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Quando parliamo di genocidio la nostra memoria occidentale difficilmente viaggia sino in Cambogia, eppure proprio lì si è consumato uno dei massacri più crudeli della storia contemporanea, per il quale hanno trovato la morte due milioni di cambogiani, quasi un quarto della popolazione totale.
Il protagonista, o meglio, uno dei protagonisti, è senza dubbio Saloth Sâr, ribattezzato Pol Pot, nome che per molti ha un significato enigmatico mentre per altri è semplicemente l’abbreviazione del termine francese Politique Potentiel (Politico Potenziale). D’altronde il francese è la sua seconda lingua e la Francia è la sua patria politica, fucina di assimilazioni ideologiche che esploderanno nell’aprile del 1975, anno della sua iniziazione a spietato dittatore.
Gli anni della formazione politica di Pol Pot: il soggiorno francese
Pol Pot nasce il 19 maggio del 1925 a Prek Sbauv, un piccolo villaggio di pescatori situato nel nord-est della Cambogia. In quegli anni la Cambogia è parte integrante dell’Indocina francese. Nel 1863 il sovrano khmer Norodom Prohmbariak decide di legarsi spontaneamente alla Francia per garantirsi un aiuto militare in caso di incursioni vietnamite, da sempre all’ordine del giorno, essendo il Vietnam situato ai confini.
Con il trascorrere del tempo, però, da protettorato diviene una vera e propria colonia e i khmer si trasformano in pure marionette, anche se continuano a godere di alcuni privilegi, soprattutto economici. La famiglia di Pol Pot è proprio una di quelle famiglie “fortunate”. È infatti molto vicina al sovrano e questo gli consente di percorrere corsie preferenziali. Lui stesso riesce a studiare nelle scuole più rinomate del Paese e a vincere, nel 1949, una borsa di studio a Parigi, concessagli proprio per la sua vicinanza alla famiglia reale piuttosto che per la sua attitudine allo studio, decisamente poco stabile.
E infatti, una volta arrivato in Francia si occupa di tutto fuorché degli studi di radio ingegneria, tanto che dopo tre anni è costretto a ritornare in Cambogia, causa: la revoca del bonus studio. Se dal punto di vista scolastico il soggiorno francese si rivela un vero e proprio flop, non possiamo dire lo stesso sul piano politico e ideologico. Nella Francia dell’epoca il comunismo è una realtà molto radicata: le idee di Stalin, di Mao Zedong e di Lenin accompagnano i discorsi dei più radicali, che vedono nel comunismo l’unica opportunità per sfuggire all’imborghesimento occidentale.
Inoltre Parigi vanta uno dei circoli comunisti khmer più grandi d’Europa e Pol Pot da semplice simpatizzante ne diviene in breve tempo uno dei massimi dirigenti. È a Parigi, dunque, che matura quelle idee politiche che lo porteranno allo sterminio di due milioni di suoi connazionali e che gli garantiranno un’altissima posizione nella classifica degli uomini più spietati di tutti i tempi.
Il ritorno in Cambogia di Pol Pot e la veloce escalation
Nel 1953, revocata la borsa di studio, Pol Pot fa ritorno in Cambogia e trova un Paese del tutto diverso: il giovane re Norodom Sihanouk riesce a svincolarsi dall’ingerenza francese e ottiene l’indipendenza nel 1954, dopodiché si dimette, restituisce il regno a suo padre, fonda un proprio partito politico e, forte del consenso che si è guadagnato per aver liberato la Cambogia dai francesi, viene eletto presidente.
Ma si tratta di un’indipendenza solo apparente perché, de facto, la Cambogia viene sottoposta a una nuova dittatura, questa volta realizzata da quello stesso sovrano che ha promesso ai cambogiani la democrazia. Il neopresidente, infatti, opta per una carica a vita, non dopo aver messo a tacere gli oppositori politici, comunisti compresi, costretti a rifugiarsi nel vicino Vietnam.
Soltanto il partito comunista di Kampuchea, l’Angkar, fondato proprio da Pol Pot, decide di continuare la sua opposizione dal di dentro, avvantaggiato da due eventi che saranno determinanti per l’ascesa a dittatore del suo leader: la guerra del Vietnam e la strategia attuata dagli Stati Uniti d’America per espellere i vietnamiti del nord (o vietcong) rifugiatisi in Cambogia.
I vietcong, che – ricordiamolo – a differenza dei vietnamiti del sud sono contrari a un regime filostatunitense, pensano bene di stabilire qui proprie basi militari perché ritengono che gli americani non possano bombardare un territorio, quello cambogiano, che non è coinvolto in una guerra e che si dimostra restio nel procedere con la loro espulsione.
In realtà non hanno fatto i conti con il nuovo presidente americano Richard Nixon (1968) e con il segretario di stato Henry Kissinger; entrambi, ansiosi di porre fine una volta per tutte alla questione vietnamita, consentono ai B-52 Stratofortress di sganciare tre milioni di tonnellate di bombe proprio sulla Cambogia, in modo da colpire le vie di rifornimento dei vietcong. È la famosa operazione Menu.
Ovviamente, il loro intento non è quello di uccidere i civili ma alla fine finiscono con l’accrescere un rancore che viene subito raccolto da Pol Pot e dal suo partito. D’altronde, questa è l’epoca in cui o si è democratici o comunisti.
La dittatura khmer: le epurazioni in Cambogia di Pol Pot
Per liberarsi dello scomodo presidente Sihanouk, gli americani finanziano un colpo di stato che porta al potere il generale Lon Nol (1970) filostatunitense e anticomunista. Lon Nol mette in atto una politica fortemente repressiva nei confronti dei “rossi” e dei vietnamiti nascosti nei suoi territori, una politica che però non si rivela abbastanza efficace e che, anzi, ha come risultato quello di rendere sempre più compatti i khmer, che ora vedono in lui e nel suo governo un nuovo nemico da combattere.
Gli scontri tra i khmer e il governo locale vanno avanti fino al 17 aprile del 1975, quando i ribelli di Pol Pot entrano vittoriosi nella capitale del Paese, Phnom Penh, costringendo il generale Nol alla fuga. Appena giunti nella capitale, i khmer diffondono la notizia di una quasi immediata risposta statunitense, obbligando quasi tre milioni di persone a fuggire verso le campagne. Si tratta di una scusa, necessaria per allontanare i cambogiani dall’ambiente cittadino e ripopolare quello rurale, nel rispetto della tradizione maoista.
In un primo momento, a Norodom Sihanouk viene concessa la possibilità di sedere nuovamente sul trono presidenziale e di avere accanto a sé, nelle vesti di primo ministro della nuova Repubblica democratica di Kampuchea, proprio Pol Pot, ma poi viene messo da parte l’anno successivo. Il 1976, dunque, è l’anno della tirannide khmer, con il leader del partito che concentra nelle sue mani i pieni poteri, tra cui la facoltà di decidere sulla vita e sulla morte dei suoi sudditi.
Si parla comunemente di anno zero perché la storia precedente viene cancellata per essere sostituita con una tutta nuova, in cui non c’è spazio per il capitalismo, né per un suo sinonimo. Lo scopo di Pol Pot è quello di creare da zero un nuovo paese, totalmente agricolo e privo di influenze occidentali. È il super balzo in avanti, in onore del più famoso balzo maoista.
Ecco perché ordina la distruzione di tutte le fabbriche e la chiusura delle scuole; ecco perché obbliga i cambogiani a lavorare i campi in cooperative agricole e a vivere una vita fatta di puro sostentamento. Tutto è collettivizzato, anche il cibo, e qualunque atteggiamento individualistico, come raccogliere un frutto da un albero e mangiarlo, è considerato un reato punibile. Chiunque si oppone viene messo al muro oppure, nella migliore delle ipotesi, viene deportato in campi di lavoro forzato o nelle prigioni di stato.
In soli quattro anni vengono costruite più di centocinquanta prigioni sparse su tutto il territorio, all’interno delle quali i prigionieri subiscono indicibili torture, alcune attuate per spingerli a confessare un fantomatico crimine, altre per puro passatempo. Il dato sorprendente è che a custodire le prigioni e a infliggere le torture non sono solo gli adulti ma anche i bambini, probabilmente perché quell’età non conosce scrupoli né tentennamenti.
Il loro indottrinamento comincia prestissimo. Già all’età di sette anni vengono strappati alle loro famiglie e addestrati a combattere. Si tratta di veri e propri bambini-soldato, disposti a tutto pur di dimostrare di essere fedeli all’ideologia khmer, in cui credono davvero perché gli è stata inculcata attraverso vere e proprie strategie psicologiche coercitive, un pò come avviene nel romanzo di Orwell, 1984.
Tra le varie prigioni non si può non ricordare perlomeno quella di Toul Sleng, (detta anche S-21) dove tra i ventimila deportati ne sono usciti vivi sette. Il motivo che spinge i khmer rossi a torturare e a uccidere così tanti prigionieri è molto semplice: ogni dettaglio che ricordi l’occidente è sintomo di complotto e merita di essere punito con la morte, che in molti casi è immediata, in altri è lenta e agonizzante.
Gli intellettuali, una casta che spaventa perché, si sa, può contribuire alla ribellione, vengono fatti sparire, così come coloro che indossano gli occhiali, simbolo di sapere e conoscenza. Minoranze etniche, bilingue, professori, avvocati, professionisti vengono uccisi e i medici vengono sostituiti con persone qualsiasi a cui è detto di apprendere la medicina sul campo attraverso esperimenti che portano a vivisezionare i corpi dei malati con l’intento di debellare una malattia che sarebbe stata curabile con un semplice analgesico.
E infatti, è assolutamente vietato somministrare farmaci che non siano erbe, intrugli e miscele naturali. Un medico della prigione di Toul Sleng, riferisce che a una giovane ragazza di 17 anni furono tagliati gola e addome, il tutto senza anestesia.[1] Ovviamente, questo discorso non vale per i membri del partito, che possono godere dei vantaggi della medicina occidentale: lo stesso Pol Pot si reca più volte in Cina per tenere sotto controllo un tumore pancreatico.
La fine della tirannia khmer e la morte di Pol Pot
Dopo quattro lunghi anni, nel gennaio del 1979 l’esercito vietnamita pone fine all’esperimento khmer. Quando il Vietnam invade il paese, stanco delle continue incursioni che l’esercito khmer attua sui confini con lo scopo di indebolirlo, Pol Pot è costretto a rifugiarsi verso il confine thailandese, da dove, forte dell’appoggio (sottobanco) americano, thailandese e cinese, tenta di riconquistare il potere.
Nel 1989 i vietnamiti decidono di ritirarsi lasciando la Cambogia nelle mani di un governo fantoccio, ostile ai khmer rossi e gestito invece da quei khmer che si sono distaccati dalla follia di Pol Pot e hanno trovato riparo proprio in Vietnam. Dopo ulteriori guerriglie in cui i khmer rossi tentano di riprendersi il potere, nel 1996 il partito si sfalda radicalmente e due anni dopo, il 15 aprile, il suo leader muore, prigioniero dei suoi stessi soldati, forse avvelenato, forse morto di cause naturali.
Quattro mesi prima di morire, «l’assassino con il sorriso», come lo definiscono gli storici, concede un’intervista al giornalista americano Nate Thayer e confessa di non mostrare alcun segno di pentimento[2]. Sorprendono le sue parole, che sembrano quelle di un uomo che ha perso ogni rapporto con la realtà e che non ha alcuna cognizione delle atrocità realizzate, che anzi ritiene essere state necessarie.
Nell’intervista Pol Pot parla di errori dovuti all’inesperienza e commessi in buona fede, come se ordinare lo sterminio di un quarto della popolazione cambogiana sia un fatto imputabile all’inesperienza. Dice anche di non avere avuto nulla a che fare con i killing fields, i campi di sterminio, che addita come «una invenzione cinematografica di grande effetto», per usare le sue stesse parole.
Eppure la S-21, oggi un museo, dice tutto l’opposto. I turisti che oggi visitano il museo non possono non essere attraversati da un brivido di orrore dinanzi ai resti umani dei molti prigionieri e alle fotografie dei torturati. Mensole riempite di crani umani, dissotterrati dai dintorni della prigione.
L’impatto del genocidio di Pol Pot sul mondo
Come è stato già detto, gli Stati Uniti hanno certamente contribuito all’ascesa politica di Pol Pot, e anche quando il suo potere si è consolidato hanno preferito appoggiarlo perché considerato un male minore rispetto al più temuto nemico vietnamita.
È infatti il Vietnam il protagonista chiave di questa triste vicenda perché le varie potenze straniere (in particolare USA, Cina e Thailandia) hanno agito tutte in funzione antivietnamita, inviando armi e denaro per stroncare il Vietnam, ritenuto più pericoloso dei khmer, e chiudendo gli occhi dinanzi alle atrocità consumate dal Cambogiano, di cui pure erano a conoscenza.
Lo stesso Pol Pot nell’intervista a Thayer sostiene di voler essere ricordato dai suoi connazionali (quindi anche dal resto del mondo) come «un uomo giusto e onesto, che ha lottato sino all’ultimo per difendere la Cambogia dalla distruzione ad opera dei vietnamiti». In molti considerano l’eccidio dei khmer rossi di gran lunga superiore agli eccidi consumati durante le guerre mondiali. Si contano due milioni di morti in soli quattro anni: quasi un quarto della popolazione cambogiana.
Eppure, questa triste tappa della storia contemporanea non è molto nota a noi occidentali, forse perché l’occidente stesso ha preferito tacere a lungo sulla vicenda. Soltanto nel 2001 l’ONU e il governo cambogiano hanno istituito un Tribunale Speciale per la Cambogia con il fine di condannare i massimi responsabili delle atrocità, tuttavia, la maggior parte dei quadri del regime è morta prima di aver scontato una pena, o poco dopo la condanna.
I libri consigliati da Fatti per la Storia per approfondimenti su Pol Pot e sul genocidio cambogiano
- François Ponchaud, Cambogia anno zero, Sonzogno editore, Milano 1977.
- Loung Ung, Il lungo nastro rosso, Piemme edizione, 2010.
- Rithy Panh, Christophe Bataille, L’Eliminazione, Feltrinelli, 2014.
- Claire Ly, Tornata dall’inferno, San Paolo, Milano, 2006.
Opere cinematografiche consigliate
- Per primo hanno ucciso mio padre(2017), regia di Angelina Jolie.
- Urla del silenzio, (1984), regia di Roland Joffé.
Note:
[1] http://www.cambodiatribunal.org/2016/06/16/propaganda-torture-and-french-colonial-heritage-looking-into-the-methods-of-the-khmer-rouge/
[2] http://pescali.blogspot.com/2014/08/kampuchea-democratica-lintervista-pol.html
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- François Ponchaud, Cambogia anno zero, Sonzogno editore, Milano 1977.
- Loung Ung, Il lungo nastro rosso, Piemme edizione, 2010.
- Rithy Panh, Christophe Bataille, L’Eliminazione, Feltrinelli, 2014.
- Claire Ly, Tornata dall’inferno, San Paolo, Milano, 2006.