CONTENUTO
Anni Trenta: i venti di guerra allarmano tutta l’Europa
Nel 1936 diverse cancellerie europee già cominciano ad essere allarmate dal comportamento delle due potenze che il 25 ottobre di quell’anno firmano un patto d’amicizia noto come Asse Roma-Berlino. Italia fascista e Germania nazista, infatti, si dimostrano sempre più insofferenti alle regole e allo status quo internazionale: Mussolini nel 1935 aveva attaccato e conquistato l’Etiopia, con la Società delle Nazioni che di fatto si riduce a riconoscere il fatto compiuto, mentre Hitler procedeva sistematicamente con il riarmo tedesco.
Tra i paesi che nel Vecchio continente iniziano a percepire venti di guerra c’è anche la Svizzera: nel 1936 viene varato un consistente aumento del budget per le spese militari, si cominciano a costruire nuovi presidi di difesa lungo il confine e l’organizzazione dell’esercito viene più volte potenziata.
L’esercito svizzero si qualifica tutt’ora per essere un esercito di milizia, cioè non composto (almeno per la gran parte) da effettivi professionisti: fin dall’Ottocento, infatti, esso è basato sul servizio militare obbligatorio dei cittadini maschi adulti e ha tra le sue file solo alcuni militari di professione. Soggetto a diverse revisioni e migliorie, il principio cardine rimane comunque sempre quello della formazione ed eventuale mobilitazione dei cittadini abili al servizio, che vengono in ogni caso richiamati periodicamente per effettuare un periodo di addestramento.
Il 1° settembre 1939, dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, in Svizzera viene immediatamente proclamata la mobilitazione generale. Il giorno prima, prendendo atto dell’ormai imminente scoppio di un conflitto vicino ai confini elvetici, l’Assemblea federale generale elegge il generale Henri Guisan comandante in capo dell’esercito, esercitando le prerogative proprie del tempo di guerra.
La Svizzera, com’è noto, ha una lunga tradizione di neutralità, riconosciuta ufficialmente a livello internazionale nel 1815 dal Trattato di Parigi: anche nel caso del secondo conflitto mondiale, quindi, l’obiettivo militare da perseguire è fin da subito la difesa del territorio nazionale da eventuali aggressioni.
La Germania nazista e la Svizzera: un rapporto tormentato
Ma esistevano davvero concreti rischi per la Svizzera? E se sì, di quale portata?
Nel 1937 a Berlino il politico elvetico Edmund Schulthess, a titolo privato ma in accordo con la diplomazia del suo paese, incontra Adolf Hitler, da cui riceve esplicite rassicurazioni sull’intenzione del governo tedesco di rispettare lo status di neutralità della Svizzera. L’anno successivo le relazioni tra la Germania e il piccolo Stato alpino sono scosse dalla condanna a morte a Monaco di Baviera dello studente svizzero Maurice Bavaud, reo confesso di aver orchestrato un piano per assassinare il Führer; la diplomazia svizzera, nei fatti, non si muove per salvare il proprio concittadino, e anzi l’ambasciatore condanna pubblicamente il giovane, che aveva dichiarato alla Gestapo di voler uccidere Hitler in quanto lo riteneva un pericolo per l’umanità e per la stessa indipendenza della sua patria.
Il rapporto di Hitler con la Svizzera appare, in generale, contrastato e contradditorio; ne è un esempio la sua iniziale passione per il mitico eroe elvetico Guglielmo Tell, citato anche nel Mein Kampf ma poi finito in disgrazia proprio dopo il caso Bavaud, tanto che il dittatore dà ordine di censurare ogni riferimento al personaggio.
Pare assodato, comunque, che il progetto di unificazione di tutti i tedeschi nella “Grande Germania”, punto chiave del programma del partito nazista, comprendesse anche gli svizzeri germanofoni. Proprio la peculiare divisione linguistica della Svizzera dava peraltro adito ad alcuni progetti di spartizione del territorio elvetico, in particolare assegnando i cantoni di lingua tedesca alla Germania e il Ticino all’Italia.
Il regime fascista si dimostra in diverse occasioni interessato ad una simile eventualità, ma Benito Mussolini rimane sempre perplesso dalla sproporzione che si verrebbe a creare tra la parte italiana e quella tedesca[1].
Un momento importante nelle relazioni tra i due paesi è rappresentato dagli scontri tra la Luftwaffe e le forze svizzere nel giugno 1940, in cui l’aviazione tedesca perde undici aerei, attaccati per aver violato lo spazio aereo elvetico: a ciò segue una nota di protesta abbastanza minacciosa da Berlino, e il comandante Guisan vieta alla sua aviazione i combattimenti aerei per evitare che si crei il pretesto per un’invasione tedesca.
Pochi giorni dopo, il 25 giugno 1940, la Francia si arrende e viene definitivamente conquistata dall’esercito del Reich.
La Svizzera accerchiata si mobilita: il ridotto nazionale e la strategia di difesa
Con la conquista della Francia, la Svizzera si trovava completamente circondata dalle potenze dell’Asse (o comunque da territori da esse occupati). La situazione ha dei parallelismi con quella vissuta dal paese nella Prima Guerra Mondiale, con la differenza che mentre nel 1914 la Svizzera si trovava sostanzialmente in mezzo ai due schieramenti, con il rischio di rimanere schiacciata o di diventare terreno di passaggio o scontro, nel 1940 lo Stato alpino ha lungo tutti i suoi confini una minaccia omogenea ma altrettanto, se non di più, pericolosa.
Al farsi più concreta della possibilità di un reale scontro, il generale Guisan imposta una strategia difensiva basata sul concetto di “ridotto nazionale” (Réduit national). Punto centrale è portare un eventuale combattimento sulle zone montuose, in modo da lasciare al nemico scarsa possibilità di movimento e di ampie manovre, e trincerarsi in questo modo dietro le Alpi, che sarebbero servite da fortificazione naturale. Il piano prevedeva la distruzione delle linee ferroviarie trasversali alpine, il ripiego di quasi tutte le truppe dietro le montagne e la costruzione di fortificazioni per proteggere la linea del ridotto.
La linea difensiva viene quindi spostata sul confine del settore alpino, che diventa una sorta di bunker naturale dove viene convogliato il grosso dell’esercito e vengono ammassate scorte e provviste per la popolazione. Sotto alcuni punti di vista, si tratta di una scelta obbligata: l’esercito svizzero, infatti, è composto principalmente di fanti, scarsamente motorizzato, di ridotte dimensioni e in generale nettamente inferiore ai tedeschi o agli italiani.
Sarebbe quindi praticamente impossibile sostenere il confronto con il nemico in campo aperto, mentre il terreno impervio e le ristrettezze degli spazi montuosi avrebbero potuto parzialmente servire come livellatori di forze.
Il piano del ridotto non è esente da critiche. Innanzitutto prevede, nei fatti, l’abbandono di una considerevole porzione di territorio ad un eventuale invasione del nemico senza neanche combattere: si tratta della zona dell’Altipiano, densamente popolata, economicamente cruciale e sede delle principali città svizzere (Zurigo, Berna, Ginevra). La sorte degli abitanti di queste zone sarebbe incerta, anche nel caso di una strenua resistenza dell’esercito sulle Alpi.
Inoltre, alcuni critici temono che le truppe elvetiche possano essere assediate nelle loro posizioni e costrette alla resa mentre i tedeschi dilagano incontrastati nel resto del paese. A dire il vero, inizialmente alcuni corpi d’armata vengono schierati nell’Altipiano e nella zona del massiccio del Giura per tentare quantomeno di ritardare l’ingresso del nemico, ma nel maggio 1941 Guisan dà ordine che anche queste forze vengano ritirate al riparo del ridotto.
Il 25 giugno stesso il presidente della Confederazione in carica, Marcel Pilet-Golaz, tiene un discorso radiofonico dal tono ambiguo e vago, volto soprattutto a non compromettersi troppo prendendo una posizione netta contro i tedeschi e che viene percepito da molti come il preludio ad una resa.
Evidentemente conscio dello sconcerto della popolazione e preoccupato per la tenuta sociale del paese, esattamente un mese dopo il comandante Guisan raduna i più alti ufficiali dell’esercito presso il grande prato di Grütli, dove secondo la tradizione era stata siglata l’originaria alleanza tra i cantoni nel 1291 e quindi dotato di forte valore simbolico.
Nel discorso tenuto in questa occasione, famoso in Svizzera come “Rapporto del Grütli”, Guisan dà indicazioni militari per l’esecuzione della strategia del ridotto, ma si rivolge anche indirettamente alla popolazione invitando alla fiducia e alla resistenza. Il carisma del generale raccoglie così unanimi consensi, che continueranno anche dopo la fine della guerra.
I piani d’attacco mai realizzati: l’operazione “Tannenbaum”
La Svizzera imposta dunque la sua strategia di difesa per reagire ad un attacco da parte delle potenze dell’Asse, che appare un’eventualità possibile, anche se non certa. Una volta presa la Francia, Hitler aveva effettivamente dato ordine agli alti comandi di pianificare l’invasione della Svizzera. L’operazione avrebbe dovuto essere condotta dalla 12° armata, che era stata impegnata nella campagna di Francia, sotto il comando del generale Wilhelm von Leeb.
La bozza definitiva del piano prende il nome di operazione “Tannenbaum” (operazione “Abete”, in italiano). La tattica preventivata prevede una finta aggressione da nord, con l’invio di alcune divisioni di fanteria lungo il massiccio del Giura (al confine con la Francia) che dovrebbero fungere da esca per far uscire le truppe svizzere dalle loro posizioni, per poi procedere con l’attacco vero e proprio da sud con il supporto dell’esercito italiano.
Oltre alla pianificazione militare pare che la questione venga studiata anche dal punto di vista politico per progettare la trasformazione della Svizzera (quantomeno di quella tedescofona) in provincia del Reich. Quello che è certo è che Hitler non darà mai il via libera all’operazione di invasione della Svizzera, che infatti è rimasta neutrale per tutta la durata del conflitto senza subire aggressioni.
I motivi di questa scelta non sono mai stati chiariti: un’ipotesi è che l’andamento della guerra abbia fatto rivolgere l’attenzione del Führer verso altri obiettivi come il Regno Unito e l’area balcanica, forse considerati di importanza superiore; si può anche pensare però che una Svizzera neutrale e relativamente stabile, soprattutto dal punto di vista economico, fosse ritenuta dal Reich preferibile ad un paese occupato ma distrutto.
Infatti gli scambi finanziari tra i due paesi erano fitti ed imponenti, così come l’importanza strategica dei valichi svizzeri come il passo del Gottardo, che garantiva il passaggio di merci e forniture dalla Germania verso l’alleato italiano e che la Svizzera era tenuta a mettere a disposizione dei vari paesi firmatari della apposita Convenzione del 1909 (tra cui, appunto, Italia e Germania). Inoltre, la Svizzera neutrale spesso offriva servizi di mediazione e buoni uffici tra i diversi paesi belligeranti, a vantaggio di entrambi gli schieramenti.
Quali che siano le ragioni, il progetto di invadere la Svizzera viene più volte rimandato e accantonato, e dopo lo sbarco delle truppe alleate in Normandia (giugno1944) è evidente a tutti come sia ormai definitivamente tramontato. Il comandante Guisan allenta dunque progressivamente le maglie del ridotto nazionale, trasferendo alcune truppe nella zona dell’Altipiano e riducendo la mobilitazione.
Le fortificazioni del ridotto verranno ancora potenziate durante la Guerra fredda, finché con la riforma militare “Esercito 95” degli anni Novanta questa strategia viene esclusa dal concetto di difesa svizzero.
Nota:
[1] M. Cerutti, L’Italia fascista e la Svizzera nella Seconda Guerra mondiale, disponibile a: https://m4.ti.ch/fileadmin/DECS/DS/Rivista_scuola_ticinese/ST_n.232/ST_232_Cerutti_italia_fascista_e_Svizzera_nella_seconda_Guerra_mondiale.pdf
I libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- Stephen Halbrook, La Svizzera nel mirino. La neutralità armata della Svizzera nella Seconda guerra mondiale, Alberti, 2002.
- Pierre Streit, Suzette Sandoz, Lo spirito del Grütli. Nel 75° dello storico discorso di Henri Guisan, Armando Dadò Editore, 2015.