CONTENUTO
I primi passi verso il termine della Guerra dei Trent’anni
Il 25 dicembre 1641 l’imperatore, la Francia e la Svezia concludono la pace preliminare di Amburgo, in cui si stabilisce di avviare i negoziati di pace a Münster e a Osnabrück di lì a tre mesi, ma le cose non vanno come pronosticato.
Possiamo individuare nel 1643 l’anno in cui si inizia veramente ad avere coscienza di dover trovare una soluzione al conflitto che oramai dilania l’Europa dal lontano 1618. Il 19 maggio 1643, la Spagna imperiale viene sconfitta dalla Francia dei Borboni nella battaglia di Rocroi. L’evento bellico in questione è uno dei più importanti della Guerra dei Trent’anni (e della Guerra franco spagnola del 1635-1659) per svariati motivi: con la sconfitta della Spagna, essa perde la nomea di “invincibile avversaria”, comportando da un lato l’abbattimento del morale di quest’ultima e dall’altro assistiamo ad una grande iniezione di adrenalina e speranza per i suoi avversari. Oltretutto, molti veterani dell’esercito imperiale sono morti, quindi non vi è più nessuno ad addestrare le nuove generazioni di soldati. Morale: gli imperiali subiscono un notevole danno di immagine e di forza militare, con conseguente posizione di debolezza all’interno dello scenario di guerra.
E’ proprio a causa di tale contesto che si decide di intavolare i negoziati di pace, ma le cose iniziano sin da subito ad andare a rilento: cinque settimane dopo Rocroi, l’imperatore autorizza i negoziati di pace con Francia e Svezia, ma il congresso di Münster (che insieme a quello di Osnabrück dà vita alla “Pace di Vestfalia” poiché località presenti nella medesima regione) subisce un primo rallentamento per tre motivi:
- Una sopraggiunta disputa tra imperatore e stati tedeschi
- Vertenza con le Province Unite e indebolimento della posizione francese
- La rottura fra Danimarca e Svezia
La disputa tra l’imperatore Ferdinando III e gli stati tedeschi si ha dopo che il sovrano viene accusato apertamente di voler intralciare la pace. Questo alla luce del fatto che l’imperatore per prima cosa richiede circa tredici milioni di fiorini per continuare la guerra, in un momento in cui oramai si parla (e si deve parlare) di pace, e secondo perché vuole negare il diritto di voto a tutti i rappresentanti tedeschi che avrebbero preso parte ai negoziati di pace (sia ad Osnabrück che a Münster). Nonostante queste tensioni, l’imperatore cede alle richieste avanzate dagli stati tedeschi del proprio impero, riuscendo ad evitare una possibile escalation negativa e preservando così la propria posizione politica.
Per ciò che concerne l’indebolimento della Francia, c’è da osservare che ad un anno dagli avvenimenti di Rocroi, l’imperatore inizia nuovamente a mettere in difficoltà i propri nemici, grazie al talento militare del suo alleato, Massimiliano di Baviera. Esso riesce a sconfiggere i francesi nonostante la batosta presa a Rocroi, dimostrando così di essere tutt’altro che inoffensivo nonostante gli svariati eventi volti a suo sfavore fino a quel momento.
Ma i problemi della Francia non terminano qui, dato che le Province Unite iniziano ad allontanarsi da essa e ad avvicinarsi alla Spagna. Alla base di questo allontanamento c’è un motivo religioso: gli olandesi credono che i francesi nutrano delle mire particolari sulla loro integrità religiosa, poiché convinti dell’esistenza di un accordo segreto tra Francia e Spagna al fine di aumentare la propria influenza sulle Province Unite.
Si arriva a questo sospetto dopo che l’ambasciatore francese, facendo un discorso davanti alla Dieta olandese il 3 marzo 1644, riferisce che il re di Francia desidera fortemente che gli olandesi tollerino i cattolici (nonostante tutta l’Europa conoscesse bene lo scontro religioso che si consuma ormai da decenni tra Spagna e Province Unite). Con queste parole, l’alleanza franco-olandese rischia di saltare, ma grazie a delle spiegazioni persuasive e alla garanzia che nessun patto segreto è stato stipulato tra Francia e Spagna al fine di indebolire gli olandesi, l’allarme rientra e la tempesta diplomatica si quieta almeno per il momento.
La rottura tra Danimarca e Svezia rappresenta invece un qualcosa di più delicato; sin dal 1629, Cristiano di Danimarca si è sempre offerto da mediatore tra i contendenti e nel 1640 si erge a “giudice imparziale” nei negoziati di Amburgo. Ora, gli svedesi non vedono in Cristiano un personaggio imparziale, dato che quest’ultimo in passato si è mostrato molto vicino alla sfera imperiale, quindi sono contrari alla sua figura di “giudice conciliatore”. Per via di questo sentimento anti danese, gli svedesi invadono diversi territori danesi e la rottura tra i due paesi si concretizza, trasformando la primavera del 1644 in un periodo in cui la pace sembra ancora lontana. Le cose cambiano quando in Svezia sale al trono la regina Cristina, appena diciottenne e forte sostenitrice della pace, che decide finalmente di chiudere le ostilità con la Danimarca per poter parlare di ricostruzione europea. Arrivati al 4 dicembre del 1644, il congresso viene ufficialmente dichiarato aperto.
Una pace lenta ad arrivare
Nel XVII secolo, l’ossessione delle gerarchie è un qualcosa di diffuso e di estremamente sentito. Si crede che sia Dio a determinare sin da subito il ceto di appartenenza per ogni singolo uomo, quindi tutto deve avere il proprio posto e le possibilità di scalata sociale sono ben poche (se non nulle) per la maggior parte delle persone. Tutto segue un ben preciso assetto gerarchico.
Questa maniacale ricerca del mantenimento gerarchico si riflette anche in ambito diplomatico, dove le questioni di etichetta sono fondamentali al fine di apparire nella maniera giusta. Per esempio, se nel corso di una cerimonia una delegazione si presenta con una carrozza meno lussuosa, rischia di compromettere la propria posizione politica e quindi l’ottenimento di privilegi che ne usciranno dal congresso, dato che invia un segnale di debolezza e sottomissione del proprio paese. Proprio per questa ragione, nonostante il 4 dicembre sia la data di apertura del congresso, questo stenta ad entrare nel vivo.
Infatti, un secondo rallentamento dei negoziati arriva proprio nel momento in cui si devono affrontare gli aspetti logistici e di forma del caso; il massimo rappresentante francese si sarebbe presentato solo se gli fosse stato conferito il titolo di “Altezza”, cosa che non viene accettata dalla delegazione spagnola. I delegati del Brandeburgo e di Magonza vantano la precedenza d’ingresso l’uno sull’altro, così come nel caso del delegato veneziano e del vescovo di Osnabrück. Il legato papale si fa costruire un baldacchino nella chiesa principale della città, ma i francesi ne richiedono l’immediata rimozione.
Queste sono solo alcune delle imbarazzanti situazioni che possono oggi far sorridere ma che all’ora risultavano importantissime al fine di mostrarsi nella miglior posizione possibile. Il commento che meglio riassume la situazione venutasi a creare ce lo restituisce uno dei partecipanti del congresso che, vedendo la moglie di un plenipotenziario francese incinta, afferma che “prima della fine del congresso, suo figlio avrebbe fatto in tempo a crescere, morire ed essere sepolto”. Per superare tutte le questioni di rango e di etichetta venutesi a creare, ci vorranno ben sei mesi.
Superate le questioni appena citate, tutto sembra pronto per iniziare. Al congresso vi partecipano 109 delegazioni, tra cui 600 inviati della Francia, 165 della Svezia, 113 della Spagna, 8 dei Paesi Bassi ed in numero inferiore provenienti dalla Polonia, dalla Danimarca, dall’Inghilterra, dalla Russia e dalla Turchia. A queste 109 delegazioni, se ne aggiungono altre 66 inviate da 140 sovrani e ceti tedeschi e di queste, 27 delegazioni rappresentanti 38 gruppi tra cui i Cavalieri imperiali e la Lega anseatica.
A Osnabrück si incontrano svedesi e protestanti tedeschi, mentre Francia, l’imperatore e i cattolici tedeschi si radunano a Münster. Inoltre, a Münster sono in discussione due paci separate: quella tra Spagna e Province Unite e quella tra Francia e Spagna. Da tenere in considerazione che quello di Vestfalia è un congresso di delegazioni e non di sovrani, quindi i rallentamenti sono da un lato fisiologici, dato che gli inviati impiegano molto tempo a consultare i propri superiori. I telefoni non esistono e un messaggio inviato da Osnabrück con destinazione Stoccolma impiega venti giorni, da Münster a Parigi o Vienna dieci, e uno inviato a Madrid ci mette trenta/quaranta giorni ad arrivare (in più, tutti i messaggi sono scritti in codice).
Questo, insieme al fatto che gli scontri in Europa continuano, contribuisce a rallentare ulteriormente gli accordi di pace, cosa non del tutto sgradita ai paesi che si trovano in una posizione predominante, dato che più la guerra continua e più questi si appropriano di nuovi territori, potendo quindi avanzare maggiori pretese sugli avversari durante la discussione degli imminenti accordi.
Parole di pace sul tavolo, pensieri di guerra nella mente
Nel 1646, i colloqui di pace hanno ormai ingranato, ma le mosse diplomatico-militari continuano. La Francia, per esempio, cerca di indurre la Baviera ad un armistizio sia mediante l’uso della forza che della diplomazia. Lo scopo è quello di eliminare il principale e più agguerrito alleato militare dell’imperatore, al fine di indebolire quest’ultimo. Alla luce di questo obiettivo, come agisce quindi la Francia? Concordando insieme alla Svezia un’offensiva contro la Baviera di Massimiliano. In concreto le cose non vanno come concordato tra gli alleati, poiché gli svedesi avanzano con l’esercito verso l’obiettivo, senza però incontrare i propri alleati francesi.
Questi ultimi infatti, hanno scelto di convincere la Baviera a lasciare la guerra attraverso la diplomazia senza però avvisare gli svedesi. I bavaresi (che ricordiamo essere alleati dell’impero) colgono la palla al balzo e attaccano l’esercito svedese che si ritira per guadagnare tempo, finché a questo non si uniscono le truppe francesi inviategli dopo il fallimento della diplomazia. Con l’esercito bavarese in marcia, l’armata franco-svedese penetra in una Baviera sguarnita e la devasta, ottenendo una posizione ancora più favorevole nei confronti dell’imperatore Ferdinando III.
Oltre alla relativa inefficacia dimostrata contro l’armata franco-svedese, l’esercito bavarese di Massimiliano deve anche fare i conti con un problema interno: il suo comandante più capace, Werth, decide di portare l’esercito lontano dalla Baviera e da Massimiliano, con direzione Boemia, tentando di stare più vicino all’imperatore. Perché questa scelta del comandante? Perché Massimiliano, giunto al 1647, ha deciso di ritirarsi dalla guerra firmando un armistizio con la Francia e la Svezia, dopo quasi trent’anni di battaglie al fianco dell’imperatore Ferdinando.
Con il ritiro di Massimiliano, l’imperatore non avrebbe avuto più una forza militare su cui contare e Werth, essendo fedele in primis all’imperatore e all’impero, non lo avrebbe mai lasciato indifeso. Restare fedele alla linea dell’imperatore è quello che ha fatto Werth, ma non l’esercito da lui comandato. Una volta arrivati sul Danubio, pochi sono i soldati che seguono Werth con destinazione l’imperatore. La maggior parte dell’esercito infatti sceglie di tornare al fianco di Massimiliano di Baviera, loro sovrano diretto.
L’imperatore Ferdinando è conscio del fatto che senza l’esercito bavarese di Massimiliano può poco contro i suoi avversari, così inizia a persuadere il sovrano bavarese con allettanti proposte finanziarie e politiche, spinto dal timore che la Francia e la Svezia potessero avanzare pretese sempre maggiori a scapito dell’impero (cosa che effettivamente avviene). Dopo vari tentativi, Ferdinando riesce a convincere Massimiliano a tornare dalla sua parte e così quest’ultimo annulla l’armistizio stipulato con Francia e Svezia, rientrando a tutti gli effetti in guerra. Ora Massimiliano punta alla Boemia per unirsi alle truppe di Ferdinando e da lì dirigersi in Svevia per occupare le basi svedesi, senza però attaccare i francesi ed evitare così un loro coinvolgimento diretto.
Il condottiero svedese Wrangel, infuriato con Massimiliano per non aver rispettato l’armistizio, si ritrova costretto a ritirare il suo esercito dalla Boemia, andando così in Vestfalia. Una volta qui, si sarebbe ritrovato nei pressi dell’Assia-Kassel, governata dalla caparbia calvinista Amalia Elisabetta. Giunto in Assia-Kassel, l’inverno 1647 passa con la devastazione di questo territorio da parte degli imperiali e con il rinfoltimento dello schieramento svedese, fino a quando, nel febbraio 1648, agli oltre 23.000 soldati svedesi e assiani si aggiungono 8.000 soldati francesi. Insieme si dirigono nuovamente verso la Baviera, a sud.
Gli imperiali marciano incontro ai loro avversari risalendo verso nord e così, il 17 maggio 1648, i due eserciti si scontrano presso Zusmarhausen, vicino Lech, al confine con la Baviera. E’ l’ultima battaglia importante della Guerra dei Trent’anni, in cui assistiamo alla vittoria franco-svedese e all’ennesima devastazione della Baviera.
La pace di Vestfalia
Alla fine del settembre 1648, arriva a Münster una lettera proveniente da Vienna che tutti stanno aspettando con ansia. La lettera contiene la risposta alla domanda se l’imperatore approvasse il trattato di pace pronto ad essere sottoscritto. Isaak Volmar, a capo della delegazione imperiale, apre la lettera e rimane sconcertato dal suo contenuto: quella missiva di importanza fondamentale è scritta in codice. Non sembrerebbe nulla di strano dato che, come detto in precedenza, tutte le lettere relative al congresso di pace vengono scritte in codice, ma il problema qui è che il codice usato dall’imperatore Ferdinando III non è conosciuto.
Ovviamente tale gesto da parte dell’imperatore determina un certo livello di sospetto da parte degli altri delegati, che iniziano a pensare senza neanche nasconderlo troppo, che l’imperatore vuole allungare ancor di più i negoziati affinché arrivi una soluzione capace di migliorare la sua posizione, critica in quel momento. Ma Volmar riesce in qualche giorno a decifrare il messaggio, comunicando al congresso la risposta data da Ferdinando: la pace può essere fatta.
Quel capolavoro che è la cosiddetta “Pace di Vestfalia” vede finalmente la sua attuazione. Ad Osnabrück e a Münster si riescono a sciogliere tre importanti nodi: il soddisfacimento delle richieste avanzate dai vari protagonisti della guerra, il conferimento all’impero di una riforma costituzionale e la creazione di un’auspicabile pace religiosa duratura.
Alla pace di Vestfalia si arriva anche grazie ad una nuova linea di azione adottata per risolvere le varie questioni: si affronta una controversia alla volta e si passa alla successiva solo dopo aver risolto quella attuale. Su questo principio si basa l’operato del cosiddetto “terzo partito”, un gruppo di mediazione sovraconfessionale che media tra i vari blocchi di potere e che tra l’altro è stato ricordato nel 2016 dall’allora ministro degli Esteri ed attuale presidente della Repubblica federale tedesca Frank-Walter Steinmeier, in un discorso in cui prospettava l’assunzione da parte dell’Europa di un ruolo analogo in Medio Oriente:
“Il terzo partito, questo partito della pace, cambiò le regole del gioco generando impulsi, sciogliendo rigidità tra i fronti, mettendo la pace chiaramente al centro […] Nell’ultimo anno dei negoziati in Vestfalia il terzo partito si sarebbe effettivamente rivelato l’attore decisivo in grado di indurre i contendenti a superare le chiusure reciproche nel percorso verso la pace”.
Gli accordi principali contenuti nella pace di Vestfalia possono essere così riassunti:
1) Alla Svezia vengono accordati 5 milioni di talleri di indennità per il suo esercito, insieme ad alcune zone costiere tedesche che gli permettono di avere il controllo del Mar Baltico. Oltre a queste concessioni, la corona svedese ottiene anche un seggio e il diritto di voto nella Dieta imperiale.
2) La Francia ottiene le fortezze sul Reno di Philippsburg e Breisach, ampie regioni dell’Alsazia, la Lorena e finalmente fa formalmente sue le città di Metz, Toul e Verdun (annesse già da un secolo).
3) La Svizzera e le Province Unite vengono riconosciute come stati indipendenti. Queste ultime, con tale riconoscimento da parte della Spagna, pongono anche fine alla cosiddetta “Guerra degli Ottant’anni” combattuta dal 1568 al 1648 contro, appunto, la Spagna.
4) La Baviera ottiene l’Alto Palatinato e la conferma dell’elettorato. Nel Basso Palatinato viene costituito un altro elettorato e il numero degli elettori sale così a 8 (non più 7). In Germania gli stati membri dell’impero ottengono infine vera autonomia di governo nei rispettivi domini e facoltà di contrarre particolari alleanze. L’imperatore ha inoltre bisogno del consenso della dieta dell’impero per far guerra e pace, reclutare milizie e imporre le tasse.
5) Viene modificato il principio dei cuius regio, eius religio: i sudditi di religione differente da quella del proprio sovrano, possono praticare tale differente culto ma non pubblicamente. Se ciò non soddisfa il suddito, esso può decidere di emigrare portando con sé i propri beni. Tale regola non vige nei territori dell’Austria e della Boemia. In ogni caso, le sette continuano ad essere proibite.
Grazie a questo importante evento, ogni stato ha i propri confini ben delineati, in cui l’uno conosce e rispetta i confini dell’altro, gettando così le basi per quello che è il principio dello “Stato Assoluto”. Su queste fondamenta, ha inizio la ricostruzione dell’Europa.
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- Christian Pantle, “La guerra dei trent’anni 1618-1648. Il conflitto che ha cambiato la storia dell’Europa”, Oscar Mondadori, 2020
- Georg Schmidt, “La guerra dei Trent’anni”, il Mulino, 2015
- Veronica Wedgwood, “La guerra dei Trent’anni. 1618-1648”, il Saggiatore, 2018