CONTENUTO
Pier Paolo Pasolini: gli anni della formazione
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922. Sua padre Carlo, romagnolo, è tenente di fanteria; sua madre Susanna, friulana, è una maestra elementare molto apprezzata. A causa del lavoro del padre, Pier Paolo è costretto a spostarsi da una parte all’altra dell’Italia centro settentrionale e trascorre la sua infanzia impossibilitato a mettere radici. Fa tappa a Bologna, a Parma, a Conegliano, a Belluno, a Sacile, a Idria, a Cremona e poi di nuovo a Bologna (1937). Quando ha ormai vent’anni (1942), a guerra iniziata, si trasferisce a Casarsa della Delizia, paesino natale di sua madre.
Laureato in lettere all’Università di Bologna con una tesi su Pascoli (1945), sarà tuttavia la parentesi casarsese a essere fondamentale per la sua formazione personale, artistica e politica; a Casarsa Pier Paolo non solo esercita la professione di insegnante di italiano, ma si interessa anche di politica iscrivendosi al partito comunista (PCI). Questo lo spinge ad avvicinarsi al mondo popolare, quello degli emarginati, degli invisibili, e a mostrare un fortissimo interesse per il loro dialetto, rimanendone talmente affascinato da decidere di comporre un’intera raccolta poetica in lingua friulana (Poesia a Casarsa) e da fondare, insieme ad alcuni amici, una rivista in lingua friulana (Stroligut di cà da l’aga) e poi una vera e propria Accademia (l’Academiuta di lenga furlana).
L’interesse per il dialetto non è casuale: è sicuramente un modo per empatizzare con i meno fortunati, ma è anche uno schiaffo a Mussolini e alla sua politica. Siamo in pieno periodo fascista e il Duce è noto, oltre alle altre cose, per essere un purista. Il suo regime è infatti contrario all’utilizzo di forestierismi e di tutto ciò che non sia definibile “italiano”. La scelta di Pasolini, quindi, è una chiara sfida al potere, atteggiamento che oserà ripetere più volte anche nei confronti di altre forze politiche.
Il fascismo non tollerava i dialetti, segni
dell’irrealizzata unità di questo paese dove sono nato,
inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti [1].
I primi guai con la Giustizia e il trasferimento a Roma
Nel 1949 per Pier Paolo cominciano i primi guai. Il 22 ottobre viene depositata contro di lui una denuncia. Lo si accusa di corruzione di minori e di atti osceni in luogo pubblico. Nello specifico, gli viene rimproverato di essersi appartato a Ramuscello, una piccola frazione di Casarsa, con alcuni minorenni con i quali si dice abbia intrattenuto rapporti sessuali. Pasolini risponde alle accuse suggerendo che si sia trattato di un evento del tutto eccezionale, ammissione che avrebbe dovuto, a suo avviso, smorzare un pò i toni ma che invece gli costa l’espulsione dal PCI.
La denuncia dopo l’episodio di Ramuscello non sarà l’unica a macchiare la reputazione dell’artista: dopo questa ne arrivano molte altre – sebbene per motivazioni diverse – e per trentatré volte è costretto a presenziare in tribunale. Tuttavia, quella del ’49 provoca in lui una forte frustrazione, accentuata dall’incessante mormorio e dai continui sguardi malevoli che i suoi compaesani gli lanciano ogni volta che lo intravedono.
Insomma, l’urto sembra non potersi ammortizzare e il giovane insegnante, scosso anche dalla dipartita di suo fratello minore, Guido, che da partigiano muore sul fronte (12 febbraio 1945), decide di trasferirsi a Roma (1950) accompagnato da sua madre, con la quale oramai coltiva un rapporto speciale, un legame a tratti morboso.
Pasolini a Roma tra le borgate e l’impegno sociale
I primi anni a Roma sembrano non promettere niente di buono. Pasolini è disoccupato e vive alla bell’ e meglio. Si trasferisce in uno di quei quartieri popolari e frequenta gli ambienti più disagiati, quelli tipici del sottoproletariato.
Sono proprio questi quartieri e i loro abitanti i protagonisti di molti dei suoi romanzi, a partire da Ragazzi di vita, edito da Garzanti nel 1955. Quando viene pubblicato, il libro sembra non essere molto apprezzato, soprattutto per il linguaggio esplicito e gergale e Pasolini e Garzanti vengono citati in giudizio.
Sebbene entrambi ne escano illesi, da quel momento lo scrittore subisce una serie di affondi da parte dei giornali dell’epoca, che volentieri lo accusano di commettere reati simili a quelli commessi dai protagonisti dei suoi romanzi e dei suoi film. Una delle accuse sulle quali la cronaca insiste è la rissa; Pasolini viene descritto come un uomo avvezzo alla zuffa, un istigatore, ma anche come un rapinatore e un ladro.
I giornali sembrano fare di tutto per ostacolare la sua carriera: non solo Ragazzi di vita, ma altre opere vengono criticate e, spesso, sequestrate o denunciate per essere troppo succinte. Accattone (1961), ad esempio, il film che lo laurea regista, viene vietato ai minori. Si tratta di una rappresentazione complementare ai romanzi delle borgate perché mette in scena ciò che Pasolini scrive sulle classi disagiate romane. Accattone (e tutti gli altri film che seguono la sua scia) trasforma in movimento ciò che la parola fissa su carta.
L’Italia di questo periodo è un Paese conservatore, cattolico e borghese, e Pasolini, mostrandosi vicino agli ambienti proletari, sembra voler interrompere la tradizione per mettere in risalto quelle che sono le vere problematiche, nascoste da una classe dirigente che giudica corrotta e bigotta e che denuncia su alcuni giornali (tra questi il Corriere della Sera e il Tempo) tra il 1973 e il 1975. Questi interventi, integrati poi nella raccolta Scritti Corsari, esplicitano problematiche sociali, ammoniscono la società italiana giudicandola conformista e pudica in superficie, corrotta e perversa nell’infimo.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia
Ma è soprattutto contro la Chiesa che il poeta si scaglia, antipatia reciproca, questa, vista l’omosessualità del poeta e la repulsione del Vaticano a riguardo.
La Chiesa non può che essere reazionaria: non può che essere dalla parte del Potere; non può che accettare le regole autoritarie e formali della convivenza [2].
Omicidio Pasolini: l’uccisione e il ritrovamento del corpo
Le denunce mettono l’intellettuale in una posizione scomoda e lo fanno precipitare in un tunnel senza via d’uscita e che lo porterà alla morte, barbaramente avvenuta per mano, così dicono, di Giuseppe Pelosi (noto anche come Pino la rana), un diciassettenne disagiato che ricorda proprio uno dei protagonisti di Ragazzi di vita.
È la mattina del 2 novembre 1975 quando una donna scorge la sagoma di quello che sembrerebbe un cumulo di immondizia ma che poi si rivela un cadavere. Siamo a ridosso della Torre di San Michele, nei pressi dell’Idroscalo di Ostia, uno dei quartieri più poveri del litorale, spesso frequentato da Pasolini per godere della spontaneità che caratterizza i suoi abitanti. La donna avverte subito i carabinieri, che giunti sul posto si trovano dinanzi a uno scenario orripilante.
Dalla perizia compiuta sul cadavere, pubblicata sul Corriere della Sera a distanza di due anni dal ritrovamento, si legge che
Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Livide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segni degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato[3].
Sembra quasi inverosimile che un ragazzino minuto come il Pelosi abbia avuto la forza di uccidere un uomo prestante come Pasolini, eppure per i carabinieri non ci sono dubbi: è lui l’assassino, e non solo perché viene fermato durante la notte a bordo di un’Alfa Romeo GT2000, macchina che risulta intestata al poeta, ma perché, portato in questura, confessa l’omicidio. Pelosi, allora, accusato di furto, si ritrova a essere reo confesso dell’omicidio del poeta.
Stando a quanto riporta, avrebbe incontrato Pasolini nei pressi della stazione Roma Termini, zona all’epoca frequentata da prostitute e prostituti. Dopo aver mangiato nella trattoria Al biondo Tevere, a pochi passi dalla Basilica di San Paolo, i due giungono in una zona appartata dell’Idroscalo per consumare un rapporto sessuale. Pelosi ci descrive un Pasolini sessualmente pretenzioso e violento, al punto da essere pervaso da uno scatto d’ira quando il giovane non vuole soddisfare alcune sue richieste.
«Si trasformò in una belva. I suoi occhi erano rossi rossi e i tratti del viso si erano contratti fino ad assumere una smorfia disumana…Lo stesso bastone me lo tirò in testa, io mi sentii spaccare in due, il cuore mi batteva fortissimo. Lui si fermava poi ribatteva ancora…Fatto qualche metro mi afferrò e mi tirò un cazzotto sul naso…»[4].
A suo detto, è proprio questo scatto il motivo che spinge Pelosi a ucciderlo, quindi la morte di Pasolini diventa una morte avvenuta per legittima difesa. Che Pasolini abbia fatto sesso con un giovane ragazzo non è da escludersi, visti gli episodi di Ramuscello, ma immaginarselo violento è un po’ troppo. Inoltre, sono molte, forse troppe, le incongruenze che rendono la sua morte misteriosa, a partire dalle contaminazioni della scena del crimine.
Quando i carabinieri giungono sul luogo, infatti, trovano il corpo di Pasolini circondato da un numero elevato di curiosi e, stando alle testimonianze, nessuno di loro pensa che sia doveroso allontanarli per evitare che la loro presenza cancelli una qualche traccia. In effetti, non c’è più alcuna presenza di passi o di pneumatici, eppure l’autopsia conferma che la morte del poeta sia stata determinata proprio dall’auto, che più volte è passata sul corpo.
Gli oggetti rinvenuti sulla scena del crimine pare non vengono segnalati e isolati a dovere. Ad esempio, alcuni pezzi di legno sporchi di sangue vengono ritrovati nel campetto adiacente alla scena del crimine – dove nel frattempo stanno giocando alcuni ragazzini – mentre la camicia del poeta è molto lontana dal corpo.
Perfino l’Alfa viene consegnata alla Scientifica molti giorni dopo il delitto: i carabinieri, non si sa per quale motivo, la lasciano nella loro rimessa, esposta alle intemperie e senza nessuna protezione, quindi facilmente inquinabile.
Le indagini sulla morte di Pasolini: incongruenze, verità e bugie
Tra gli intellettuali, la prima a muovere dubbi e a criticare l’andamento delle indagini è Oriana Fallaci. Per la scrittrice, un omicidio così efferato non può essere stato commesso da un’unica persona. Il corpo martoriato di Pasolini lascia presumere che abbiano preso parte altre persone.
La Fallaci non è l’unica a pensarla in questo modo. Sono tante le voci che bisbigliano una partecipazione più numerosa. Si parla di almeno quattro, cinque persone, come si lascia scappare un uomo all’indomani del ritrovamento del corpo, anche se poi decide di non confermare le sue dichiarazioni.
Di tutta questa storia, ciò che stupisce è il clima di omertà che viene a crearsi, incitato anche da una stampa che preferisce concentrarsi più sulle perversioni di Pasolini piuttosto che sulla sua morte. Lo stesso proprietario dell’osteria dice prima di non riconoscere in Pelosi il ragazzo che ha cenato con l’artista ma poi, a processo, ritratta.
In questo clima fatto di omertà e di conti che non tornano, si inserisce la figura di Giuseppe Mastini (alias Johnny il Biondino o anche Johnny lo Zingaro).
Come afferma l’avvocato della famiglia Pasolini, Nino Marazzita, in un’intervista rilasciata nel 2017, Pelosi e Mastini erano stati grandi amici. Veramente, questo non implica il coinvolgimento del Biondino sulla scena del crimine, ma per l’avvocato il fatto che nell’Alfa Romeo sia stato ritrovato un plantare e che il Biondino fosse solito utilizzarne uno perché claudicante basterebbe a sollevare qualche dubbio.
Fatto sta che, nonostante le sue richieste, nessuno pensa (o penserà) di esaminare quel plantare, né di indagare in maniera approfondita su Mastini.
Anche l’anello che Pelosi dice di aver perso durante la sua furia omicida è stato riconosciuto come di proprietà di Mastini. Coincidenze? Forse, ma non lo sapremo mai, a meno che Mastini, che è ancora vivo, non decida di aggiungere qualcosa di nuovo ai tanti racconti che circolano.
Che altri prendono parte all’omicidio ce lo dice lo stesso Pelosi in una confessione postuma. Pelosi sostiene che lui e Pasolini vanno all’Idroscalo per recuperare le bobine di un suo film, Salò e le 120 giornate di Sodoma, trafugate dalla Technicolor di Roma nell’agosto del 1975 da un gruppo di sconosciuti (oggi si pensa ad alcuni esponenti della banda della Magliana), che chiede al poeta dei soldi in cambio della restituzione.
Ricordiamo che Salò è un film ambientato ai tempi della Repubblica sociale italiana e rappresenta una denuncia di quell’ambiente, di quella destra radicale da cui Pasolini è preso di mira soprattutto per la sua omosessualità. Per molti, e per lo stesso Pelosi, Pasolini sarebbe stato ucciso da loro, anche se non si capisce il perché, visto che se va all’Idroscalo è perché è disposto ad accontentare i suoi ricattatori.
Il caso Mattei: Petrolio e il mistero del capitolo scomparso
L’avvocato Nino Marazzita sostiene che la Procura non si sia impegnata abbastanza nella ricerca dei veri colpevoli per il fatto che, se individuati, verrebbero fuori anche i mandanti, a quanto pare personaggi scomodi e politicamente esposti.
Crede pure che ci sia una stretta connessione tra l’omicidio di Enrico Mattei, l’omicidio di Pasolini e la sparizione di un capitolo del libro a cui Pasolini sta lavorando proprio poco prima di morire: Petrolio. Si tratta di un libro che, sebbene incompiuto, tratta di un argomento molto delicato, qualcosa che ha a che fare con le vicende dell’Eni e con la morte del suo fondatore, Enrico Mattei, avvenuta il 27 ottobre 1962 per un misterioso incidente aereo.
Nel libro, Pasolini mette in risalto quelle che sono le lotte interne, i legami oscuri che Eni intrattiene con la politica e soprattutto il rapporto tra Eugenio Cefis – nuovo presidente dopo la morte di Mattei – e la Prima Repubblica. Il corsaro arriva a interrogarsi sulla strana morte di Mattei, a suo avviso avvenuta in circostanze che lasciano pensare a un omicidio, una morte procurata da terzi, dunque, e che lui cerca di indagare attraverso un’attenta ricostruzione dei fatti nel tentativo di risalire ai mandanti di quell’omicidio.
Fino al 2022, le varie edizioni di Petrolio sono prive di una parte importantissima, l’appunto 21, quello in cui Pasolini fa riferimento al capitolo in cui avrebbe dovuto parlare di Cefis (celato sotto lo pseudonimo di Troya, uno dei protagonisti del libro), da lui ritenuto uno dei principali esponenti di un gruppo neofascista molto violento. La supposizione di Pier Paolo, quindi, è che Cefis abbia voluto liberarsi di Mattei perché troppo scomodo, e ne abbia ordinato l’omicidio.
Ad oggi, nessuna notizia in merito a quel capitolo, ma l’appunto 21 che Garzanti decide di integrare nella nuova edizione di Petrolio (quella del 2022) getta qualche dubbio sulla causa della morte dell’ex numero uno di Eni, da sempre catalogata come incidentale, e spinge molti a sostenere che a Pasolini sia toccata la stessa sorte, e cioè che sia stato fatto fuori per evitare che smascherasse Cefis e quanti implicati nella vicenda.
Pasolini: Io so
Pasolini, come già detto, collabora con alcuni giornali, su cui denuncia quelle che sembrano essere le problematiche che affliggono il Paese. Da buon comunista, critica spesso e volentieri la destra, a suo avviso troppo legata al potere e al consumismo, quindi alla corruzione. Il consumismo, il capitalismo sono per Pasolini il prodotto di una destra corrotta e ambigua, una fazione politica che ha a cuore gli interessi personali piuttosto che il benessere dei suoi elettori.
In particolare, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 14 novembre del 1974 e intitolato Cos’è questo golpe? Io so, il poeta dice di conoscere molte delle verità oscure che riguardano il Paese, quelle verità che la destra tiene ben nascoste e che probabilmente non svelerà mai.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti (…).Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi [5].
In sostanza, Pasolini dice di conoscere i nomi «delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer o sicari», ma che non può rivelarli perché non ha le prove.
Non è impossibile, allora, che dichiarando di sapere, di conoscere i nomi dei responsabili, si sia inimicato qualcuno di potente, e che questo qualcuno abbia pensato di eliminarlo alla prima occasione per paura che quelle prove venissero fuori, un pò come per il caso Mattei.
Conclusioni
Sono tanti gli indizi che ci spingono a credere che la morte di Pier Paolo Pasolini non sia avvenuta per caso, per un rapporto sessuale finito male. Pier Paolo è stato uno degli artisti più rivoluzionari del nostro panorama letterario, un intellettuale controcorrente, incapace di avere paura; un uomo che ha amato la verità al punto da voler smascherare a tutti i costi la menzogna. Che si sia sbilanciato è evidente, e che questo sia stata la causa del suo assassinio è molto probabile.
Note:
[1] Pasolini, il poeta delle ceneri, a cura di Enzo Siciliano, in “Nuovi Argomenti” n. 67-68, Roma, luglio dicembre 1980. Ora in Pier Paolo Pasolini, Bestemmia. Tutte le poesie, vol. I, Garzanti, Milano 1993
[2] Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Garzanti 2015
[3] Pino Pelosi, Io Angelo nero, Sinnos 1995
[4] Dalla perizia di Faustino Durante compiuta sul cadavere di Pasolini e parzialmente pubblicata sul Corriere della Sera del 2 novembre 1977; ora citata in D. Bellezza, Morte di Pasolini, Mondadori, Milano 1995, pp. 109-110.
[5] Testo estrapolato da Cos‘è questo Golpe? Io so
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di Vita, Garzanti 2014.
- Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Garzanti, 2022.
- Pier Paolo Pasolini, Io so, Garzanti 2019.
- Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Garzanti 2015.
- Vincenzo Calia, Sabrina Pisu, Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, Chiarelettere 2020.
- Luca Visca, Pasolini. 1922- 2022. Un mistero italiano, All Around 2022.
- Pino Pelosi, Io, Angelo nero, Sinnos 1995.