Il Mandato britannico in Palestina
Fra i Trattati imposti dai vincitori del primo conflitto mondiale nella “pace punitiva di Parigi”, quello di Sèvres sancisce lo smembramento dell’Impero Ottomano: la Turchia viene ridotta entro i confini dell’Anatolia mentre gli altri territori sono affidati in amministrazione fiduciaria alla Francia e alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni.
Il Mandato della Società delle Nazioni è una formula creata dalla diplomazia internazionale che intende affidare ai maggiori Stati europei l’amministrazione dei territori appartenenti all’Impero Ottomano, con lo scopo di favorirne l’autogoverno in modo liberale e democratico. La formula tuttavia cela gli interessi economici delle potenze mandatarie nei territori sotto il loro controllo, soprattutto in Medio Oriente per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti petroliferi.
La Gran Bretagna ottiene il controllo della Palestina, della Transgiordania (l’odierna Giordania) e di alcune regioni della Mesopotamia (corrispondenti all’attuale Iraq). Mentre questi ultimi due territori divengono presto degli Stati nominalmente indipendenti, anche se gli inglesi mantengono un controllo finanziario e militare, la Palestina rimane invece sotto il Mandato britannico fino al 1948.
La Palestina del primo dopoguerra è un territorio caratterizzato dal contrasto religioso ed etnico tra Arabi ed Ebrei; i primi, che rappresentano la maggioranza della popolazione, si oppongono all’insediamento massivo dei secondi. Con il sorgere del “movimento sionista”, gli Ebrei emigrano in Palestina da ogni parte d’Europa con un esodo iniziato già alla fine del secolo XIX.
Il tema centrale del movimento è proprio l’auspicato ritorno in Palestina, per cui i sionisti si appellano ideologicamente ad un diritto storico alla terra (l’Erez Israel) per risolvere il problema di una popolazione senza patria nazionale e discriminata dal crescente antisemitismo europeo.
La Dichiarazione Balfour
Il Mandato per la Palestina riporta nel suo preambolo una specifica dichiarazione, contenuta in una nota lettera del novembre 1917 scritta dal Ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour a Lord Walter Rothschild, un importante esponente della comunità ebraica inglese, che impegna formalmente il governo del Regno Unito a favorire lo “stabilimento in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
Il Mandato riconosce il legame storico del popolo ebraico con la terra palestinese e le ragioni per cui è necessario ricostituire la sua sede nazionale in quel territorio. La lettera Balfour, in verità, aggiunge che questo obiettivo non deve pregiudicare i diritti civili e religiosi dei non ebrei, per cui il Mandato britannico si fa obbligo di creare le condizioni politiche, amministrative ed economiche che favoriscano il sorgere di una Nazione ebraica, di sviluppare istituzioni autonome e di salvaguardare i diritti civili e politici di tutti gli abitanti della Palestina, qualunque sia la razza e la religione.
La dichiarazione Balfour viene vista dai sionisti come un’apertura ufficiale del governo occupante e facilita l’immigrazione di un crescente numero di ebrei, che si uniscono ai piccoli gruppi già presenti sul territorio, e la loro colonizzazione delle terre. Gli ebrei palestinesi eleggono nel 1920 un’Assemblea nazionale di 500 membri per rappresentare le istanze della collettività e anche a livello locale, nelle città dove sono presenti nuclei di ebrei, vengono istituite delle rappresentanze con poteri amministrativi che sono riconosciuti dal governo mandatario britannico.
In contrapposizione al consolidamento sionista, gli arabi palestinesi convocano l’anno seguente un Congresso del mondo islamico per protestare contro la dichiarazione Balfour e per istituire un “comitato permanente di agitazione”. Ben presto l’ostilità arabo-giudaica porta allo spargimento di sangue, i movimenti di resistenza islamica rivolti all’allontanamento dei nuovi colonizzatori attraggono dimostrazioni di protesta che sfociano spesso in veri e propri scontri anche con l’esercito britannico.
Se i rivoltosi islamici si affidano agli atti terroristici come estrema forma di lotta contro la presenza straniera ebraica (e anche britannica), un ricorso al terrorismo viene perseguito anche dalle nascenti organizzazioni militanti sioniste e i loro gruppi armati (come la Haganah, associazione segreta paramilitare).
Il governo britannico svolge un’inchiesta sul contrasto tra le due popolazioni e nel 1922 presenta i risultati al Parlamento di Londra contenuti in un Libro Bianco. Il documento deve definire la linea politica della mandataria in merito alla situazione palestinese e ha il prezioso contributo dell’allora Segretario alle Colonie Winston Churchill.
Il futuro leader inglese dichiara che è essenziale riconoscere che il popolo ebraico stia in Palestina per un “diritto” e non per motivi di tolleranza e che una sede ebraica sia garantita internazionalmente. Ma, al contempo, l’immigrazione non può eccedere la capacità di assorbimento economico del Paese né costituire un peso per il resto della popolazione.
Churchill nel Libro Bianco vuole rassicurare entrambi i popoli con una mediazione: da un lato garantire gli ebrei che la Gran Bretagna rimane impegnata alla creazione di una loro nazione, dall’altro tranquillizzare gli Arabi circa i loro diritti e che non verrà creata una Palestina tutta ebraica. Entrambe le parti rimarranno ugualmente insoddisfatte e riterranno la nuova posizione inglese un indebolimento dei rispettivi interessi. Le ragioni inconciliabili di ebrei ed arabi palestinesi porteranno ad ulteriori scontri e sommosse negli anni a venire.
Le ragioni degli ebrei e degli arabi
L’ideale sionistico è di creare un vero e proprio Stato ebraico. Richiamati in Palestina dall’appello lanciato dal movimento sionista per una rinascita nazionale nella terra degli antichi padri, gli ebrei finiscono per modificare notevolmente il loro rapporto percentuale nei confronti della popolazione araba: dall’appena 10% del periodo precedente al primo conflitto mondiale, si passa ad un 30% nel corso del Mandato britannico che, come si è visto, non pone grossi ostacoli alla forte immigrazione ebraica.
Nelle zone dove si stanziano, gli ebrei acquistano i terreni dalla popolazione indigena araba o li ottengono dal demanio perché incolti e riescono a sfruttarli in maniera attiva ed intraprendente con la fondazione di fattorie di tipo collettivistico (i cd. kibbuz). La loro economia diventa subito florida, si rendono protagonisti della trasformazione del paesaggio agricolo, bonificando le zone desertiche, costruiscono città e villaggi e stabiliscono una comunità vigorosa ed in continua espansione.
Ai diritti acquisiti per il progresso economico apportato, gli ebrei affiancano le ragioni morali di un popolo segnato dall’antisemitismo e dalla persecuzione (più tardi anche dallo sterminio nazista) che merita una vita dignitosa e libera nella sua terra.
Alle ragioni degli ebrei, si contrappongono quelle degli arabi. Essi ribattono che la Palestina è araba da più di mille anni e che loro hanno rappresentato la quasi totalità della popolazione fino a quando, complice la Gran Bretagna, si sono insediati milioni di ebrei stranieri provenienti da tutto il mondo.
Gli arabi rivendicano il fatto di essere i legittimi proprietari delle terre palestinesi e che, durante il Mandato, buona parte di queste sono state assegnate ai sionisti direttamente dal governo britannico e non acquistate dagli arabi. Il profondo divario economico tra gli ebrei immigrati e gli arabi, con questi ultimi che vivono in condizioni poverissime e si vedono soppiantare la loro primitiva economia agricola e pastorale, scatena un’avversione sempre più profonda nei confronti dei nuovi arrivati.
La Rivoluzione palestinese
La grande insurrezione araba, detta Rivoluzione della Palestina, scoppia nel mese di aprile del 1936 in concomitanza dello sciopero generale che reclama la fine dell’immigrazione ebraica in Palestina e il divieto di vendita delle terre agli ebrei. Circa un mese dopo l’avvio dello sciopero generale, gli arabi si rifiutano di pagare le tasse, chiedono la fine del Mandato e iniziano la rivolta per destituire le amministrazioni comunali.
Il governo britannico risponde alla violenza del dissenso arabo con una dura repressione, attuata attraverso l’esercito occupante e con la cooperazione dei paramilitari della Haganah, che partecipano attivamente nell’opera di protezione degli interessi britannici e nel contrastare gli insorti arabi. Le forze di sicurezza britanniche ed ebraiche riescono ad avere la meglio solo dopo tre anni di lotte e a ridosso dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale (settembre 1939). La rivolta è considerata come l’atto formale di nascita del nazionalismo arabo-palestinese ma comporta delle gravi perdite umane per entrambe le parti.
La Rivoluzione palestinese ha ripercussioni anche sulla politica britannica nei confronti del Mandato: con il Libro Bianco del 1939 il Governo occupante ha un mutamento di indirizzo rispetto all’appoggio politico che fino a quel momento ha garantito al sionismo. Vengono posti dei limiti alla vendita di terreni agli ebrei e alla loro immigrazione in Palestina, anche se quest’ultima decisione è sensibilmente influenzata dall’arrivo di tantissimi clandestini che sfuggono dalle persecuzioni della Germania nazista.
Il movimento sionista diventa incontenibile al termine della Seconda Guerra Mondiale, gli Ebrei sopravvissuti all’Olocausto sentono ancor di più il loro legame storico con la Palestina e la necessità di ricostituire in questa terra una nuova Nazione che accolga tutti i fratelli dispersi dalla guerra.
Lo Stato d’Israele e la guerra contro la Lega Araba
Agli inizi del 1947 il Regno Unito decide di rimettere il suo Mandato nelle mani della neonata ONU, trovandosi di fronte alle enormi difficoltà del secondo dopoguerra ma anche ad una situazione in terra palestinese diventata oramai ingestibile e sconvolta da una serie di sanguinosi attentati terroristici.
Il 3 settembre 1947 il Comitato UNSCOP (United Nations Special Committee On Palestine) presenta all’Assemblea delle Nazioni Unite la proposta di creare due Stati, uno per gli Arabi, uno per gli Ebrei; la proposta viene approvata all’unanimità ma con l’astensione della Gran Bretagna che dichiara la soluzione inaccettabile per entrambe le parti.
La Risoluzione ONU n. 181 del novembre 1947, che prevede la fine del Mandato britannico, raccomanda una spartizione della Palestina in due Stati con Gerusalemme eretta a città libera sotto uno statuto internazionale. La proposta però risulta fortemente iniqua giacché gli ebrei, in minoranza rispetto agli arabi palestinesi, si vedono assegnato un territorio addirittura più ampio; naturalmente la parte avversa respinge la proposta ONU, che è rifiutata anche dalla Lega Araba, un organizzazione costituitasi nel 1945 tra Egitto, Siria, Libano, Iraq, Arabia Saudita e Transgiordania con l’intento di formare un blocco politico di Paesi islamici.
Quando la Gran Bretagna nel maggio 1948 ritira le sue truppe e termina il Mandato, i sionisti ebrei proclamano in tutta fretta lo Stato di Israele per il tramite del loro leader, David Ben Gurion, alla presenza dei delegati del Consiglio nazionale ebraico rappresentante del giudaismo palestinese:
Il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una decisione a favore della fondazione di uno Stato Ebreo indipendente in Palestina […] Questo riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, del diritto del popolo ebraico di stabilire un proprio Stato indipendente non può essere annullato […], con questo mezzo proclamiamo la fondazione dello Stato Ebraico in Palestina con il nome di Medinat Yisrael.
Per tutta risposta alla nascita del nuovo Stato israeliano, gli eserciti della Lega Araba entrano in Palestina, scatenando la prima guerra arabo-israeliana (15 maggio 1948).
Il conflitto si conclude dopo otto mesi (25 gennaio 1949) con una netta vittoria degli israeliani, grazie alla loro maggiore efficienza nell’organizzazione militare (l’Haganah, poi confluita nelle Forze di difesa israeliane, si è impegnata nella seconda guerra mondiale a fianco del Regno Unito, ricevendo un importante addestramento militare).
Sorretto anche da un migliore armamento, grazie soprattutto al supporto del governo cecoslovacco che consegna un gran numero di armi da fuoco e aerei da caccia, il nuovo esercito israeliano non solo resiste agli attacchi delle Forze arabe ma riesce anche a contrattaccare e conquistare gran parte dell’area che la risoluzione ONU ha assegnato alla parte opposta, ad eccezione della regione costiera detta Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Gli accordi di pace separati del 1949 vedono Israele uscire ancora più rafforzata, poiché il suo esercito controlla un territorio ben più ampio di quello definito allo scoppio della guerra mentre agli arabi ne rimane solo il 20%. La Striscia di Gaza passa sotto l’amministrazione dell’Egitto, la Cisgiordania viene invece assegnata al nascente Stato della Giordania (che occupa anche la parte est di Gerusalemme). Le linee di demarcazione che stabiliscono i nuovi confini dello Stato di Israele e degli Stati arabi confinanti saranno rispettate fino alla Guerra dei Sei Giorni.
Conclusioni
La conseguenza più tragica della guerra consiste nell’esodo forzato di quasi un milione di palestinesi, che l’occupazione israeliana ha privato della casa ed espulso dallo Stato ed è una popolazione costretta a rifugiarsi nei campi profughi sorti nei Paesi vicini (soprattutto in Libano); da questi campi, quel forte senso di alienazione e di risentimento degli arabi palestinesi sfocerà in uno stato permanente di guerriglia.
La questione palestinese è la chiave del conflitto arabo-israeliano. Israele preferisce ignorare la questione, sostenendo che i Paesi arabi hanno lo spazio per accogliere i rifugiati palestinesi. Gli Stati arabi al contempo rifiutano di accogliere i rifugiati, sostenendo il loro diritto a tornare nelle loro case e nelle loro terre. Si delinea così uno degli scontri più complessi nel corso della storia, che vedrà in campo tutti gli Stati arabi confinanti, una moltitudine di attori e di relazioni internazionali.
La questione palestinese diventa ben presto un problema della comunità internazionale, a motivi nazionalistici e religiosi (Ebraismo ed Islamismo) si affiancano strategie politiche ed economiche in un groviglio in cui è difficile districarsi, alternando fasi acute di conflittualità a momenti di fragile tregua. Una questione ancora irrisolta ai giorni nostri.
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- M. Campanini, Storia del Medio Oriente contemporaneo, Il Mulino 2014
- T. G. Fraser, Il conflitto arabo-israeliano, Il Mulino 2015
- C. Pancera, La lotta del popolo palestinese, Feltrinelli 1969
- C. Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza 2020
- Libro Bianco di Churchill, 1922, White Paper Khitalia.org
- The Balfour Declaration, Israel Ministry of Foreign Affairs