CONTENUTO
Dal Filogermanismo al Pangermanesimo (1864-1914): un’ideologia in evoluzione, facile da giudicare, ma assai complessa da spiegare
La rassegna di storici sociologi e filosofi che segue intende perseguire il filo rosso che lega la storia politica prima della Prussia (1806-1870) e poi della Germania Unita (1871), fino alla successione di Otto von Bismarck con von Caprivi; capo del governo e più manovrabile dal nuovo kaiser Guglielmo II (1890). Il ventennio bismarckiano (1871-1890) si caratterizza per l’assenza del collaudato sistema parlamentare occidentale bipartito fra liberaldemocratici e conservatori e per la conseguente assenza di legislazione sui diritti civili, che cedono il passo al concetto di Stato come Potenza. Nondimeno, mentre Bismarck opera in politica estera una formula di mediazione diplomatica verso l’equilibrio fra le Grandi Potenze ed all’interno dispone una politica di minima tolleranza delle istanze sociali e liberali, salvo una forte attività di controllo sulle associazioni ed istituzioni popolari e socialiste.
Vari pensatori politici e storici concordano nel trasfigurare l’identitarismo teutonico filogermanico in un progressivo Pangermanesimo invasivo, che maschera la politica di Potenza aggressiva in virtù di una paura crescente di accerchiamento ad ovest dalle Potenze democratiche occidentali e ad est dalla Russia Zarista Panslavista che guarda al Baltico ed al Mar Nero. Il processo di ammodernamento economico industriale della Germania Imperiale, voluto dal secondo Governo Bismarck, viene confermato dalle scuole progressiste di Max Weber e Friedrich Naumann (1890-1918). Ma la tentazione pangermanista ipernazionalista e razzista, nonché di espansiva influenza economica, permane nei loro saggi e nella società civile malgrado la sconfitta nella Grande Guerra. Il seme Pangermanista crescerà durante la Repubblica di Weimar e produrrà il frutto del Nazionalsocialismo di Adolf Hitler.
Il Pangermanismo conservatore (1864-1890): i primi Pangermanisti: Paul de Lagarde, Julius Langbehn, Konstantin Frantz. Il Mantello di Wagner e l’Ombra di Nietzsche
In una precedente indagine (Alle origini del Pangermanesimo) si è rilevata la reale mutazione della Germania Prussiana in Germania Unita, ora segnata ad ovest dal Reno, a sud dal Danubio e ad est dall’Elba. Sotto la guida di Otto von Bismarck e di Guglielmo I di Hohenzollern, la propaganda di politici, della stampa e di tedeschi emigranti in occidente, dipende da un gruppo di intellettuali epigoni della scuola hegeliana, peraltro già esecutiva del pensiero politico romantico di Fichte. Questa schiera di autori crea passo dopo passo una Politica di Potenza filogermanica, al fine di partecipare con pari autorevolezza nel dibattito politico internazionale maturato dopo il Congresso di Vienna, diplomaticamente guidato dal Metternich, il Cancelliere di Francesco Giuseppe, grande mediatore dopo Napoleone.
Solo che quella Politica di Potenza, viene interpretata come la realizzazione dello Spirito assoluto e con la costante supremazia sull’altro da sè, più un comune nemico che come eventuale avversario. Le guerre di Bismarck, cancelliere della Prussia, fra il 1864 contro la Danimarca per l’annessione del ducato di Schlewig – Holstein; contro l’Austria Ungheria e la Baviera, a noi nota per l’alleanza con l’Italia che ci consentirà la conquista di Venezia del 1866, fino alla guerra con la Francia di Napoleone III fra il 1870 ed il 1871; tendono a riconquistare le aree di confine di lingua e cultura tedesca in virtù della domanda di Unità Nazionale. Tale scelta di politica identitaria precede però una massiva politica interna di riforma della realtà economica e del lavoro, diretta a ridurre i conflitti di classe, cioè la tolleranza politica a responsabilità limitata dalle formazioni filosocialiste (1875, fusione a Gotha dei movimenti operai e socialdemocratici e nascita del Partito Socialdemocratico tedesco) e la stretta vigilanza sui movimenti sociali religiosi, specie di quello cattolico (Kulturkampf, 1871-1878).
Sulle prime va detto che la politica economica persegue relazioni industriali conflittuali sul modello Cameristico, vale a dire lo spirito consociativo di impresa e lavoro dell’economista prussiano List, esteso all’intera Germania. La protesta politica di tale operazione genera nel 1878 due attentati alla vita del Kaiser Guglielmo I e dà a Bismarck il pretesto di sciogliere la SPD, malgrado la sua vittoria elettorale. Nei decenni successivi, la debolezza del partito socialista – e del pari delle associazioni politiche cattoliche del pari vessate da Bismarck che crede nel rischio di una alleanza popolare contro il suo governo conservatore – favorisce la nascita di un credito sociale nel Paese rivolto alle idee stataliste e poco inclini a seguire i diritti individuali che la Gran Bretagna di Palmerston e la Francia di Boulanger mobilitano: l’una rivolta a creare una classe di esportatori e di importatori di beni e materie prime dalla colonie per allargare il mercato interno; l’altra diretta allo stesso obiettivo per ricostituire un esercito capace di rivincere contro la Germania e riavere l’Alsazia e la Lorena, dove spicca il bacino industriale della Ruhr, produttivo di carbone e di metalli utili a forgiare navi, cannoni e fucili.
Del resto, lo storico Paul de Lagarde, docente al Göttingen Deutsche Schriften, (1879-1981), pubblica un eccezionale ritorno al Germanesimo nel momento in cui la politica estera del Bismarck si risolve nell’equilibrio politico europeo, nell’adozione del diritto romano, nel ritorno all’urbanizzazione ripresa dalla Francia repubblicana, allo scientismo occidentale in ambito progressista, fino ad accettare sia forme moderate di parlamentarismo e di burocratizzazione, che rompono il mito del popolo sovrano e dello stato etico, dove la Chiesa è a questo sottoposta anche in relazione al Kulturkampf.
Scrive inequivocabilmente Lagarde: la chiesa nazionale tedesca altro non sarebbe che la forza invisibile che edifica il mondo teutonico ed illuminerà ad ogni tedesco la natura divina che è in lui… Noi tedeschi, nati dal sangue di Wotan ci avviciniamo a Te, o Padre Santo, Dio dei tedeschi. E di fronte alla gente sperduta che ci circonda, Ti invochiamo per darci aiuto in un mondo perduto! Non c’è chi non veda in questa mistica dichiarazione di Fede Nazionale il riflesso del messaggio paternalista del mito che ritorna nel modo di agire del buon tedesco, che Richard Wagner rievoca in quegli anni. Infatti, il suo mantello protettivo su questa nuova interpretazione della religione cristiana assume nella società civile la forma del ritorno alle origini che ben si attaglia al ritorno all’ordine perseguito dal Bismarck fino al 1878.
Siamo negli anni della tetralogia wagneriana, cioè il ciclo di quattro drammi musicali che Wagner compone fra il 1848 ed il 1874 e poi rappresentati a Bayreuth nel 1876. Espressione di un’etica idealista del tutto opposta all’evoluzione democratica anglofrancese. Scrive ancora Lagarde: gli elettori non formano un popolo, come la tela e le particelle di colore formano un dipinto di Raffaello…gli individui di per sé sono degli egoisti… la democrazia non è il popolo sovrano… il popolo sovrano è il contrario del suffragio universale acclamato dalla civile Francia… i voti non pesano… i voti si contano…la sostanza non è il tutto Formale…Di qui anche il profondo disprezzo per il Bismarck delle relazioni internazionali, cadute a suo dire nella trappola moderata. L’attacco interno al Socialismo ed alla Chiesa e la scelta di mediare, da onesto sensale, con la Russia, la Gran Bretagna, l’Austria e l’odiata Francia, è per Lagarde un tradimento dei chierici inaccettabile.
Anzi, quando il sodale Wagner produce il Parsifal (1882), dando un segnale di melanconia e di rassegnazione al mondo laico e moderno che avanza anche all’interno della Germania idealistica; lo spinge a pensare ancora al dominio assoluto dell’Est, visto come terra di stanziamento di colonie tedesche della Polonia fino alla Russia, quasi ipotizzando una guerra necessaria come lavanda della Storia. A raccogliere il suo messaggio farneticante, quanto assai ben accolto da tutte le classi sociali germaniche, ben lavorate dallo spirito mitico ed orgoglioso degli intellettuali e degli storici; è ora Julius Langbehn, storico dell’arte e filosofo tedesco di Haderslev (lo Schleswig ex danese) che non solo fa suo il pensiero antioccidentale di Lagarde, ma lo infarcisce di ideologia razziale perché vede nel teutone purosangue lo spirito che unifica il popolo.
Sangue e razza sono il vero elemento aggregante e dunque scocca così la fiaccola aristocratica che costituirà la cerniera di sicurezza della Patria, contro la corruzione slava da est e franca da ovest. E’ la ricerca dei Niederdeutsche, i tedeschi olandesi, gli inglesi del Nord scozzesi, perfino gli emigrati negli Stati Uniti abitanti del New England. Un eroe siffatto è Rembrandt – tanto da scrivere su di lui una biografia che nel 1918 raggiungerà 37 edizioni – che gli appare la figura più idonea, per la gioventù tedesca. Proprio nel 1900 energicamente critica la politica occidentalista di Guglielmo II, il quale dopo aver licenziato il Cancelliere di ferro nel 1890, invece di ritornare agli avi Hohenzollern, si dedica all’accumulazione del Capitale e che poi investe in un patrimonio industriale formidabile, provocando la meccanizzazione dello Spirito e la Corruzione Morale della società. Quanto alla propaganda ideologica che la musica di Wagner accelera e promuove negli anni ’60 dell’800; Langbenh si sente ora meglio protetto dall’ombra di Nietzsche, riconoscendogli la capacità di avere detronizzato il grande musicista per quel tradimento ideologico di cui già Lagarde si è accorto. Il passaggio ad occidente di Wagner, visto come un estatico romantico soggettivista, decaduto dalla calma grandezza dei Maestri di Norimberga, all’amore disilluso di Parsifal; per Langbehn è la cessione ad un Occidente dove l’Arte si mischia e si immiserisce all’esperienza quotidiana.
Nietzsche, nella sua volontà di potenza, nel suo marcato superomismo, nella sua morte di Dio, è l’ombra che favorisce veramente la nascita della nuova razza teutonica che avrebbe riordinat il mondo. Va aggiunto che le sue speranze di rinascita hanno come effetto la eliminazione del marcio occidentale penetrato nel sangue germanico, vale a dire la estirpazione dell’ebraismo, un cancro che avvelenerebbe lo spirito di Wagner e che aggredirebbe lo stesso Nietzsche, caduto in una presunta follia, ora che Langbehn giustifica, tanto da pretendere invano di essere nominato tutore del povero filosofo. Intanto, mentre la politica estera di Bismarck permane sull’onda del collaudato principio di mediazione fra le Grandi Potenze – affaccendate nell’ultimo ventennio del secolo o nella guerra fredda coloniale fra Gran Bretagna e Francia (si ricorda il casus belli di Fashoda, località del Centrafrica dove le predette Potenze si scontrano dopo anni di piccole scaramucce e che si risolve in una contrastata convivenza pacifica); o nella politica russa di conferma dell’influenza nei Balcani contro gli ottomani, allo scopo di ottenere uno sbocco sul Mar Nero non chiudendo mai la pratica della Crimea, archiviata non senza un notevole bisogno di riapertura per stornare la domanda di diritti civili presente nell’opinione pubblica più progressista.
ll governo prussiano di Guglielmo I ed i due tempi della politica di Bismarck. Dal Filogermanismo romantico al Pangermanesimo conservatore. L’ascesa di Guglielmo II (1884-1890)
Nel marzo del 1888 muore il principale protettore di Bismarck, Guglielmo I. Gli succede l’ancora manovrabile Federico III, da sempre difensore della Santa Alleanza fra Junkers agrari, la piccola e media borghesia provinciale, stanca di guerre e rivolte dedite piuttosto al mantenimento dello Stato autoritario. Inoltre la grande borghesia prussiana industriale, ormai saldatasi alla borghesia marittima del Baltico, intende prevalere nei mari, opponendosi alla pacifica borghesia del centro sud e la Baviera agricola e commerciale non è più la matrice dello sviluppo del paese. L’industrializzazione del Paese, legata al triangolo industriale fra la acquisita Ruhr della Francia, il Baltico marittimo di Amburgo e Lubecca, nonché la realtà mineraria della Slesia orientale, sono circostanze che favoriscono l’espansione commerciale ed economica alla conquista nuovi mercati da dominare.
Se a ciò aggiungiamo il classico militarismo, l’antioccidentalismo risorto dal pensiero di Nietzsche ed il mito di potenza wagneriana, ormai splendidamente consacrato dall’enorme successo popolare dell’Anello del Nibelungo alla Corte di Bayreuth; ne conseguirà la spinta Pangermanica, malgrado la classe dirigente guidata da Bismarck non ne risenta in prima battuta. Sarà il nuovo Imperatore Guglielmo II ad operare il cambio di passo ed il licenziamento del Cancelliere di Ferro. Il pretesto -ma non tanto – è nella vittoria elettorale dalla SPD, che cresce con il benevolo silenzio del Premier, cui interessa mantenere nelle campagne una pace sociale non dissimile a quella che Giolitti in Italia intratterrà all’inizio del ‘900. Forte di questa ineluttabile novità, Guglielmo II nomina un nuovo politico, Leo von Caprivi, generale e politico, nuovo cancelliere, è portatore della nuova classe industriale filoanglosassone, da cui impara la doppia strada, fra tutela della classe operaia e di apertura alle relazioni commerciali con i Paesi Europei del nord.
Qui emerge una nuova politica invasiva in economia, che ha per strumento la creazione di Cartelli, cioè l’unione con imprese a guida partecipativa statale, rivolte ad acquisire mercati nei Paesi circostanti, usando poi il metodo del dumping, cioè la fissazione dei prezzi di prodotto sottocosto nel mercato nazionale, onde frantumare la concorrenza di quel Paese. In altri termini, una manovra a tenaglia, con una presenza aggressiva dal lato dell’organizzazione produttiva e con una massiccia invasione di prodotti a basso prezzo tale da occupare interi settori della produzione locale. Un esempio sarà quello dell’Italia di Crispi, dove i cartelli e la politica dei prezzi a basso costo costituiscono una inaspettata ripresa dell’economia dal Paese, stagnante fin dal 1871 e poi in rapida ripresa dal 1894, quando a Milano un Consorzio di Banche Tedesche, Austriache e Svizzere ne adottano le regole .
Il modello – direttori Otto Joel e Federico Weil – prevede la erogazione di crediti alle imprese industriali e raccoglie le cambiali che le Casse di Risparmio locali contraggono con le piccole e medie imprese locali. Una prima invasione finanziaria che prelude al dominio dell’economia reale dal Paese. Un fattore produttivo di benessere, ma anche prodromo di un servilismo politico che si riverberà fino agli anni ’30 del ‘900. Sia come sia, un’ulteriore profilo va sottolineato nella marcia del filogermanesimo, cioè la concezione federalista di Konstantin Frantz (1817-1891). Pastore protestante e membro degli uffici religiosi dipendenti dal Governo prussiano, si rende conto del pericolo interno derivato dalle diverse concezioni culturali della nuova Germania nel 1871.
I Prussiani del nord, i Sassoni del centro, i Baltici che guardano ad Est di origine slava, i Franconi del Württemberg ed i Renani dell’Ovest, i Bavaresi del Sud, non possono a lungo convivere sotto l’unico tallone d’acciaio prussiano. Ipotizza così uno Stato Federale, che però deve distinguersi dal Reich di Bismarck, che gli appare una premessa alla corruzione civilizzatrice della Francia e che è il vero nemico culturale da abbattere. Nel 1879, col saggio sul Federalismo come principio basilare per la organizzazione sociale, politica ed internazionale della nuova Germania, proclama la rinascita della Confederazione Germanica, rispolverando lo spirito federalista del Metternich, l’abbandono del centralismo prussiano, il rispetto delle nazionalità, ma anche un feroce antisemitismo ed antioccidentalismo, un Cristianesimo paganeggiante, insomma un cripto nazionalsocialismo appena mitigato da un Federalismo tutto da creare. Certo è che il maggior critico e storico del passaggio di secolo Friedrich Gundolf dichiara: “Il Nostro popolo è l’unico a possedere una ricchezza ancora passibile di una fortissima creatività, giovanissima, intatta e pronta a ribaltare l’Europa, liberandola dalla corruzione dei diritti civili individuali e idonea a riportarla ai fasti di un tempo”.
Il Pangermanesimo Liberale (1890-1914), fra Max Weber e Friedrich Naumann. Alle origini della Grande Guerra
L’ideologia conservatrice tedesca dell’ultimo decennio dell”800 fino alla Grande Guerra, è suffragata al consenso culturale delle scuole storiche e sociologiche, nonché dalle voci culturali che scaturiscono dalla quotidiana rilettura di miti e da un senso immanente di ordine militaresco e nazionalista. Si nega radicalmente lo sviluppo soggettivistico occidentale e si fa dire al liberale Ernst Moritz Arndt, indiscusso intellettuale liberale romantico (1769-1860), nazionalista e fautore profetico della Germania unita, che la sua nazione ha la necessità di un Giulio Cesare idoneo a distruggere le nazioni che la circondano. Un nazionalismo liberale che si espliciterà in Friedrich Naumann e Max Weber. Fin dal decennio di fine secolo, ambedue ricercano formule politiche a favore delle classi medie liberali, ma non abbandonano la Weltherrschaft, cioè la politica di Potenza.
Modernizzare, liberalizzare, reagire al conformismo prussiano, aprirsi al popolo produttivo, ma crescere nel contempo, meccanizzare e trasformare in modo occidentale la potenza della Germania. Una missione di potenza irrefrenabile e realisticamente tarata, ma non influenzata, dalle potenze Francese ed Inglese, quasi una mediazione culturale fra loro. La Germania unita non sta a comandare, non è una grande caserma, ma un nuovo Paese di liberi e forti, che avrebbe protetto l’Occidente contro l’invadenza Slava. Questo è lo spirito nel 1887 delle lezioni dello storico Heinrich von Treitschke, che in modo trionfalista proclama l’idea panprussiana, che vorrebbe delle macchine obbedienti ed un Regime totalitario promosso dal nuovo Kaiser. Svalutando il fatto che l’Occidente così deprecato è figlio nobile delle Rivoluzioni progressiste di Newton e di Jefferson e che la democrazia Americana, fondata sulle idee di progresso e di libertà economica, è il più sano modello da perseguire.
Nondimeno, Weber scrive al socialdemocratico Naumann di non volere appoggiare la politica imperialista di Guglielmo II e di Theobald von Bethmann-Hollweg, nuovo Cancelliere, che persegue il riarmo navale e che intende abbandonare la politica dell’equilibrio di Bismarck, troppo legata all’Austria, per la politica antiottomana nei Balcani e poi per la freddezza crescente contro la Gran Bretagna e la Russia. Cosa che avrebbe portato, come poi accadrà, alla Grande Guerra del 1914. La paura di Weber è quella dell’isolamento internazionale, della corsa agli armamenti, ritorno alla prima politica del Bismarck e rifiuto della politica dell’Equilibrio. Tuttavia Weber, pur criticando la politica giovanile del Cancelliere di ferro, non cessa di lodarne lo spirito Machiavellico e non esclude la volontà politica realista, tanto che mai rimpiangerà l’azione filounitaria che dal 1866 al 1871 ha generato lo Stato Tedesco.
A fare da contraltare al suo moderato pangermanesimo – che lo lega al Verein für Socialpolitik (l’associazione filo germanica per la politica sociale) – è l’adesione dei professori democratici per tutela delle condizioni dei lavoratori, che negli anni ’70 dell’800 approvano le scuole socialiste di Pierre-Joseph Proudhon e Robert Owen, i primi promotori del socialismo utopistico. Critici del socialismo scientifico di Marx ed Engels, tali pensatori miscelano l’irrazionalità romantica, la Realpolitik di Bismarck, il Pangermanesimo di Lagarde ed il Razzismo di Frantz.
Anzi, credono a Treitschke, il pensatore filo prussiano che crede nella guerra di liberazione dal pacifismo tradizionale di Goethe e Heine, per affermare piuttosto il metodo violento e la guerra come la strada maestra per la sopravvivenza del Paese. Però Weber di tali orientamenti fu parzialmente esente, visto che la tendenza antisemita ed il disprezzo gli operai e per i poveri mai lo attraggono, tanto che si prodiga in buona fede a salvaguardare i diritti civili di operai e contadini ed addirittura non appoggia i partiti antisemiti alle elezioni del 1887, considerandoli realisticamente un movimento anticristiano e per di più limitato per la creazione di un apparato produttivo che vuole competere con le industrie nordamericane.
Quanto a Friedrich Naumann, dopo iniziali simpatie e per le teorie conservatrici in economia del professor Adolf Wagner; e per quelle del pastore protestante antiebreo Adolf Stöcker; aderisce nel 1881 al pensiero sociologico di Weber, nella parte in cui questi considera la politica un’area di pensiero autonomo dell’etica e che invece sia lo strumento per aumentare la Potenza della Germania all’estero. Solo qualche anno dopo, si dedica alla moderna società industriale, dove contano le relazioni sindacali e non certo la politica autoritaria da caserma che Guglielmo II ereditata dal pensiero cameratista di List. Nella prolusione all’università di Friburgo del 1895, Weber dal canto suo comincia a dissentire dalla rigida politica di Berthmann-Hollweg prettamente antisindacale. Quanto alla guerra come metodo prioritario per lo Stato di potenza, pur accettando l’iniziale aggressività unitaria; non pensa realisticamente a continuarla per sempre.
La logica di Berlino o morte, una politica che crea ad Est una Russia naturale nemica ed una Francia sempre più ostile – proprio quando l’affare Dreyfus ha allargato lo spirito revanscista antigermanico perché quel Paese sarebbe il mandante dell’atto di spionaggio – ora si sta indirizzando anche contro la Gran Bretagna per ragioni coloniali e contro gli Stati Uniti refrattari a forme di cartelli e di dumping, amati dalla classe imperialista di Guglielmo II. Le scelte di Weber e di Naumann sembrano nell’opinione pubblica razionalmente improponibili e politicamente rischiose. Di qui, il passo di Naumann è breve: fermo restando una politica sociale che vuole garantire il popolo, la patria, la famiglia e la frontiera, non ritiene opportuno incrementare l’orgoglio nazionale.
Dunque, il suo settimanale popolare Die Hilfe, predica il ritorno alla classica triade di valori assoluti, condita di una credo cristiano popolare e da una forte fede imperialista, sia pure messa in ottica difensiva. In comune a Weber rimane la netta opposizione al c.d. darwinismo sociale, vale dire la lotta essenziale dell’uomo contro l’uomo e la ineluttabile vittoria del più forte. In economia persegue però le forme di mercato del Kartell e del Dumping che sviluppano l’economia teutonica imperialista e che attrae la classe dirigente Guglielmina. Solo che Weber non arriva alle conclusioni di Naumann, perché questi non si vergogna di proporre la Germanizzazione delle aree polacche ad est, dell’Olanda ad ovest, perfino della Cecoslovacchia a sud-est. Un pangermanismo filo operaio ma ultra-sovranista in politica estera, quasi una anticipazione del futuro Nazionalsocialismo.
E’ questa la frattura con Weber, che lo taccia di imperialismo camuffato di liberalismo. La scissione fra politica interna democratica e di sciovinismo estero ora fa leva sulla gioventù e sulla classe borghese, affascinata da questo ideale aggregante e apparentemente innovativo, ma di fatto figlio del vecchio pangermanismo romantico e profeticamente metabolizzato dal futuro Nazionalsocialismo di Hitler e Rosenberg. Del resto, Weber e Naumann mostrano un punto debole che si perpetuerà nel regime nazista, vale a dire nel mancare di ideali cosmopoliti e di fratellanza, accentuando sempre il culto della potenza, quasi una metafisica del destino tedesco. Infatti, proprio in piena guerra, nel 1918, Weber afferma il suo significato storico di guerra.
Sarebbe questo il motore della Germania, la grande Potenza che la storia le ha destinato, sia per reagire alla barbaria russa che alla raffinatezza distruttiva del capitalismo anglosassone, ambedue rivestite di una ragionevolezza latina che è presente nella famosa espressione si vis pacem, para bellum. Insomma è il sogno della Germania quello di fare da bilancia della storia, quasi un ritorno all’equilibrio di Bismarck, gettato alle ortiche dall’imperatore Guglielmo. Ma all’obiezione del nuovo nemico da abbattere, cioè il cosmopolitismo di Wilson; Naumann, che non vede le ragioni della sconfitta; risponde che Bismarck ha errato nel ritenere sufficienti le riforme interne e che non è realmente possibile applicarla in politica estera, perché appare poco idonea a migliorare le sorti della Germania proprio in quel triste 1918. Del pari, Weber non è molto convinto del progetto di Wilson ed è rassegnato per la sconfitta imminente, come dimostra una sua lettera del 24.11.1918, rivolta all’amico Friedrich Crusius, filologo classico di Monaco.
Qui incita la Nazione a ripetere lo sforzo del 1806 contro Napoleone e di ritentare la sorte, stavolta con più caparbietà ed esperienza. Ed anzi l’esempio dell’Italia del 1859-1860 gli sembra il più capace esempio di testardaggine politica, che sicuramente otterrà il suo sperato fine proprio per lo sforzo di volontà manifestato. Nondimeno, sarà la propaganda nazista a riprendere questo filo e ricollegherà questo auspicio razionalista nel presentare il Nazismo come politica restauratrice dello spirito del 1866, arricchito fin dal 1923 di una precisa alleanza fra popolo e Nazione proprio nel riattivare il pangermanesimo antico. A chi volesse negare questo atteggiamento di mera regressione intellettuale, vale ricordare la sua dichiarazione del 1919, quando le truppe polacche avanzano su Danzica.
Parlando ad alcuni studenti, Weber incita i loro colleghi universitari di quella città ad andare alle armi e ad uccidere gli invasori, in una realtà non lontana dalle attuali rivolte studentesche nei collegi americani scoppiate per effetto dei fatti di Gaza. Forse le ultime parole di Weber possono somigliare alla nostalgia imperialista; ma il pensiero di Weber va corretto da punte di Nazionalismo giustificate dalla sconfitta e dall’imminente epidemia di spagnola che lo ucciderà insieme a tanti giovano studenti del suo corso. Quanto a Naumann, occorre ricordare con l’afflato religioso cristiano che da sempre lo guida. Dice di essere cristiano, ma è anche imperialista e darwinista. E cede allo Spirito ineluttabile della Storia. Per di più è razzista, tanto che convince l’imperatore Guglielmo ad inviare a Tientsin in Cina un corpo di spedizione di soldati in soccorso degli emigrati colà insediati e minacciati dai ribelli boxer (1900).
Si narra che suggerisca al Kaiser di non far prigionieri e di uccidere tutti i civili che non si sottomettessero. Insomma, è l’esempio di Attila che il Kaiser vuole imitare e non vi è in Naumann alcun pensiero cristiano da propagandare. I missionari sono Crociati e nelle colonie africane non faranno di meglio. Al processo contro il governatore tedesco dell’Africa orientale, Naumann prende le sue difese, senza alcuna giustificazione per i massacri dei ribelli. Del pari, è ferocemente contrario a Dreyfus, malgrado lo siano tutti i liberali del mondo e cita a suo sostegno come i liberali inglesi siano di fatto degli ipocriti al riguardo, benché è noto come Gladstone tuoni contro gli eccessi del colonialismo, senza parlare di Albert Schweitzer, medico di Ulma ebreo, già nel 1913 famoso per la sua scelta di salvare ed assistere le popolazioni africane vittime di carestie e delle epidemie.
Piuttosto, Naumann non solo dalle colonne del Neu Rundschau propaganda la necessità di aumentare le spese di armamento navale, ma addirittura pubblica vari interventi in cui chiede che l’espansione tedesca nelle terre slave ad Est della Vistola. Un chiaro interesse germanico contro l’Imperialismo Russo ed il favore per il Lebensraum (lo spazio vitale) che già Friedrich Ratzel preconizza a seguito di ricerche gerogenetiche per buona parte delle aree slava fino a San Pietroburgo ed Odessa. Nascerà così un ramo biogeografico dal darwinismo scientifico, frutto di indagini scientifiche razziali pronte integrare il già sviluppato darwinismo sociale.
Va ancora ricordato che in quegli stessi anni, la minaccia sventata da Bismarck negli anni ’80 del secolo precedente, quella cioè dell’essere circondata dalle Grandi Potenze Europee, ritorna in ballo. 1904: viene firmata da Francia ed Inghilterra, la c.d. Intesa Cordiale, non solo in funzione spartitoria del patrimonio coloniale, ma anche in evidente finalità difensiva dalle pretese invasive tedesche. 1907, analoga intesa Franco-Russa, dove si concede alla stessa un notevole prestito allo Zar Nicola II, il cui ministro Witte si prodiga a rinforzare l’apparato industriale del Paese in evidente crescita. Il biografo principale di Naumann – Theodor Heuss – nel 1937 trae da questi indizi la prova più forte per negare la democrazia di Naumann, facendo leva alla sua idea di popolo armato per il bene della Nazione.
I diritti naturali dell’uomo però non entrano in gioco. Il c.d. diritto naturale alla felicità, di origine nordamericana, ha un che di morale che non va accettata nel discorso politico. Da ottimo politico machiavellico guarda alla realtà storica e non agli interessi generali di pace duratura, meno che mai alla convivenza civile in una nazione plurilingue. Insomma, la libera determinazione dei popoli che il futuro Presidente statunitense Wilson vuole introdurre in Europa, sul modello nordamericano dove il pluralismo sociale è opposto all’idea della terra e del sangue comune (come dirà il filosofo Schmitt qualche anno dopo il Trattato di pace di Versailles del 1919) non è da Naumann auspicabile.
Il suo ultimo messaggio, raccolto nel saggio Mitteleuropa del 1915, non abbandona la posizione germanofila malgrado la sconfitta che dopo la prima battaglia della Marna del 5-12 settembre del 1914 appare inevitabile. Il ripiegamento dietro tale fiume e poi sull’Aisne, dopo una avanzata velocissima nell’agosto precedente, non solo porterà alla perdita di zone di confine – Polonia e Ruhr – acquisite dal 1864 al 1871; ma anche a pesantissime indennità riparatoria. Circostanze che peseranno sulla società civile tedesca sempre pronta a riprendere con maggior vigore l’ideologia pangermanista, come avverrà nel 1933, quando il Nazionalsocialismo andrà al Potere risuscitando l’ideologia aggressiva Pangermanista.
Bibliografia
- Sul Pangermanesimo Conservatore vd. PETER VIERECK, Dai romantici a Hitler, Einaudi, 1948, pagg. 185 e ss., nonché ERIC J. HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà, Einaudi, 2002.
- Sul ruolo di Wagner e Nietzsche nella cultura imperialista tedesca, vd. ROBERT W. GUTMAN, Wagner, Rusconi, 1983 e RÜDIGER SAFRANSKI, Biografia di un pensiero, Tea, 2008.
- Per la figura di Bismarck e della sua politica interna ed estera, vd. FRANZ HERRE, Bismarck il grande conservatore, Milano, Mondadori, 1994 e FRANZ MEHRING, Storia della Germania moderna, Milano, 1957.
- Quanto a Max Weber, nel profluvio dei suo scritti e di commenti al suo pensiero, cfr. FRANCO FERRAROTTI, L’orfano di Bismarck. Max Weber ed il suo tempo, Editori Riuniti, Roma, 1982.
- Infine, la controversa figura di Friedrich Naumann, trova un’interpretazione meno controversa in EDMOND VERMEIL, La Germania contemporanea, Laterza, Bari,1956, pagg. 108-109. Una rilettura del suo pensiero scevra da contaminazioni politiche è data da CLAUDIO MAGRIS nella prefazione al saggio di IGOR FIATTI, La Mitteleuropa nella letteratura contemporanea, Mimesis, Milano, 2014,