CONTENUTO
di Giuseppe Gabutti
Il crollo del regno dei Visigoti in Spagna
Il 19 luglio 711 è una data importante nella storia della penisola iberica: in quel giorno d’estate, nel sud della Spagna, presso il fiume Guadalete, un’armata di invasori arabo-berberi sconfigge l’esercito del regno dei Visigoti determinando la fine di uno Stato dall’esistenza plurisecolare.
Stanziatisi dopo la metà del V secolo in gran parte della penisola iberica, in seguito alla disgregazione dell’impero romano d’occidente, responsabili, sotto il comando di Alarico, del saccheggio di Roma dell’agosto del 410, i Visigoti o Goti occidentali fanno successivamente dato vita, proprio nella penisola iberica, ad una compagine statale avente come capitale l’antica città romana di Toletum, l’odierna Toledo.
La fusione fra la minoranza dei Visigoti, di origine germanica, e la maggioranza latina degli Ibero-romani avvenne all’insegna di una lenta , ma costante romanizzazione. La conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 587, di re Recaredo, che aveva seguito l’esempio del fratello Ermenegildo, canonizzato poi dalla Chiesa cattolica e ancora oggi uno dei due santi patroni dei monarchi spagnoli, accelera il superamento dei separatismi religiosi: il sovrano visigoto abbraccia la fede religiosa maggioritaria nel Paese, soprattutto presso gli Ibero-romani, e abbandona l’arianesimo, diffuso presso i popoli germanici dalla predicazione del vescovo Ulfila, un seguace del sacerdote alessandrino Ario.
Nello stesso tempo Recaredo si garantisce l’appoggio della Chiesa cattolica di Roma, che già dal IV secolo ha condannato la dottrina cristologica di Ario, secondo la quale Gesù non è Dio incarnato, ma una creatura di Dio, anche se la più “eminente”, strumento per la creazione di altri esseri.
Il separatismo giuridico viene eliminato con il Liber Iudiciorum, la cui promulgazione, dopo anni di compilazione, si ha nel 654, durante il regno di Reccesvindo; nel Liber Iudiciorum, in dodici libri, la più vasta legislazione secolare dell’Europa occidentale del tempo, tutti i sudditi sono considerati “Hispani” e non più di stirpe romana o di stirpe gotica; di fatto è abolita l’antica tradizione di applicare leggi diverse per Ibero-romani e per Goti.
L’apparato militare del regno dei Visigoti si dimostra, durante i secoli di esistenza dello Stato, complessivamente all’altezza delle situazioni: nel VI secolo l’esercito aveva sconfitto gli Svevi, stanziatisi nella parte nord-occidentale della penisola iberica, e, tra il VI e il VII secolo, aveva respinto, anche se con alterne fortune, le armate dell’imperatore romano d’Oriente, impedendo una loro duratura presenza sulle coste meridionali della penisola iberica.
Anche la flotta aveva dato una buona prova di sé: alla fine del VII secolo, nel 680, durante il regno di Vamba, ricordato come il primo “barbaro” dell’Europa occidentale ad essere consacrato sovrano da un’autorità religiosa, in questo caso l’arcivescovo di Toledo, la flotta visigota aveva sconfitto una squadra navale arabo-berbera.
La debolezza del regno visigoto non è quindi di natura militare, ma politica, a causa dei frequenti contrasti interni. La monarchia visigota è elettiva, secondo l’antica tradizione del “condottiero del popolo” eletto dai capi tribù; all’elezione del sovrano concorrono vescovi e importanti dignitari dello Stato riuniti in assemblea. In occasione delle elezioni, sovente si confrontano gruppi di potere, spesso collegati a consorterie familiari con il risultato di non pochi sovrani deposti e di conseguenti guerre civili tra fazioni che si contendono la corona.
L’invasione arabo-berbera della penisola iberica
Re Roderico o Rodrigo, l’ultimo sovrano visigoto, si era imposto in seguito ad una guerra civile; Roderico si trovava nel nord della penisola iberica, impegnato a reprimere una rivolta, forse organizzata dai suoi rivali politici, quando gli giunsero le notizie dello sbarco sulla costa meridionale di un contingente di Arabi e Berberi, sbarco avvenuto negli ultimi giorni del mese di aprile del 711; ritenne opportuno dapprima cercare un accordo con i suoi avversari interni e poi allestire un’armata per spostarsi con questa nel sud allo scopo di affrontare il nemico.
L’armata arabo-berbera era costituita da circa 12.000 uomini, di cui 7.000 Berberi, al comando di Tariq-ibn-Ziyad, un ambizioso ex-schiavo berbero, destinato ad essere ricordato come colui che diede il nome alla rocca di Gibilterra, dall’arabo “Jabal al Tariq” ovvero “monte di Tariq”, e, per estensione, allo stretto di Gibilterra, che Tariq aveva attraversato con navi cariche di soldati.
Tariq non agiva da solo, ma per conto di Musa-ibn-Nusayr, al tempo governatore arabo di gran parte dell’Africa nord-occidentale, intenzionato a sfruttare le difficoltà interne allo Stato visigoto.
Nella battaglia presso il fiume Guadalete del 19 luglio 711 l’esercito visigoto di Roderico, seppur numericamente superiore per effettivi, viene sconfitto; forse abbandonato, durante lo scontro, da alcuni reparti al comando dei suoi rivali, Roderico perse la vita combattendo, anche se si parla di una sua morte in un’altra località, sempre in battaglia.
Dopo la vittoria di Guadalete, all’armata di Tariq si aggiunse quella al comando di Musa, giunto nella penisola iberica con nuovi rinforzi. Sfruttando la confusione politica creatasi nello Stato visigoto, confusione alimentata anche dall’incapacità di eleggere al più presto un nuovo re, e traendo vantaggio dallo smarrimento diffusosi presso le stesse forze militari a causa della rapida avanzata degli invasori, le armate arabo-berbere negli anni seguenti riuscirono ad ottenere il controllo di gran parte del regno visigoto.
Successivamente, nei territori conquistati, la presenza araba divenne istituzione politica. Sorse nella penisola iberica uno fra gli Stati più ricchi e più intellettualmente sviluppati tra quelli dell’epoca medievale: gli Arabi lo chiamarono al-Andalus, da cui Andalusia, l’odierna regione della Spagna meridionale, forse da un termine goto, pronunciato “Landalos”, sul cui significato ancora oggi si dibatte: “landa”, cioè “terra”, e “hlauts”, cioè “dei guerrieri” o “del destino” o “della luce”. Al-Andalus fu una roccaforte islamica, la cui esistenza si protrasse fino al 1492.
Questo Stato divenne presto noto per le sue scuole di medicina, matematica, filosofia e agronomia: di al-Andalus fu il medico e chirurgo Abbas al-Zahrawi, il filosofo e matematico Averroè, l’agronomo Ibn al-Awwan, che nei suoi scritti parla della coltivazione del riso, introdotta per la prima volta nella Spagna orientale e quindi in Europa proprio dagli Arabi; la risicoltura consentì a questo cereale, già conosciuto, ma importato e utilizzato da Greci e Romani come spezia, medicamento o per cosmesi, di essere in seguito apprezzato anche per le sue qualità alimentari.
Gli inizi della Reconquista della penisola iberica
Non tutti gli Iberici si rassegnarono al dominio degli invasori musulmani: le terre impervie della penisola iberica settentrionale, in particolare le Asturie, divennero presto zone di resistenza cristiana, difese da qualche migliaio di guerrieri a cui si aggiunsero gli abitanti del luogo; il loro capo era Pelagio, forse di origine ispano-romana, forse di stirpe visigota, quasi certamente un superstite della sconfitta presso il fiume Guadalete.
Gli Arabi cercarono di piegare anche quest’ultima resistenza inviando Oppa, il vescovo di Siviglia divenuto collaborazionista degli invasori. Pelagio respinse le offerte di resa onorevole proposte da Oppa e, pertanto, si arrivò allo scontro.
La vittoria asturiana nella battaglia di Covadonga, nell’estate del 722, ebbe esiti di cui gli uomini del tempo non si resero immediatamente conto; gli Arabi, in particolare, sottovalutarono la sconfitta subita e le conseguenze che questa sconfitta avrebbe avuto, almeno a lungo termine: la costituzione nella parte settentrionale della penisola iberica di un piccolo regno cristiano, primo nucleo di una forte resistenza anti-araba destinata a generare l’epopea della “Reconquista”; questo termine è utilizzato per indicare le guerre che gli Spagnoli dovettero combattere per secoli allo scopo di liberare la loro terra dal dominio degli Arabi e fu imposto dagli storici dopo il compimento degli stessi eventi.
Fu proprio il genero di Pelagio, Alfonso, ricordato come il primo a proclamarsi re delle Asturie, a iniziare quella “Reconquista” che si sarebbe conclusa il 2 gennaio 1492 con la resa di Boabdil, emiro di Granada, alle armate al comando di Ferdinando di Aragona e di Isabella di Castiglia.
Alfonso I delle Asturie estese il suo dominio sulla Galizia, sfruttando la rivolta anti-araba scatenata nel Nord-Africa e in al-Andalus dai Berberi, penalizzati dalla supremazia araba nei comandi militari, amministrativi nonché nella spartizione del bottino, e conclusasi con l’assegnazione da parte araba di zone del Nord-Africa occidentale ai Berberi, che così onorarono il loro essere “uomini liberi”: tale, infatti, il significato originario del nome di questo popolo nella loro lingua.
Proprio la crisi interna alla realtà politica islamica favorì il successo asturiano: la citata conquista della Galizia da parte di Alfonso I avvenne proprio nel 740, anno dell’inizio della rivolta berbera. La Reconquista conobbe fasi differenti a seconda del periodo in cui si realizzò; in questa prima fase si trattò di una lenta espansione cristiana alla quale gli Arabi reagirono con spedizioni all’interno dei territori asturiani.
Nel 794 un’insidiosa incursione araba fu respinta da Alfonso II, nipote di Alfonso I, nella battaglia di Lutos; in seguito lo stesso Alfonso bloccò, anche se a fatica, altri pericolosi attacchi. Questi successi consentirono allo Stato asturiano di divenire una realtà politica consolidata, tenuta in considerazione anche al di fuori dei propri confini come documentano le relazioni diplomatiche stabilitesi, fra il 796 e il 798, con il regno dei Franchi, il cui sovrano, Carlo, passato poi alla storia con il nome di Carlo Magno, guardava con preoccupazione alla presenza araba nella penisola iberica.
Re Carlo non dimenticava che proprio da questo territorio, anni prima, era partita l’armata musulmana che aveva tentato di invadere il regno dei Franchi e che era stata sconfitta a Poitiers, nel 732, grazie all’abilità e al coraggio del comandante dell’esercito franco, Carlo Martello, nonno di Carlo Magno.
Le vittorie militari e politiche di Alfonso II, il cui lungo regno si concluse nell’842, trovano una spiegazione non solo nelle capacità strategiche e diplomatiche di questo sovrano, ma anche nella determinazione del suo esercito formato in gran parte da contadini-soldati, sempre pronti ad alternare il lavoro nei campi con la guerra.
Giocarono inoltre a favore del re delle Asturie le caratteristiche essenzialmente montuose del territorio del settentrione della penisola iberica e, proprio in quegli anni, la scarsità numerica dei Mori, così chiamati dal latino “Mauri”, termine con il quale nell’Europa del tempo si indicavano gli abitanti dell’antica regione della Mauretania, corrispondente all’Africa nord-occidentale.
Per quanto dominassero quasi tutta la penisola iberica, le offensive degli Arabi dirette a nord si caratterizzarono sovente come incursioni e saccheggi senza poter mai diventare conquista permanente: in quel periodo i Mori erano circa il 10% della popolazione, mentre il resto era costituito dai Mozarabi ovvero gli “arabizzati”, i cristiani iberici che vivevano sotto il dominio musulmano.
Tuttavia va attribuito a re Alfonso II anche un altro, importante merito: quello di aver compreso l’importanza del ritrovamento, in una località della Galizia, delle reliquie di san Giacomo apostolo e di aver fatto costruire sul posto del ritrovamento una piccola chiesa, al cui interno era presente la tomba del santo. Fra i primi visitatori della tomba dell’apostolo vi fu proprio Alfonso II, che vi giunse da Oviedo, per sua volontà nuova capitale delle Asturie dopo Pravia.
La piccola chiesa divenne in seguito il santuario di san Giacomo di Compostela, uno dei luoghi più importanti della Cristianità, meta di pellegrini provenienti da tutta Europa: in questo modo, grazie ad Alfonso II, la causa della “Reconquista” spagnola divenne quella di tutto il continente come testimonia l’arrivo, nelle successive fasi della “Reconquista”, di numerosi militari, cavalieri e fanti, provenienti da molti Paesi europei.
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- Manuela Marin, Storia della Spagna musulmana e dei suoi abitanti, Jaca Book, Edizione 2001.
- Ramon Menendez Pidal, Historia de España, Espasa-Calpe, Edizione 1956.