CONTENUTO
Il contesto storico
Nell’immediato secondo dopoguerra, USA ed URSS sono le due nuove superpotenze mondiali uscite vittoriose dal conflitto. Esse assumono un ruolo di guida politica nei rispettivi blocchi contrapposti (teatro della Guerra Fredda e della cd. Cortina di Ferro) e se sul piano militare si trovano nel corso degli anni in una condizione di sostanziale parità strategica, in campo economico la superiorità degli statunitensi è però da subito schiacciante e gli garantisce un ruolo predominante nel nuovo ordine economico internazionale.
Il presidente americano Roosevelt basa la sua politica sulla ferma volontà di instaurare un sistema economico postbellico basato sul ruolo egemonico degli americani e organizzato sul principio del libero mercato. Gli accordi scaturiti dalla Conferenza di Bretton Woods del luglio 1944 sanciscono una forte prevalenza degli Stati Uniti attraverso il passaggio al Gold Exchange Standard, ossia ad un sistema monetario dove la convertibilità dei biglietti non avviene più in oro ma bensì contro dollari. La moneta statunitense viene posta al centro del sistema degli scambi come unica valuta con la quale effettuare i pagamenti internazionali.
Al fine di incoraggiare la cooperazione monetaria ed aiutare i paesi più colpiti dagli eventi bellici nella loro ricostruzione, vengono create due importanti istituzioni: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, entrambe con sede a Washington e sotto il dominio degli USA. A completare l’opera di costruzione del nuovo ordine economico, nel 1947 viene istituito il GATT (più tardi confluito nella WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio), un accordo generale sulle tariffe commerciali al fine di liberalizzare gli scambi multilaterali e ridurre progressivamente le barriere doganali.
Le iniziative statunitensi dimostrano la preponderanza della loro strategia politico-economica, con l’evidente intento di riorganizzare un sistema capitalistico mondiale che integri le principali nazioni industrializzate con gli USA (soprattutto la Germania e il Giappone) e isoli il comunismo sovietico ed il suo blocco di Paesi.
Dottrina Truman e Piano Marshall
Agli inizi del 1947 si verifica un episodio che, a detta di molti studiosi, rappresenta una sorta di riconoscimento formale della Guerra Fredda e che nasce dall’inattesa dichiarazione del governo britannico di non poter più sostenere i costi dell’assistenza economica alla Grecia e alla Turchia. Di fronte al pericolo dell’avanzata sovietica che si sta già sviluppando nei Balcani, il nuovo Presidente americano Truman annuncia l’iniziativa di un programma di aiuti per un totale di 400 milioni di dollari in favore dei due paesi, giustificando questo provvedimento con un accorato discorso dinanzi al Congresso americano che passerà alla storia con il nome di Dottrina Truman (12 marzo 1947).
Con essa, il successore di Roosevelt sottolinea l’intenzione degli Stati Uniti di intervenire a sostegno di tutte quelle popolazioni libere che resistono ai tentativi di conquista da parte di minoranze armate o di pressioni esterne. In poche parole, gli USA garantiscono il sostegno militare alle nazioni europee, che in questo modo passano sotto la loro protezione, allo scopo di creare un fronte compatto dinanzi alla minaccia dell’avanzata comunista.
Il processo decisionale dell’amministrazione Truman in politica estera viene indubbiamente influenzato dalla cosiddetta “strategia del containment” (contenimento), elaborata dal diplomatico americano George Kennan, capo della pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato, attraverso un articolo pubblicato nel luglio del 1947 sulla rivista Foreign Affairs, dal titolo: “The Sources of Soviet Conduct” (Le origini del comportamento sovietico). L’articolo di Kennan riprende le analisi circa l’ostilità dell’URSS verso le democrazie, una tensione con il mondo esterno che caratterizza la natura stessa dell’ideologia comunista e che non può essere ammorbidita dai negoziati e dalle politiche conciliative dell’Occidente. L’unica soluzione che prospetta Kennan è essenzialmente la necessità di
…un deciso e vigile contenimento delle tendenze espansionistiche sovietiche… con una compatta forza contraria ogniqualvolta dessero segni di infiltrarsi negli interessi di un mondo stabile e pacifico.
In sostanza, il gravoso compito degli Stati Uniti sarebbe quello di opporsi alle pressioni sovietiche e al loro tentativo di espandersi in Europa e nel resto del mondo, facendosi da garanti dell’ordine internazionale per un tempo indefinito. Tre mesi dopo il discorso di Truman al Congresso, il Segretario di Stato George C. Marshall annuncia al mondo intero l’impegno degli Stati Uniti a eliminare le condizioni socioeconomiche che causano i disordini politici ed a contribuire alla ripresa europea con un piano di aiuti economici, l’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall.
Il Piano Marshall e l’Impero su invito
Al termine della seconda guerra mondiale l’Europa è devastata: la Germania è divisa in quattro zone di occupazione con intere città distrutte; l’Italia è in ginocchio e il Partito Comunista Italiano, per gli Stati Uniti, è un pericolo per le elezioni del 1948; l’Europa intera ha bisogno di fondi per ricostruirsi dopo la distruzione della guerra.
Contrariamente a ciò che si pensa, l’intervento americano in Europa non è stato deciso unilateralmente, tutt’altro. Inizialmente, infatti, furono gli inglesi a lasciare agli Stati Uniti la leadership globale quando, nel gelido inverno del 1947, la Gran Bretagna deve affrontare una pesante crisi economica che non gli permette più di sostenere finanziariamente la Turchia e la Grecia, quest’ultima impegnata in una guerra civile contro i comunisti. L’anno successivo, gli inglesi devono lasciare anche India, Pakistan e la Palestina, spianando il terreno alla creazione dello stato di Israele.
Dinanzi a una ritirata così repentina, gli ufficiali del Dipartimento di Stato americano affermano che gli inglesi hanno definitivamente passato il ruolo di leader globale, con tutti suoi oneri e onori, agli Stati Uniti. Gli americani accettano il nuovo ruolo avviando la Dottrina Truman ed inviando 400 milioni di dollari di aiuti a Grecia e Turchia.
Sono sempre gli inglesi che, nel gennaio del 1948, attraverso degli incontri informali con gli Stati Uniti, chiedono a questi ultimi un loro supporto agli accordi di integrazione europea che stanno venendo discussi. Se inizialmente gli americani rimangono vaghi, a fargli cambiare idea nel mese di marzo sono il colpo di stato in Cecoslovacchia, la proposta dell’Unione Sovietica alla Finlandia per la stipula di un accordo di difesa, l’avvertimento del governatore militare della zona di occupazione americana della Germania, Lucius Clay, riguardo le intenzioni dei sovietici nella regione e la preoccupazione che il patto di difesa proposto dall’URSS alla Finlandia potesse essere esteso anche alla Norvegia.
Nonostante qualche reticenza, anche i francesi si convincono e spingono per un maggior intervento americano sul suolo europeo. Pertanto, Londra e Parigi insistettero per un crescente impegno americano anche dal punto di vista militare; una richiesta alla quale si uniscono poco dopo anche Olanda e Belgio.
Se è senza dubbio vero che gli Stati Uniti stanno pensando ad accrescere il loro ruolo in Europa nel dopoguerra, è altrettanto vero che gran parte delle classi dirigenti europee spingono e sollecitano enormemente un intervento e una presenza americana. Il caso dell’Italia è emblematico a riguardo, in quanto chiede insistentemente aiuto agli Stati Uniti in funzione anti-jugoslava all’esterno e anti-comunista all’interno, Questa ricostruzione è stata possibile grazie all’apertura degli archivi dell’Europa occidentale tra gli anni ’70 e ’80 ed ha trovato nello storico norvegese Geir Lundestad il suo più brillante studioso. E’ stato proprio Lundestad, infatti, a coniare la terminologia “Empire by Invitation” (Impero su invito) in riferimento all’intervento americano in Europa occidentale nel primo dopo-guerra.
Gli aspetti del Piano Marshall
Le ragioni che spingono gli europei ad invitare gli americani sono abbastanza ovvie: la necessità di fondi per la ricostruzione, il rafforzamento delle posizioni dei governi centristi europei contro destra e sinistra e assistenza e garanzie militari contro l’espansionismo sovietico.
Il Piano Marshall ha senza dubbio una funzione economica, volta alla ricostruzione di un continente devastato dalla guerra, ma non salva l’Europa da solo. Infatti, l’ammontare dei fondi va dal 10 al 20% della formazione totale di capitale dei paesi europei tra il 1948 e il 1949 e meno del 10% nel biennio 1950-51.
Un altro aspetto altrettanto importante del Piano Marshall è quello psicologico. L’arrivo dei primi fondi americani rivitalizza lo spirito degli europei, dice George Kennan, e migliora nettamente la percezione che questi ultimi hanno degli Stati Uniti. Anche dal punto di vista dell’adozione delle politiche, i governi europei cercano sempre l’approvazione americana.
Ultimo aspetto, ma non per importanza, è quello ideologico e politico. Infatti, al miglioramento della percezione degli Stati Uniti agli occhi degli europei si affianca la lotta ideologica contro il comunismo sovietico. Il Piano Marshall rientra così anche in quello scontro su che tipo di società si desideri, incontro a quale modernità si voglia andare. Tra il 1947 e il 1948 la Guerra Fredda trova così il suo inizio.
Il Piano, operativo dall’aprile del 1948, è una conferma dell’avvenuta presa di coscienza americana di una leadership geopolitica ed economica nello scenario mondiale che va delineandosi. Sotto la guida di Truman, il Segretario di Stato Marshall illustra la situazione di estremo disagio in cui versano le economie dei paesi europei e convince il Congresso degli Stati Uniti ad adottare l’ambizioso piano di aiuti economici. L’ingente operazione si riassume in quattro punti salienti:
- fornire i capitali e le materie prime necessarie a garantire la ripresa delle economie europee;
- accrescere i livelli di produttività, di reddito e di occupazione;
- permettere all’economia tedesca di potersi integrare in un’area di scambi economici europei;
- creare un’interdipendenza costante dei mercati euro-americani.
Nell’arco di quattro anni vengono erogati circa tredici miliardi di di dollari a favore soprattutto dei principali alleati occidentali (Francia e Regno Unito ottengono quasi il 50% dei fondi), mentre alla Germania, nonostante sia il paese uscito più distrutto dalla guerra, va la parte meno cospicua di aiuti. Anche l’Italia beneficia degli stanziamenti americani nel suo processo di ricostruzione politica ed economica post-fascista: i fondi erogati dall’ERP nella misura di 1.470 milioni di dollari permetteranno al nostro paese di raggiungere il pareggio del bilancio statale e la stabilità monetaria oltre che determinare un risveglio dell’attività produttiva e dare una forte spinta ad una correzione in senso riformista della politica economica italiana.
La disponibilità delle risorse ottenute attraverso il Piano Marshall si concretizzerà nella riforma agraria, nell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e nel piano Ina-Case, quest’ultimo varato con la legge Fanfani del febbraio 1949 che prevede un intervento pubblico nel campo dell’edilizia residenziale. Questi sono i punti chiave che porteranno, nel corso degli anni ’50, al cosiddetto “miracolo economico” italiano, cioè allo straordinario sviluppo della nostra economia i cui ritmi di crescita saranno tra i più alti del mondo (secondi solo alla Germania Federale).
Gli aiuti scaturiti dal piano Marshall sono dettati più da ragioni strategiche che altruistiche: gli americani mirano infatti a portare dalla loro parte tutti i paesi dell’Europa occidentale e gli aiuti costituiscono il migliore antidoto contro ogni avanzata comunista. Una forte Europa occidentale, risollevata sul piano economico, è anche nell’interesse politico e di sicurezza americano, oltre che di salvaguardia del sistema capitalistico; con i crediti concessi i dirigenti di Washington possono anche mantenere alta la richiesta di prodotti statunitensi dalle Nazioni orbitanti nella sua sfera di influenza. Inoltre gli USA possono smaltire con tale mezzo gli eccessi della produzione agricola ed industriale interna, evitando una crisi di sovrapproduzione.
L’offerta di aiuti economici viene rivolta anche all’URSS e al resto dell’Europa orientale, un invito che sottilmente intende mettere pressione al leader sovietico Stalin. I dirigenti del Cremlino respingono nettamente la proposta americana temendo di condizionare l’indipendenza del regime comunista e costringono i paesi sotto l’influenza sovietica ad allinearsi al rifiuto di Mosca, accentuando di fatto quella cortina di ferro che divide anche economicamente l’Europa in due. Al Piano Marshall gli viene contrapposto pertanto un Piano Molotov, dal nome del Ministro degli Esteri sovietico: i nuovi regimi comunisti costituiscono insieme all’URSS un’organizzazione di mutua assistenza, il Comecon (gennaio 1949), al fine di coordinare le politiche economiche dei paesi del blocco orientale.
E’ semplice per la propaganda sovietica presentare il Piano Marshall come un mero calcolo politico per assoggettare l’Europa all’imperialismo capitalista, una dipendenza economica che si trasforma presto in dipendenza politica. I sovietici rifiutano la teoria della loro pretesa aggressività e delle mire espansionistiche ed addebitano invece agli Stati Uniti una tendenza al dominio mondiale, da attuarsi dietro la facciata buona degli aiuti. In occasione della costituzione del Cominform, nel settembre del ’47, il segretario del PCUS Andrej Zdanov muove le accuse al Piano Marshall in un forte discorso che condanna la politica di aiuti degli Stati Uniti, vista come una manovra per espandere il capitalismo imperialista americano.
Quali che siano i motivi animatori dell’intervento americano, è fuor di dubbio che gli aiuti dell’ERP contribuiscono realmente a risollevare le economie dei paesi dell’Occidente europeo e, indirettamente, favoriscono l’adozione di scelte di cooperazione tra questi paesi che porteranno ad un processo di integrazione europea in campo economico, monetario ed anche politico tuttora in svolgimento.
L’avvio dell’integrazione europea
L’ingente offerta del Piano Marshall è difatti subordinata alla condizione che gli Stati beneficiari possano avviare una maggiore cooperazione economica tra loro. Il primo risultato si raggiunge nel mese di aprile del 1948 con l’istituzione dell’OECE (Cooperazione Economica Europea) a Parigi, una prima organizzazione intergovernativa tra sedici Stati occidentali che assume come compito iniziale quello di gestire gli aiuti dell’ERP e, a lungo termine, lo scopo dichiarato di costruire una solida economia europea.
L’OECE segna il primo passo verso l’integrazione europea, a cui fa immediatamente seguito la nascita a Strasburgo del Consiglio d’Europa (1949), organizzazione internazionale che si prefigge l’obiettivo di promuovere una maggiore unità fra i suoi membri, per facilitare il loro progresso economico e sociale. OECE e Consiglio d’Europa rappresentano i primi mattoni della costruzione europea ma vengono ben presto eclissati per un loro evidente difetto di sovranazionalità. La loro natura rimane essenzialmente intergovernativa per cui la struttura decisionale, come pure l’elevato numero di membri, non permettono gli sviluppi delle proposte più ambiziose e di ampio respiro.
Da questa prospettiva, autorevoli politici di primo piano come l’italiano Alcide De Gasperi, il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer per la Germania Ovest ed il belga Paul-Henri Spaak iniziano a guardare al di là della cooperazione intergovernativa e mirano ad una integrazione sovranazionale che sia non solo economica ma anche politica. Questi uomini fanno i necessari passi in avanti nel processo di costruzione europea ma si scontrano con le resistenze di quegli Stati refrattari a sacrificare parte della loro sovranità e con lo scetticismo degli stessi Stati Uniti che, pur favorevoli ad una maggiore cooperazione fra i Paesi atlantici, non vedono con favore un progetto di unificazione politica che possa insidiare la loro leadership internazionale.
Di conseguenza, i più importanti progetti europei postbellici coinvolgono inizialmente pochi aderenti e si limitano al campo economico, senza che le istituzioni politiche ne risultino alterate nei settori della politica estera, interna e di difesa.
La “Dichiarazione Schuman” del 9 maggio 1950 a Parigi, segna il punto di partenza ufficiale di questo lungo processo. L’allora Ministro degli esteri francese propone una zona di libero scambio per la creazione di un Mercato Comune sulle principali materie prime delle società industrializzate: carbone e acciaio. Al progetto ambizioso di unità europea, anche se limitato a specifici settori economici, si affiancano anche degli importanti risultati politici che indicano, da un lato, il superamento della storica rivalità tra Francia e Germania nel controllo di tali strategiche materie prime e, dall’altro, il reinserimento della Germania occidentale nel quadro internazionale.
La CECA (Comunità Europea del carbone e dell’acciaio) viene istituita nell’aprile 1951 dai sei Stati fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) e rappresenta una storica svolta nel campo delle organizzazioni internazionali europee: il Trattato di Parigi prevede per la prima volta delle istituzioni comuni che mostrano significative caratteristiche sovranazionali come l’Alta Autorità (antesignana della futura Commissione europea), organo che emana decisioni vincolanti per gli Stati e perfino può imporre penalità a quei membri che ignorano le sue decisioni.
Il passo decisivo dei sei Paesi fondatori si compirà con la firma dei Trattati di Roma del 1957 che istituiscono l’EURATOM (Comunità europea dell’energia atomica) e, più importante fra tutte, la CEE (Comunità economica europea). Il Trattato di Parigi e i due di Roma creano dunque il sistema delle Comunità Europee, a cui nel corso dei successivi decenni aderiranno le altre importanti nazioni europee, e che costituiscono il primo “Pilastro” della futura Unione Europea.
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- Ellwood D., L’Europa ricostruita, il Mulino, Bologna 1994