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La ragione nell’Illuminismo
Il termine “Illuminismo” ha assunto storicamente vari significati, che dagli inizi del ‘700 hanno raggiunto i giorni nostri. Con Illuminismo (Lumières in francese, Aufklärung in tedesco, Enlightenment in inglese) si intende sia il periodo temporale che intercorre tra la rivoluzione inglese del 1688 e la Rivoluzione francese del 1789, sia l’evoluzione delle idee in ambito religioso, filosofico, scientifico, politico ed economico e con esso il rinnovamento delle forme letterarie del XVIII secolo. Inoltre con tale termine si intende il movimento intellettuale che coinvolge tutta la cultura europea nel «secolo delle rivoluzioni», in onore del ruolo rischiaratore assegnato alla ragione.
La Francia costituisce il nucleo organizzativo e diffusore di tale movimento, anche se le origini e i suoi principali riferimenti filosofici affondano le radici nella tradizione culturale inglese della seconda metà del ‘600, di cui tra i pensatori più influenti ricordiamo Bacone, Newton e Locke.
Alcuni intellettuali del XVIII secolo si autodefinirono “Illuministi” perché ritenevano di portare finalmente «la luce della ragione» all’umanità dopo secoli di tenebre e di oscurantismo. I philosophes assumono spesso interessi, riflessioni, posizioni e orientamenti molto diversi tra loro, talvolta antitetici, ma al tempo stesso convergono su svariati temi e su alcune caratteristiche.
Secondo la celebre definizione del grande filosofo tedesco Immanuel Kant l’Illuminismo è:
«l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di usare il proprio intelletto senza la guida di un altro. Una minorità che l’uomo deve imputare a sé stesso se la causa di essa non dipende da un difetto di intelligenza ma dalla mancanza di decisione e di coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! (Osa conoscere!) Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza! È questo il motto dell’illuminismo».
Gli illuministi ritengono che l’uomo sia capace di comprendere e trasformare tutta la realtà con l’uso «del lume naturale della ragione», identica in ogni individuo. Inoltre la ragione viene considerata in grado di giudicare criticamente la realtà, non come semplice esercizio intellettuale, ma come facoltà capace di assicurare la felicità e il benessere degli uomini. Proprio per questo si parla di «ottimismo illuministico» perché, avendo fiducia nel futuro dell’umanità, gli illuministi sostengono che gli uomini possono costruire un mondo migliore, riconoscendo razionalmente le soluzioni più vantaggiose in ogni ambito, diffondendo queste scoperte con il confronto, il ragionamento e collaborando nella condivisione degli stessi ideali.
Oltre alla ragione, si possono indicare alcuni valori comuni condivisi dagli illuministi: la fiducia nel progresso delle conoscenze e della tecnica, dal quale l’uomo può aspettarsi un continuo e concreto miglioramento delle proprie condizioni di vita; il metodo empirico sperimentale, considerato un elemento utile all’osservazione diretta e ai raffronti con la realtà; l’uguaglianza fra tutti i membri dell’umanità che hanno pari dignità essendo tutti dotati di ragione; la giustizia nei rapporti tra le diverse parti della società; il buon governo dello Stato ispirato non alla sete di potere ma volto alla ricerca del benessere di tutti i cittadini; la tolleranza nei confronti di ogni fede religiosa; la pace universale ottenuta non con la forza delle armi ma con le idee e con il confronto.
Un bersaglio comune contro cui si scagliano gli illuministi sono le chiese e le confessioni religiose in genere, considerati fonti di ignoranza, matrici di superstizione e pregiudizi, motivo per il quale l’illuminismo viene considerato un movimento profondamente laico. Gli illuministi, attraverso l’uso della ragione, vogliono liberare l’umanità dai pregiudizi filosofici e morali, dalle superstizioni religiose, dalle credenze acritiche, dai vincoli della tradizione, dalle tirannie politiche, dai rapporti disumani e dall’ignoranza.
Una delle questioni cardine del XVIII secolo è proprio il rapporto tra l’illuminismo e la religione. Innanzitutto bisogna sfatare il mito che l’illuminismo e gli illuministi negano l’esistenza di un Dio. Certamente molti di questi pensatori sono atei, ma una buona parte di essi si accosta al cosiddetto “illuminismo religioso”.
François-Marie Arouet, più noto come Voltaire, è uno dei più singolari philosophes francesi del ‘700. Egli pubblica molte opere, tra le quali il Trattato sulla tolleranza e il Dizionario filosofico, in cui cerca di combattere ogni forma di fanatismo religioso, causa principale delle sanguinose e terribili guerre di religione.
Voltaire sostiene il valore della tolleranza, affermando che con la propria ragione l’uomo può accettare l’idea che esista un Dio, ma non può imporre a nessuno l’una o l’altra religione. Inoltre è il principale teorico e propagandista del deismo, una religione senza misteri e senza riti, che afferma solo quelle verità che possono essere ammesse e comprese dalla ragione. La ragione degli illuministi deisti ammette solo l’esistenza di un Dio creatore e ordinatore dell’universo — chiamato preferibilmente Essere Supremo — infatti non si può spiegare razionalmente l’esistenza e l’ordine del mondo senza una causa superiore. Secondo il deismo è esclusa la Provvidenza divina nelle vicende della storia umana perché Dio non può intervenire nel mondo, altrimenti infrangerebbe quelle leggi fisiche che regolano il movimento dell’universo e che sono state create da lui stesso, perciò è improprio considerare Voltaire come ateo. Di conseguenza è impropria la concezione antitetica di filosofia illuministica e religione perché in molti casi tra le due vi è una stretta collaborazione.
Gli illuministi inoltre intrattengono rapporti con il potere politico, cercando di riformarlo in nome della ragione. Voltaire ad esempio, per quanto potrebbe sembrare uno dei più progressisti e rivoluzionari, si mostra conservatore in ambito politico, proponendo una monarchia assoluta “illuminata” dall’opera dei filosofi. Esemplare è la sua amicizia con il re Federico II di Prussia, il quale gli concede la sua protezione quando il filosofo francese è costretto a fuggire per le varie censure subite.
Un altro pensatore francese che con le sue tesi dà un contributo decisivo alla moderna concezione politica è Charles de Secondat, Barone di Montesquieu. La sua fama è sicuramente legata a L’Esprit de lois (Lo spirito delle leggi) pubblicato nel 1748, una delle opere centrali del pensiero illuminista, che avrà una grande risonanza sia nel suo tempo che nelle epoche successive. Egli in primis sottolinea l’importanza di corpi intermedi: i parlamenti (da ricordare che egli faceva parte di uno di questi) per evitare la degenerazione della monarchia in assolutismo.
Inoltre propone la necessità della separazione dei poteri interni allo stato: legislativo, esecutivo, e giudiziario. Infatti, secondo lui, se il potere giudiziario non fosse separato dal potere legislativo il giudice al tempo stesso sarebbe legislatore, il che è contraddittorio. Allo stesso modo se il potere giudiziario non fosse separato dal potere esecutivo il giudice avrebbe la forza di oppressore. A suo avviso dunque, per garantire la libertà nella forma di governo, bisogna evitare che i tre poteri si concentrino nelle mani di una sola persona; essi devono essere esercitati da persone diverse e in questo modo ciascun potere è in grado di controllare e limitare l’altro ottenendo maggiore giustizia, equilibrio e soprattutto libertà.
Negli stessi anni e nello stesso ambiente sorge il pensiero di Jean-Jacques Rousseau, una delle personalità più complesse e più problematiche dell’illuminismo. Egli elabora una proposta di rifondazione della società e dell’uomo e descrive il suo progetto politico nel Du contrat social (Contratto sociale, 1762), affiancandovi il suo progetto pedagogico nell’ Émile ou De l’éducation (Emilio o dell’educazione).
Dunque in politica per raggiungere le condizioni di eguaglianza — che insieme alla tolleranza e ai diritti sono i tre capisaldi dell’illuminismo — ipotizza un patto sociale stipulato dai singoli che si uniscono formando un corpo organico, rinunciando ai loro interessi in funzione del bene comune. L’espressione di questa nuova comunità sociale è la volontà generale, che non consiste nel risultato della somma delle volontà individuali, ma è una sintesi dei fondamenti razionali ed etici dell’uomo.
Questo modello sociale si potrebbe realizzare solo ed esclusivamente all’interno di un regime democratico in cui la sovranità appartiene al popolo e nessuno può esercitarla o ne può essere delegato. Il Contratto sociale, a partire dalla rivoluzione francese, è uno dei maggiori testi ispiratori del pensiero politico, rivoluzionario e democratico. Si dice che lo stesso Robespierre, uno dei padri della rivoluzione francese, tenesse l’opera sempre in tasca per trarne ispirazione. Dunque si può affermare che il movimento illuminista in ambito politico dia vita ad un disegno riformatore che mira alla modernizzazione dello stato e al raggiungimento della “felicità pubblica”.
L’Encyclopédie
La cultura illuminista è tesa a mettere a disposizione di un pubblico medio il sapere moderno, soprattutto scientifico e tecnico: un’operazione come quella dell’Enciclopedia ha proprio questo significato, e intende dare una vera e propria immagine globale, disegnata con sistematicità.
In Francia, paese in cui gli illuministi sono particolarmente attivi, Denis Diderot e Jean Baptiste Le Rond d’Alembert decidono di contribuire al progresso della società proprio attraverso la diffusione del sapere. Per fare ciò, tra il 1751 e il 1772, con l’aiuto di molti autori e intellettuali competenti dell’epoca come Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Quesnay e Turgot, pubblicano l’Encyclopèdie (Enciclopedia) o Dizionario ragionato delle scienze delle arti e dei mestieri. Composta da 35 volumi (17 di testo, 11 di illustrazioni, 5 di materiali supplementari e 2 indici), tale opera raccoglie tutto il più avanzato sapere scientifico e pratico dell’epoca.
Lo scopo non è quello di soddisfare la curiosità dei lettori, ma l’obiettivo è quello di diffondere la conoscenza delle nuove tecniche di lavorazione di diversi tipi di materiali in modo da migliorare la produzione dei beni dell’artigianato e dell’industria e soprattutto per creare una nuova visione della vita basata non sulla fede ma sulla ragione.
Le voci che vanno a comporre i 17 volumi dell’Enciclopedia tracciano infatti i collegamenti tra settori di conoscenza di cui non si nega la specificità, mostrano la sistematicità inerente alle discipline e al loro intrecciarsi al fine di riprodurre un modello del mondo in cui tutto rinvia a tutto (circolarità della conoscenza). L’Enciclopedia dà spazio preponderante alle voci di carattere scientifico, storico, politico e ridimensiona la presenza degli studia humanitatis (Umanesimo), il cui secolare prestigio è già stato fortemente minato dalla rivoluzione scientifica secentesca. Soprattutto essa presenta voci tecniche e, per scriverle, sono stati consultati operai e meccanici, come dichiarato dagli stessi enciclopedisti, e sono stati costruiti modelli delle macchine e degli utensili presentati nelle tavole illustrate che integrano il testo.
Divulgare significa allargare il raggio d’influenza della ragione, mettere in costante confronto critico le idee, imparare a relativizzarle, imparare a confrontarsi con tolleranza con le opinioni più diverse, allargare i propri orizzonti e di conseguenza la parola opinione diventa una delle chiavi simboliche di questo nuovo atteggiamento culturale.
I philosophes
Gli illuministi non trascurano nessuno strumento di divulgazione e di comunicazione: essi creano giornali e riviste, animano attraverso conferenze e dibattiti, o con semplici conversazioni, numerosi salotti sia di nobili sia di borghesi, che diventeranno veri e propri circoli culturali. I philosophes si incontrano nei cafè a discutere e a incontrare altri intellettuali in viaggio da un capitale europea all’altra, scrivendo e pubblicando non solo saggi ma anche opere teatrali e romanzi. Alcuni tra i pensatori illuministi, per esempio Voltaire, sono tra gli inventori del romanzo moderno. Le idee illuministe infatti, si diffondono anche per mezzo dei teatri e della musica.
Chi sono dunque i philosophes? Voltaire, Diderot, d’Alembert, il giovane Rousseau prima della rottura con gli amici parigini. I philosophes sono per lo più d’origine borghese, sono uomini e donne perché la cultura illuminista è, insolitamente per l’epoca, aperta anche alle dame che sono poi spesso le stesse signore che organizzano i salotti, che scrivono e dibattono anche della loro condizione femminile.
I philosophes sono scrittori, come è soprattutto Voltaire che si occupa di storia come di casi legali e usa per la letteratura la stessa accuratezza con cui scrive di filosofia. Egli è considerato infatti il massimo rappresentante dell’enciclopedismo, inteso non tanto come collaboratore dell’Encyclopèdie, quanto come promotore di quella volontà tipicamente illuminista di interessarsi di ogni campo del sapere. Voltaire, infatti, ci ha lasciato trattati di filosofia, drammi, saggi storici, romanzi, poesie, articoli dell’Enciclopedia sugli argomenti più disparati, fiabe e aforismi. Un corpus, insomma, amplissimo, che dimostra una grande quantità di idee ma anche un’ottima facilità di scrittura.
Gli illuministi sono anche fisici e matematici, come ad esempio d’Alembert che si immerge totalmente nel lavoro dell’Enciclopedia sia come estensore di molte voci, sia come organizzatore di un lavoro editoriale tutt’altro che semplice, trovando anche il tempo per un saggio importante e lucido sul rapporto tra intellettuali e potere. Si occupa anche di poesia e musica e traduce, mirabilmente, alcune opere dal latino. Ma ancora oggi è ricordato in ambito scientifico per il “Teorema d’Alembert” sui polinomi, per lo studio degli equinozi e per il “Principio di d’Alembert”, sulla quantità di movimento.
I philosophes sono figure difficilmente inquadrabili in una determinata specializzazione, come Diderot, che conduce un’attività letteraria molto intensa e variegata. Egli infatti scrive romanzi, lettere, pamphlet, commedie, satire, saggi di gnoseologia. Una produzione sterminata, attraverso cui tocca generi diversi ma sempre caratterizzata da un gusto ironico e dalla critica contro la religione e la superstizione. Proprio per una di queste opere, la Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono, finisce anche per qualche mese in prigione accusato di ateismo. Inoltre fonda l’Enciclopedia, si occupa di scienze naturali e di costume, riflette sul rapporto con i sovrani illuminati e si interessa di critica d’arte.
Negli ultimi anni della sua vita diventa più prudente, esponendo le sue idee in testi anonimi o in maniera più mascherata. Scambia contemporaneamente idee coi grandi intellettuali di Francia e d’Europa ed ha una notevole influenza sulla zarina Caterina II di Russia, che lo invita a San Pietroburgo e con la quale collabora abbondantemente. Lì prepara varie riforme, che però la regnante non renderà mai operative. Muore nel 1784 con una totale sfiducia nei confronti dei despoti.
La concezione della storia nell’Illuminismo
Nel XVIII secolo inoltre si ha la percezione di vivere in un tempo nuovo, all’interno un’età diversa dalle epoche precedenti e dunque “moderna”, un’età che si afferma e pretende di essere valorizzata al pari dell’Antichità, ma allo stesso tempo estremamente diversa, concependo il passato come oggetto sottoposto alla critica e mostrando un presente nuovo che mira al futuro. Proprio in questo secolo si inizia a parlare di storia moderna; Voltaire ad esempio scrive di una «storia antica» che precede una «storia moderna». È Voltaire, nel 1765, il primo a coniare l’espressione «filosofia della storia», attribuendole un senso molto diverso da quello della visione cristiana il cui capostipite è Agostino con la sua Città di Dio.
Da questo momento, infatti, si inizia a riflettere sulla dimensione della ragione sostituita alla fede e sul suo agire sotterraneo agli eventi, guidandoli continuamente. Una ragione la quale spiega le cause, le concause e gli effetti, e che un valido storico deve riuscire a individuare per dare un senso agli eventi stessi. Questi ultimi non hanno un significato specifico nel mondo, perciò bisogna trovare un senso attraverso la ragione e lo studio, ricercando la catena causale. Così facendo la storia ci deve insegnare a non commettere gli errori del passato, in modo tale da giungere al progresso e al miglioramento dell’umanità.
Inoltre è proprio grazie all’Illuminismo che la concezione della storia si è sviluppata nel modo in cui è giunta fino a noi oggi. Infatti, proprio tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, si comprende che per cogliere una storia nella sua interezza non è più sufficiente criticare le fonti, ma è necessario il contributo della filosofia attraverso l’elaborazione da parte di più visioni soggettive e giudizi storici diversi. In questo modo si assiste ad una delle caratteristiche della storia moderna, cioè la capacità di mettere insieme concettualizzazione filosofica e metodo critico filologico.
Prima dell’800, infatti, sono presenti storie plurali di vario genere, che si verificano e che possono servire come esempi per l’insegnamento della morale, della filosofia, della teologia, del diritto, una storia cioè pensata come dimensione in cui avvenissero vicende o che subisse delle trasformazioni. Infatti appare alquanto difficile contrastare Koselleck, uno dei grandi protagonisti della storiografia contemporanea, e la sua idea secondo la quale il concetto attuale di storia si è sviluppato nella cultura occidentale solo verso la fine del XVIII secolo. Lo stesso Lessing, uno dei maggiori esponenti dell’illuminismo tedesco, attribuisce l’inizio della storia effettivamente solo con l’avvento dell’illuminismo, mentre tutto ciò che lo ha preceduto dovrebbe essere considerato come una “pre-istoria”.
Punti di debolezza e punti di forza dell’Illuminismo
L’Illuminismo dunque è un fenomeno culturale, il primo a riconoscersi tale e a operare tra gli stessi contemporanei. Esso ha rivoluzionato il modo di pensare, la storia universale e il tempo storico e in tal modo è riuscito a creare la coscienza moderna del tempo in occidente. Tuttavia, come dimostrano le varie critiche dei filosofi e degli intellettuali dell’epoca immediatamente successiva, l’Illuminismo non viene valutato positivamente.
Hegel, ad esempio, non condivide l’atteggiamento degli illuministi, i quali non tengono conto dei rischi e dei problemi drammatici che la frattura e la forte opposizione nei confronti del passato avrebbero potuto portare. Inoltre la concezione dell’epoca illuministica, basata sul presente sempre aperto al futuro, sulla fiducia al progresso continuo e indefinito e sulla perfettibilità dell’uomo, sembrava pericolosa e “unilaterale”. Infatti la Rivoluzione francese, il Terrore e le sanguinose guerre napoleoniche non lasciano quella visione serena della realtà e del genere umano che si è prospettata.
Hegel in questo modo cerca di cogliere, oltre alle contraddizioni e alle incongruenze dell’Illuminismo, anche il ruolo della ragione. Quest’ultima, che viene considerata la vera liberatrice ed emancipatrice, decade con la barbarie, con la Rivoluzione e con il Terrore di Robespierre l’«incorruttibile», finito anch’egli sotto la ghigliottina, la macchina mortale che lui stesso aveva contribuito a creare.
Inoltre nel 1944 viene ultimata negli Stati Uniti l’opera Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno e pubblicata nel giugno di tre anni dopo ad Amsterdam. Sarà destinata ad essere una delle più grandi opere di critica all’Illuminismo, riflettendo sulle drastiche conseguenze negative che questo ha portato. I due intellettuali tedeschi tentano di rilevare un regresso da parte dell’umanità, che dall’Illuminismo ha condotto fino alla catastrofe della loro contemporaneità, come la Seconda guerra mondiale o la Shoah.
Illuminismo nato per emancipare e liberare gli uomini dal mito, dal fanatismo religioso, paradossalmente trasforma esso stesso in mito e religione totalitaria. «L’Illuminismo è totalitario», «l’Illuminismo è totalitario più di qualunque sistema» affermano Adorno e Horkheimer; esso giunge infatti a un razionalismo prettamente strumentale che crea una società disumana dominata dalla tecno-scienza. Illuminismo che secondo questa concezione alimenta la crisi trascinando l’intero mondo occidentale ad un nuovo genere di barbarie. Inoltre uno dei motivi per cui i due autori muovono questa violenta critica all’illuminismo è sicuramente dato dalla crescente insofferenza nei confronti della scienza moderna, sottomessa alla dittatura del potere tecno-scientifico.
Nonostante queste valide critiche mosse all’Illuminismo, si deve riconoscere il merito di aver elaborato la nozione di critica così come noi oggi la conosciamo. In realtà la nozione di critica moderna nasce poco prima dell’avvento dei lumi, con Pierre Bayle, il quale nel suo Dizionario storico critico (1697) attraverso un sistema di rinvii e rimandi, invita il lettore a costruire una propria idea, una propria opinione, sull’articolo o sull’autore tenuto in considerazione. Questo sistema insieme alla critica delle fonti e al principio di autorità sono alcuni elementi che ispireranno i philosophes illuministi e gli autori dell’Encyclopèdie nel Settecento.
Accanto a questo coraggio di indagine personale e di ricerca della conoscenza sta l’assunzione di responsabilità verso la società: il philosophe insegna, rischiara il popolo attraverso il sapere, guida con le sue conoscenze le scelte dei principi di cui non è più servo, ma consigliere indispensabile e libero. L’uomo, fondamentalmente, è alla ricerca della felicità, sia pubblica che privata, e compito della conoscenza è di illuminare la strada comune. Proprio per questo l’intellettuale illuminista non si rifugia nel piacere di studi solitari, né programmaticamente difende il loro elitarismo: il philosophe viaggia, conosce e ama farsi conoscere, frequenta quei salotti culturali in cui vengono prodotti i nuovi contenuti culturali, e comunica le proprie scoperte e idee nelle Accademie. Ma soprattutto l’intellettuale illuminista progetta metodi innovativi di educazione pubblica diffusa, e divulga.
La cultura dei philosophes è dunque una stagione fecondissima dell’Illuminismo francese che lascia dietro di sé un’importante eredità per scienziati e letterati; una cultura che mostra una presenza attiva degli intellettuali nel loro tempo, che è capace di influire e indirizzare l’opinione pubblica, di offrire strumenti ai grandi movimenti rivoluzionari e di partecipare come voce libera e autonoma nella società. L’esperienza dei philosophes traccia una via difficile e soggetta a non pochi problemi per gli intellettuali che seguiranno, nell’Ottocento e nel Novecento.
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- A. Tagliapietra, Che cos’è l’illuminismo? I testi e la genealogia del concetto. Mondadori, 2000.
- V. Ferrone, Lezioni illuministiche, Laterza, 2010.
- M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, 2010.
- P. Quintili, Illuminismo ed enciclopedia, Carocci, 2005.