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Il decreto legge 151/1944
Il 4 giugno 1944, con l’ingresso delle truppe alleate, Roma è liberata. Vittorio Emanuele III nomina suo figlio Umberto II luogotenente del Regno. E’ nominato un nuovo Governo, in cui entrano tutti i partiti del Comitato di liberazione e il cui Presidente del Consiglio è Bonomi.
Il decreto luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, emanato durante il governo Bonomi, traduce in norma l’accordo tra la Corona e il CLN. Al termine della guerra sarà indetta una consultazione fra tutta la popolazione per scegliere la forma dello Stato ed eleggere un’Assemblea Costituente per dare una Costituzione allo Stato.
L’attuazione del decreto deve attendere che la situazione interna italiana si consolidi e si chiarisca. Nell’aprile 1945, finita la guerra, l’Italia è un paese sconfitto, occupato da truppe straniere, possiede un governo che ha ottenuto la definizione di cobelligerante e una parte della popolazione ha contribuito a liberare il paese dall’occupazione tedesca.
Il 16 marzo 1946 il principe Umberto decreta, come previsto dall’accordo del 1944, che la forma istituzionale dello Stato sarà decisa mediante referendum da indirsi contemporaneamente alle elezioni per l’Assemblea Costituente.
L’abdicazione di Vittorio Emanuele III
Alla vigilia del referendum, il re Vittorio Emanuele III, seguendo i suggerimenti pressanti dei leader monarchici, abdica in favore del figlio Umberto.
L’abdicazione viene compiuta al chiaro scopo di influenzare psicologicamente l’elettorato. Il re compromesso col fascismo e con la guerra si ritira volontariamente, ammettendo implicitamente le proprie responsabilità. Immediatamente dopo l’atto di abdicazione, Vittorio Emanuele lascia l’Italia e si trasferisca ad Alessandria d’Egitto in esilio volontario, dove muore due anni dopo.
L’abdicazione reale è sfruttata a fondo dai sostenitori della monarchia. Però ben presto si accorgono che la decisione presa è troppo a ridosso della scadenza elettorale perché possa dare i suoi frutti.
Allora partiti e comitati monarchici cominciano a tempestare la Commissione alleata di controllo, ultimo organismo alleato rimasto in Italia, di richieste di intervento a favore del rinvio del referendum. L’ammiraglio Stone, capo della commissione, respinge ogni pressione dichiarando la sua incompetenza ad intervenire.
La campagna elettorale
La campagna elettorale in preparazione della duplice consultazione si svolge a ritmo serrato. I partiti repubblicani concentrano tutte le loro forze nel dimostrare le colpe e le collusioni della monarchia col fascismo. Affermano che la permanenza del re consoliderà il privilegio e bloccherà le riforme progressiste.
I sostenitori del re presentano la monarchia come la migliore difesa contro le tendenze sovversive e il comunismo. Si cerca così di ripetere un’operazione familiare nella storia politica italiana: si sostiene la necessità di conservare le vecchie istituzioni per evitare i pericoli e le incognite di un cambiamento di regime. All’elettorato borghese si prospettano le conseguenze apocalittiche che deriveranno da una scelta repubblicana. Essa rappresenterà ‘il salto nel buio’, secondo uno slogan diffusissimo.
Insieme alla campagna per il referendum si svolge anche quella per le elezioni all’Assemblea Costituente. Su di essa concentra i propri sforzi la Democrazia cristiana. Pur dichiarandosi favorevole al regime repubblicano, lascia i propri iscritti e i propri simpatizzanti liberi di votare per la repubblica o la monarchia.
Vittoria della Repubblica
Nella giornata del 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ha dunque luogo il referendum istituzionale a suffragio universale. I votanti sono 24 946 878, pari circa all’89,08% degli aventi diritto al voto, che risultano essere 28 005 449. Le schede convalidate sono 23 437 143, quelle invalidate (bianche incluse) 1 509 735.
I risultati ufficiali del referendum istituzionale sono: Repubblica voti 12 718 641 (pari a circa il 54,27% delle schede convalidate), Monarchia voti 10 718 502 (pari a circa il 45,73% delle schede convalidate). Analizzando i dati regione per regione si nota come l’Italia sia praticamente divisa in due: il nord, dove la repubblica vince con il 66,2%, e il sud, dove la monarchia vince con il 63,8%.
Nelle elezioni per la Costituente, la Democrazia Cristiana si afferma come il primo partito con il 35,2% dei voti, seguita dal Partito Socialista di Unità Proletaria al 20,7% e subito dopo dal Partito Comunista Italiano al 19%.
Le accuse dei monarchici
A seguito della proclamazione dei risultati del referendum del 10 giugno, il 13 giugno il Consiglio dei ministri trasferisce le funzioni di Capo provvisorio dello Stato al presidente del consiglio De Gasperi. Si decide di non attendere il pronunciamento definitivo della Corte di Cassazione, in base all’art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946.
Umberto II dirama un proclama nel quale denuncia la presunta illegalità commessa dal governo. Il giorno stesso parte polemicamente in aeroplano da Ciampino, ritirandosi a Cascais nel Portogallo.
L’irregolarità segnalata da Umberto II consiste nel non aver preso in considerazione il numero delle schede nulle – perché ancora non reso noto dalla Corte di Cassazione – nel calcolo della maggioranza degli elettori votanti. Secondo l’interpretazione sostenuta dai monarchici, infatti, tale espressione deve intendersi come “la maggioranza dei consensi nella somma dei voti a monarchia, repubblica, schede bianche e schede nulle”.
La decisione della Corte di Cassazione
Il 18 giugno la Corte di Cassazione integra i dati delle sezioni mancanti ed emette il giudizio definitivo sulle contestazioni e i reclami concernenti le operazioni referendarie.
Con dodici magistrati contro sette, stabilisce che per “maggioranza degli elettori votanti”, prevista dalla legge istitutiva del referendum (art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946), si deve intendere la “maggioranza dei voti validi”, ossia la maggioranza dei consensi senza contare il numero delle schede bianche e delle nulle, che sono considerati voti non validi.
La Suprema Corte, quindi, respinge i ricorsi dei monarchici. Anche tenendo conto delle schede bianche o nulle, pertanto, la Repubblica consegue la maggioranza assoluta dei votanti, rendendo ininfluente ogni discussione sotto il profilo giuridico interpretativo.
Video-intervista con il dott. Andrea Argenio sulla nascita della Repubblica italiana
In occasione dell’anniversario abbiamo voluto intervistare il dott. Andrea Argenio, ricercatore in Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre. Nel corso dell’intervista abbiamo ripercorso gli aspetti politici del 2 giugno, dal diritto di voto alle donne alla divisione sociale dell’esito elettorale.
Festa della Repubblica
La Festa della Repubblica si celebra ufficialmente per la prima volta nel 1948 e si fissa ogni anno il 2 giugno fino al 1977, quando a causa della crisi economica si stabilisce che venga ricordata ogni anno la prima domenica di giugno.
Nel 1976, la tradizionale parata militare viene annullata a causa del grave terremoto che provoca quasi 1000 morti in Friuli Venezia Giulia il 6 maggio. La data del 2 giugno è poi ristabilita, insieme alle celebrazioni, dal secondo governo Amato con una legge del novembre 2000.
Il cerimoniale ufficiale della Festa della Repubblica prevede la deposizione di una corona d’alloro in omaggio al Milite Ignoto all’Altare della Patria, che si trova a Roma in piazza Venezia, da parte del Presidente della Repubblica.
Poi vi è la sfilata delle forze militari lungo i Fori Imperiali, a Roma. Oltre all’Esercito Italiano, alla parata partecipano anche la Polizia, i Vigili del Fuoco, la Croce Rossa Italiana e alcuni corpi della polizia municipale di Roma, della protezione civile e della Croce Rossa.
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- Storia dell’Italia moderna: la fondazione della Repubblica e la ricostruzione di Giorgio Candeloro
- Giugno 1946: gli ultimi giorni della Monarchia di Gianni Oliva
- La Repubblica inquieta. L’Italia della Costituzione. 1946-1948 di Giovanni De Luna