CONTENUTO
La rifioritura dell’idea panslavista in chiave imperiale. Il caso Ucraino (2000-2022)
Il Putinismo come base ideologica del processo espansivo russo discende da una rilettura del pensiero eurasiatico, nato in Russia nel secolo decimo nono ad opera di Aleksej Stepanovič Chomjakov (1804-1860) e dei fratelli Kireevskij (1806-1856). Forte di questa ideologia – ripresa dal filosofo contemporaneo Aleksandr Dugin (7.1.1962) – Vladimir Putin, dopo un decennio di politica interna volto a realizzare il ritorno all’ordine reazionario dalla Santa Madre Russia e a riportare il cielo in terra, in forma di nuovo autoritarismo, procede dal 2000 alla politica del carciofo, vale a dire riconquistare ad una ad una le repubbliche ex sovietiche che si erano rese indipendenti nel 1991. Dopo un primo attacco alla Ucraina (2014), ci riprova nel 2022. Riuscirà alla riconquista su tali presupposti?
Il progetto espansionistico di Putin: linee di azione fra restaurazione e interventismo autoritario
Il progetto è figlio di una corrente filosofica che nasce nel contesto della intellighenzia russa di metà ‘800, che però viene osteggiata dai circoli culturali europei occidentali. Il viaggio all’estero è un canone del Romanticismo liberale, verso un mondo esotico, spesso frutto di avventure fra briganti e naufragi. Il contesto letterario comprende per esempio Byron, Schleiermacher, Heine e Stendhal. Quindi anche il liberale Astolphe de Custine nel 1839 pubblica un suo resoconto, le Lettere dalla Russia.
Il quadro è mortificante: San Pietroburgo e Mosca vengono descritte criticamente per l’arretratezza culturale, economica e sociale, quasi un doppione di Napoli e Palermo. Ma alcuni giovani intellettuali, Ivan Kireevskij, il fratello Pëtr e il loro nipote Aleksiey Chomyakov insorgono. Intendono e riescono a rendere la pariglia: vanno nella Prussia tanto amata dal loro Zar Nicola, ascoltano nel 1829 Hegel, incontrano a Monaco Schelling, poi ne riparlano nella loro rivista L’Europeo e sembrano confermare le critiche francesi.
Nicola scatena allora la polizia segreta e il giornale dei Kireevskij viene chiuso. Ivan si chiude a sua volta nella fede ortodossa e tace per dodici anni; il fratello Pëtr si dedica alla lingua russa sul modello di Jacob Grimm. Solo nel 1852, col nuovo sovrano Alessandro II, esce un saggio rivoluzionario Il carattere della civiltà europea nei suoi rapporti con la civiltà russa. Qui compare una radicale critica all’occidente cristiano e una parallela formulazione della coscienza nazionale russa e delle virtù peculiari del popolo russo. Autore è lo stesso Ivan Kireevskij, che fa sua la tesi del Monaco Filofej: Mosca terza Roma.
Si vuole inaugurare un nuovo mondo, dopo quello di Roma e quello di Bisanzio. Una primazia del popolo russo contro il titanismo ateo e anarchico del pensiero liberale franco-inglese. Una Utopia del Passato, contro la malvagità dell’età moderna, una domanda di libertà legata all’Ortodossia più stretta, un’anticipazione di Vladimir Sergeevič Solov’ëv, Pavel Florenskij e perfino di Michail Bulgakov, ma anche larga parte del filosofo mentore di Vladimir Putin, cioé Aleksandr Dugin.
In altri termini, una sorta di filosofia millenarista simile al nostro Gioacchino da Fiore, riportato in auge dal cattolicissimo Johann Möhler e da Ernesto Buonaiuti in età contemporanea. Nondimeno, il loro nipote Chomyakov, inebriato di cultura hegeliana, negli anni ’40 dell’800 impone il carattere della missionarietà nel mondo cristiano. In particolare, facendo leva sullo spirito patriottico e religioso, il popolo Russo crede nella fede ortodossa, è unito da un afflato ecumenico e quindi si ribella sia al Papa che all’Imperatore, sia al Concilio che al Parlamento.
Unico capo della Chiesa è il Cristo e unica legge è l’amore che regge la Comunità mondiale. Simbolo della nuova chiesa è il Corpo umano, le cui membra rappresentano il Corpo di Cristo. Espressione del pensiero paolino ripresa poi dal Concilio Vaticano II, ma compiutamente descritta nell’operetta di quest’autore, (postuma, 1872), significativamente intitolata La chiesa latina e il protestantesimo dal punto di vista della Chiesa d’Oriente. Primazia, Missionarietà e Spiritualità contro il materialismo occidentale – si vedano gli intellettuali laici loro contemporanei come Aleksandr Herzen, Georgij Plechanov e il critico letterario Vissarion Belinskij – planano direttamente in Gogol, Dostoevskij e Tolstoj.
Per poi essere mediate nel ‘900 da due colossi del pensiero russo in piena età Sovietica, Berdjaev e Solženicyn, padri della profonda rinascita spirituale della Russia e rimasti ai margini dell’imperialismo sovietico. In tale periodo di grande dibattito culturale dopo la disgregazione dell’URSS (1989-1991), riemergono vari tentativi di ritornare all’ordine comunista, testimoniati dal colpo di Stato dell’agosto 1991 operato dall’ultimo plotone della nomenklatura burocratica di fede brezneviana.
Ora comincia ad emergere una classe alto borghese di dirigenti silenziosi, ma operativi che vuole ritornare ai fasti e alle posizioni autocratiche di quella parte della storia contemporanea russa imperiale che finalmente dimostra di essere occidentale, la Russia di Witte e di Stolypin, della ferrovia Transiberiana e della espansione russa ai quattro angoli dell’Impero.
La Russia cioè di Kandinskij, di Zinov’ev e Bucharin, quella Russia moderata e democratica che Gorbačëv e Eltsin decisero di realizzare, sperando che l’allineamento al mondo occidentale derivasse dalle loro istituzioni democratiche, per esempio le Assemblee Parlamentari, la Corte Costituzionale, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.
I due riformatori presumevano di introdurle dall’Alto, senza affidarsi alla classe di quei pochi bravi tecnici che hanno sforato la cortina di ferro, vale a dire il Corpo diplomatico – chi non ricorda la sapiente capacità diplomatica del sovietico ministro degli esteri Gromyko? – che dall’ONU ai Parlamenti Europei e al Congresso Americano, si erano distinti nell’impedire la guerra atomica, di fronte alla Cina di Mao, al Vietnam del Nord, da Cuba alla Jugoslavia di fine anni ’90, dalle polemiche col regime parallelo cinese alle questioni ancora irrisolte con il Giappone nel caso delle isole Curili e Sakhalin.
A dire dell’ambasciatore Romano – storico di ideologia liberale e specialista geopolitico – la classe cui fare affidamento sarebbe quella dei diplomatici, perché la loro vita professionale in Occidente concede loro di vedere come le Forme di Stato si evolvano senza mutamenti radicali o violenti, purché si rispettino le regole costituzionali e si collabori democraticamente del lato economico.
Non fu così – si interroga lo stesso Romano – quando a Vienna nel 1815 la Restaurazione di Metternich e di Nicola I dovette accettare le forme di governo che la Rivoluzione Francese aveva proclamato pochi anni prima? Non fu anche così quando Otto von Bismarck costruì l’Impero tedesco a Versailles nel 1871 senza umiliare troppo la Francia di Napoleone III?
Potremmo obiettare che la Russa di Vladimidir Putin – divenuto nel 2000 inaspettatamente successore di un Eltsin incapace a governare e dopo un Gorbačëv già finito per aver cambiato improvvisamente un Regime politico collaudato da quasi 80 anni di Potere tirannico – ha eluso i due più illustri colleghi perché ha preferito arrivare al Potere facendo leva su una classe borghese assente dai contatti con l’Europa, ma politicamente assuefatta a valori spirituali mai scomparsi nell’animo popolare, proprio quei valori che il contesto storico di primo ‘900 cercava di sostituire a favore dell’Occidente Democratico.
In altri termini, la classe oligarchica della Pubblica Amministrazione è divenuta verticistica; è rappresentata soprattutto da quei Servizi Segreti che dominano tutti gli ex Paesi Sovietici e che ha occultamente governato gli Stati membri del Patto di Varsavia con metodi polizieschi, simili a quelli del regime dittatoriale nazista, peraltro ben presenti nella DDR nelle vesti dalla STASI, o del KGB sovietico altrettanto noti nella letteratura del Dissenso, come Solženicyn, Babel, Sacharov e Bukovskij.
Classe che esprimerà una politica ben presto neocolonialista nei confronti dei Paesi ex Satelliti e anche in quelle Regioni che da sempre si erano ribellate al tallone Zarista e al martello comunista, prima fra tutte l’Ucraina, forse la più rigogliosa provincia degli Zar. Ma prima di capire le ataviche ragioni che spingono la Federazione Russa ad accanirsi nell’aggredire la vecchia provincia Ucraina nella terribile guerra cui assistiamo dal 24.2.2022; è opportuno riuscire ad allargare il campo del mare in cui nuota la politica putiniana fin dalla caduta di Eltsin e dopo il breve mandato Presidenziale di Dmitrij Medvedev.
Sappiamo del ritorno all’ordine conservativo dopo le convulsioni postsovietiche. Ma va subito detto che quella classe media che in silenzio ha osservato la caduta comunista e ha avallato le formali riforme istituzionali di cui si disse, ma ha subito un periodo non indifferente di stenti e di crisi economica lungo gli anni ’90. Sempre ha invocato la soluzione repressiva dei tentativi separatisti di aree di confine fra la stessa Federazione Russa e le Regioni autodichiaratasi indipendenti nel 1991.
E’ noto che la provincia del Nagorno-Karabakh – contesa alla Repubblica Armena e all’Azerbaijan – viene occupate da forze militari russe nel 2001. Altro duro calvario è la regione Cecena, territorio a margine del Mar Caspio e nel Caucaso settentrionale. Rivolta separatista iniziata nel 1994 che si prolungherà fino al maggio 2000. E poi la Georgia, il Tagikistan, il Kazakistan e l’Afghanistan, senza contare la ghiotta occasione di rafforzare l’influenza in Medio Oriente in Siria, dove Putin acquisisce il controllo della base a navale di Tartus nella Siria settentrionale.
E’ il sogno di Alessandro III di avere una base comoda d’ormeggio nel Mediterraneo agognato fin dai tempi di Pietro il Grande. Questa politica del carciofo, di conquistare progressivamente basi e porti dal Caspio al Mar Nero, è la prova più certa di un risveglio inaspettato del Panslavismo imperiale, che la Russia zarista ha continuato proprio nell’età democratica di Nicola II. E a fare da corona alla ormai malcelata politica della nuova classe dirigente russa, oramai avviata a riprendersi aree geografiche fuggite di mano; sorge anche un provvido alleato, la filosofia e la politologia eurasiatica di ispirazione e slavofila, condita però da un odio implacabile e spesso violento, quasi nazifacista, nei confronti dell’Occidente globalizzatore e neoliberista.
Capofila di questo singolare pensiero è l’influentissimo maestro di Vladimir Putin, Aleksandr Dugin. Nato a Mosca nel 1962, vive la sua formazione ideologica proprio negli anni di crisi intellettuali dell’economia sovietica. Lettore di Evola e Heidegger, ma anche e soprattutto dei fratelli Kireevskij, Chomjakov e di N. J. Danilevskij, profeti come si è visto della mitologia panslavista; Dugin nel suo libro più organico – La quarta teoria politica (2009) – non solo si inserisce nel solco ultranazionalista russo, ma scava nel buco nero della civiltà occidentale capitalista e liberale, attribuendole una qualifica di età del Terrore per essere precipitata nel c.d. Titanismo, una forma di auto-esaltazione della terra che nega il Cielo. Questo sarebbe piuttosto l’essere misura del mondo.
Di qui la personificazione diabolica dell’Occidente, un Armageddon che va disinnescato a tutti i costi, un pericolo che è immanente nel reale e che va quindi combattuto. In altre parole, Dugin pretenderebbe di rappresentare la rivolta del mondo contro il multipolarismo ateo e liberale, al quale va contrapposto l’unità dell’essere – uomo svincolato dal destino soffocante dell’Homo faber.
Un sentimento che fa dell’imperialismo russo la prova di un fine da raggiungere, di una selezione della volontà umana che tende a spazzare vie le molteplicità dell’esistere. In questa un po’ confusa apofonia, dove brilla un odio antioccidentale che si sviluppa nella sola fides quale via alla Salvezza e malgrado l’adozione della violenza come metodo per acquisire il mondo.
Operazione che Vladimir Putin ha sempre privilegiato fin dai primi anni di Potere, accusando l’Occidente – con cui ha collaborato per esempio nelle guerre contro l’IRAN nel 2015 – fino ad essere il nemico della economia di mercato, in nome della quale fin dal 2014 ha subito un processo sanzionatorio proprio per quella politica di espansione territorio per territorio, nonché difensore e ricostruttore della potenza mutilata della Russia fin dal 1999.
Putin, non mancherà dal 2006 di citare il Dugin e poi di incarnare il pensiero di un altro filosofo semi dimenticato, Ivan Il’in (1883-1954), del pari lettore di Hegel, come pure sostenitore della Rivoluzione del febbraio del 1917, però contrario al Bolscevismo, tanto da fuggire in Occidente nel 1922 e stabilitosi nella Germania di Weimar a capo della frazione nazionalista bianca. Ispiratore dell’attentato a Walther Rathenau il 24 gennaio del 1922, e reo di aver aperto rapporti commerciali col Ministro sovietico Čičerin. Nazionalismo, Misticismo ortodosso, anticapitalismo, imperialismo ideologico sono dunque valori da instaurare anche con la violenza, per riacquisire territori perduti in nome di valori ultramontani. Una miscela esplosiva che genera attualmente l’invasione militare dell’Ucraina.
Il caso dell’Ucraina e l’esempio della Sicilia come realtà geopolitica della storia medievale e moderna
E veniamo ora alle vicende ucraine, che da un decennio costituiscono la croce e la delizia di storici, politologi e geopolitici alla luce del pericolo che la suddetta invasione militare ha realizzato non solo per l’assetto europeo come stabilizzato nel 1945, ma anche per i rischi di un conflitto nucleare. Invero, solo la storia di una regione europea può essere equiparata all’Ucraina, vale a dire la Sicilia.
Di ambedue questi territori unica è la caratteristica: quella di essere un territorio di confine. In particolare, chi si pone a studiare l’isola mediterranea più grande, da una breve lettura delle sue vicende storiche, la vede occupata da almeno quindici dominazioni in ventitré secoli. Egiziani, Fenici, Greci, Romani, Arabi, Normanni, Veneziani, Catalani, Castigliani, Francesi, Austriaci, Inglesi, Tedeschi e Americani, fino ai Piemontesi; ne hanno solcato le coste e occupato territorio e mare.
A leggere Dennis Mc Smith nella sua Storia della Sicilia medievale e moderna (1968), nonché Michele Amari nel suo famoso studio sulla Guerra del Vespro siciliano (1843), si rivela una rassegna storica singolare, anche di tendenza legata alla moderna geopolitica, secondo cui le Dominazioni di un territorio, specie se al confine di Nazioni già formatesi, risentono di un passato che rimane nel presente del popolo dominante e di quello del dominato.
Per esempio, la Sicilia di Federico II, quella del Vespro Siciliano, la Spagna dei Moncada, l’Austria di Maria Teresa, l’annessione piemontese dopo l’impresa dei Mille, lo sbarco degli americani nel 1943, la strage di Portella della Ginestra del 1947, la morte di Falcone e Borsellino nel 1993; rappresentano, tutte, tracce indelebili che ci consentono di capire il presente. Tale ricerca di un passato carsicamente persistente va fatta proprio per l’Ucraina, altra terra di confine come la Sicilia che è stata per secoli terra di sfruttamento e di scambio fra le cc.dd. Grandi Potenze.
Ristretta fra Russia e Polonia dal IX secolo, frutto di un miscuglio di razza sovrapposte e spesso di infiniti conflitti – come del resto, la Sicilia, fra Greci, Arabi e Normanni fin dall’XI secolo – l’Ucraina vede dominare tartari, Polacchi, Lituani, Russi, Austriaci, tedeschi, ecc. ecc. E ha eroi nazionali: chi ricorda l’eroe nazionale cosacco Ivan Mazeppa, che ama una nobile polacca e che fu trascinato da un cavallo selvaggio per il Paese, che durante la guerra dei 30 anni si schiera a fianco degli svedesi di Carlo XII contro il Regno Russo.
Impresa musicata da Franz Listz in età romantica. Non c’è spazio in questa sede della lunga e difficile storia di questo Paese. Partiamo perciò soltanto dal 1991, anno del collasso sovietico. Non è un caso ad essere stata l’Ucraina – in dialetto slavo terra di confine – a scappare dall’URSS per prima, perché memore della strage della popolazione contadina causata dal potere sovietico, nel quadro del programma staliniano di deprimere il settore agrario a favore del settore industriale. Proprio negli anni coevi alla caduta del Muro di Berlino, sono state infatti valutati ben 4 milioni circa di morti di fame e di stenti, dati peraltro confermati dalla Corte d’Appello di Kiev nel 2010.
La liquidazione dei ricchi contadini Kulaki imposta ai bolscevichi come nemici di classe, avvenuta fra il 1929 e il 1932, nonché il rancore accumulato che vedrà un decennio dopo la reazione Ucraina contro le armate staliniane dimostrate a favore dei nazisti nel 1941 in marcia contro l’Unione Sovietica, somigliano al brigantaggio meridionale nel Sud Italia appena unita e ai fatti di Portella della Ginestra del 1947, come analoga reazione popolare alla repressione militare del Separatismo Siciliano ad opera del primo Governo De Gasperi.
Infatti fin dal 1944-1945, si vuole abbattere con la forza il Movimento Separatista e le amministrazioni locali da questo controllate, operazione peraltro avallata dal Governo Truman che fece marcia indietro rispetto alle promesse di Roosevelt dei primi anni ’40 rivolte a conferire l’indipendenza alla Sicilia pur di ottenere il favore per lo sbarco in Italia nel 1943 .
Il processo penetrativo russo dalla Cecenia all’Ucraina (2000-2014)
Del resto, un analogo sentimento politico secessionista della classe dirigente ucraina – da cui era uscito perfino Nikita Chruščëv nel 1954, notissimo successore di Stalin e fautore del disgelo sovietico dal 1955 al 1964 – è rinfocolato dalla carenza di prove scritte dell’accordo fra Gorbačëv e Bush senior, dove un classico scambio era stato operato fra i due blocchi, vale a dire la riunificazione della Germania in cambio dell’assicurazione della NATO di non accettare come alleati sia i Paesi del Patto di Varsavia, sia le ex regioni di lingua e storia della Madre Russia, indipendenti dal 1991, come l’Estonia, la Lituania e la Lettonia.
Benché sia chiaro il No netto del Governo Eltsin all’entrata delle predette province, ma anche dell’Ucraina e della Bielorussia, sembra di fatto evidente che Eltsin contratti con Clinton, pur di aggirare i divieti formali di avvicinamento all’Occidente, allo scopo di scambiare energia con i paesi della Nato e quindi risollevare le sorti della Federazione. Di qui, la linea rossa dell’Ucraina, quale limite assoluto che nasconde però l’assoluta necessità di mantenere il grano ucraino, il latte e i minerali delle provincie orientali – il c.d. Donbass – oltre ché la Crimea, saldamente legata a Mosca da unicità di lingua e religione. L’avvento di Putin dopo la fine di Eltsin, riapre la questione Ucraina.
E come questa Repubblica sia stata sollecitata dalle promesse di entrata nella NATO col favore degli Stati Uniti del loro programma di Partenariato per la Pace, che attira con sensibili investimenti gli interessi economici dei Paesi Baltici, come la Polonia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e la Repubblica Ceca, senza contare l’Albania, il Montenegro e la Macedonia, i primi perfino entrati nell’Unione Europea e i secondi molto vicini in merito.
In un decennio di tira e molla cui rinviamo alle fonti, appare subito come pretesto la prima guerra in Ucraina (2014) e la seconda oggi in atto (24 febbraio 2022, data della seconda odierna invasione del Donbass e della attuale guerra di posizione a sud di Kiev fra esercito ucraino e forze armate della Federazione Russa). Negli otto anni fra le due guerre, Putin – nel quadro della citata ideologia neopanslavista – pretende di avere un impegno formale della NATO e dell’Unione Europea affinché l’Ucraina rimanga neutrale e che la Nato mai faccia esercitazioni militari al confine russo.
Pretesa mai accolta dal governo Biden – e neppure del governo Obama – sul presupposto che a dire sul tema sia l’autodeterminazione del Popolo Ucraino, quasi un ritorno a quella analoga dottrina Wilson del 1916 che regola con evidenti carenze la situazione posteriore al Primo Conflitto Mondiale. Causa della frammentazione dell’Impero Austroungarico e dei Balcani e pure radice indiretta della volontà di rivincita della Germania Nazista e della Rivoluzione Russa dell’Ottobre del 1917, due eventi che hanno condizionato la storia europea degli ultimi due secoli. Che fare, allora?
Lo storico Aldo Schiavone, nel suo breve pamphlet l’occidente, ci pare offrire una ragione di non razionalità dell’odierno concetto di Guerra. Risalendo alle riflessioni del filosofo Immanuel Kant, che nel saggio Per la pace perpetua del 1795 nega la ragionevolezza della guerra, perché la tradizionale teoria romanista della conflittualità fra Stati come mera dimostrazione di forza, non è più sostenibile economicamente e culturalmente. Oggi si oppone come causa di una probabile guerra nucleare e perfino la sua minaccia.
Quali siano i rischi più insopportabili per le economie mondiali e per la stessa sopravvivenza del mondo. In fondo, una contraddizione emerge dalla fine analisi di questo storico del diritto: la fornitura all’Ucraina di armi convenzionali più sofisticate eviterebbe un conflitto nucleare…come se come se bere un veleno in modica quantità ci impedisca per autoimmunizzazione di morire intossicati bevendo di un colpo... Quanto piuttosto logica e razionale è invece la soluzione del compromesso diplomatico.
Chiediamoci invece come mai dal Congresso di Vienna (1815) alla Prima Guerra Mondiale (1914), la politica dell’accordo diplomatico ha mantenuto sostanzialmente la Pace in Europa, perché fondata sulla logica delle sfere di influenza e del cauto patteggiamento diplomatico, padre di Guerra Fredda, ma non di aggressioni indiscriminate.
I libri consigliati da Fatti per la Storia per approfondire il tema!
- Sulla filosofia slavofile ed eurasiatiche che durante l’età zarista, vd. LEONID GANČIKOV, La scienza storica in Russia nei secoli XIX e XX in Questioni di Storia Contemporanea, vol. III, parte I, Milano, 1953.
- Sulla scalata al potere di Putin nella nuova Federazione Russa, vd. MARCELLO FLORES, Il secolo-mondo, storia del Novecento, Bologna, 2002, cap. XLII.
- Sulla storia Ucraina, si rinvia a ANDREA GRAZIOSI, L’Ucraina e Putin, tra storia e ideologia, Editrice Laterza, Roma-Bari, 2022, saggio di ispirazione militarista.
- Sulla politica estere di Putin, cfr. SERGIO ROMANO, La scommessa di Putin. Russia-Ucraina, i motivi di un conflitto nel cuore dell’Europa, Longanesi, Milano, 2022.
- Sulle Prospettive future, vd. ALDO SCHIAVONE, L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria, Bologna, 2022, opera nettamente schierata su posizioni pacifiste.
- In merito alle vicende storiche della Sicilia sottoposta a un numero non indifferente di dominazioni straniere vd. DENIS MC SMITH, Storia della Sicilia Medievale e Moderna, Editrice Laterza, Roma-Bari,1970.
- Per la storia del separatismo siciliano e per la questione del favore Nordamericano negli anni 1941-1943, vd. SALVATORE Lupo, Quando la mafia trovò l’America, storia di un intreccio intercontinentale, 1888-2008, Torino 2008, pagg. 138 e ss.