell’Italia.
Con fondi raccolti da questa associazione Garibaldi riparte dalla Sicilia per conquistare Roma. Le diffide pesantissime del Governo francese – ivi compresa la immediata riscossione del debito di guerra, minacciata dalla camarilla di Corte borbonica già segnalata – inducono il Rattazzi che succede al Ricasoli, a fermare la spedizione di volontari della Sicilia già in marcia per Roma al grido di Roma o morte. In Aspromonte si consuma la fine dell’idealismo romantico risorgimentale: Garibaldi, l’eroe di Calatafimi, Palermo e del Volturno, viene ferito dai fucili dell’esercito italiano regolare, è arrestato dalla polizia e peraltro rapidamente amnistiato dal Parlamento sabaudo, dove il nuovo Governo ha cambiato parere improvvisamente non ottemperando alle minacce francesi.
Il 1° dicembre arriva il nuovo Ministero Farini, più docile al diktat napoleonico. Il nuovo governo, con la reazionaria legge Pica, adotterà la fortissima repressione del fenomeno meridionale del brigantaggio, senza alcuna modifica sociale e giuridica della proprietà fondiaria, dove resterà immutata la figura agraria del latifondo, trasferito dalla mera proprietà nobiliare a quella classe borghese che manterrà un regime parlamentare riservato a pochi notabili fedeli alla casa Reale Sabauda e alla loro personale ricchezza immobiliare. Il matrimonio con la Francia rimarrà ancora in piedi, mentre fino al 1863 la legge Pica guida la repressione popolare con la forza di 120.000 uomini per riportare l’ordine nel Sud.
Pietro Germi, con Il brigante di tacca del lupo (film del 1952) e Mario Martone con Noi credevamo (film del 2010), ci daranno un doppio affresco di un’epoca alquanto drammatica, in cui le illusioni democratiche e la speranza di un nuovo stato sociale sfumano in un regime in regime conservatore, di fatto ripetitivo delle realtà pre-risorgimentali. E del pari, Zola con Germinale, romanzo del 1885, ribadirà in Francia la medesima situazione sociale malgrado i radicali democratici lottino senza tregua per i diritti civili e sociali.
1864-1869- le prime Questioni di famiglia: la Romana, Renana, la Sociale
Nel 1864 la freddezza ritorna nei rapporti fra le due nazioni sorelle come le ha chiamate Mazzini nel 1848: il Papa Pio IX pubblica l’enciclica Quanta Cura e il Sillabo (8-11dicembre), dove non solo ribadisce la avversione della Chiesa rispetto alle dottrine liberali e agli Stati laici, ivi compresa l’Italia appena nata; ma anche riafferma la Sua irremovibilità sul tema del potere temporale e quindi nessuna cedevolezza sulla capitale a Roma. Anzi, già a settembre, diventa esecutivo di un Trattato specifico con la Francia, la citata Convenzione di Settembre.
Da una parte la Francia si obbliga entro due anni ad abbandonare Roma e dall’altra il governo italiano si impegna a trasferire la capitale da Torino a Firenze, rinunciando a Roma. E così buona parte il partito cattolico francese si contenta di tali richieste senza velleità risarcitorie, vista la tollerata permanenza di brevi missioni francesi a Roma e dintorni, mentre a Torino l’ala laica e radicale, nonché i monarchici più legati al Regno, provocano fortissimi moti che il governo Rattazzi reprimerà con non pochi morti e feriti.
E’ il Re Vittorio a prendere la gravissima decisione, pur di mantenere la profonda amicizia con la Francia. Anzi, nomina il Generale La Marmora a guidare il nuovo Governo, con il generale Pica Ministro dell’Interno (noto per la legislazione di stato d’assedio militare repressivo del Brigantaggio meridionale) e il Ministro Sella, cui toccherà il Ministero delle Finanze, altrettanto risaputo per la stretta economica e tributaria sui consumi e sulle piccole imprese agricole ridotte a fallimento per coprire i debiti di guerra prima, e poi il debito pubblico connesso alle spese pubbliche per la nuova amministrazione (la c.d. economia fino all’osso), descritta dal Verga nei Malavoglia del 1881 e dal Bacchelli nel Mulino del Po del 1938, quando la realtà fiscale fascista ripete quella del 1868 e del 1869.
In questi anni la famiglia latina attraversa un’ondata di scioperi legati alla costituzione di associazioni dei lavoratori e alle nuove richieste di adeguamento salariale. E’ l’epoca delle agitazioni anarchiche di Bakunin e Cafiero, come è narrata dal Bacchelli ne Il diavolo al Pontelungo. Proprio nel biennio ora in esame (1868-1869) anche la Francia imperiale subisce un’ondata di tumulti operai, dove vari agitatori, guidati da anarchici aderenti alla Prima Internazionale (1864), spingono il Governo imperiale ad introdurre una legislazione moderata sul diritto di associazione sindacale sul modello anglosassone di Owen e delle Trade Unions Inglesi del 1824.
Invero, il Capo del Governo francese, il liberale Adolph Thiers, aderendo alle posizioni conservatrici cattoliche, dapprima limita ogni tentativo operaio associativo. Ma di fronte all’opposizione repubblicana e socialista concede una maggiore libertà di stampa nel maggio del 1868, per poi aprire a ulteriori diritti di libertà di riunione pubblica. Malgrado tali aperture, la situazione delle libertà sindacali e le agitazioni repubblicane, nonché la domanda di nuovi diritti civili cresce a dismisura. Infatti, fra il 1860 e il 1864, di fronte all’accordo parlamentare del centro cattolico e della sinistra moderata, la base operaia legata alla Prima Internazionale proclama scioperi a raffica e provoca un vortice di tumulti che produce la scelta dell’Imperatore di indirizzare nella politica estera l’interesse nazionale.
Quale migliore terreno può essere se non una politica di potenza sia contro la Prussia, sia di influenzare l’Italia contro l’Austria-Ungheria? Un’alleanza a sorpresa con lo Zar Alessandro III, modifica allora la precedente politica antirussa già avutasi nella guerra di Crimea del 1853-1856. Del pari anche la politica colonialista è in ripresa, benché l’infortunio imperialista in Messico in appoggio all’impresa dell’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, non vada nelle previsioni, per la tragica vicenda della fucilazione dell’Arciduca da parte dei rivoluzionari socialisti di Benito Juarez (1867).
Comunque, un certo risveglio internazionale si ebbe nel 1866, quando la mediazione della Francia imperiale interrompe la nostra Terza Guerra di Indipendenza contro gli Asburgici, che cedono a Napoleone il Veneto e che lo ripassa all’Italia in ottemperanza alla mediazione diplomatica esercitata, non dimenticando di ingiungere al Regno d’Ialia nuovi termini per la restituzione del vecchio debito di guerra.
Nondimeno, nel 1869 il nuovo governo Lanza (19.11) prosegue la politica economica di conseguire il pareggio forzato del pareggio del bilancio, in esecuzione del quale il Sella decreta una tassa odiosa sul macinato agrario che colpisce violentemente i consumi popolari, cosa che scuote l’ordine pubblico con manifestazioni di protesta e che in Emilia lasciano perplesso uno dei padri dell’Unità italiana. Infatti Giuseppe Verdi, in una famosa lettera alla moglie Giuseppina Strepponi, dimostra più volte la disillusione e lo scoramento nei confronti della classe dirigente del nuovo Stato. Ma la situazione di crisi del secondo matrimonio precipita a Mentana alle porte di Roma.
In particolare, il ritorno di Urbano Rattazzi al Governo, significa la ripresa di un governo più aperto ai più frequenti moti democratici a Roma e nel Lazio. Anzi fra l’aprile e il novembre di quell’anno la crisi economica a nord e la questione del Brigantaggio a sud trovano una soluzione ancora una volta militare. Il generale Luigi Federico Menabrea ha l’incarico del nuovo Ministero. Il mandato, alla fine del 1867, ha come presupposto quello di impedire ogni ipotesi garibaldina di liberare Roma dal dominio temporale del Papa.
Fra il 22 e il 23 ottobre avviene il più noto episodio che fa da preliminare per il divorzio con la Francia imperiale e poi repubblicana: l’episodio insurrezionale a Roma dei fratelli Cairoli e la dura sconfitta del 3.11 a Mentana di Garibaldi e dei suo volontari, vinti dagli uomini di Napoleone III venuto in aiuto del Pontefice, quando il generale Hermann Kanzler, un comandante prussiano al soldo di Pio IX, è sconfitto dai garibaldini.
I cattolici francesi premono, mentre Napoleone III è in gravi difficoltà politiche. Napoleone intende rompere l’assetto europeo definito a Vienna nel 1815 e dunque deve intervenire in ogni angolo d’Europa per bloccare la preponderanza prussiana e per limitare ogni istanza rivoluzionaria democratica. Nondimeno la Russia di Alessandro II va favorita per impedire accordi con le potenze centrali a suo danno. Di qui la partecipazione occulta dell’Imperatore alla banca francese d’affari Credit mobilier che investe capitali francesi per la costruzione delle prime ferrovie russe progettate fra San Pietroburgo e Mosca. Iniziativa che vuole la Francia al centro del sistema economico dell’Europa, approfittando dell’interesse coloniale inglese all’epoca unico obiettivo della politica estera di quel Paese. E in Italia?
Si è visto che nella politica italiano l’amore per la Francia dopo la Convenzione di Settembre si appanna, anche per i predetti eventi d’Aspromonte. Due partiti si dividono il Parlamento: la Destra di Minghetti, ancora filofrancese, di maggioranza alla Camera, di natura moderata e la Sinistra Democratica guidata dal Depretis e dal Crispi, laica e ormai più vicina all’astro Prussiano. Il Sella tenta di ripianare il debito pubblico col quale la Francia del Bonaparte tiene in pugno il giovane Regno. Ma c’è la Sinistra minoritaria garibaldina che critica senza remore la politica invasiva napoleonica. Crispi, Mancini, Gabriele De Launay e Benedetto Cairoli si rivolgono infatti alla Prussia di Bismarck.
I fatti di Aspromonte hanno del tutto incrinato le relazioni franco-italiane, la tiepida tolleranza debitoria dopo la terza guerra d’indipendenza non basta, senza contare la citata convenzione del Settembre 1864. Limiti che hanno raffreddato ulteriormente le ultime speranze di una annessione al Regno d’Italia di Roma per via diplomatica. E la cultura laica dimostra tutto il suo livore antifrancese con la maledizione scagliata dal Carducci, che con Dopo l’Aspromonte, fra i suoi Levia Gravia, al libro II, nel 1863, così tuonava: Io bevo al dì che tingere al Masnadier di Francia Dee di tremante e Lutero Pallor l’oscura guancia/sii maledetto gridingli Mameli e Morosini/sii maledetto e d’odio con inesauste brame i fratricidi il prussiano onde Aspromonte è infame … oh, Imperial Caino!
Sono i fatti di Mentana e la strage dei Cairoli che aprono la pratica della separazione. Cominciamo allora dall’affare dei fratelli Cairoli. La loro tragica partecipazione alla fallita impresa di liberazione di Roma – dopo la non meno triste vicenda dall’Aspromonte – riprende spirito dopo l’acquisizione di Mantova e di Venezia che dall’agosto del 1866 ormai sono nuove province del Regno d’Italia. L’idea che dal 1859 assilla Garibaldi e il suo partito unitario di conquistare Venezia e Roma è per metà realizzata.
Malgrado la vicenda calabrese, Garibaldi e Crispi pensano che le attenzioni romane di Napoleone III siano decadute e l’ondeggiante Rattazzi – attirato dalle vittorie prussiane contro l’Austria-Ungheria e la Danimarca – favorisce il proposito dell’Eroe dei due mondi di riprendere le ultime indicazioni del Mazzini, cui l’idea di dare una spallata al Regno pontificio come prodromo di una rivoluzione repubblicana non è stata mai abbandonata. Del resto, il problema del Brigantaggio e la rivolta del sette e mezzo a Palermo distraggono l’opinione pubblica, senza contare le difficoltà di Napoleone con l’opposizione interna radicalsocialista e la nuova freddezza dimostratagli dai cattolici conservatori.
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Non sfugge ai garibaldini, rinvigoriti dall’unica vittoria italiana nella guerra del 1866 a Bezzecca contro gli austroungarici, di ricercare appoggi interni per spingere alla rivolta popolare contro la tirannia di Pio IX. La situazione politica locale internazionale è propizia. L’esempio dello sbarco dei Mille è calzante, visto che le potenze sono affaccendate altrove come si è notato. Il reclutamento di volontari invasori è in atto fra Arezzo e Sinalunga e addirittura il 23 settembre del 1867 il Generale viene arrestato e confinato a Caprera. Circostanza che non frena l’arruolamento.
Anzi, già il 22 ottobre un attentato alla caserma Serristori di Roma, dove ancora permangono forze militari francesi, lascia non pochi morti e feriti. E’ il segnale per una rivolta popolare che non avviene. Piuttosto, vengono arrestati e condannati gli ultimi due patrioti legati all’attentato, Monti e Tognetti, eroi del film In nome del Papa – Re di Luigi Magni del 1977 (ma già oggetto del film dello stesso regista, nell’Anno del Signore del 1969).
Queste vicende preliminari non passano inosservate nella Stampa francese, dove perfino il numero dei volontari – diverse migliaia – è pubblicamente sbandierato. Intanto, il 23 di ottobre si ha anche un primo scontro alle porte di Roma. A villa Gloria, un gruppo di volontari, guidati da due eroi dell’impresa dei Mille – i giovani Enrico e Giovanni Cairoli, fratelli del futuro capo del governo italiano Benedetto, fra il 1878 e il 1881 – ha uno scontro violentissimo coi carabinieri pontifici che li massacra, rappresentando nelle parole di Garibaldi un esempio paragonabile agli Spartani di Leonida alle Termopili.
Non è questo il luogo per descrivere completamente i fatti successivi: ci basti dire che fra il 26 ottobre e il 3 novembre si hanno i primi scontri fra varie colonne di volontari e le truppe pontificie nel territorio di Monterotondo e Tivoli con esito positivo. Il sopraggiungere del corpo di spedizione francese – allertato e organizzato con fucili speciali a ripetizione a retrocarica – sorprende alle spalle i garibaldini che vengono definitivamente vinti.
E’ il divorzio definitivo con la Francia imperiale che diviene un fatto compiuto. Per i tre anni successivi Pio IX continua a governare, gestendo il Concilio Vaticano I, consesso fra i più retrivi della storia della Chiesa cattolica, ormai divenuta l’istituzione religiosa più antiprogressista del mondo, senza contare la dichiarazione dogmatica di infallibilità del Papa che incrina i rapporti anche con i cattolici liberali d’oltralpe e che sarà foriera di ulteriori gravi conseguenze per il Papato nella cultura di metà ‘800, pronta a cadere nella spirale positivista e anticlericale, come dimostra l’acerrima lettura materialista del francese Renan che riduce la figura del Cristo a persona umana. E’ certo che però il divorzio fra Francia repubblicana e Regno d’Italia è un fatto compiuto anticipatore di ulteriori conflitti.
I libri consigliati da Fatti per la Storia sui rapporti tra Secondo impero francese e regno d’Italia!
- Per la storia dei rapporti fra l’Italia di Cavour e quella di Napoleone III vd. LUCIO VILLARI, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, 2010.
- Per la situazione politica e sociale europea, vd. ERIC HOBSBAWM, Il trionfo della borghesia: 1848-1975, Laterza, 1976.
- RAFFAELLE ROMANELLI, Storia dello Stato Italiano dall’Unità ad oggi, progetti Donzelli, Roma, 1995.