CONTENUTO
Il Concilio di Piacenza e i pellegrinaggi
Dall’1 al 5 marzo 1095 a Piacenza viene celebrato il Concilio di Piacenza in cui interviene una delegazione inviata dall’imperatore bizantino Alessio I Comneno, la quale chiede al pontefice “un aiuto contro i pagani per la difesa della Santa Chiesa”. Il basileus bizantino è alla ricerca di contingenti armati da affiancare alle proprie truppe per contrastare la penetrazione turca. A posteriori tale richiesta sarà vista come una sorta di via libera alla spedizione crociata. Le autorità dell’Occidente medievale rispondono bandendo una spedizione di massa per liberare il Santo Sepolcro dai popoli definiti pagani.
Gerusalemme è sotto il controllo islamico dal 638, dunque la motivazione di riconquista dei luoghi santi appare alquanto singolare, stanti i secoli di sostanziale ordinaria amministrazione da parte islamica dei posti venerati dal mondo cristiano. Per di più, nemmeno le motivazioni di natura confessionale reggono: non esistono all’epoca ragioni di uno scontro epocale tra mondo islamico e mondo cristiano. Non esistono in quanto non vi è conoscenza precisa degli insegnamenti dell’islam, comunemente percepito come una religione genericamente pagana. Solo mezzo secolo dopo l’abate cluniacense Pietro il Venerabile promuove la prima traduzione in lingua latina del Corano e di altri testi della tradizione islamica per conoscere meglio i fondamenti della religione musulmana.
Nell’XI secolo si ha una ripresa dei pellegrinaggi diretti ai principali luoghi santi (Gerusalemme, Roma, Monte Sant’Angelo sul Gargano, Santiago di Compostela e così via). La nascita del movimento crociato procede dal troncone dell’esperienza del pellegrinaggio medievale, ma di esso costituisce uno sviluppo peculiare, non sempre evidente dalle fonti dell’epoca che confondono pellegrini e crociati, perché la definizione dello status del crociato resta a lungo sospesa da parte della normativa canonica. L’affermazione del termine “crociata” avviene nella documentazione papale solo nel XV secolo.
L’appello di Clermont
Urbano II giunge in Francia nella tarda estate del 1095. Oltre alle questione religiose dibattute, durante il Concilio di Clermont (18-28 novembre) Urbano II lancia un appello il 27 novembre: la cristianità occidentale deve marciare sotto la guida di Dio per soccorrere quella orientale e liberare dai turchi i luoghi dove Cristo aveva vissuto. Chi muore in battaglia avrà l’assoluzione e la remissione di tutti i peccati. Il papa chiede a tutti i vescovi di predicare la crociata. Urbano dispone la partenza della crociata per il 15 agosto 1096, festa dell’Assunzione.
Il pontefice nei mesi precedenti ha visitato un vasto numero di località e santuari francesi. Tutto è stato pianificato allo scopo di massimizzare l’effetto dell’appello: numerosi laici giungono alla fine dei lavori conciliari per ascoltare le parole di Urbano II, il cui contenuto è verosimilmente già stato anticipato nel corso dei mesi trascorsi oltralpe dal papa.
Il contingente crociato nella prima crociata
L’appello sortisce un enorme riscontro. I principali capi che fanno voto di partecipare nei mesi successivi all’appello sono: il conte di Saint-Gilles Raimondo IV, il vescovo di Le Puy Ademaro di Monteil (a cui il papa affida la guida spirituale dell’impresa), Ugo di Vermandois fratello del re di Francia, Roberto Curtehose duca di Normandia, Roberto II conte di Fiandra e Stefano conte di Chartres e di Blois sono gli aristocratici francesi. Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, e i suoi fratelli Eustachio e Baldovino sono i maggiori esponenti teutonici.
Filippo I, re di Francia, e Enrico IV, imperatore del Sacro romano impero, non possono partecipare alla spedizione in quanto scomunicati. Il primo è accusato di bigamia, il secondo a causa della lotta per le investiture. Guglielmo II il Rosso, re d’Inghilterra, preferisce finanziare la spedizione del fratello maggiore, Roberto Curtehose, pagando 10 mila marchi in cambio della temporanea cessione del ducato di Normandia.
Anche i Normanni dell’Italia meridionale partecipano: Boemondo d’Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo aderisce subito alla crociata insieme al cugino Tancredi. Si fa crociato dopo essersi informato sui crociati giunti nel Mezzogiorno per andare a Costantinopoli. Non è solo per devozione: suo padre dopo essersi risposato, gli ha preferito il fratellastro, Ruggero Borsa. Ambisce ad ottenere un principato a discapito dell’Impero bizantino, che dodici anni prima ha infruttuosamente invaso al seguito del padre.
Le motivazioni dei crociati
Coloro che partono sono spinti da una molteplicità di sovrapposte motivazioni, un quadro molto più ampio e problematico rispetto all’idea della partecipazione alla crociata quale “valvola di sfogo” per cavalieri alla ricerca di guadagni materiali e vantaggi personali. L’insediamento in Terrasanta rappresenta un’opzione minoritaria per tutti coloro i quali fanno voto di farsi crociati.
Sarebbero i rami cadetti delle famiglie dell’aristocrazia feudale, privati di un’eredità adeguata al proprio rango che va al primogenito, ad aderire alla crociata in cerca di ricchezza e di avventure e a costituire i principali attori del movimento crociato nei secoli XII-XIII. In realtà, l’impresa si rivela molto dispendiosa per tutti i partecipanti, i quali prima di partire devono impegnarsi nella vendita o nella concessione in usufrutto dei propri beni al fine di racimolare il denaro necessario.
Non esiste, dunque, una ragione unica per fare voto di crociata:
- In primis, influiscono molto nella decisione i legami di fedeltà e parentela, che spingono guerrieri legati da consanguineità o da un comune vincolo di fedeltà verso il proprio signore a prendere la croce secondo reti di alleanze ben collaudate (partire al seguito del dominus rappresenta la migliore dimostrazione della propria lealtà e aiuta spesso a cementare ulteriormente i mutui rapporti).
- Vi sono ragioni di carattere penitenziale collegate a una professione come quella militare da molti percepita nei suoi aspetti peccaminosi e che nell’assunzione della croce vede la possibilità di scontare le colpe commesse grazie a una remissione dei peccati.
- Non meno rilevanti sono le ragioni di natura cavalleresca, basate sull’impellente necessità di difendere i luoghi in cui Cristo era vissuto, morto e risorto dalla minaccia di popoli “pagani”.
- Non ultimo, il fascino suscitato da Gerusalemme, luogo in grado di calamitare il devoto anelito di tanti pellegrini.
È difficile o impossibile valutare quali sono i motivi precisi delle migliaia di poveri che partecipano alla crociata, per i quali non esistono alcune fonti storiche, o addirittura quelli di importanti cavalieri, le cui storie sono state solitamente riscritte da monaci o chierici probabilmente senza troppa obiettività.
La crociata dei pezzenti
La notizia si sparge con stupefacente rapidità e suscita entusiasmi anche nei ceti più popolari. A partire dalla primavera del 1096 folle di cavalieri appartenenti alla nobiltà minore, pellegrini inermi e donne, trascinati dalle parole di alcuni predicatori, partono in anticipo rispetto ai piani prestabiliti. Il gruppo più numeroso, costituito in larga parte da uomini delle regioni germaniche, è guidato da Pietro l’Eremita, un carismatico predicatore di Amiens.
In sella ad un asino, convince molti a seguirlo alla volta della Terrasanta per liberare il Santo Sepolcro. In Germania Pietro riesce ad attirare all’idea della crociata alcuni membri della piccola nobiltà, come il conte Ugo da Tubingia, il conte Enrico di Schwarzenberg, Gualtiero di Teck, tre figli del conte di Zimmern e alcuni cavalieri, tra cui Gautier Sans-Avoir, tenente di Pietro e guida di un esercito separato.
Si tratta di gruppi poco organizzati e strutturati (famoso l’esercito Emicho von Leiningen), le cui azioni sfociano ben presto nei massacri della popolazione ebraica nelle città di Rouen, Spira, Worms, Magonza e Colonia, nonostante l’opposizione dei vescovi locali.
I disordini continuano anche nei territori ungheresi e bizantini: molti di questi gruppi saccheggiano villaggi e piccole comunità cristiane per reperire cibo e denaro. Arrivati a Costantinopoli il 1° agosto 1096, molti iniziano a derubare gli abitanti e a saccheggiare le chiese, costringendo l’imperatore Alessio Comneno a trasferirli in Asia Minore. Dopo aver attraversato l’Asia Minore, i crociati si dividono e cominciano a saccheggiare i villaggi, vagando nel territorio dei Selgiuchidi nei pressi di Nicea. Qui vengono massacrati in un’imboscata tesa loro dai turchi presso Civetot. Pietro l’Eremita scampa al massacro e fa ritorno a Costantinopoli dove attende l’arrivo dei contingenti ufficiali.
La crociata dei nobili
I principali contingenti seguono itinerari diversi per raggiungere Costantinopoli per non esaurire le risorse delle regioni incontrate. Partono nel giro di poche settimane di distanza gli uni dagli altri (agosto-settembre 1096).
L’armata lorenese guidata dai Buglione attraversa le regioni ungheresi. La maggior parte dei nobili francesi scende in Italia, sverna nel Meridione, attraversa l’Adriatico partendo dai porti della costa pugliese e per la via Egnatia arrivano a Costantinopoli. I provenzali guidati da Raimondo e Ademaro attraversano la pianura padana, l’odierna Croazia per poi entrare nell’area sotto il controllo bizantino. Boemondo parte da Bari e raggiunge Costantinopoli seguendo la via Egnatia.
Essi si radunano al di fuori delle sue mura cittadine tra novembre 1096 e i primi mesi del 1097. L’Imperatore si dimostra comprensibilmente sospettoso dopo aver vissuto le negative esperienze con la crociata dei pezzenti oltre che per la presenza tra i cavalieri del suo vecchio nemico Boemondo.
Alessio si preoccupa di trasportarli in Asia Minore il più rapidamente possibile. In cambio di truppe ausiliarie e rifornimenti, Alessio chiede ai condottieri crociati di giurare fedeltà e di riconsegnare all’Impero Bizantino qualsiasi territorio fossero riusciti a strappare al dominio dei Turchi. Goffredo fu il primo a proferire il giuramento e successivamente tutti gli altri nobili, con qualche resistenza, lo imitano.
Prima crociata: Assedio di Antiochia
Nella primavera del 1097 i contingenti crociati partono da Costantinopoli. Entrate in Anatolia, le armate crociate prendono in poco più di un mese la città di Nicea (14 maggio-19 giugno 1097). Il primo duro scontro tra crociati e turchi guidati da Kidilj Arslan avviene il 1° luglio nella pianura di Dorileo.
Qui per la prima volta si registra uno scontro campale tra crociati e turchi, un confronto tra due stili di guerra radicalmente opposti: mentre i primi si affidano alla cavalleria pesante, i secondi hanno nei loro rapidi cavalieri-arcieri il loro punto di forza. Nonostante il gran numero di turchi, ad avere la meglio sono le truppe cristiane (invulnerabili ai dardi), che in campo aperto caricano e travolgono i nemici, aprendosi la strada per Antiochia.
L’ampiezza delle mura antiochene non permette alle truppe cristiane di cingere la città d’assedio e nei primi mesi il blocco della stessa è parziale. Pertanto la popolazione assediata può in gran parte continuare ad essere rifornita. L’assedio ad Antiochia dura dal 21 ottobre 1097 al 3 giugno 1098.
È Boemondo a trovare la soluzione: mediate abili negoziazioni segrete anche agli altri crociati con un certo Firuz, responsabile della difesa di due torri, alcuni uomini guidati dal normanno riescono nottetempo ad entrare nella città scalando le mura con l’aiuto dello stesso Firuz.
Il giorno dopo arriva Karbuqa, atabeg di Mosul, per impadronirsi di Antiochia e spazzare via le truppe crociate. Le armate di Karbuqa assediano i crociati, affidandosi sulla cittadella sovrastante Antiochia, rimasta sotto il controllo delle autorità islamiche, e costringendo i crociati tra due fuochi in una città ormai stremata dal lungo assedio, dunque non in grado di fornire loro adeguate scorte alimentari.
Non pochi colgono l’occasione per fuggire. Stefano di Blois, uno dei condottieri crociati, si trova ad Alessandretta quando viene a conoscenza della situazione che si profila ad Antiochia. Ritiene erroneamente che la situazione sia disperata e quindi lascia il Medio Oriente e torna in Francia. Avverte (intorno al 20 giugno 1098) Alessio I, di stanza presso l’odierna Konya intento ad organizzare un’armata di soccorso, a soprassedere in tale impresa. Alessio, dunque, abbandona la spedizione.
Ai crociati che si trovano ad Antiochia ciò appare come un grave tradimento e molti ritengono il basileus Alessio uno spergiuro, indegno di ricevere la restituzione della città. Il 28 giugno 1098, i crociati sconfiggono Karbuqa in una battaglia fuori città. Confidando nella superiorità numerica, Karbuqa decide di attendere il dispiegamento crociato. Concede, dunque, un vantaggio tattico: poter sfruttare la carica frontale.
L’inaspettata vittoria e la definitiva conquista di Antiochia danno il via a una serie di discussioni tra i vari capi cristiani in merito a chi deve governare la città. Due le posizioni a confronto: quella di Boemondo e quella di Raimondo IV di Saint-Gilles. Boemondo si è fatto promettere dagli altri capi la custodia di Antiochia prima di rivelare di aver convinto Firuz al tradimento. Raimondo difende i diritti bizantini sulla città in base al giuramento di fedeltà prestato all’imperatore, nonostante sia stato l’unico capo ad opporsi a tale giuramento cedendo solo alla fine.
Nel frattempo, tra i cristiani scoppia un’epidemia di peste che uccide molti crociati, compreso il capo della spedizione Ademaro di Monteil. I musulmani della zona rifiutano di rifornire i crociati di cibo. Così, nel mese di dicembre, dopo che la città araba di Ma’arrat al-Nu’man viene conquistata dopo un assedio, i crociati sono protagonisti di atti di cannibalismo contro la popolazione locale. Al tempo stesso, i cavalieri e i soldati si dimostrano sempre più inquieti tanto da minacciare i loro capi di proseguire verso Gerusalemme senza di loro. All’inizio del 1099, dopo mesi di accesi dibattiti, prevale la posizione di Boemondo che assume il controllo di Antiochia.
La marcia verso Gerusalemme
I crociati marciano lungo la costa mediterranea incontrando una modesta resistenza. Le conquiste sono repentine anche perché sfruttano le rivalità e ostilità tra i vari potentati musulmani della zona. I vari emiri locali, interessati solo a preservare l’integrità dei propri domini, non ostacolano i cristiani. Anzi li riforniscono purché essi ripartano dai territori sotto il loro controllo. Solo l’inconcludente assedio di Arqa rappresenta una notevole eccezione a ciò. Le divisioni confessionali incidono poco sullo svolgimento della crociata, anzi favoriscono la penetrazione crociata.
Il panorama politico-religioso della regione mediorientale non è affatto uniforme: gli emiri si battono per espandere la propria area di azione a scapito dei rivali presenti nelle città circostanti. I principali soggetti politici islamici dell’area sono schierati su fronti religiosi opposti: i turchi Selgiuchidi aderiscono all’islam sunnita mentre i Fatimidi d’Egitto professano lo sciismo.
La conquista di Gerusalemme
Il 7 giugno 1099 i crociati arrivano a Gerusalemme, che solo un anno prima è stata riconquistata dai Fatimidi a spese dei Selgiuchidi. Goffredo e Tancredi si accampano a nord della città, Raimondo decide di stanziarsi a sud.
Il 13 giugno viene lanciato l’assalto contro Gerusalemme, senza il contingente di Raimondo. Il tentativo fallisce miseramente a causa della penuria di legno che impedisce la costruzione di macchinari bellici e scale. Il 15 si tiene un consiglio dei capi. Viene decisa la costruzione di macchinari e disposta la raccolta di legname. Due giorni dopo, sei navi cristiane (quattro inglesi, due genovesi) giungono nel porto di Giaffa.
Dalla metà di giugno fino alla metà di luglio si costruiscono due grosse torri mobili sotto il comando di Goffredo di Buglione e Raimondo di Saint-Gilles, in maniera autonoma l’uno dall’altro nei rispettivi accampamenti. La mattina del 15 luglio inizia l’attacco decisivo: la torre di Raimondo è posta verso la porta a sud mentre quella di Goffredo al muro settentrionale. Il primo contingente ad entrare in città è quello di Goffredo.
Gerusalemme cade nel giro di poche ore: inizia così il massacro indiscriminato che nelle intenzioni dei combattenti purifica la Città Santa dalla presenza pagana coinvolgendo la gran parte della popolazione locale per i tre successivi, ad eccezione di coloro che sono cristiani. Iftikhar al-Dawla, comandante della guarnigione, stipula un accordo con Raimondo impegnandosi a consegnare la cittadella in cambio della fuga ad Ascalona.
A testimonianza del contributo decisivo dato dai genovesi, guidati da Guglielmo Embriaco, e dalle loro torri d’assedio, lo stesso Goffredo di Buglione fa scolpire sull’architrave del Santo Sepolcro le parole a lettere d’oro “Praepotens Genuensium Praesidium” (“Grazie allo strapotere dei genovesi”) in ricordo dell’incredibile impresa.
Costituzione del Regno di Gerusalemme
Il 22 luglio si tiene un consiglio dei capi nella chiesa del Santo Sepolcro per eleggere uno di loro che regga la Città Santa per difenderla dal ritorno dei Fatimidi, che arrivano dall’Egitto. Raimondo rifiuta la designazione per riverenza nei confronti di Cristo. La scelta passa su Goffredo di Buglione, che accetta umilmente ma rifiuta la corona di una città il cui unico re è Cristo, optando per il titolo di advocatus Sancti Sepulchri (difensore del Santo Sepolcro).
La mattina del 12 agosto 1099, a nord della città di Ascalona, l’armata cristiana prende di sorpresa le schiere nemiche numericamente superiori, ma molto eterogenee e poco coordinate tra loro. Ancora una volta la carica compatta dei cavalieri cristiani sulle schiere guidate dal visir al-Afdal.
Goffredo governa Gerusalemme solamente per un anno, poiché muore nel luglio del 1100. È suo fratello, Baldovino di Edessa, il primo che assume il titolo di Re di Gerusalemme.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Luigi Russo, “I crociati in Terrasanta”, Carocci editore
- Peter Frankopan, “La prima crociata. L’appello da Oriente”, Bruno Mondadori