CONTENUTO
La Liberazione in Francia
Il 25 agosto 1944, in seguito agli eventi innescati dall’operazione Overlord il 6 giugno 1944, viene liberata Parigi. Fin dal suo arrivo nella capitale francese, il generale Charles De Gaulle dichiara la continuità repubblicana, secondo quanto stabilito dall’ordinanza del 9 agosto 1944, richiamando la cittadinanza all’unità. La III Repubblica ha smesso di esistere il 10 luglio 1940, quando, in conseguenza della sconfitta militare patita contro i tedeschi, il Parlamento, riunito in seduta comune al Gran Casinò di Vichy, ha votato i pieni poteri al maresciallo Pétain, secondo il progetto di revisione costituzionale ideato dal vicepresidente del Consiglio Pierre Laval.
Terminata la seconda guerra mondiale De Gaulle si dimostra intenzionato a imporre l’autorità dello Stato repubblicano alla guida del processo di ricostruzione, subordinando ad esso l’azione dei Comités Départemental de Libération (CDL), in cui forte è la presenza dei comunisti. Funzionale a questo disegno è la rapida sostituzione dei prefetti nominati da Pétain con i commissari della Repubblica, espressione del Gouvernment provisoire de la République française (GPRF), che, formatosi il 3 giugno 1944, vede rinnovarsi i propri organici già il 9 settembre 1944, quando si insedia un «governo di unità nazionale», sotto la guida di De Gaulle, comprendente rappresentanti dei partiti e membri della Resistenza.
I CDL tentano di resistere all’azione del governo, organizzando nell’autunno 1944 un’assemblea nazionale dei Comitati dipartimentali per preparare gli Stati generali della Renaissence francese, previsti per il luglio 1945. Altro fattore di tensione è l’ordine di disarmo dato dal governo provvisorio il 28 ottobre 1944 nei confronti delle milizie patriottiche, cui si propone di entrare nell’esercito o nelle Compagnies Républicaines de Sécurité, appositamente create. La situazione è risolta dal ritorno di Maurice Thorez dall’Unione Sovietica all’inizio del 1945, cui segue l’accettazione da parte del Parti Communiste Français (PCF) del ritorno alla normalità repubblicana.
Nel mentre il dibattito in merito alle linee secondo cui impostare il processo di ricostruzione porta alle dimissioni del ministro dell’economia Pierre Mendès France, sostenitore di una politica del rigore. A prevalere è il programma elaborato dal Conseil National de la Résistance (CNR), che si propone di procedere a una serie di nazionalizzazioni in alcuni settori dell’economia, per le quali forte è la richiesta dal basso. Ciò si coniuga con una politica di pianificazione, inaugurata con il decreto del presidente del governo provvisorio del 3 gennaio 1946.
L’obbiettivo è la modernizzazione delle infrastrutture del paese e delle sue colonie, il cui perseguimento è affidato al commissario al Piano Jean Monnet, che guarda ad essa principalmente come a uno strumento per migliorare il funzionamento dell’economia di mercato, superando la difficile congiuntura internazionale.
Il processo costituente
Nella primavera del 1945 si procede al rinnovamento delle amministrazioni comunali, attraverso una prima tornata elettorale in cui si sfidano i partiti riorganizzatisi a partire dall’autunno 1944. Ad essa partecipano anche le donne, in base a quanto stabilito dall’ordonnance del 21 aprile 1944. Il 21 ottobre si svolgono invece le elezioni per l’Assemblea Nazionale: oltre a scegliere i deputati, i cittadini francesi sono chiamati ad esprimersi sulla possibilità di affidare all’Assemblea poteri costituenti e a indicare se essa debba rispettare un preciso mandato temporale (sette mesi), impedendo al contempo che essa possa rovesciare il governo provvisorio con semplice voto contrario a un provvedimento di legge (era introdotta un’apposita procedura), secondo quanto prospettato da de Gaulle in un discorso radiofonico il 12 luglio precedente.
Dalle urne esce riconfermato il predominio di tre partiti: i socialisti, che hanno ridato vita alla SFIO (Section Française de l’Internationale Ouvrière), insieme all’UDSR (Union démocratique et socialiste de la Résistance) si attestano al 25,1% dei voti, il PCF al 26,2% e l’MRP (Mouvement Républicain Populaire), nel quale si sono riuniti i cattolici, al 23,9%. Percentuali più modeste ottengono invece i moderati del PRL (Parti Républicain de la Liberté) che si fermano al 15,7%, e i radicali con l’8,9%.
La vittoria del sì nei due quesiti referendari porta all’insediamento dell’Assemblea costituente, che procede già il 13 novembre 1945 a eleggere De Gaulle nuovamente a capo del governo. Lo scontro tra il presidente e i partiti inizia fin da subito, rifiutandosi il generale di concedere al PCF uno dei ministeri chiave richiesti (Affari Esteri, Difesa, Interni), peggiorando man mano che si va delineando il progetto costituzionale.
Si arriva così alle dimissioni di De Gaulle il 20 gennaio 1946, cui segue la firma il 23 gennaio della «carta di collaborazione» tra MRP, SFIO e PCF, che da inizio alla stagione del Tripartito. A capo del governo è chiamato il socialista Félix Gouin. Sotto di lui e sotto il suo successore George Bidault (MRP) si instaura la prassi del «governo dei partiti», in cui le decisioni sono prese all’interno dei partiti politici e poi trasferite ai ministri di governo.
Il progetto di Costituzione è approvato il 19 aprile con 309 voti da una maggioranza formata da socialisti e comunisti, contro i 249 voti dell’MRP e della maggioranza dei radicali. Sottoposto a referendum il 5 maggio 1946 è tuttavia respinto dal 53% dei francesi. Si indicono quindi nuove elezioni per il 2 giugno, che riconfermano il quadro politico precedente, registrando però l’avanzata dell’MRP (28,2%) e la flessione della SFIO (21,1%), privata del sostegno dell’UDSR, unitasi ai radicali.
Il 16 giugno De Gaulle pronuncia un discorso a Bayeux formulando una «proposta costituzionale», incentrata sulla separazione tra esecutivo e legislativo e la centralità del presidente della Repubblica. Ciò da l’impulso ai tre partiti di maggioranza per redigere velocemente un nuovo testo costituzionale, approvato già il 21 settembre. Nonostante il duro attacco portato il 29 settembre dal generale durante il discorso di Épinal, il referendum del 13 ottobre stavolta conferma quanto deliberato dall’Assemblea con il 53% dei sì, nonostante l’astensione di circa un terzo dell’elettorato.
La Costituzione del 1946
I poteri dell’Assemblea eletta il 21 ottobre 1945 sono regolati dalla legge 2 novembre 1945, che riprende il progetto governativo stampato sul retro delle schede di voto. Molti elementi del regime parlamentare speciale della Costituente sono ripresi dalla Costituzione del 1946. In particolare è mantenuto il sistema elettorale proporzionale con scrutinio di lista (bloccata) e divieto di panachage ‒ ovvero l’indicazione di un candidato non appartenente alla lista votata.
L’Assemblea detiene il potere legislativo, esercitato in concorso con il governo, il quale promulga le leggi nel termine di un mese, con la possibilità di prevedere una seconda lettura da parte dei costituenti. Il governo è emanazione dell’Assemblea e può essere sostituito solo con apposita mozione di censura, presentata con due giorni d’anticipo e votata a maggioranza assoluta dai costituenti.
Il progetto di Costituzione approvato il 19 aprile 1946 mantiene tale caratterizzazione assemblearista. Sono introdotti un presidente della Repubblica con poteri molto limitati, non partecipando neanche alla designazione del presidente del Consiglio, e due consigli con poteri consultivi: Il Consiglio dell’Unione Francese e il Consiglio Economico.
La Dichiarazione dei diritti inserita nel preambolo, riprendeva i principi della Costituzione del 1789 integrandoli con i diritti sociali. I poteri dell’Assemblea si estendevano fino a prevedere la possibilità di sospendere le libertà politiche per sei mesi con una votazione a maggioranza di due terzi, senza alcun vincolo di utilizzo.
La Costituzione adottata il 27 ottobre 1946 differisce da questo primo progetto principalmente sotto tre aspetti. Sono accresciute le prerogative del Consiglio dell’Unione, ora Consiglio della Repubblica, il quale partecipa all’elezione del presidente della Repubblica. Quest’ultimo partecipa alla scelta del presidente del Consiglio. Viene modificato lo Statuto dell’Unione francese.
Il nuovo progetto è frutto della mediazione tra le istanze sostenute dal PCF, orientato a mantenere il vecchio progetto, e l’MRP, che invece guarda al sistema parlamentare tradizionale, condotta dalla SFIO e dal presidente dell’Assembla Costituente Vincent Auriol. Ciò porta in molti casi a rinviare l’applicazione del testo a leggi organiche o leggi ordinarie.
Rispetto al regime del 1875 la nuova Costituzione estende le prerogative del Parlamento a spese del governo. In primo luogo è introdotto un monocameralismo di fatto, non essendo le decisioni del Consiglio della Repubblica vincolanti per l’Assemblea nazionale. Nel caso il primo manifesti la sua opposizione tramite scrutinio pubblico, a maggioranza assoluta, la seconda è solamente obbligata ad approvare la legge con voto espresso nelle stesse forme. In seconda battuta il Parlamento si riunisce più a lungo che in passato.
Nel corso della III Repubblica era prevista infatti una sessione ordinaria da gennaio a giugno cui si aggiungeva una sessione straordinaria tra ottobre e dicembre per votare il bilancio. Il capo del governo aveva poi il potere di interrompere e aggiornare i lavori parlamentari, chiudere la sessione ordinaria e convocare quella straordinaria. Tali poteri sono ora prerogativa dell’Assemblea Nazionale e l’interruzione dei lavori non possono superare i quattro mesi complessivi.
Sono inoltre vietati i decreti legge, fatto a cui si cerca di rimediare con l’introduzioni delle leggi quadro, che finiscono però per vincolare maggiormente il governo. Il presidente del Consiglio può ancora sciogliere l’Assemblea ma solo dopo diciotto mesi dall’inizio della legislatura, nel caso si siano verificate due crisi ministeriali in seguito a mozione di censura o voto di sfiducia. Nel primo caso la procedura si attiva tramite iniziativa di un deputato, nel secondo è il governo, in seguito all’autorizzazione dell’intero Gabinetto, a presentarsi davanti all’Assemblea.
Infine si tenga conto che la riforma elettorale del 23 settembre 1948 mantiene per il Consiglio della Repubblica la proporzionale (indiretta) solo nei dipartimenti che eleggono più di quattro consiglieri, negli altri casi si torna al maggioritario con ballottaggio. I comuni più piccoli risultano essere inoltre sovrarappresentati rispetto alle grandi città.
L’«Union Française»
Il 21 ottobre 1945 sono eletti 64 deputati dei territori d’oltremare su 586 totali, di cui metà coloni e metà autoctoni, poiché l’elezione avviene tramite doppio collegio. I protettorati (Indocina, Tunisia, Marocco) non sono quasi rappresentati e inoltre le difficoltà di registrazione elettorale restringono la percentuale di votanti nativi. Davanti all’Assemblea si presentano due modalità di riorganizzazione dell’oltremare: l’assimilazione e l’associazione, che nei casi più estremi contempla un sistema federativo. Fondamentale rimane però l’eliminazione del vincolo coloniale.
La Commissione dei territori d’oltremare, presieduta inizialmente da Marius Moutet e in seguito dal senegalese Amadou Lamine-Guèye, procede all’abolizione del regime giuridico dell’indigénat e all’approvazione di alcune importanti leggi tra cui la legge Houphouët-Boigny dell’11 aprile 1946 sull’abolizione del lavoro coatto, la legge Lamine-Guèye del 7 maggio 1946 che attribuiva la cittadinanza a tutti gli abitanti dei territori d’oltremare secondo modalità che avrebbero dovuto essere decise da un successivo intervento legislativo, e la legge del 30 aprile 1946 che istituiva un fondo per lo sviluppo economico delle ex-colonie.
Inoltre a Guadalupa, Martinica, Reunion e Guyana fu attribuito lo status di dipartimenti. Il rapporto steso da Léopold Sédar Senghor, accoglie poi il principio di «Unione liberamente consentita». Il progetto di costituzione del 1946 prevedeva una rappresentanza dell’oltremare nel Parlamento monocamerale e un apposito Consiglio dell’Union Français, cui si aggiungeva in periferia un sottosegretario di Stato residente per ogni territorio e assemblee locali elette a suffragio universale diretto.
La mutata composizione dell’Assemblea in seguito alle elezioni del 2 giugno fa diventare il partito di maggioranza relativa l’MRP, per cui è necessario salvaguardare l’esercizio della sovranità francese sull’oltremare. Posizioni più conservatrici hanno il Partito Radicale e le destre che, tra il 30 luglio e il 24 agosto 1946, organizzano gli Stati generali della colonizzazione francese. Dall’altra parte le nuove elezioni portano alla Costituente 11 deputati dell’Unione Democratica del Manifesto Algerino ‒ il partito di Ferhat Abbas, dal 1955 al 1961 a capo del governo in esilio del Fronte di Liberazione Nazionale algerino ‒ che mira alla costituzione di una Repubblica algerina autonoma.
Si forma quindi un intergruppo presieduto da Lamine-Guèye, deciso a difendere le soluzioni prese dal primo progetto costituzionale. Prendendo atto di questa posizione la Commissione per la Costituzione stila un testo in cui è sancita l’eguaglianza tra diritti e doveri, oltre alla possibilità di scelta per i territori d’oltremare di diventare Stato libero legato alla Francia da un trattato internazionale, ottenere l’autonomia politica o venire integrato nella Repubblica come territorio metropolitano. Sono poi garantiti il diritto di cittadinanza insieme alla costituzione di assemblee locali.
Tale testo riceve critiche sia durante il dibattito in Assemblea che al suo esterno. De Gaulle ritiene in proposito impossibile un ruolo di grande potenza per la Francia senza i paesi d’oltremare. Anche il Tripartito guarda con apprensione al pericolo di spinte autonomistiche e indipendentistiche, e l’11 settembre 1946 presenta un proprio progetto realizzato dai ministri Moutet e Alexandre Varenne, in cui si riafferma il controllo del governo centrale rispetto.
Ciò porta a una revisione del precedente testo, con l’introduzione in particolare della «cittadinanza dell’Unione Francese», che introduce nuovamente una differenziazione tra coloni e autoctoni. Il presidente del Consiglio Bidault minaccia il 19 settembre di porre la fiducia sul nuovo testo se non approvato, fatto che conduce alle dimissioni dei costituenti d’oltremare. Ciò porta a un compromesso tra le parti. È reintrodotto il concetto di cittadinanza definito dalla legge 7 maggio 1946 e il titolo di «cittadino dell’Unione francese» rimane una qualifica aggiuntiva.
L’idea di una rappresentanza speciale tramite l’elezione di un’Assemblea dell’Unione è poi per il momento accantonata. Una successiva legge organica avrebbe determinato le condizioni di rappresentanza delle popolazioni autoctone. Tali modifiche sono accolte nel Titolo VIII e negli ultimi tre paragrafi del preambolo della Costituzione approvata il 27 ottobre 1946. Solamente nel 1951 entra pienamente in funzione il sistema di rappresentanza imperniato su una presidenza, retta dal presidente della Repubblica francese, un Alto Consiglio e un’Assemblea dell’Unione.
In base alla legge elettorale per l’Assemblea Nazionale del 5 ottobre 1946 è inoltre mantenuto, ad eccezione dell’Africa occidentale, il sistema a doppio collegio, che distingueva tra francesi e nativi, mentre le decisioni in merito ad eventuali evoluzioni all’interno dell’Unione continuano ad essere regolate con legge del Parlamento francese.
Dalle elezioni dell’Assemblea Nazionale alla fine del Tripartito
Le elezioni del 10 novembre 1946 registrano un nuovo ribaltamento dei rapporti di forza tra i tre partiti di maggioranza. Il PCF, con il 28,8%, supera infatti l’MRP, che ottiene solo il 26,3% delle preferenze. All’interno della SFIO (18,1%) si assiste a un cambio di leadership con la nomina a segretario generale di Guy Mollet, che manterrà tale ruolo per ventitré anni, riportando il partito su una posizione più fedele alla tradizione marxista.
Eletto il Conseil de la République il 24 novembre e l’8 dicembre 1946, le Camere, riunite in seduta comune, proclamano il 16 gennaio 1947, già al primo turno, presidente della Repubblica il socialista Vincent Auriol, che procede ad affidare il mandato per la formazione del nuovo governo al compagno di partito Paul Ramadier. Il nuovo presidente del Consiglio, allargando la maggioranza di governo a radicali e moderati, richiede la fiducia alle Camere. In questo modo è reintrodotta la prassi della III Repubblica, sancendo la subordinazione dell’esecutivo al legislativo.
Intanto il Paese continua a rimanere dipendente dalle esportazioni, poiché la produzione stenta a ripartire. Il permanere della crisi economica provoca il malcontento della popolazione, dando vita a una serie di scioperi spontanei alla fine dell’inverno 1946-1947. A ciò si aggiunge il peggioramento del quadro internazionale, segnato dall’inizio della Guerra fredda tra URSS e Stati Uniti. Il presidente americano Truman definisce in marzo la dottrina del containment nei confronti della superpotenza sovietica.
In parallelo la Francia si trova a dover gestire l’insurrezione nella penisola indocinese e quella in Madagascar. Questo porta a una prima frizione tra il PCF e gli altri partiti di maggioranza. I deputati comunisti infatti prima rifiutano di alzarsi in piedi in Assemblea nazionale per omaggiare la memoria dei militari caduti contro i Viet Minh il 18 marzo, poi votano contro i crediti militari necessari a portare avanti le operazioni in Vietnam il 22 marzo.
La situazione però si fa irrimediabile quando la CGT (Confédération Générale du Travail) aderisce agli scioperi alla fine di aprile e successivamente il PCF nega la fiducia al governo il 4 maggio, non approvandone la proposta di una politica di rigore economico. Tale fatto porta alla rimozione dei ministri comunisti il giorno successivo, in modo da evitare le dimissioni del governo.
La crisi del tripartito diventa a questo punto definitiva. In giugno viene annunciato il varo del piano Marshall da parte degli Stati Uniti, ma l’accettazione degli aiuti economici e finanziari americani da parte del governo francese è fortemente criticata da parte comunista, in linea con la politica di Mosca. Quell’estate il Paese è attraversato da una nuova ondata di scioperi, che continua fino all’autunno, assumendo un carattere politico.
La conseguenza è un aumento della paura dell’insurrezione negli ambienti ministeriali, che porta ben presto alle dimissioni del governo Ramadier, dimostratosi incapace di gestire la situazione. Il nuovo gabinetto Schuman (MRP) non riesce però a migliorare la situazione, che si risolve comunque il 9 dicembre 1947, quando la CGT dichiara la cessazione dello sciopero. Gli avvenimenti del 1947 produrranno la scissione sindacale, con la nascita della CGT-FO (Force-Ouvrière) e del sindacato autonomo degli insegnati (Fédération de l’Éducation Nationale).
I governi di Terza forza
La rottura dell’unità della Resistenza porta alla costituzione di un nuovo equilibrio politico che si manterrà fino al 1952. I governi di quel periodo sono formati dalla coalizione di «Terza forza», composta da socialisti, MRP, moderati o radicali, sfidata a sinistra dal PCF e a destra dal nuovo partito gollista. In seguito al discorso tenuto dal generale a Strasburgo il 7 aprile 1947 si è infatti costituito il RPF (Rassemblement du Peuple Français), che alle elezioni dell’ottobre di quell’anno ottiene il 40% dei suffragi, conquistando grandi centri urbani come Marsiglia, Bordeaux, Lille, Strasburgo, Grenoble, Nancy e Parigi, nonostante ancora all’inizio del 1948 conti solamente 400.000 iscritti.
Questa stagione politica è caratterizzata da una forte instabilità governativa che porta a succedersi alla presidenza del Consiglio numerose personalità appartenenti all’MRP, come Robert Schuman e George Bidault, al raggruppamento radicale, come André Marie ed Henri Queuille e René Pleven dell’UDSR. Una delle questioni su cui si divide maggioranza è quella riguardante la situazione coloniale, che vede da una parte i socialisti e alcuni membri dell’MRP schierarsi per una politica maggiormente attenta alle esigenze dei popoli dei territori d’oltremare e dall’altra la maggioranza dell’MRP insieme a radicali e moderati battersi per la fermezza e la difesa dell’Unione francese.
Dall’altra parte a tenere banco è la scelta della linea da adottare in economia, che vede convergere su alcuni temi MRP e socialisti spesso contrapposti a radicali e moderati. Determinante in materia è il rapporto con i sindacati, la CGT-FO tanto quanto la CFTC (Confédération Française des travailleurs chrétiens), fondata nel 1919. Da questo punto di vista viene dato seguito alla politica iniziata dal tripartito, basata sulle nazionalizzazioni e la pianificazione, inserite ora all’interno di una più efficace opera di ricostruzione resa possibile dagli aiuti americani.
La ripresa industriale si accompagna a una serie di scelte fondamentali in politica estera, fortemente contestate dalle opposizioni. Da una parte la Francia della Terza forza persegue un’opzione atlantista con l’adesione prima all’UEO (Unione dell’Europa Occidentale) e poi alla NATO (North Atlantic Treaty Organization). Dall’altra ha un ruolo di primo piano nella costruzione di un’Europa unita, di cui protagonisti sono uomini come Schuman, Monnet e Pleven.
Le tappe fondamentali sono la formazione del Consiglio d’Europa nel 1949, la creazione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) nel 1950 e il progetto di difesa comune (Comunità Europea di Difesa ‒ CED) approvato nel 1952, di cui una delle clausole prospettava anche la creazione di un’unione politica. Intanto, se la crisi nella penisola indocinese entra in una nuova fase, in cui la guerra coloniale lascia il posto allo scontro tra democrazie occidentali e comunismo, l’insurrezione divampa anche nei protettorati dell’Africa settentrionale: il Marocco e la Tunisia.
La seconda legislatura
Con l’approssimarsi delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale i partiti di maggioranza decidono di elaborare una riforma elettorale che favorisca la coalizione centrista indebolendo le opposizioni. Il 7 maggio 1951 viene approvata la «legge degli apparentamenti» che premia con tutti i seggi del dipartimento la lista che supera il 50% dei voti. La strategia funziona e il 17 giugno la Terza forza ottiene 388 seggi su 627, ma lo spostamento a destra dell’elettorato è causa di nuova instabilità.
L’approvazione nell’autunno del 1951 della legge Barangé, che concede un sussidio a tutti i bambini in età scolare, provoca le proteste della SFIO, che si unisce al PCF nella contestazione, poiché votare a favore significherebbe infrangere il principio laicista, in quanto ad avvantaggiarsi sarebbero anche le scuole private, a maggioranza cattoliche. La crisi si risolve con il passaggio dei socialisti all’opposizione nel gennaio 1952.
Il 5 marzo, dopo la parentesi del governo di Edgar Faure (Partito Radicale), durato 40 giorni, si forma quindi un nuovo esecutivo guidato da Antoine Pinay, uomo del CNIP (Centre Nationale des Indépendants et Paysans), sigla sotto cui si sono riunite le forze moderate e conservatrici fin dal 1948. Il nuovo presidente del Consiglio ottiene inaspettatamente la fiducia dal RPF, formando quindi una nuova maggioranza.
Il governo Pinay cerca di affrontare la situazione economica, provvedendo alla difesa del franco attraverso la riduzione delle spese dello Stato, l’amnistia fiscale e il ricorso al «prestito Pinay». La ripresa dell’economia francese, stimolata dal conflitto coreano, si accompagna infatti all’innesco di una spirale inflazionistica causata principalmente dalla poca flessibilità dei meccanismi di controllo di prezzi e salari.
Nonostante i tentativi di resistenza il governo finisce per cedere ai sindacati e istituire la scala mobile ‒ meccanismo che avrebbe dovuto provvedere ad adeguare automaticamente i salari ai prezzi ‒ anche se solo al Salaire minimum garanti (SMIG). Il mancato miglioramento della situazione porta alle dimissioni di Pinay nel dicembre 1952. I suoi successori, ovvero il radicale René Mayer e l’indipendente Joseph Laniel, avrebbero mantenuto la stessa maggioranza.
In politica estera continuano ad essere centrali due temi: quello coloniale e quello europeo. Nonostante la crescita sul fronte interno dell’opposizione alla guerra, Pinay e i suoi successori si rifiutano di negoziare con i comunisti di Ho Chi Minh, appoggiando i comandi delle Forze Armate, propensi a una risoluzione militare del problema. In Nordafrica si organizzano eserciti di liberazione nazionale e i partiti nazionalisti marocchino (Istiqlal) e tunisino (Neo-Destour) si coordinano tra di loro, trovando l’appoggio dell’MTLD (Mouvement pour le triomphe des libertés démocratiques) algerino.
Nell’agosto del 1953 una rivolta delle famiglie feudali, con l’appoggio francese, destituisce il sovrano marocchino Mohammed V. Per quanto riguarda l’Europa, il governo Pinay firma il trattato CED nel maggio 1952, senza essere in grado di farlo ratificare dall’Assemblea Nazionale, dove sarà discusso per la prima volta solamente nel gennaio 1953, venendo successivamente respinto. La motivazione principale che spinge gli anticedisti è quella di impedire il riarmo della Germania, cosa che sarebbe comunque avvenuta nel 1955 con l’ingresso della RFT (Repubblica Federale Tedesca) nella NATO.
Un sistema politico instabile
Sebbene la fragilità del sistema istituzionale della IV Repubblica si manifesti fin da principio, l’esistenza di una maggioranza definita ne permette il funzionamento fino al 1951. Tutto ciò cambia con la fine dei governi di Terza forza, che contribuisce a dare maggiore instabilità al sistema. A questo si aggiunge la fine del mandato presidenziale di Vincent Auriol, cui succede nel dicembre 1953 René Coty. Il nuovo presidente della Repubblica interpreterà il ruolo in maniera più neutrale, accettando le decisioni della maggioranza parlamentare piuttosto che indirizzare l’azione dei governi.
Proprio l’esecutivo è nella posizione di maggior debolezza, in quanto il capo del governo prende le proprie decisioni solo all’interno del Consiglio dei ministri ed è obbligato a far controfirmare i suoi atti da uno dei suoi ministri. In più ogni crisi parlamentare tende a risolversi con la sostituzione del presidente del Consiglio, fatto cui fa riscontro una certa continuità dei singoli ministri, che svolgono la loro attività con una certa autonomia. Il Parlamento esercita un controllo permanente sull’esecutivo, anche grazie allo strumento delle interpellanze.
Addirittura al momento della costituzione del governo i deputati votano una prima volta per l’investitura del presidente del Consiglio, sistema pensato in origine per assicurare la preminenza del presidente sul Collegio dei ministri, e una seconda alla presentazione del governo. Un modo per ridurre l’onnipotenza dei parlamentari diventa così l’utilizzo frequente della mozione di fiducia da parte dell’esecutivo.
Il Consiglio della Repubblica tende invece a svolgere una funzione conservatrice, frenando ogni eccesso di azione riformatrice. Comunque l’attività parlamentare risulta poco efficiente sia a causa della cattiva programmazione dei dibattiti e della tendenza a non rispettare gli ordini del giorno, sia del modo in cui sono organizzati i partiti.
Questi ultimi, infatti, tendono a presentarsi nella maggior parte dei casi come un insieme di notabili con una grande libertà di manovra, data la scarsità dei mezzi di inquadramento, finendo per divergere spesso sulle questioni fondamentali. Inoltre essi risultano profondamente radicati nei propri territori di appartenenza ed esposti all’influenza dei gruppi di pressione.
La presidenza di Mendès France
Il governo Laniel cade nel giugno 1954, dopo che il 7 maggio le truppe del generale Giap hanno espugnato il forte di Dien Bien Phu, nel Tonchino, infliggendo una storica sconfitta all’esercito francese. A sostituirlo è chiamato il radicale Pierre Mendès France sostenitore della necessità di una riforma delle istituzioni, sintetizzata dal motto «Governare significa scegliere».
La maggioranza su cui fa affidamento il nuovo capo del governo è uno schieramento composito che va dai socialisti alla destra, lasciando all’opposizione il PCF e l’MRP, nonostante alcune personalità in «permesso di partito» figurino nell’organico dell’esecutivo. L’idea di Mendès France è di rafforzare il ruolo del governo, che deve essere messo in grado, terminato il momento della discussione, di poter applicare efficacemente il proprio programma.
In tale direzione va, almeno nelle intenzioni, la «réformette» costituzionale approvata il 7 dicembre 1954, risultata in realtà poco incisiva. Si ritorna al sistema di una sessione parlamentare ordinaria, fatta iniziare ad ottobre in modo da poter votare il bilancio, rendendo quindi inutile il ricorso alla sessione straordinaria. Viene soppresso il sistema della doppia investitura dell’esecutivo da parte della maggioranza, che vota ora solo al momento della presentazione del governo.
Infine sono estesi i poteri del Consiglio della Repubblica, cui viene tolto il potere di veto, reintroducendo la «navette» ‒ ovvero il passaggio da una Camera all’altra dei progetti di legge prima dell’approvazione finale. È introdotto però un termine di cento giorni per l’approvazione a partire dal momento in cui il testo è adottato in Assemblea Nazionale. La modernizzazione della Repubblica è perseguita poi anche attraverso una politica del consenso basata sull’utilizzo della stampa, i «discorsi del caminetto» e l’aumento dei viaggi verso la provincia, che avvicini elettori e istituzioni. A ciò si coniuga poi la selezione di tecnici competenti al fine di poter applicare scelte politiche efficaci.
Per quanto riguarda la politica estera, nella primavera del 1954 Mendès France porta a termine, durante la conferenza di Ginevra sui problemi asiatici, un accordo che divide l’Indocina in due. La ratifica del trattato da parte dell’Assemblea nazionale avviene senza grossi problemi, ad opporsi sono principalmente l’MRP e la maggioranza dei gollisti, mentre gli indipendenti si astengono.
Anche nei confronti della Tunisia si decide di porre fine alla politica della fermezza, fatto che conduce alla dichiarazione di Cartagine del 31 luglio 1954. Mendès France si impegna in quell’occasione a concedere l’autonomia interna al protettorato nordafricano, procedendo a un graduale processo di decolonizzazione. In ultimo, come si è anticipato l’Assemblea il 30 agosto decide di sospendere la discussione del trattato CED, provocandone l’affossamento.
L’ingresso tedesco nell’organizzazione atlantica, seguito naturale degli accordi di Londra dell’ottobre 1954 che avevano riconosciuto la sovranità della RFT, è frutto della strategia alternativa portata avanti da Mendés France, che l’MRP addita come principale responsabile del «crimine del 30 agosto».
In campo economico, in cui viene lasciata libertà d’azione al ministro delle finanze Edgar Faure, è perseguita una politica di modernizzazione basata sull’intervento statale. La ristrutturazione e il decentramento industriale, insieme allo sviluppo dell’agricoltura è però ritenuto inscindibile da una riduzione delle spese militari, da una forte liberalizzazione degli scambi e dalla collaborazione tra la madrepatria e l’oltremare. Sono poi portate avanti la lotta all’alcolismo, la promozione del latte e una politica sanitaria incentrata sulla costruzione di nuove strutture ospedaliere.
Dal governo Faure al nazional-mollettismo
Il 1° novembre 1954 inizia l’insurrezione in Algeria con una trentina di attentati, subito rivendicati con un appello radiofonico dal FLN. Dopo una reazione ferma, che spinge il ministro degli interni François Mitterand ad affermare «l’Algeria è Francia» ‒ la regione algerina è infatti territorio metropolitano e lì vive circa un milione di francesi, i cosiddetti «Pieds-Noirs» ‒ si pensa a un programma di riforme, cui si accompagna la nomina a governatore il 25 gennaio 1955 del gollista Jacques Soustelle, fautore di una politica di apertura nei confronti della maggioranza musulmana.
Tali politiche non vengono viste di buon occhio dalla destra parlamentare. Il 5 febbraio 1955 il governo Mendès France, che con le politiche dei mesi precedenti si era inimicato vasti settori dell’Assemblea Nazionale, viene sfiduciato al termine di un dibattito sulla crisi algerina.
Alla presidenza del Consiglio gli succede quindi Edgar Faure, che porta avanti la linea politica del governo precedente, tant’è che si è parlato di mendesismo senza Mendès. L’azione del nuovo esecutivo viene però destabilizzata dagli stessi sostenitori di Mendès France, che guardano a un profondo rinnovamento del Paese, dovendo fronteggiare dall’altra parte un diffuso dissenso esteso a larghi settori della popolazione alla cui testa si mettono l’UDCA (Union de Défénse des Commerçants et Artisans) e l’UFF (Union et Fraternité Française), sotto la guida di Pierre Poujade. In questa situazione Faure decide di procedere allo scioglimento delle Camere, scelta che, rompendo con la prassi consolidatasi dal 1877, causa numerose proteste nell’opposizione.
Le elezioni del 2 gennaio 1956 vedono quindi fronteggiarsi quattro schieramenti. Oltre all’estrema destra poujadista, che riesce a ottenere il 12,6% delle preferenze, si contrappongono il Fronte repubblicano ‒ formato dalla SFIO, dal Partito Radicale, dall’UDSR e dai gollisti progressisti ‒ il PCF e la coalizione di destra ‒ formata da radicali di destra, l’MRP, i gollisti e il CNIP ‒ alla cui guida si pone Antoine Pinay.
Né il Fronte Repubblicano (27,7% dei voti e 180 seggi) né la coalizione di centro-destra (32,9% dei voti e 207) hanno tuttavia i numeri per governare da soli. Coty decide comunque di rivolgersi al Fronte Repubblicano per formare il nuovo governo, evitando però di dare l’incarico a Mendès France, inviso a MRP e PCF, e optando quindi per il segretario generale della SFIO Guy Mollet, che, presentatosi in aula, ottiene la fiducia il 1° febbraio 1956, con 420 voti a favore e solo 71 contrari (poujadisti e alcuni gollisti di destra).
Il governo Mollet con i suoi quasi sedici mesi di vita sarà il più longevo della IV Repubblica, facendo ricorso spesso e volentieri al voto di fiducia per tenere la maggioranza compatta nelle votazioni più importanti. In primo luogo la vocazione socialista del nuovo esecutivo, che, appoggiato dai sindacati, guarda all’esperienza del Fronte popolare di Léon Blum, si concreta in una serie di provvedimenti sociali, introducendo la terza settimana di ferie pagate, migliorando la pensione dei lavoratori anziani tramite un Fondo di solidarietà finanziato con le tasse, aumentando i rimborsi per le spese mediche da parte della previdenza sociale e promuovendo una legge quadro per lo sviluppo dell’edilizia popolare. Tali provvedimenti causano però un aumento del carico finanziario dello Stato, accelerando al contempo l’inflazione, fattori a cui contribuiscono comunque grandemente le spese per la guerra in Algeria.
Il governo Mollet si trova a gestire anche il rilancio della politica europea, che porta alla firma del trattato di Roma il 25 marzo 1957. Se la Francia è uno dei principali fautori dell’EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica), dividendosi il dibattito interno tra sostenitori dell’utilizzo civile dell’energia atomica e del suo utilizzo bellico, più cauta è l’adesione alla CEE (Comunità Economica Europea), che gollisti e comunisti vedono nei termini di una cessione di sovranità, mentre alcuni settori progressisti (Mendès France) non ritengono il Paese sufficientemente attrezzato per affrontare la competizione degli altri Stati europei.
Per quanto riguarda la politica coloniale viene concessa l’indipendenza a Tunisia e Marocco. Il ministro dei territori d’oltremare Gaston Deferre, provvedeva a far approvare il 23 giugno 1956 dall’Assemblea Nazionale la legge quadro sull’Africa nera che, promuovendo lo sviluppo economico e sociale di quei paesi, istituiva il suffragio universale e prevedeva la creazione di Consigli governativi locali, ampliando le competenze delle assemblee elettive.
La crisi algerina
A oscurare le politiche riformiste del governo Mollet intervengono due eventi, che contribuiscono in larga parte alla sua caduta. In primo luogo nel novembre 1956 la Francia partecipa insieme al Regno Unito e a Israele al fallimentare tentativo di intervento in Egitto, dove il presidente Gamal Abd el-Nasser ha deciso di nazionalizzare il canale di Suez, terminato in seguito all’interposizione del presidente USA Eisenhower.
Al contrario di quanto succede in Gran Bretagna, dove il premier Anthony Eden da le dimissioni, l’esecutivo guidato da Mollet riesce a rimanere in sella. In contemporanea però si registra un peggioramento nel teatro algerino. Immediatamente dopo la sua investitura Mollet si era recato il 6 febbraio 1956 ad Algeri per annunciare la nomina del nuovo ministro residente Catroux. I «piedi neri» lo avevano accolto, nel corso di una vera e propria sommossa, con lanci di uova e pomodori, non perdonandogli l’allontanamento di Soustelle, sostenitore dell’«Algeria francese».
Nonostante la sostituzione di Catroux con Robert Lacoste, da quel momento inizia un’escalation militare nella regione. Il 12 marzo 1956 l’Assemblea nazionale accorda i poteri speciali al governo per fronteggiare la ribellione. La politica di riforme lascia spazio al nazional-mollettismo. Sono richiamati i riservisti, il servizio militare è prolungato da 18 a 30 mesi e vengono raddoppiati gli effettivi militari in Algeria da 200.000 a 400.000 unità.
Viene lasciata mano libera all’esercito per contrastare l’offensiva dell’FLN e il generale Massu, cui sono conferiti pieni poteri, non esita a utilizzare la tortura e il controterrorismo pur di piegare gli avversari. Nonostante la resistenza algerina subisca una sonora sconfitta con la «battaglia di Algeri» nel gennaio 1957, i metodi utilizzati dalle Forze Armate causano una forte ondata di indignazione nell’opinione pubblica francese. Tutto ciò porta alla caduta del governo Mollet il 22 maggio 1957 quando in Assemblea Nazionale è all’ordine del giorno la votazione per un incremento delle tasse a favore di nuovi programmi sociali.
Il sistema politico entra ora nella sua massima fase di instabilità. Occorrono tre settimane di negoziati prima di arrivare alla formazione di un nuovo governo, guidato dal radicale Maurice Bourgès-Maunoury, che dura solamente quattro mesi, cadendo sull’approvazione di un progetto di legge orientato a concedere elezioni a collegio unico in Algeria.
Dopo trentasei giorni di contrattazioni si forma quindi un nuovo governo guidato da Félix Gaillard, sempre appartenente al partito Radicale, il più giovane presidente del Consiglio della storia repubblicana a quella data. In generale tutti i partiti della maggioranza sono attraversati da una profonda divisione interna in merito al comportamento da tenere nei confronti della guerra.
Anche le opposizioni risultano delegittimate. Se da una parte il PCF è alle prese con le conseguenze della destalinizzazione e dell’invasione dell’Ungheria, dall’altra l’estrema destra poujadista non riesce a dare vita a nessuna concreta proposta di governo. Per contro l’andamento sul campo della guerra tende a confortare l’azione intrapresa dai comandi militari, sempre di più tentati a guardare a sé stessi come detentori anche del potere civile.
A ciò si aggiunge l’internazionalizzazione della crisi algerina. L’8 febbraio 1958, l’aviazione francese nel tentativo di colpire un campo di addestramento dell’FNL bombarda il villaggio tunisino di Sakhiet Sidi Youssef, facendo sessantanove vittime. Il presidente Habib Bourguiba porta il caso davanti alle Nazioni Unite, così viene inviata una missione anglo-americana per cercare di pacificare le relazioni tra Tunisi e Parigi. Il governo Gaillard è quindi sfiduciato in Parlamento il 15 aprile 1958 da uno schieramento composito che va dal PCF fino all’estrema destra.
La fine della IV Repubblica francese
Il presidente Coty cerca a questo punto di affidare l’incarico prima a George Bidault e poi a René Pleven, che non riescono a costruire una nuova maggioranza parlamentare. L’investitura di Pierre Pflimlin alla fine apre le porte a una soluzione negoziale in Algeria. Il malcontento per questa scelta porta a una nuova manifestazione dei francesi residenti il 13 maggio, che esplode ben presto in una sommossa.
Ciò porta alla creazione di un Comitato di salute pubblica in Algeri, la cui presidenza è affidata al generale Massu. Il tentativo dei militari di imporre la propria volontà al governo in fase di formazione trova risposta nella volontà delle forze politiche di difendere le istituzione repubblicane. Il nuovo esecutivo si trova così a poter disporre di una maggioranza parlamentare ben più ampia del previsto. Il 16 maggio è proclamato lo stato di emergenza.
Lo scontro con il Comitato di salute pubblica, che estende la sua influenza sul territorio algerino, porta Pfimlin ad accordare i pieni poteri al generale Salan, comandante in capo dell’esercito d’Algeria, che il 15 maggio lancia un appello a De Gaulle, il quale risponde dichiarandosi pronto ad assumere i poteri della Repubblica, volontà confermata nel corso di una conferenza stampa il 19 maggio successivo. A questo punto la situazione si fa tragica. Il 24 maggio alcuni paracadutisti sbarcano in Corsica, dando inizio alla ribellione dell’isola.
Il governo reagisce alla notizia di un prossimo intervento nella madrepatria censurando la stampa e avviando la procedura di revisione costituzionale. Il 27 maggio avviene un incontro tra Pflimlin e De Gaulle. Il generale, mettendo pressione sui parlamentari e l’opinione pubblica, fa sapere di aver dato inizio al processo necessario all’instaurazione di un nuovo governo repubblicano.
Nonostante le manifestazioni di solidarietà alla Repubblica provenienti dalle sinistre e dai sindacati, il 28 maggio Pflimlin si dimette e Coty da l’incarico a De Gaulle, il quale, dopo aver dato vita a un gabinetto che comprende i principali leader politici, il 2 giugno ottiene poteri speciali in merito alla questione algerina e il mandato di elaborare una nuova Costituzione.
Fonti:
- Loi du 2 novembre 1945 portant organisation provisoire des pouvoirs publics: https://www.conseil-constitutionnel.fr/les-constitutions-dans-l-histoire/loi-du-2-novembre-1945-portant-organisation-provisoire-des-pouvoirs-publics
- Progetto di Costituzione 1ͣ Assemblea Costituente: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/documenti/ministerocostituente/p2_Vol1_5.pdf (La Costituzione della Francia, in 11 Costituzioni, a cura del Ministero per la Costituente, Roma, 1946, pp. 59-140)
- Costituzione del 27 ottobre 1946: http://www.dircost.unito.it/cs/docs/francia194.htm
- Loi constitutionnelle du 7 décembre 1954 tendant à la révision des articles 7 (addition), 9 (1er et 2e alinéas), 11 (1er alinéa), 12, 14 (2e, 3e et 4e alinéas), 20, 22 (1ère phrase), 45 (2e, 3e et 4e alinéas), 49 (2e et 3e alinéas), 50 (2e alinéa) et 52 (1er et 2e alinéas) de la Constitution (JORF du 8 décembre 1954): https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000000687642
- Brizzi, M. Marchi, Storia politica della Francia Repubblicana (1871-2011), Firenze, Le Monnier, 2011.
- Duverger, Le Costituzioni della Francia, Napoli, ESI,1984 [Les constitutions de la France, Presses Universitaires de France, 1983].
- Guerrieri, Costituzioni allo specchio. La rinascita democratica in Francia e in Italia dopo la liberazione, Bologna, il Mulino, 2021.
- F. Sirinelli, R. Vandenbussche, J. Vavasseur-Desperriers, Storia della Francia nel Novecento, Bologna, il Mulino, 2003 [La France de 1914 à nos jours, IV ed., Paris, PUF, 2000].
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Brizzi, M. Marchi, Storia politica della Francia Repubblicana (1871-2011), Firenze, Le Monnier, 2011.
- Sandro Guerrieri, Costituzioni allo specchio. La rinascita democratica in Francia e in Italia dopo la liberazione, Bologna, il Mulino, 2021.
- F. Sirinelli, R. Vandenbussche, J. Vavasseur-Desperriers, Storia della Francia nel Novecento, Bologna, il Mulino, 2003 [La France de 1914 à nos jours, IV ed., Paris, PUF, 2000].