CONTENUTO
Nell’estate del 1944 le vittorie degli Angloamericani nell’Italia centro-meridionale fanno pensare che anche la liberazione del settentrione italiano sia imminente. I partigiani passano pertanto all’offensiva ma, nell’autunno, i tedeschi arrestano l’avanzata degli Alleati sulla “Linea Gotica” e, poco dopo, il generale angloamericano Harold Alexander emana un proclama con cui chiede ai partigiani di cessare ogni operazione. Il movimento resistenziale si vede quindi abbandonato dagli Alleati.
Le vittorie anglo-americane nell’estate del 1944
Nel maggio-giugno del 1944 gli Alleati anglo-americani in Italia sfondano la “Linea Gustav” che, creata il 4 ottobre 1943 per volere di Hitler, divide in due la penisola italiana e si estende dalla foce del fiume Garigliano al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona in provincia di Chieti; le forze alleate travolgono il fronte tedesco a Montecassino dopo una lunga battaglia e liberano Roma.
La liberazione della capitale è un duro colpo per i nazi-fascisti. Uno di loro scrive nel suo diario:
«Purtroppo la terribile notizia è vera. I tedeschi hanno sgomberato Roma per non esporla alla distruzione e la città è stata occupata dal nemico. Ho passato la giornata trasognato e stordito, come se avessi preso una mazzata sul capo.»[1]
Le azioni partigiane nell’estate 1944 e le Zone libere
Le vittorie angloamericane fanno credere alla popolazione italiana che gli Alleati non troveranno ulteriori ostacoli e che entro l’estate libereranno tutta l’Italia. Nell’estate del 1944, i partigiani decidono di passare perciò all’offensiva privilegiando il sabotaggio dei ponti e l’attacco ai presidi fascisti. Vengono distrutti e danneggiati oltre una decina di ponti, alcuni di rilevante importanza per le comunicazioni tedesche e sono, inoltre, realizzati un gran numero di attacchi contro i presidi della Guardia Nazionale Repubblicana, forza armata della Repubblica Sociale Italiana (RSI).
In questi stessi giorni, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) lancia un appello perché, nelle zone liberate, si creino delle forme di governo amministrativo. Nascono così le “Repubbliche partigiane” o “Zone libere” dislocate lungo l’arco delle Alpi e dell’Appennino Settentrionale. Queste raggiungono il maggior numero in Piemonte, ma si costituiscono in ogni parte dell’Italia del Nord, e sorgono in periodi diversi, alcune precocemente come la Repubblica di Montefiorino (17 giugno), altre più tardi come l’Ossola (10 settembre) o la Carnia (1° agosto). Diversa è anche la loro durata, per esempio quella di Alba è “zona libera” solo per tre settimane.
In Piemonte si ricordano: la Repubblica della Val di Lanzo; la Val Maira; la Stura; la Grana; Gesso; la Varaita; le Langhe; L’Astigiano; la Valsesia e la Val d’Ossola; l’Alto Monferrato; l’Alto Tortonese. In Lombardia: l’Oltrepò pavese e il Varzi. In Liguria: la Repubblica di Torriglia fra Genova e Piacenza; e quella di Imperia. In Emilia-Romagna: tutte le maggiori vallate appenniniche fra Parma e Modena; la Val Ceno; la Val Taro; la Val d’Enza e Val Parma; Montefiorino; il Bobbio. Infine nel Veneto: la zona dell’Altipiano del Cansiglio. Nel Friuli la Carnia e nel Cuneese quella di Alba.

I tedeschi cancellano le “Repubbliche partigiane”
Nell’autunno 1944 i tedeschi fermano l’avanzata alleata verso il Nord sulla “Linea Gotica”, che loro stessi avevano creato nel tentativo di rallentare l’esercito nemico comandato dal Generale Harold Alexander. La Linea si estendeva dalla provincia di Apuania in Toscana, fino alla costa adriatica di Pesaro nelle Marche.
Conseguentemente, la sperata saldatura fra le truppe alleate e i reparti partigiani non avviene. I tedeschi, non sentendosi più minacciati dall’avanzare dell’esercito nemico, inviano truppe per porre fine all’esistenza delle “Zone libere”. Tra fine estate e autunno del 1944, l’offensiva nazifascista ottiene i risultati sperati anche a seguito dello scarso armamento dei partigiani che per tutto il mese di ottobre non sono riforniti dai lanci alleati che vengono, infatti, sospesi e ripresi solo nel novembre 1944.
Il proclama Alexander
Il 13 novembre 1944, dopo gli scontri con l’esercito tedesco sulla “Linea Gotica”, il Generale Harold Alexander, comandante delle truppe alleate nel Mediterraneo, diffonde per radio un discorso rivolto agli aderenti alla Resistenza armata nel Nord Italia. Il Generale dichiara conclusa la campagna estiva degli eserciti Alleati e richiede ai partigiani:
- di cessare ogni operazione organizzata su vasta scala;
- di continuare solo nella guerriglia e nel sabotaggio purché il rischio non sia troppo grande;
- di attestarsi su posizioni difensive;
- di conservare munizioni e materiali in vista di nuovi ordini tramite radio o materiale scritto.
In seguito a questo proclama e ai successivi sviluppi bellici come lo spostamento di divisioni angloamericane dall’Italia alla Francia e all’Europa occidentale, i nazi-fascisti comprendono che il nemico non tenterà per il momento di oltrepassare la “Linea Gotica” ed intensificano pertanto le rappresaglie e i rastrellamenti contro i partigiani e le popolazioni del Nord Italia. In Emilia, l’intero CLN di Ferrara viene arrestato dai fascisti e consegnato alle SS tedesche.

Le conseguenze del proclama Alexander sul piano psicologico
Dopo il proclama del novembre del 1944 riprendono i lanci di aiuti da parte degli Alleati che erano stati invece sospesi per tutto il mese di ottobre. Nonostante ciò la decisione del Generale Alexander ha un forte impatto psicologico sul movimento partigiano che, dopo il primo momento di sconcerto, comincia a porsi numerosi dubbi sulle prospettive future e sulla stessa opportunità di continuare la lotta armata. La consapevolezza che la liberazione viene rinviata di settimane o anche di mesi diffonde, infatti, un sentimento di depressione nel movimento resistenziale che si interroga anche sulle effettive intenzioni dei comandi Alleati.
Molte Brigate partigiane attraversano, in questo momento, un periodo di sbandamento e si sfaldano. Altre, invece, riescono a rimanere compatte e decidono di non rispettare gli ordini del generale Alexander perché comprendono bene che, tornando a casa, sarebbe molto facile esser catturati dal nemico.
Inoltre, le formazioni partigiane vedono nella decisione angloamericana la volontà di ridimensionare radicalmente il peso politico e militare del movimento della Resistenza nella liberazione del Paese e prendersi loro tutti i meriti. Per molte Brigate di montagna, in questo periodo, si pone anche il problema di affrontare un altro rigido inverno. Scrive Magagnoli[2]:
“La diffusione del proclama Alexander del 13 novembre […] calò come una mannaia sulle aspettative della popolazione ormai ridotta alla fame e sul movimento partigiano che dovette improvvisamente mutare i propri indirizzi strategici, apprestandosi a trascorrere un inverno non previsto e a proseguire una lotta che si pensava ormai vicinissima alla conclusione. Affrontare un secondo inverno di guerra rappresentava una prospettiva che infastidiva e insieme preoccupava i comandi partigiani”.
La pianurizzazione della Resistenza
Alla fine del 1944, le strutture di comando della Resistenza, in seguito agli ultimi sviluppi del conflitto e al proclama Alexander, prendono la decisione di attuare la cosiddetta “pianurizzazione” che prevede lo spostamento in pianura delle formazioni partigiane ancora attive in alta montagna, lasciando solo piccoli nuclei nei territori più impervi.
Questa decisione comporta, per le Brigate, una marcia verso il fondovalle molto faticosa sia perché carichi di armi e munizioni, sia per il rischio costante di essere scoperti dai tedeschi il cui grosso delle truppe è dislocato proprio in pianura. Alcune formazioni, infatti, vengono decimate dal freddo e dalla fatica, o dagli scontri a fuoco con i nazifascisti.
Malgrado tutto, un gran numero di partigiani viene riposizionato in pianura dove sono attive le formazioni garibaldine e quelle autonome. Ciò comporta una ridefinizione delle rispettive zone di influenza e il coordinamento delle azioni. Passato l’inverno, molti partigiani rimangono in pianura e solo alcuni tornano in montagna.
La “pianurizzazione” è stata una strategia dovuta all’impossibilità pratica di continuare a combattere in montagna a causa:
- delle difficoltà di rifornimento;
- dell’avanzare di un rigido inverno;
- della pressione nemica ed anche della renitenza nell’aiutare i partigiani da parte della popolazione locale esasperata e terrorizzata in seguito alle rappresaglie e repressioni fasciste.
Testi
[1]La citazione proviene da un diario anonimo, presumibilmente di un dirigente fascista, conservato in ISRSC (Istituto Storico della Resistenza e Società Contemporanea), Anpi, Modena, cit. in C. Silingardi, Una provincia partigiana.
[2]Stefano Magagnoli, Oltre la rocca. Società, politica e istituzioni locali (Spilamberto 1914-1960), Centro di documentazione storica Francesco Borghi di Spilamberto, Artestampa, Modena, 1998, p. 81.
Magagnoli, Oltre la rocca. Società, politica e istituzioni locali (Spilamberto 1914-1960), Centro di documentazione storica Francesco Borghi di Spilamberto, Artestampa, Modena, 1998.
Claudio Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena (1940-45), Franco Angeli, Milano, 1998.
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- Lutz Klinkhammer, L’occupazione nazista in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, 2016.
- Marcello Flores, Storia della Resistenza, Laterza, 2019.