CONTENUTO
di Michele Coccoli
Criminalità e banditi nella Riviera gardesana dominata dalla Serenissima sul finire del ‘500
Paolo Averoldo nasce presumibilmente verso gli anni 60 del Cinquecento ai confini del “reggimento” della Riviera, sotto alla Repubblica di Venezia. In quel periodo la Repubblica si trova impegnata a rafforzare la sua presenza nei suoi Domini, tramite la applicazione delle sue leggi, dato che teme gli Asburgo, i quali premono ad i suoi confini. Tuttavia nel perseguire il suo obiettivo la Serenissima crea l’agitazione del ceto nobiliare di terraferma che ha sempre goduto della sua autonomia grazie al Doge stesso che glielo ha consentito e anche tramite il controllo di posizioni chiave nel settore giudiziario.
In breve tempo si viene a creare una terraferma ribelle e violenta dove i nobili si muovono liberamente violentando le donne e picchiando le cariche pubbliche, consci che i loro reati e atteggiamenti rimarranno impuniti grazie al potere che detengono.
In questa situazione versa anche La “Magnifica Patria” o “Figlia Primogenita”, suddivisione amministrativa dove Paolo Averoldo cresce. Tuttavia l’uomo non vive nei centri economici propulsori del Reggimento, ma ad i suoi confini nella Quadra della Valtenesi, nel comune di Bedizzole. Nonostante questo sia un borgo di modeste dimensioni arrivando a contare 3000 abitanti come Gargnano, Salò e Desenzano, è differente dato che non può godere del ricco commercio alimentato dagli abili mercanti della Riviera ed inoltre è lontano dai palazzi del potere situati a Salò.
Paolo quindi nasce in un ambiente prettamente agricolo che deve fare i conti con la continua città di Brescia che tenta di strappare comuni alla giurisdizione della Riviera tramite incentivi e concessioni.
Paolo Averoldo e la sua famiglia basano la propria ricchezza sul possedimento di terre, non negando l’uso della loro forza per cercare di imporsi sugli abitanti della comunità. Comportamento dovuto al fatto che essi non potevano ambire alle alte cariche di Salò, in quanto non possedevano i mezzi ed inoltre le ricche famiglie lacustri bloccavano tutti gli interessati al potere tramite le fitte alleanze, la ricchezza e l’uso della violenza.
Paolo, dunque, insieme ad i suoi fratelli Innocente ed Averoldo si inserisce in un contesto di conflittualità interna e di ribellione non discostandosi dal clima e dall’ambiente di fine ‘500.
Gli esordi criminali di Paolo Averoldo
In questa località di confine Paolo non si discosta dai classici comportamenti della nobiltà di terraferma e presto fa fortificare la sua dimora trasformandola in una rocca. Azione che era tipica all’epoca con un duplice obiettivo, ossia quello di difendersi dagli attacchi delle famiglie rivali, e di dimostrare il loro potere facendo svettare le ricche dimore aristocratiche sopra alle umili case dei contadini.
Successivamente poi, come molti membri dell’aristocrazia del tempo, si fa coinvolgere in piccole faide ed omicidi anche se queste vanno a colpire i parenti. Paolo si rende responsabile dell’omicidio del cugino Orlando per appropriarsi delle sue risorse e dell’agguato all’avvocato di Salò nel 1575; crimine che verrà denunciato solo due anni dopo dalla vedova Zuanmaria Scolari.
Nel frattempo inizia a farsi notare dalle magistrature della Repubblica con il soprannome del “chierico” e non passa molto tempo che viene colpito da un primo bando, provvedimento che risulterà inutile dato che molti banditi erano nobili e quindi potevano contare sull’aiuto delle famiglie loro alleate o addirittura dai rettori o consoli delle località stesse.
1578-1580, gli anni di svolta di Paolo Averoldo
Fino al 1578 Paolo riesce a rimanere sconosciuto alle autorità della Repubblica. Probabilmente questo è legato all’elemento dell’onore, in quanto all’epoca si denunciava poco poiché era visto come un atto di debolezza portare le cause davanti ad un tribunale, preferendo la giustizia personale.
Infine non meno importante era l’immobilità e inazione delle cariche pubbliche che lasciavano agire i banditi stessi, soprattutto se essi erano imparentati o alleati con importanti cariche al potere, amicizie o parentele che avrebbero predeterminato l’esito del processo. Ben presto, però, il Chierico si fa coinvolgere nella faida con il più potente bandito Francesco Bertazzolo, che si rende autore dell’efferato omicidio del parente Orazio Averoldo fuori dall’abitato di Gavardo.
Agguato che provocò il disgusto del Provveditore veneziano Ottaviano Valier che scrisse:
“Ascosti in una casa, con archibuggiate et cortelazzi morti et tagliati a pezzi et gettati gambe et brazzi et altri membri nel fiume con diabolica crudeltà»
Se il coinvolgimento del Chierico apre un ulteriore conflitto, dall’altra parte porta il Bertazzolo a stipulare una tregua con altre famiglie come i Cattaneo, per poter concentrare meglio le sue energie e forze contro Paolo ed il potente Ottavio Avogadro. In breve tempo questa faida portò ad una svolta significativa nella vita di Paolo Averoldo.
Insieme al fratello ed altre dodici persone il bandito si reca presso il piccolo borgo di Calvagese della Riviera per assaltare la casa di Pietro Grazioli. Una volta sfondata la porta dell’abitazione lo sventurato viene trascinato fuori in strada e preso ad archibugiate; è questa un’azione che da qui in poi Paolo farà sempre più spesso rispondendo al concetto di onore e potenza tramite la propria proclamazione nelle case protagoniste dei suoi raid.
Il Consiglio dei X e Carlo Borromeo
Davanti a questo scenario la Repubblica di Venezia risponde inviando Cernide e Provveditori che con esigue forze e risorse dovettero gestire e contenere la criminalità dilagante.
Contemporaneamente Paolo Averoldo raggiunge una certa notorietà per le sue azioni e grazie alla protezione e all’aiuto di Piero Pasini riesce a garantirsi una possibilità di impunità attraverso le importanti conoscenze di quest’ultimo negli ambienti veneziani e del Senato.
In breve il Consiglio dei X chiede a Paolo di uccidere Francesco Bertazzolo che in quegli anni aveva raggiunto il suo apice ed in cambio il Chierico avrebbe avuto la cancellazione dei suoi crimini grazie alla “voce liberar bandito” del 1580. Questa mossa del Consiglio dei X aveva l’obiettivo di creare diffidenza e di spaccare all’interno le bande criminali.
Tuttavia per Paolo questa possibilità si svilupperà non nel modo sperato conducendolo lungo un percorso senza via d’uscita. Tuttavia un’ultima occasione gli si presenta nell’estate del 1580 quando il cardinale Carlo Borromeo in visita nella sua diocesi decide di incontrare separatamente tutti i capi banditi, per esortarli ad arrivare ad una tregua dato l’estrema violenza della faida. Nonostante gli sforzi sinceri dell’ecclesiastico i suoi appelli di pace e cessazione degli scontri si riveleranno inutili.
Le ultime azioni di Paolo Averoldo
Ignorando l’appello e continuando nella sua folle faida il Chierico entra nel mirino delle magistrature di Venezia e nemmeno il sostegno politico di Piero Pasini gli basterà. Infatti in quel periodo la Repubblica inizia a punire tutti i ceti nobiliari che ospitano o danno rifugio ai banditi e ai bravi trattati alla loro pari in quanto potevano essere usati come un esercito privato dalle classi aristocratiche.
A compromettere definitivamente la situazione di Paolo Averoldo furono le sette. Queste cosiddette “sette” non erano altro che organizzazioni più o meno grandi che arrecavano danni a tutti i ceti, incendiando case o razziando, operando spesso nelle zone di confine, dove si mantenevano in contatto con i banditi e i nobili locali.
Queste nuove organizzazioni in poco tempo si inimicarono la Repubblica dato che compievano continuamente assalti e rapine, arrecando gravi danni economici alla Serenissima stessa. Non passò molto tempo che Paolo venne identificato dalla Setta dei Canonici che operava proprio nelle zone lacustri.
In quel periodo si diffuse anche il fenomeno del “fuoriuscitismo” del quale lui stesso ne faceva parte insieme all’alleato Ottavio Avogadro ed a Alfonso Piccolomini. I tre banditi commettevano spesso crimini, omicidi ed attacchi a villaggi e castelli anche al di fuori dei confini territoriali che venivano sfruttati anche per sfuggire alla caccia delle forze dell’ordine.
La morte di Paolo Averoldo
L’accostamento di Paolo ai canonici e al fenomeno del fuoriuscitismo, resero la vita del bandito più difficile tanto che dovette rafforzare la sua dimora, accumulare armi, ospitare banditi e, infine, prendere in ostaggio la prole della comunità per ricattare le famiglie, come segnalò il Provveditore Sebastiano Contarini nel febbraio 1581.
Con questo atteggiamento Paolo divenne un nobile tiranno, aggettivo che venne sfruttato sia dalle magistrature che tra i banditi stessi per indicare i loro stessi rivali. Tuttavia il suo carattere fortemente rurale e di attaccamento alla terra in breve lo portò ad essere un obiettivo facile per la Serenissima che sfruttò l’assenza dalla sua base a Bedizzole per radere al suolo la sua dimora, e poi successivamente mettersi sulle sue tracce.
Non passerà molto dalla segnalazione del Provveditore e nel marzo del 1581 Averoldo viene catturato nel Ducato di Milano per poi essere estradato e portato a Bergamo dove il suo potente alleato Ottavio Avogadro non può far nulla per liberarlo.
Durante il processo il Chierico viene torturato e costretto a confessare la sua responsabilità in ben 428 omicidi. La sentenza per Averoldo è la condanna a morte eseguita mediante decapitazione. Con questo esito la faida tra i tre banditi in breve termina grazie all’intervento della Serenissima che nel 1585 fece arrivare a Salò Francesco Bertazzolo per poi giustiziarlo il giorno dopo il suo arrivo.
L’unico che sopravvisse fu Ottavio Avogadro perché grazie alla amicizia del re di Francia riuscì a farsi togliere quattro taglie e a guadagnarsi il beneficio della liberazione del bando per cinque anni, arrivando a scegliersi un esilio più o meno volontario.
Tuttavia gli anni seguenti non si rivelarono pacifici e la Repubblica dovette affrontare una criminalità efferata e diffusissima in tutto il suo stato di terraferma, situazione che si protrasse fino alla fine della prima metà del ‘600.
Libri veri e propri su Paolo Averoldo non ne abbiamo. Tuttavia se foste interessati ad approfondire l’argomento sul banditismo in Riviera i primi due libri vi possono dare una buona panoramica sul contesto gardesano ed il banditismo. Il terzo libro, invece, è per chi si voglia interessare agli atteggiamenti nobiliari, leggi ed al contesto storico.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
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- Giovine G., Provveditori e banditi nella Magnifica Patria, Brescia, Magalini editrice 1980.
- Povolo Claudio, Liturgie della violenza lungo il lago, Riviera del Garda tra ‘500 e ‘600, Ateneo di Salò, 2010.
- Povolo Claudio, L’intrigo dell’onore, poteri e istituzioni nella Repubblica di Venezia tra cinque e seicento, Verona, Cierre edizioni 1997.