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Dal crollo del Muro di Berlino alla svolta della Bolognina
La caduta del muro di Berlino e il processo di sfaldamento dell’Urss aprono un ampio dibattito sul futuro del Partito comunista italiano. Il segretario Achille Occhetto è convinto che sia necessario marcare una netta soluzione di continuità per salvarsi dalla catastrofe del comunismo internazionale. Egli crede che il vecchio partito sia finito e che spetta a lui guidarne il percorso di trasformazione in un’altra forza politica, con un nome, un simbolo e una identità diversi, in grado di marcare la rottura con il passato.
Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annuncia grandi cambiamenti a Bologna. Partecipa alla manifestazione per celebrare il 45º anniversario della battaglia partigiana della Bolognina, presso la sezione omonima nel quartiere Navile. Occhetto propone di aprire un nuovo corso politico che prelude al superamento del Pci e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana. E’ la cosiddetta “svolta della Bolognina”.
La svolta è dunque annunciata in solitario dal segretario del Partito comunista italiano e senza che il partito fosse preparato o comunque consultato. Il giorno dopo se ne discute ufficialmente in segreteria (compatta col segretario) e quindi per altri due giorni in Direzione. Qui Occhetto chiede che il Pci promuova una «fase costituente sulla cui base far vivere una forza politica che, in quanto nuova, cambia anche il nome». Per forzare un po’ sulla svolta, il segretario pone la fiducia al suo mandato. La Direzione dura due giorni e si conclude con un rinvio della discussione in Comitato Centrale.
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Il dibattito sulla “Cosa”
Il 20 novembre si apre il Comitato Centrale, in cui i membri discuteranno della svolta per cinque giorni. Da questo momento in poi il dibattito sulla svolta della Bolognina sarà anche conosciuto come il “dibattito sulla Cosa”, ossia sulla nuova forza politica.
Il Comitato Centrale si conclude il 24 novembre con il voto di 326 membri su 374: 219 sì, 73 no e 34 astenuti all’ordine del giorno col quale «il CC del Pci assume la proposta del segretario di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica». Al contempo si accetta la proposta delle opposizioni di indire un congresso straordinario entro quattro mesi per decidere se dar vita a un nuovo partito.
Emergono fortissime resistenze a rimettere in discussione la storia e il presente del Partito comunista italiano. Il clima di euforia che accompagna la caduta del muro di Berlino innesca per reazione un’ondata di patriottismo di partito non facilmente arginabile.
La discussione interna al Partito comunista italiano
I “miglioristi”, la corrente di destra del Partito comunista italiano capeggiata da Giorgio Napolitano, non hanno dubbi sulla via da percorrere che può portare solo alla formazione di un partito socialdemocratico, coerente con le radici del marxismo e soprattutto armonico all’evoluzione compiuta negli anni dalle forze politiche europee aderenti all’Internazionale socialista.
Per Napolitano e il suo gruppo, questo sbocco arriva in ritardo e viene a sanare una contraddizione evidente del Pci, la cui pratica politica, già da molto tempo socialdemocratica, si è continuata a sviluppare in presenza di un apparato dottrinario fermo al leninismo.
Le correnti di sinistra contestano questa impostazione, forti anche dell’eredità di Enrico Berlinguer che ha sempre dichiarato l’inconciliabilità tra comunismo e socialdemocrazia. Trasformarsi in socialisti democratici vorrebbe dire ammettere la vittoria del Psi nel duello a sinistra iniziato nel 1921. Tanti vecchi leader, come Ingrao e Cossutta, rivendicano con orgoglio il loro essere comunisti. Le loro dichiarazioni hanno un’eco rivitalizzante nei settori intransigenti, ben decisi a non accettare la scomparsa dell’aggettivo comunista in una nuova denominazione del partito.
A loro giudizio, il fallimento del comunismo sovietico e la disgregazione dell’Urss non significano la morte del comunismo, ma solo la sconfitta di un modello di Stato comunista. Rifondare il comunismo è la sfida che un partito comunista italiano rinnovato dovrà raccogliere.
Il XIX congresso del Partito comunista italiano
Per decidere sulla proposta di Occhetto è indetto il XIX congresso. E’ questo un congresso straordinario del Partito comunista italiano che si tiene a Bologna dal 7 all’11 marzo 1990. Tre sono le mozioni che si contrappongono:
- La prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica, è quella di Occhetto. Propone la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice e aperta a componenti laiche e cattoliche che superi il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permette la rielezione di Occhetto alla carica di segretario generale e la conferma della sua linea politica.
- La seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del Pci e della sinistra, è quella di Ingrao. Secondo i sostenitori di questa mozione il Pci deve sì rinnovarsi nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione ottiene il 30% dei consensi.
- La terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa, è presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso, ottiene solo il 3% dei consensi.
L’ultimo congresso del Partito comunista italiano
Il XX congresso tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991 è l’ultimo del Partito comunista italiano. Le mozioni che si contrappongono a questo Congresso sono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi:
- La mozione di Occhetto, D’Alema e molti altri dirigenti, intitolata Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottiene il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati.
- Una mozione intermedia, intitolata Per un moderno partito antagonista e riformatore e capeggiata da Bassolino, che ottiene il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati.
- La mozione contraria alla nascita del nuovo partito, intitolata Rifondazione comunista e nata dall’accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottiene il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati.
Il cambiamento del nome intende sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l’aspetto democratico. Il nuovo nome non piace alla destra migliorista, convinti che l’aggettivo socialista marca più adeguatamente la fisionomia socialdemocratica della nuova organizzazione. Il nome Pds non piace neppure al gruppo di Ingrao, che ne contesta l’indeterminatezza e le ambiguità di un processo identitario rimasto incompiuto. Ambiguità denunciate anche dall’ala filosovietica di Cossutta che non vuole rinnegare il passato ma orgogliosamente rivendicare.
Il Partito democratico della sinistra e Rifondazione comunista
Il 3 febbraio 1991 il Partito comunista italiano delibera il proprio scioglimento promuovendo contestualmente la costituzione del Partito democratico della sinistra (Pds) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. L’8 febbraio viene eletto lo stesso Occhetto come primo segretario del Pds, con 376 voti di preferenza contro i 127 voti contrari.
Una novantina di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderisce alla nuova formazione e dà vita al Movimento per la Rifondazione Comunista. In seguito ingloberà Democrazia proletaria (Dp) e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della rifondazione comunista (Prc) il 15 dicembre 1991.