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Origine, diffusione e sintomi della peste nera del 1348
L’agente patogeno che provoca la peste nera (conosciuta anche col nome di “morte nera”) è stato denominato Yersinia Pestis, dal nome del suo scopritore Alexandre Émile Jean Yersin che, durante l’epidemia di Hong Kong del 1894, riuscì ad isolarlo.
Nel corso della storia dell’uomo, il batterio responsabile di questo terribile male si è presentato più volte, innescando principalmente tre ondate di peste in altrettanti periodi differenti: la prima epidemia di cui si ha notizia è quella risalente al VI secolo d.C., la cosiddetta “Peste di Giustiniano” che ha colpito il bacino del Mediterraneo e che tenderà a perdurare fino all’VIII secolo d.C.
La seconda è, invece, quella del ‘300 (su cui ci concentreremo) che sconvolge duramente l’Europa tra il 1348 e il 1352. Infine si ripresenta in varie aree del mondo nel periodo che va dal XV al XVIII secolo.[1] Ancora oggi si contano alcune migliaia di contagi all’anno, a testimonianza del fatto che la peste sia tutt’altro che debellata.
La diffusione del batterio nell’Europa del ‘300 si è innescata probabilmente quando una nave proveniente dalla colonia genovese di Caffa (Crimea) approda al porto di Messina (Sicilia) per sfuggire al morbo, già esso in fase di diffusione nei territori del Mar Nero. Questo evento coincide però con altri fattori che hanno senza dubbio incentivato la diffusione del terribile agente patogeno; l’Europa in quel periodo conosce un grande incremento demografico con conseguente inurbamento, da cui ne deriva a sua volta sovraffollamento e cattive condizioni igieniche.
Oltretutto, dalla prima metà del secolo inizia un nuovo periodo di carestia. Risultato? Si sono create le condizioni ideali per la proliferazione dell’agente infettivo. All’epoca però, si crede che la morte nera venga innescata da una punizione divina, diffusa poi grazie al persistere di “arie malsane” e dato che la medicina non sa come combatterla, il popolo si affida alla preghiera, ai pellegrinaggi e alle processioni; tutte azioni che invece di contrastarne la diffusione, la favoriscono.[2]
Ma come avviene il contagio? Attraverso il morso delle pulci presenti sui ratti[3] ma non solo, perché un soggetto malato di peste può infettare a sua volta altri individui attraverso starnuti e colpi di tosse. Oggi sappiamo che i tipi di peste sono tre:
- La “Peste Bubbonica”, la più consueta, riconoscibile dalla tipica presenza di bubboni doloranti, i cui sintomi maggiori sono delirio, allucinazioni, alta temperatura corporea e cefalea.
- La “Peste Polmonare” che, oltre ai sintomi della variante bubbonica, porta a tosse forte con fuoriuscita di sangue, difficoltà nella respirazione e forte debolezza, dove la morte può sopraggiungere in 24-48 ore.
- La “Peste Setticemica”, che è una diretta conseguenza di un peggioramento delle due precedenti forme descritte. La caratteristica principale di questa variante è che porta ad una grave infezione delle cellule del sangue, con successiva morte del soggetto infetto nel giro di 48 ore.
Analizzando le fonti apprendiamo come le forme maggiormente diffuse in Europa dal 1348 sono dapprima la forma bubbonica, poi in inverno quella polmonare, per poi tornare a manifestarsi principalmente come bubbonica dalla primavera successiva.[4]
Nel ‘300, uno dei rimedi più utilizzati per curare la peste è quello del salasso con sanguisughe, poiché si crede che eliminando il “sangue sporco” la malattia può essere sconfitta o almeno si possano alleviare le condizioni, generalmente critiche, del malato. I medici che effettuano tale terapia sono soliti indossare maschere dal lungo becco, non per motivi rappresentativi, bensì per motivi pratici: all’interno del becco ci si possono inserire bende, unguenti e/o erbe aromatiche, al fine di rendere più pulita l’aria che si respira.
Nonostante ciò, questi rimedi risultano inefficaci e ad oggi è stato calcolato che la morte nera ha causato (solo nel Vecchio Continente) un numero di vittime compreso tra i 25 e i 50 milioni di individui, anche se una quantificazione più precisa non si è ancora riusciti a darla.[5
La convivenza tra uomo e peste
Il terribile “morbo trecentesco” colpisce principalmente i luoghi a maggior densità demografica, per questo coloro che possono abbandonare le città lo fanno, andando a rifugiarsi in campagna, alla ricerca di luoghi maggiormente isolati e lontani dall’aria malsana portatrice di morte.
Per coloro le cui possibilità di spostamento sono ridotte, se non nulle, la stretta convivenza con il bacillo è d’obbligo e ciò porta al manifestarsi di comportamenti sociali in cui prevale un atteggiamento di “egoismo”, da sempre presente nell’uomo (il cui livello risulta naturalmente modulato in periodi “meno travagliati”, come buona pratica di convivenza sociale), corredato da una sostanziale ricerca di un concreto colpevole ritenuto diffusore dell’epidemia; esempi tipici possono essere quelli, tutt’altro che rari, in cui il malato viene abbandonato al proprio destino anche da persone a lui strette, poiché questi ultimi sono spesso terrorizzati dal contrarre il morbo (o in alternativa viene portato nei Lazzaretti).
A queste situazioni si accostano atti di intolleranza nei confronti di coloro ritenuti essere “untori”, diffusori della malattia e che vengono individuati nelle classi sociali più deboli come quelle dei mendicanti e degli ebrei.[6]
La morte nera non fa distinzioni sociali, colpisce ricchi e poveri, ma almeno i più abbienti hanno la possibilità di contrastarla in qualche modo (o meglio, ci provano); ne è un esempio il comportamento adottato da Papa Clemente VI su consiglio del medico francese Guy de Chauliac, conosciuto in Italia con il nome di Guido de Cauliaco, che suggerisce al Papa di evitare contatti con persone contagiate, mangiare frutta fresca per rinforzare il cuore e contrastare le tragicamente famose “arie malsane” portatrici della malattia, utilizzando essenze profumate e tenendo accesi fuochi atti a purificare l’aria.
Le preoccupazioni del Papa legate al morbo lo portano ad incentivare la pratica della dissezione dei cadaveri di individui deceduti di peste, al fine di comprendere meglio gli effetti del morbo sull’uomo, tant’è che lo stesso Guido di Cauliaco effettua tali studi progredendo così nella comprensione della malattia.[7]
A proposito del rapporto tra Papa e dissezione, sfatiamo un mito: è opinione diffusa che la Chiesa dell’epoca fosse contraria ad effettuare tale pratica, ma ciò risulta vero solo in parte, dato che la dissezione viene tranquillamente accettata e condivisa se il fine ultimo ha scopi di ricerca (vedasi il progresso degli studi anatomici elevatosi proprio nel Medioevo). Al contrario, se tale pratica viene adottata per sfregiare il corpo del defunto e/o smembrarlo per offesa, allora la condanna diventa legittima e perseguibile. Un tipo di etica condivisa ancora oggi.
Da citare anche l’inizio di un particolare fenomeno socio – economico che vede la luce in quegli anni, vale a dire la nascita di un sistema proto – capitalistico; ciò si ha per quale motivo? Per via del crollo demografico che comporta una forte diminuzione della manodopera disponibile ai signori feudali, i quali cominciano per la prima volta ad essere in competizione per ottenerla, creando così una nuova classe borghese.[8]
Alla luce degli eventi descritti, quello che ne emerge sono gli svariati cambiamenti che l’epidemia inizia, più o meno direttamente, ad innescare.
Le rivolte da pandemia
La malattia ha scosso prepotentemente le fondamenta del sistema sociale, politico ed economico visto in Europa fino a quel momento. Come ben si sa, ogni cambiamento porta ad un certo livello di sofferenza e destabilizzazione, ma nel periodo in cui il morbo dilaga, si tocca un apice estremamente elevato; molte sono le rivolte che si accendono per via della situazione (anche se non solo per le difficoltà derivanti dal persistere della malattia), le cui più celebri sono forse le rivolte delle Jacquerie, presenti in Francia dal 1358,[9] la famosa Rivolta dei Ciompi nostrana, scoppiata nel 1378 a Firenze[10] e la Paesant’s Revolt del 1381 nata in Inghilterra.[11]
In tutti e tre i casi menzionati, vi è una concomitanza di fattori che porta alle rivolte, enfatizzate poi dalle privazioni e dalle difficoltà dettate dal persistere del morbo: per esempio le guerre, come nel caso della Francia e dell’Inghilterra, impegnate l’una contro l’altra nella Guerra dei Cent’anni (1337 – 1453), un aumento della pressione fiscale da parte dei poteri centrali, la crisi delle manifatture urbane per via della riduzione della domanda di vari beni di consumo e la sempre più elevata pressione esercitata dai signori sui contadini.
Viene da se l’interrogarsi su quanto la pandemia di peste ha influenzato lo scontento dilagante dei gruppi di lavoratori dell’epoca. Di certo, le classi elitarie non badano troppo agli interessi della società, già vessata dalla malattia da svariati anni e quindi una risposta popolare così violenta non può che essere scontata, ma nonostante ciò, ancora una volta vediamo come dalle difficoltà e dal caos siano nati nuovi assetti sociali, nuove forme di amministrazione e quindi il progresso.
La peste nera nella letteratura
Molti sono gli autori che scrivono opere in cui si narra del morbo. Tra questi, alcuni di maggior rilievo (in ambito italiano) sono sicuramente Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Ad esempio, il primo ci parla della peste nelle epistole Familiares e Ad se ipsum. Il secondo invece ci trasmette informazioni attraverso il Decameron.
Se è vero che questi due personaggi affrontano il tema della peste descrivendola sotto vari punti di vista, quello che si nota dalle loro opere è il tipo di descrizione che ne fanno: in Petrarca, gli effetti del morbo vengono descritti con maggior enfasi dal punto di vista delle conseguenze psicologiche a cui esso porta.
In Boccaccio vediamo invece una descrizione della peste dove prevale il freddo particolare delle sue manifestazioni cliniche presenti sui malati. Ecco perché analizzare i due autori permette di avere un quadro completo delle conseguenze (psicologiche e fisiche) a cui porta la morte nera.[12]
Nelle epistole Familiares (I, 1 e VIII, 7), Petrarca parla del periodo di pestilenza:
<< E’ l’anno 1348, che ci ha reso soli ed inermi […] sono irreparabili le ultime perdite e qualunque cosa abbia portato la morte, la ferita è incurabile>>
e ancora:
<<ahimè, fratello diletto, che dirò? donde comincerò? da qual parte mi volgerò? dappertutto è dolore, dappertutto spavento>>.
Stesso sentimento di terrore è ben percepibile nelle epistole Ad se ipsum:
<< […] ma per quell’anno 1348 della sesta età io mi dolgo, che non solo privò noi dei nostri amici, ma tutto il mondo di genti; e se adesso qualche cosa mancò, ecco che questo anno corrente ne raccoglie gli avanzi, e tutto quello che la mortifera falce persegue. […] Felici i nostri pronipoti che questo miserando spettacolo non avranno visto, e forse terranno in conto di favola la nostra testimonianza>>.
La disperazione, il dolore, l’afflizione…tutti sentimenti presenti nelle opere di Petrarca e ben esposti nei passi appena riportati.
In Boccaccio la differenza è evidente; se andiamo a vedere l’introduzione alla prima giornata del Decameron, percepiamo un tipo di narrazione in cui si predilige la descrizione clinica della peste:
<< […] nascevano (i sintomi) nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femmine parimenti o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più alcun’altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parte del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno […]>>
Considerazioni e analogie tra passato e presente
Siamo arrivati alla fine di questo resoconto in cui si è tentato di descrivere una delle epidemie che ha fatto più soffrire il genere umano. Senza soffermarci troppo sul numero di decessi causati dalla peste, cerchiamo di spingerci ad un livello più profondo di comprensione, immaginandoci le milioni di esperienze umane scaturite dalla diffusione del morbo: sofferenze, dolori, intolleranze verso coloro ritenuti “diversi” (additati come untori), disparità sociali, rivolte e quant’altro; ciò che si sta passando attualmente a causa della pandemia da SARS-CoV-2 non è troppo diverso da quello che passò l’Europa (e non solo) nel ‘300, ovviamente parlando dal punto di vista sociale e non epidemico.
Non si può mettere in dubbio il fatto che se noi oggi avessimo avuto i mezzi medici dell’epoca, avremmo probabilmente raggiunto un numero di vittime per CoVid-19 maggiore rispetto a quello attuale, ma una situazione analoga a quella della peste trecentesca non si sta fortunatamente vivendo grazie proprio al progresso, alle azioni e ai cambiamenti che si sono adottati in quel travagliato periodo, atti ad arginare il problema: pensiamo per esempio alle restrizioni volute dal Re della Polonia Casimiro III (1310 – 1370) che di fatto andò a chiudere il proprio Paese affinché la peste non dilagasse ulteriormente e che, grazie a questo comportamento, riuscì ad evitare molti più morti. Comportamento questo ancora oggi adottato.
Non sappiamo cosa avverrà in futuro, ma probabilmente la specie umana si troverà nuovamente a dover affrontare crisi di questo tipo, di certo potendo contare su strumenti e tecniche sempre più efficaci.
La storia è un genitore che ci aiuta a capire come comportarsi in questi momenti, capire ciò che può essere giusto e ciò che può essere sbagliato, suggerendoci quali potrebbero essere conseguenze delle nostre azioni.
Note:
[1] FORNACIARI, GIUFFRA 2011, “Manuale di Storia della Medicina”, Felici Editore, p. 203.
[2] Ibidem, p. 203-204.
[3] Negli ultimi anni si sta cercando di capire se anche i pidocchi presenti sull’uomo possano aver avuto un ruolo nella diffusione della peste. La comunità scientifica sta dibattendo su questo aspetto.
[4] CORBELLINI 2016, “Storia e teorie della salute e della malattia”, Carocci Editore, p. 78.
[5]GALASSI 2021, “Uomini e microbi: l’eterna battaglia”, Espress Edizioni, p. 82.
[6] FORNACIARI, GIUFFRA 2011, “Manuale di Storia della Medicina”, Felici Editore, p. 204.
[7] DEMARTINI 2020, “La peste del Trecento: come la “morte nera” sconvolse e cambiò l’Europa”, pp. 33-68.
[8] GALASSI 2021, “Uomini e microbi: l’eterna battaglia”, Espress Edizioni, p. 92.
[9] JACQUERIE in “Enciclopedia Italiana” (treccani.it).
[10] Ciompi, tumulto dei in “Dizionario di Storia” (treccani.it).
[11] Peasants’ Revolt – World History Encyclopedia (ancient.eu).
[12] Interessante approfondimento sulla peste descritta da Petrarca e Boccaccio è stato fatto dalla dott.ssa Samantha Mattocci, contributo dal titolo <<De peste illa sine exemplo>>: Petrarca, Boccaccio e l’epidemia del 1348, pp. 1-19, presente all’interno del testo “Malattie e Medicina tra Letteratura, Storia e Antropologia”, Quod Manet, a cura di SPANI, VAROTTO 2020.
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- Francesco Maria Galassi, Uomini e Microbi: l’eterna battaglia, Espress edizioni, 2021.
- William H. Mcneill, La peste nella storia. L’impatto delle pestilenze e delle epidemie nella storia dell’umanità, Res Gestae, 2020.
- Andrew Spicer – William G. Naphy, La Peste in Europa, il Mulino, 2006.