CONTENUTO
Il contesto storico: la Germania del primo dopoguerra
La prima guerra mondiale si traduce, notoriamente, come una grande sconfitta per la Germania. La pace punitiva messa a punto dalle potenze vincitrici presso Versailles nel 1919 si dimostra un compromesso, frutto degli egoismi espansionistici delle suddette, le quali riconoscono nella Germania la principale responsabile della Grande Guerra.
Le condizioni imposte alla potenza tedesca sono tanto numerose quanto umilianti, alimentano rancore e volontà di rivincita ma, soprattutto, minano inevitabilmente la stabilità politica ed economica a cui aspirano tutti i paesi (sia vinti che vincitori della Prima Guerra Mondiale). Il trattato di Versailles impone alla Germania di restituire l’Alsazia e la Lorena (sottratte al territorio francese al termine della guerra franco-prussiana) e di cedere altri territori alla Danimarca e alla Polonia; Inghilterra e Francia si spartiscono invece le colonie tedesche, la flotta viene del tutto eliminata, l’esercito può disporre di soli 100.000 uomini, dal cui reclutamento è esente la pratica della coscrizione. Infine, la potenza sconfitta deve restituire una cifra iperbolica (inizialmente 269 miliardi di marchi-oro, poi ridotta a 132) come riparazione dei danni che le vincitrici hanno dovuto subire nel corso del conflitto.
L’immediato dopoguerra riserva alla Germania anche altri notevoli cambiamenti. A seguito dell’abdicazione del Kaiser Guglielmo II e delle conseguenti tensioni interne al paese, viene instaurata la Repubblica di Weimar. E’ proprio Weimar la città in cui è stata elaborata la Costituzione nel 1918, rimanendo valida per appena 21 anni. La forma garantita al regime è quella federale, concedendo larga autonomia ai diciassette stati regionali.
Tuttavia, questo ordinamento politico si rivela essere un misto di parlamentarismo e presidenzialismo, un singolare compromesso tra la società urbana, moderna e industriale e quella ancora legata al passato imperiale. Non sorprende, perciò, che la Repubblica soffra sin dall’inizio di una grave carenza di legittimazione e stabilità, costantemente compromessa da molteplici insurrezioni, violenze e colpi di stato.
I gravi danni fiscali inflitti alla Germania vengono notevolmente aggravati dalla violentissima inflazione, a cui si cerca di far fronte attraverso la sovrapproduzione di cartamoneta, arrivando alla sua inevitabile svalutazione e all’aumento ulteriore dei costi di vita. Ridotta a queste condizioni di immensa debolezza, la potenza non trova il modo di ripagare i vincitori della guerra, se non con grande ritardo: motivo per cui la Francia, nel 1923, occupa la Ruhr, il più grande bacino industriale tedesco, infliggendo l’ennesima umiliazione ad un paese che reputa esso uno dei suoi grandi punti di forza.
La vera svolta economica per la Germania giunge solo nel 1924, attraverso il Piano Dawes. Creata dall’omonimo banchiere e politico statunitense, la proposta viene presentata alla conferenza di Parigi tenutasi nello stesso anno: essa prevede la rivalutazione e stabilizzazione del marco tedesco, ma soprattutto torna in vigore la possibilità per la Germania di ricevere prestiti internazionali. Questa clausola del Piano permette ad aziende e banche statunitensi, che dispongono di eccedenze finanziarie derivanti dal buon andamento dell’economia (risultato del grande flusso di esportazioni dell’ultimo decennio), di investire nei titoli o nelle attività finanziarie e produttive della Repubblica tedesca.
Sembra essere la soluzione perfetta: soddisfa entrambi i partner, ma soprattutto dà vita ad una circolazione finanziaria triangolare. Infatti le relazioni finanziarie transatlantiche, completamente bloccate dal 1921, sono adesso riattivate e anzitutto perfezionate. Le somme di denaro che giungono in Germania attraverso gli investimenti americani permettono di effettuare il pagamento delle riparazioni di guerra a Francia, Regno Unito e Italia e, a loro volta, esse pagano interessi e debiti contratti nei confronti degli Stati Uniti. A questo punto il circuito ricomincia, il meccanismo funziona e viene costantemente migliorato.
Se il Piano Dawes dimostra di essere la soluzione ai problemi finanziari della seconda metà degli anni venti, si rivela anche complice della catastrofe economica inflitta alla Germania (e all’intera Europa) alle porte degli anni trenta. Quando la crisi del 1929 si abbatte come una scure improvvisa sulla già debole Repubblica, la situazione deteriora completamente e la grande depressione presto si diffonde nell’intero Vecchio Continente. Nonostante la crisi abbia trovato la sua culla nel cuore della potenza americana, Wall Street, il Piano entrato in vigore cinque anni prima ha legato inestricabilmente le sorti economico-finanziarie delle potenze coinvolte.
Quello che originariamente è stato un circolo virtuoso è improvvisamente diventato vizioso e si diffonde come un virus: le banche statunitensi sono travolte e non possono logicamente più investire in titoli tedeschi – anzi, chiedono la restituzione del denaro -, le banche tedesche non sono in grado di risarcire le prime e smettono anche di ripagare le spese belliche contratte con le potenze europee. Dunque, sebbene con ritardo temporale, la crisi si presenta in Europa attraverso le medesime sembianze e sequenze con cui è nata e si è diffusa negli Stati Uniti.
L’ascesa del Nazismo
La crisi del 1929 colpisce la Germania con una potenza inaudita. L’economia tedesca dipende ormai quasi completamente dai finanziamenti derivanti dagli Stati Uniti e, quando l’economia statunitense entra in crisi, anche il sistema economico tedesco sprofonda: il largo aumento del debito pubblico, l’inflazione, il dimezzamento della produzione agricola e l’enorme crescita di disoccupazione (circa 6 milioni di persone perdono lavoro) ne sono gli aspetti più evidenti.
L’impatto economico, psicologico e sociale è devastante. Le famiglie sono in ginocchio, la disperazione si mescola alla paura e alla rabbia di una popolazione che brancola incerta nel buio, attraverso uno dei periodi storici più oscuri. Necessitano di certezze, conforto e sostegno che il governo non è in grado di fornire; anzi, questi anni corrispondono alla definitiva stagnazione della Repubblica di Weimar.
Queste tremende prerogative permettono al Partito Nazionalsocialista tedesco dei Lavoratori (Nsdap) di ricevere uno slancio definitivo. L’ascesa di Adolf Hitler, fondatore del Partito, avviene sfruttando tre risorse decisive: l’efficiente organizzazione delle violente forze paramilitari, un’abile propaganda dispiegata da nuovi mezzi di comunicazione, un leader carismatico nelle parole e nei comportamenti.
L’organizzazione della Nsdap è capillarmente diffusa nei diversi Lander e fondata sul criterio gerarchico di obbedienza al suo duce, Hitler, anche detto Fuhrer. La forza del Partito è garantita da due tipi formazioni paramilitari: le SA (Sturmabteilungen, sezioni d’assalto) che dal 1921 diventano esecutrici di violenza indirizzata principalmente a socialisti e comunisti, e le SS (Schutzstaffeln, milizie di protezione), le guardie del corpo di Hitler.
Entrambe formate da giovani ragazzi, le due organizzazioni devono incarnare la purezza dello stato razziale voluto dal nazismo e, attraverso il sistematico esercizio di brutalità fisica e psicologica, contribuiscono ad avvelenare di paura e tensione il clima in Germania. Inoltre, la loro esistenza e operato non fanno altro che accrescere il potere del Fuhrer, l’unico in grado di controllarle e quindi riportarle all’ordine.
La propaganda è invece affidata al Gauleiter (capo-distretto) del Nsdap, Joseph Goebbels, che comprende sin da subito l’importanza delle nuove tecnologie di comunicazione. Il suo imponente lavoro si basa sulla costruzione del mito del Fuhrer, registrando coreografie di massa e manifestazioni pubbliche in grado di suscitare e colpire con forti emozioni i cuori tedeschi.
Ma soprattutto, il nazismo manipola con grande maestria l’utilizzo di moderni mezzi di comunicazione, come quello della radio: una piccola radiolina portatile viene venduta a solo 35 marchi e avrebbe avuto un ruolo fondamentale per la diffusione dei messaggi di propaganda nazista, motivo per cui è stata ironicamente ribattezzata dal popolo come “la bocca di Goebbels”.
“(…) vogliamo educare il popolo tedesco in modo che realizzi che non c’è vita senza giustizia, non c’è giustizia senza potere, non esiste potere senza la forza, e che la forza deve nascere dal nostro popolo” (1).
Elemento imprescindibile ed essenziale del Partito, il leader carismatico è il ruolo efficacemente interpretato da Hitler, una figura cruciale della storia politica mondiale tra le due guerre. Il grande sociologo Max Weber sosteneva che il potere sociale del leader carismatico non dipenda affatto dalla sua potenziale discendenza aristocratica né da particolari funzioni o competenze: la sua riuscita risiede nell’instaurazione di un rapporto diretto e nell’immedesimazione con la massa alla quale si rivolge, attraverso le armi della retorica e la scenografia della propaganda.
Mein Kampf è il saggio autobiografico pubblicato nel 1925 dallo stesso Fuhrer, in cui espone il suo progetto di Stato razziale e delinea il suo programma politico. L’autore sostiene che il Volk germanico (popolo o nazione) necessiti del proprio Lebensraum (spazio vitale) per preservare la purezza del sangue ariano, affinché non venga contaminato da altre razze che lo avrebbero indebolito e condotto all’estinzione.
Dunque, al popolo di “razza superiore” si contrappongono inevitabilmente quelli di “razza inferiore”: la figura dell’ebreo è associata al tassello di un puzzle, quello che compone il “popolo senza spazio”, definito “parassita” ed “eterna sanguisuga” poiché dimora costantemente nell’habitat che appartiene ad altri popoli.
Appunto, la politica estera tedesca si sarebbe basata sulla convinzione puramente razzista che la Germania fosse biologicamente predestinata e legittimata ad espandersi verso est, sfruttando la propria forza militare. La guerra per lo “spazio vitale” avrebbe portato allo scontro con il tradizionale nemico russo, asiatico e comunista, dando vita ad un nuovo ordine europeo fondato sulla supremazia tedesca. Certo, a danno delle popolazioni sopraffatte e conquistate, ma sarebbe stato un dato del tutto irrilevante per un regime fondato sull’idea dell’assoluta superiorità del popolo tedesco.
In realtà, la chiave per l’affermazione del Nsdap risiede nel nazionalismo: l’obiettivo del popolo tedesco è adesso quello di ottenere la propria rivincita contro l’umiliazione subita al termine della Grande Guerra e a causa dell’avvilente pace punitiva inflittagli dalle potenze vincitrici. Per raggiungere questo traguardo, la Germania deve rimanere unita e costituire una comunità nazionale organizzata secondo rigidi modelli militari di gerarchia e obbedienza, escludendo ebrei e sinistre. Sono proprio costoro che tramano nell’ombra e desiderano la rovina del popolo tedesco: i primi indicati come corruttori della purezza e della forza della razza ariana, i secondi additati come causa di divisioni e conflitti interni al paese, pregiudicando la stabilità del governo.
Hitler sfrutta l’ingovernabilità del paese per diventare il protagonista principale del quadro politico tedesco, giovandosi della divisione e paralisi delle opposizioni politiche e dello sfinimento della stessa Repubblica: i cittadini sono infatti chiamati a votare per il Parlamento ben cinque volte dal 1928 al 1933. Nel mese di marzo del 1932, il popolo è invitato a partecipare alle elezioni per il nuovo presidente della Repubblica: Hitler si candida e ottiene il 37% dei voti; è dunque costretto ad accettare la vittoria di Hindenburg – che ha ottenuto il 57% dei suffragi – e il suo progetto di riportare in auge la tanto aspirata stabilità parlamentare nel paese.
Sono numerosi i tentativi della destra di escludere la Nsdap dal processo di costruzione di un governo. L’iniziale piccolo partito creato dal Fuhrer è ormai grande e forte. Gran parte degli iscritti è composta da giovani e giovanissimi, elemento apprezzato da molti simpatizzanti del Partito che interpretano questo come chiaro segnale di un’imminente rivolta generazionale, essi rappresentano il futuro del paese ed inevitabilmente si contrappongono all’età e all’aspetto dei repubblicani.
Un grande numero di sostenitori deriva direttamente dalla classe operaia, da contadini e disoccupati; il nucleo della classe elettorale è quello dei ceti medi, impiegati privati e pubblici, liberi professionisti e studenti. Inoltre, un significativo numero di imprenditori elargisce ampi finanziamenti per sostenere il Partito nazista.
Alle elezioni del 1932, i nazisti diventano il primo partito con il 37% dei voti e 230 deputati. Hindenburg è riluttante e perplesso, ma costretto ad accettare la realtà. Nel novembre dello stesso anno un autorevole gruppo di industriali e latifondisti – appoggiati da poteri economici ed esercito – convincono il presidente: il 30 gennaio del 1933 Adolf Hitler viene ufficialmente nominato cancelliere, il suo compito sarebbe stato quello di formare il governo. Questo è solo l’inizio della fine della Repubblica di Weimar.
Il Terzo Reich di Adolf Hitler
Il termine Reich (di probabile etimologia latina, rex, in italiano “re”) in tedesco significa “impero”. Il Primo Reich è stato il Sacro Romano Impero (esistito dall’800 al 1805), il Secondo Reich corrisponde alla Germania come nazione unificata (dal 1871 fino al termine della Prima Guerra Mondiale), il Terzo Reich richiama esplicitamente il regime totalitario nazista (costruito dal 1933 e smembrato nel 1945, alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale).
A differenza del fascismo, che ha cancellato il sistema parlamentare nel giro di alcuni anni, il nuovo governo nazista instaura in Germania una dittatura totalitaria in soli sei mesi. Il 1 febbraio 1933, il Reichstag (parlamento) è sciolto e pochi giorni dopo la sua sede viene data alle fiamme in circostanze piuttosto misteriose, ma la responsabilità è subito attribuita ai comunisti. Hitler sfrutta l’occasione per sospendere i diritti costituzionali (libertà di stampa, di associazione, di espressione), consente la violazione del segreto epistolare e autorizza il controllo dei telefoni, oltre ad ordinare alla polizia di arrestare migliaia di dirigenti e militanti comunisti.
Nel marzo dello stesso anno si tengono le nuove elezioni, questa volta accompagnate da pesanti intimidazioni e aggressioni dei gruppi paramilitari contro le opposizioni politiche. Il risultato è un ovvio trionfo per la Nsdap: i nazisti ottengono il 44% dei voti, risultato analogo a quello dei socialdemocratici, cattolici e comunisti sommati tra loro. L’esito pone Hitler nelle condizioni di formare l’ennesimo governo di coalizione con il partito nazionalpopolare, ma il Furher non ha intenzione di governare in un contesto parlamentare e vuole assumere il controllo totale.
Il nuovo parlamento è subito chiamato per votare una legge che conferisce pieni poteri al governo. Il provvedimento, per cui la Costituzione richiede una maggioranza di due terzi, entra in vigore grazie all’assenza dei deputati comunisti e parte dei socialdemocratici (dichiarati decaduti e arrestati dopo il drammatico evento di febbraio): esso conferisce al governo la possibilità di legiferare anche in contrasto con la Costituzione e può gestire la politica internazionale.
Il giorno dell’insediamento del nuovo parlamento (21 marzo 1933) viene organizzata una manifestazione pubblica per celebrare l’ordine e la tanto attesa pace nel paese, mentre il capo delle SS inaugura nella cittadina di Dachau un nuovo campo di concentramento, destinato alla reclusione di oppositori politici. Si tratta di un carcere parallelo a quello statale e del tutto autonomo rispetto alla legge e allo stato: entro la fine dell’anno il numero dei detenuti raggiunge i 200.000, tutti sottoposti ad un costante regime di violenza esente da qualunque tipo di controllo.
Il governo si è ormai dotato di tutti gli strumenti “legali” per agire in totale legittimità e può dunque mettere in atto la Gleichschaltung (politica di coordinamento): una vasta operazione dotata di una fitta serie di leggi e iniziative volte a dare vita alla struttura ultimata del Terzo Reich.
Sotto la direzione di Goebbels la radio diventa voce ufficiale del regime, a cui anche la stampa è completamente asservita attraverso la censura e l’abolizione di pubblicazioni incoerenti. Nel maggio 1933 la Germania nazista si macchia anche della sua prima uccisione simbolica, quella dei libri. Nelle ore notturne vengono dati alle fiamme decine di migliaia di libri (25.000 solo nella città di Berlino) scritti da autori considerati antinazionali, distruggendo il fiore della cultura e letteratura tedesca dei secoli precedenti dinanzi agli occhi febbricitanti di accesi sostenitori.
L’opera di Hitler può dirsi conclusa il 4 luglio dello stesso anno, quando promulga una legge che vieta la ricostituzione dei partiti: la Nsdap è l’unico partito legalmente ammesso, identificandosi ormai con lo Stato stesso.
Dopo la conquista del potere, Ernst Rohm (capo delle SA) vuole scatenare una rivoluzione contro i poteri forti economico-sociali e ambisce esplicitamente a diventare capo dell’esercito regolare. Hitler vuole invece consolidare e proteggere il proprio potere, e interpreta queste volontà come una concreta minaccia alla sua leadership. Con il pretesto di un tentato colpo di stato il Fuhrer ordina alle SS di attaccare le SA, nell’evento che viene notoriamente ricordato come “Notte dei lunghi coltelli”: Rohm e buona parte dei dirigenti vengono assassinati, assieme ad antichi oppositori ed esponenti politici dei partiti ormai sciolti.
La formazione paramilitare delle SA continua a sopravvivere sotto l’attento controllo di Hitler, ma il suo ufficiale braccio operativo diventa quello delle SS. Paradossalmente, quella notte è ampiamente apprezzata dalla popolazione, che interpreta l’evento come la conclusione delle angherie perpetrate dall’organizzazione. Ne giova sicuramente anche il mito del Fuhrer: un capo severo ma giusto, in grado di saper punire anche un alleato colpevole.
Nel mese di agosto del 1934 muore Hindenburg e Hitler può finalmente diventare presidente della Repubblica: il suo potere è ufficialmente illimitato. Alla base del sistema nazista rimane sempre l’idea di dominio assoluto e violento, ma soprattutto permane la volontà di costruire uno Stato pensato esclusivamente per i cittadini di pura razza ariana. In questa categoria non rientrano i criminali comuni, i vagabondi, gli zingari, le prostitute, gli ubriachi, gli immigrati, gli omosessuali, gli ebrei e i testimoni di Geova; insomma, tutti coloro che sono indicati come “asociali” dal regime.
La soluzione per questo gruppo di persone sembra giungere con le Olimpiadi del 1936: la Germania deve rappresentare la vetrina del regime e rispettare tutti i suoi maggiori principi, motivo per cui le SS e la Gestapo (la polizia segreta) “ripuliscono” le città da tutti coloro che non sono reputati veri tedeschi, trasportandoli forzatamente e senza processo all’interno dei numerosi campi di concentramento edificati nel corso dei mesi.
La politica demografica del nazismo
Tassello importante che compone la Germania nazista è sicuramente quello della politica demografica. La forza militare del Reich cresce sempre più, la popolazione deve essere forte, sana e soprattutto numerosa per espandersi territorialmente e insediarsi nel Lebensraum altrui. Per questi motivi viene fortemente incoraggiato l’aumento della natalità (nelle coppie sane di pura razza ariana) attraverso prestiti agevolati concessi alle coppie la cui moglie rinuncia all’occupazione per dedicarsi alla famiglia e benefici fiscali per i nuclei familiari più numerosi. I risultati sono flagranti: l’unico paese occidentale in cui il tasso di natalità cresce vistosamente è proprio quello tedesco.
La crescita degli abitanti ariani va di pari passo con l’eliminazione dei cosiddetti asociali, attraverso la somma delle durissime misure repressive adottate nei confronti di chi ariano non è. Sezione fondamentale della politica delle nascite è quella che concerne la repressione dell’omosessualità maschile: le leggi penali contro l’omosessualità sono in vigore dal 1871 ma la politica nazista le inasprisce ulteriormente, il motivo dipende dalla natura non riproduttiva delle pratiche omosessuali che pertanto possono solo inficiare alla corretta riproduzione della pura razza ariana.
La seconda direzione – adottata per il medesimo obiettivo – è l’attuazione di misure antinataliste applicate innanzitutto su disabili, malati di mente e criminali (in parte anche ariani) ritenuti incapaci di poter assicurare la corretta crescita della comunità nazionale. Sulla base di questa idea, viene avviato un programma di sterilizzazione che colpisce più di 400.000 individui.
A partire dal 1939, il suddetto programma viene accompagnato da un ulteriore supporto. L’eutanasia per scopi eugenetici viene abbandonata qualche anno dopo a causa delle innumerevoli critiche, ma conduce alla morte 200.000 persone affette da gravi malattie, senza alcun tipo di assistenza, anziani e disabili. Le prime vittime del programma sono circa 5000 bambini di età inferiore ai tre anni, figli di coloro che sono sfuggiti al programma di sterilizzazione. E’ proprio durante questa fase che viene utilizzato per la prima volta il monossido di carbonio, il gas tossico che avrebbe avuto un ruolo importante nella “soluzione finale” adottata col fine di sterminare gli ebrei nei campi di concentramento.
La costruzione del perfetto Volk germanico può davvero essere portata a termine attraverso una legislazione specificatamente razziale. L’escalation di misure repressive messe in atto ai danni della comunità ebraica ha inizio sin dal 1933: gli ebrei vengono esclusi dalle amministrazioni pubbliche, se medici dalle strutture sanitarie e se avvocati anche dall’Ordine degli avvocati; non possono più praticare la professione di giornalista e solo un ridottissimo numero di bambini e ragazzi è ammesso alle scuole e università tedesche.
Ma è nel 1935 che la politica razziale diventa ancora più aspra e legifera soprattutto nell’ambito della discendenza e quindi dei rapporti sessuali. Le leggi di Norimberga, approvate per acclamazione dal parlamento, distinguono i cittadini a pieno diritto (quelli di puro sangue tedesco) da coloro che sono membri dello Stato ma senza alcun tipo di diritto (gli “asociali”, tra cui gli ebrei) e proibiscono categoricamente il matrimonio e, dunque, il rapporto sessuale tra cittadini tedeschi ariani ed ebrei.
La discriminazione razziale diventa sempre più pesante e asfissiante per la comunità ebraica e la situazione precipita definitivamente tre anni dopo, quando l’omicidio di un diplomatico nazista presso Parigi commesso da un diciassettenne ebreo diventa caprio espiatorio per uno dei più grandi attacchi mai organizzati ai danni delle minoranze ebraiche.
La notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 viene ricordata come la “Notte dei cristalli”: nelle città tedesche 7000 negozi di proprietà ebraica vengono distrutti e saccheggiati (le vetrine sono infrante e gettate al di fuori delle stesse attività, da qui il nome), 91 ebrei vengono brutalmente uccisi, 200 sinagoghe sono distrutte da incendi dolosi, 26.000 ebrei vengono catturati e condotti in campi di concentramento. Alcuni muoiono durante la prigionia, altri vengono rilasciati poco tempo dopo: è chiaro che i nazisti vogliono lanciare un messaggio, invitano le minoranze ancora presenti in Germania ad espatriare appena possibile, seguendo le orme di coloro che hanno già abbandonato il paese in qualità di oppositori politici.
La politica economica della Germania nazista
Per valutare il consenso di cui il regime nazista gode ampiamente è essenziale tenere conto della politica economica interna e degli stupefacenti risultati. La Nsdap deve immediatamente fronteggiare la crisi economica e la conseguente disoccupazione, la cui risoluzione è affidata a Hjalmar Schacht, famoso economista tedesco che non appartiene al Partito e che formula un progetto di stampo dirigista.
Sin dalla nascita della Nsdap, appare chiarissimo che il regime intenda attuare una politica estera estremamente aggressiva, i nazisti non hanno alcuna intenzione di risolvere i contenziosi internazionali in maniera pacifica o tollerante né tanto meno sono disposti a rispettare ulteriormente quanto stabilito a Versailles nel 1919. Nel 1933 la Germania esce ufficialmente dalla Società delle Nazioni (organizzazione internazionale istituita dai vincitori della Grande Guerra al fine di mantenere la pace attraverso cooperazione e connivenza economico-politica tra le potenze partecipanti) e simultaneamente interrompe i pagamenti delle riparazioni di guerra.
I suddetti non vengono più ripresi e ciò permette al governo nazista di disporre di un bilancio statale finalmente libero da una pesantissima voce passiva. Quelle risorse “risparmiate” sono immediatamente impiegate per creazione di un ampio piano di lavori pubblici: ha inizio la costruzione di un’articolata rete di strade e autostrade, viene rafforzata l’edilizia pubblica e privata e le industrie che lavorano al potenziamento della Wehrmacht.
I risultati di questa politica sono corposi: la ripresa produttiva favorisce la crescita dei redditi e dei consumi privati, la disoccupazione viene riassorbita fino al raggiungimento del pieno impiego della forza lavoro precedentemente disoccupata, i salari agricoli e industriali crescono portando ad un relativo benessere della popolazione che finalmente riconosce uno spiraglio di luce rispetto ai durissimi anni della crisi.
Se questi obiettivi sono particolarmente positivi è anche merito di Hermann Goring (che rimpiazza Schacht nel 1936) e la sua decisione sulla scelta del riarmo: larghe quote del bilancio statale sono destinate al finanziamento dell’industria bellica e al riarmo dell’esercito, le spese militari salgono e la preparazione bellica ha adesso assoluta priorità nella politica economica del nazismo.
Inoltre, l’obiettivo principale di Goring è anche quello di permettere alla Germania di raggiungere la completa autosufficienza economica entro pochi anni. L’autarchia si dimostra tuttavia illusoria. Nel settore agricolo, Hitler non apporta i grandi cambiamenti che ha promesso tempo prima per attirare l’attenzione delle masse, esalta certo l’autenticità e l’aderenza ai costumi tradizionali del mondo contadino, ma il progetto di modernizzazione delle campagne è praticamente inesistente.
Dal punto di vista industriale, invece, lo Stato controlla il mercato, manovra i prezzi e privilegia alcune industrie nell’assegnazione di materie prime e mezzi di produzione. Questa idea di “privatizzazione” della politica economica statale favorisce il settore chimico ma penalizza inevitabilmente le industrie produttrici di beni di consumo, con evidenti ripercussioni sul tenore di vita della popolazione.
Al termine del 1938, l’economia tedesca appare improvvisamente un vicolo cieco: il deficit dello Stato è aumentato e mancano risorse essenziali (come le materie prime e i generi alimentari), – nonostante la disoccupazione fosse stata riassorbita – la popolazione riprende a soffrire e le aziende sono come piccole rotelle sfruttate dal grande ingranaggio della macchina economica costruita in pochi anni.
Un sistema di questo genere non può reggere a lungo, infatti il vero fine a cui aspira il governo nazista è quello di mantenere la situazione economico-sociale in queste condizioni solo temporaneamente, sino al momento in cui la Germania sarà assolutamente pronta alla guerra. I dirigenti nazisti trasmettono un messaggio all’opinione pubblica: la promessa è quella della colonizzazione dello “spazio vitale” verso est, la conquista di nuovi territori offrirà infatti nuove risorse e occasioni di impiego, mettendo fine alla situazione di stallo creatasi nella potenza che occupa il cuore dell’Europa.
Infine, il regime riserva particolare attenzione ai lavoratori occupati: la propaganda insiste sistematicamente sulla denominazione di Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori e la svastica è appoggiata sullo sfondo rosso delle bandiere del regime. Viene costruito il Fronte tedesco del lavoro che prende velocemente il sopravvento sulle organizzazioni sindacali, il cui fine si professa educativo e formativo: lo sciopero e altri tradizionali mezzi di difesa dei lavoratori sono aboliti, nelle fabbriche viene imposta una rigida gerarchia e i lavoratori devono obbedienza al capo. Non a caso, imprenditori e ceti medi vengono invitati a partecipare, contando 20 milioni di iscritti in poco tempo.
Il conflitto è dunque vietato per legge, ma lo Stato e gli industriali si impegnano nell’azione sociale e assistenziale. Il regime mantiene bassi i prezzi al consumo, la giornata lavorativa si allunga e il salario si allarga. In cambio vengono anche estese alcune provvidenze importanti: cibi caldi nelle mense per gli operai, spazi ricreativi e aree verdi nelle fabbriche, colonie estive per i figli dei dipendenti e l’aumento delle ferie retribuite fino a dodici giorni l’anno. E’ certamente in questo quadro generale, costruito attorno l’esistenza del Terzo Reich, che deve essere individuata ed esaminata la questione del grande consenso al regime da parte della popolazione tedesca.
- A. Hitler, Discorsi di lotta e vittoria, 1932, edizioni Ritter, 2011.
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