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Napoleone “il piccolo”: l’imperatore che voleva essere grande come suo zio
La Storia dell’Ottocento vanta ben due “Napoleoni“: Napoleone Bonaparte, il generale corso che conquistò l’Europa e di cui tutti ebbero paura, e Napoleone III, suo nipote, figlio del fratello Luigi. Per molti Napoleone III è solo la brutta copia di suo zio, un uomo che ripetendo la storia ne ha realizzato una farsa. In realtà Napoleone III era un abile stratega, un uomo dotato di una spiccata intelligenza e di una furbizia vincente, tanto da superare il confronto con lo zio in termini di durata del suo impero. Ripercorriamo brevemente le vicende che lo hanno visto ascendere al tetto di Francia, quando da esiliato divenne imperatore dei francesi per venti lunghissimi anni.
Nascita e formazione di Napoleone III
Luigi Carlo Napoleone Bonaparte, noto ai più con il nome di Napoleone III, nasce a Parigi il 20 aprile 1808. Il suo è un cognome davvero importante. È infatti il terzogenito di Luigi Bonaparte e di Ortensia de Beauharnais, sovrani di Olanda e rispettivamente fratello e figliastra dell’imperatore Napoleone Bonaparte.
Quando il piccolo Luigi Napoleone nasce è l’anno in cui in Spagna l’Impero napoleonico comincia a dare le prime avvisaglie di una crisi che si espanderà a macchia d’olio e che ci porterà direttamente al 1815, anno del definitivo tracollo del sistema imperiale.
Dopo il crollo dell’Impero, una legge regia vuole che i Bonaparte vadano via dalla Francia: Napoleone viene esiliato a Sant’Elena mentre i membri della famiglia imperiale si trasferiscono in vari paesi d’Europa. Il piccolo Luigi Napoleone, ad esempio, vive in Savoia, in Svizzera, in Germania e in Italia. Ciò nonostante, la sua educazione è tutta incentrata sulla storia e sulla cultura della Francia, con un chiaro approfondimento sull’esperienza repubblicana e giacobina.
Tutto merito del suo precettore, Philippe Le Bas, figlio dei coniugi Le Bas, noti ai francesi per essere stati dei giacobini estremisti e per aver ospitato in casa loro Maximilien de Robespierre. Luigi Napoleone, quindi, viene educato ai principi della rivoluzione ed è questo il motivo che lo spinge ad aderire alla Carboneria insieme a suo fratello maggiore e a partecipare dapprima all’insurrezione romana contro il dominio pontificio, e poi a quella della Romagna, che si innesca per lo stesso motivo.
Dopo la morte di papa Pio VIII, infatti, gli insorti pensano di approfittare del periodo di stallo per portare sul trono di Roma il suo legittimo erede: il duca di Reichstadt, e cioè il figlio di colui che un tempo era stato re di Roma, vale a dire Napoleone Bonaparte.
Ma il tentativo si rivela fallimentare. Nonostante Luigi Napoleone tenti il tutto e per tutto per convincere quanti più uomini possibile a sposare quella che crede essere una causa legittima, e per quanto l’eco del defunto imperatore sia ancora molto radicato a Roma, sono in pochi coloro che si ritrovano a Piazza San Pietro, il 10 dicembre del 1830.
Allontanato dal posto senza andare incontro a nessuna conseguenza, il giovane rampollo di casa Bonaparte si muove in direzione di Modena, speranzoso che lì le cose vadano diversamente da come sono andate a Roma. Ma anche quella di Modena si rivela un’esperienza da dimenticare, un’esperienza che questa volta, però, gli costa l’allontanamento dal suolo italiano perché ricercato dagli alleati austriaci, e che lo separa definitivamente dal suo amato fratello, che partecipa con lui ai moti e che muore a causa della rosolia (Forlì, 1831).
Con sua madre Ortensia raggiunge in gran segreto Parigi. Ricordiamo che i Bonaparte non possono in alcun modo mettere piede sul suolo francese, eppure Ortensia conosce chi può aiutarla a convincere il nuovo re, Luigi Filippo, a concedergli perlomeno di raggiungere la più sicura Inghilterra.
Le ambizioni di Luigi Napoleone
Nel 1831 Luigi Napoleone è a Londra. Londra sarà una parentesi significativa, soprattutto se pensiamo al fatto che le future trasformazioni edilizie che subirà Parigi sotto il suo impero saranno chiaramente ispirate dalle bellezze architettoniche della modernissima capitale inglese. Nonostante sia affascinato da Londra, (al punto da ritornavi più volte) Luigi Napoleone e sua madre decidono di fare ritorno in Svizzera, dove gli giunge notizia della morte di Napoleone II, il duca di Reichstadt.
La morte del cugino sarà il punto di svolta delle vicende successive; ora che il figlio dell’imperatore è venuto a mancare, resta lui l’unico erede diretto, l’unico, cioè, in grado di rivendicare di diritto il trono di Francia.
Tutto questo lo spinge a prendere parte a ulteriori complotti che gli costano un breve periodo di reclusione nelle carceri di Parigi, l’esilio nel Nuovo contenente e poi a Londra, dove si trasferisce nel 1837, poco dopo la morte di sua madre.
Il pensiero di essere l’unico membro della famiglia pronto a portare avanti l’eredità spirituale dello zio lo entusiasma. A questo si aggiunge il malcontento che le classi sociali più povere provano nei confronti di Luigi Filippo, il re borghese che tutela gli interessi dei più ricchi a discapito dei meno fortunati.
Luigi Napoleone comincia a pensare che il popolo di Francia abbia bisogno di lui, di qualcuno che agisca nel suo interesse e non nell’interesse di coloro che hanno praticamente già tutto quello di cui necessitano, e molto di più. Questo pensiero non resta fine a se stesso: occorre che il popolo sappia che esiste qualcuno pronto a difenderlo, che gli operai e tutti coloro che non credono più in un futuro migliore sappiano che Luigi Napoleone è pronto a prendersi cura di loro, come un tempo aveva fatto suo zio.
Da quel di Londra scrive un pamphlet destinato soprattutto agli operai, che tra tutti sono quelli più stufi del modo di governare del re. Nel 1834, infatti, si sono sollevati a Lione e hanno espresso il loro astio nei confronti di Luigi Filippo, quindi sono forse quelli più pronti a sostenerlo e ad aiutarlo a prendere il posto del re.
L’opuscolo, intitolato Des idées napoléoniennes viene pubblicato nel 1839 e ha subito successo; comincia a circolare nei sobborghi, in quelle periferie in cui nessun potente di Parigi sogna di entrare. In esso sono contenute le idee politiche del futuro imperatore, una presentazione dell’eredità politica, sociale, economica e culturale di suo zio, nonché la necessità di rivendicare questa eredità per il bene dei popoli oppressi dalla borghesia.
Un ennesimo colpo di mano organizzato nella cittadina di Boulogne, però, interrompe le mire del giovane Bonaparte. Questa volta accusato di omicidio e condotto nelle carceri di Ham, in Piccardia. Durante gli scontri con i gendarmi, infatti, muoiono alcune persone e questo basta per decidere che non può più cavarsela con il semplice esilio.
I fatti del ’48 e l’elezione a membro del governo
Quella che Luigi Napoleone vive ad Ham non è una vera e propria prigionia. È il nipote di Napoleone, minaccia un ritorno al passato, eppure a lui sono concessi privilegi che altri detenuti si sognano: studia, scrive per alcuni giornali filo-bonapartisti, si scambia lettere con i suoi fedeli collaboratori. Dal buio della sua cella scrive quell’opera che lo consacrerà paladino del popolo. Si tratta di un breve opuscoletto intitolato De l’extinction du paupérisme, in cui si mostra favorevole a un programma radicale, incentrato sull’interventismo statale, necessario per migliorare le condizioni dei poveri.
La classe operaia non possiede nulla, bisogna renderla proprietaria. Essa non ha altra ricchezza che le sue braccia, bisogna dare a queste braccia un impiego utile […]. Bisogna darle un posto nella società e collegare i suoi interessi a quelli della terra. Infine, essa è senza organizzazione e senza legami, senza diritti e senza avvenire, bisogna darle dei diritti ed un avvenire e risollevarla ai suoi propri occhi attraverso l’associazione, l’educazione, la disciplina.[1]
Ad Ham trascorre sei anni, poi decide di evadere e di raggiungere la democratica Inghilterra, da dove monitora i fatti francesi animato da una sempre più forte speranza, vista l’abdicazione di re Filippo in seguito a una violenta insurrezione popolare (24 febbraio 1848) e alla proclamazione della Seconda Repubblica (la Prima è quella succeduta alla Rivoluzione francese del 1792).
I fatti del ’48 sconvolgono non solo la Francia monarchica ma l’Europa tutta. Da Parigi a Venezia, da Milano a Vienna, da Praga a Berlino. Insomma, (quasi) tutta Europa si issa contro i regimi assolutistici. Si tratta della famosa Primavera dei popoli, che in Francia si scatena dopo il rifiuto del re di concedere il diritto ai cittadini di riunirsi per discutere di politica.
Dopo l’abdicazione del re, il governo provvisorio (composto da tutte le anime della rivolta), oltre ad allargare il suffragio e a concedere libertà di stampa e di associazione, per la prima volta nella storia si occupa di questioni sociali, dando finalmente importanza a quelli che sono i diritti dell’uomo, come il diritto alla salute e al lavoro. Tra le tante iniziative volute dall’ala operaista vi è sicuramente la creazione degli ateliers nationaux, antenati delle moderne cooperative sociali, i quali garantiscono ai disoccupati un salario minimo in cambio della loro forza-lavoro.
Il quarantenne Luigi Napoleone decide che è ormai giunto il momento di fare il suo rientro trionfale in Francia. Quello che ancora non sa, però, è che il governo provvisorio gli è totalmente ostile, al punto di allontanarlo un’ennesima volta. Ma questo non basta a metterlo in ombra: ha il popolo dalla sua parte; d’altronde ha lavorato tutta una vita per accattivarselo. Così, con le elezioni suppletive del giugno, il popolo gli mostra tutto il suo sostegno e lo elegge membro dell’Assemblea nazionale, concedendogli la soddisfazione di essere uno tra i più votati.
Nel parlamento parigino si discute se accettare o meno la volontà popolare: su Luigi Napoleone pesa ancora la legge regia del 1° gennaio 1816, quella che costringe i Bonaparte all’esilio perpetuo, ma si decide che non è comunque il caso di inimicarsi la folla, visto quello che è successo nel febbraio.
La sua elezione viene quindi formalizzata e gli viene comunicato che può fare ritorno in Francia, ma è allora che Luigi gioca la sua carta vincente: sostenendo di non voler essere alcun peso per il governo e di non volerlo distogliere da quelli che sono i suoi compiti, decide di rassegnare le sue dimissioni e di farlo «per il bene della Francia e del popolo francese».
Desidero l’ordine e sostengo una repubblica che sia saggia, grande e intelligente, ma poichè sono involontariamente stato causa di disordine, rassegno le mie dimissioni nelle vostre mani, con profondo rimpianto.[2]
Vista la situazione disagevole in cui in quel momento si trova la Francia, Luigi Napoleone capisce che è meglio farsi da parte. Questo gli consente di non partecipare alla votazione con cui si decide la chiusura degli ateliers e di non essere costretto a scegliere tra gli insorti e i difensori dell’ordine. Un vero colpo da maestro.
Luigi Napoleone Bonaparte eletto presidente della Repubblica francese
In effetti, la situazione a Parigi non è delle migliori. Le elezioni dell’aprile tenute per eleggere la Costituente hanno decretato la vittoria dei liberal-conservatori e una delle prime decisioni prese dal governo è proprio quella di chiudere gli ateliers nationaux perché troppo costosi. Moltissimi operai si ritrovano così senza lavoro e senza paga e, traditi nell’orgoglio, si sollevano contro la Repubblica mettendo in pratica quello che Marx ha da poco teorizzato: la lotta di classe.
In questa occasione la Costituente si scioglie, ma prima nomina Louis-Eugène Cavaignac dittatore temporaneo in modo da potergli permettere di reprime l’insurrezione (giugno 1848) come meglio crede. Il generale, senza pensarci troppo, decide che il modo migliore per porre fine alle proteste è quello di sparare sulla folla, mietendo più di 3.000 vittime e compiendo circa 12.000 arresti, azione che reputa necessaria al fine di bandire il socialismo dalla Francia (d’altronde il ’48 è l’anno in cui Marx ed Engels pubblicano il Manifesto). La decisione di Luigi Napoleone di rassegnare le dimissioni si rivela completamente vincente perché non essere parte del governo significa non avere alcuna responsabilità di quanto è accaduto.
Da questo bagno di sangue, quindi, è lui l’unico a trarne un vantaggio. Infatti sono sempre più numerosi coloro che gridano il suo nome tanto che nelle elezioni del 17-18 settembre viene eletto in cinque dipartimenti e questa volta accetta volentieri di prendere parte alla Costituente, l’Assemblea che ha il compito di partorire una Costituzione di stampo presidenziale. Ma è chiaro che punta molto più alto. Propone infatti la sua candidatura a presidente della Repubblica e il 10 dicembre 1848 viene accontentato con il 70% dei voti. Per la prima volta nella Storia il popolo ha votato il suo presidente.
Il 18 brumaio di Napoleone III
Uno dei problemi più critici che il nuovo presidente deve affrontare nell’immediato del suo governo è la “questione romana”. In Italia, il 9 febbraio del 1849 un governo temporale dichiara decaduto il papato e papa Pio IX è costretto a fuggire a Gaeta: nasce la seconda Repubblica Romana (la Prima è nata con Napoleone nel 1798).
Il presidente Bonaparte vuole a tutti i costi schierarsi a favore del papa, una decisione che è ben accetta dalla cattolicissima Francia rurale ma che indigna il governo e i repubblicani, al punto da spingerli in piazza a manifestare contro il presidente, manifestazioni duramente represse.
Sbarcato a Civitavecchia, l’esercito francese ha il compito di mediare con gli insorti ma Mazzini e Garibaldi invitano i repubblicani a reagire. Il primo attacco francese viene contenuto, ma un secondo attacco spinge Garibaldi e sua moglie Anita a fuggire, seguiti da 5.000 uomini. Grazie all’intervento francese Roma è di nuovo del papa.
Luigi ha raggiunto il suo scopo ma si è ormai inimicato il governo, che comincia a ostacolarlo in ogni occasione attraverso una serie di leggi repressive (tra le più impopolari ricordiamo perlomeno la legge Falloux del 15 marzo 1850 e la legge elettorale del 31 maggio, che rettifica il suffragio universale e lo rende censitario.
Il Presidente lascia fare ma questo atteggiamento non è che il frutto di una strategia che si dimostrerà vincente.
Argutamente, comincia a propagandare in tutta la Francia, a stringere la mano agli operai, ai contadini, ai borghesi (un po’ come i politici populisti di oggi). In questi incontri tiene a prendere le distanze dalle leggi repressive, precisando che la colpa è tutta del governo. In poco tempo, e grazie a questa mossa, la sua popolarità cresce vertiginosamente. C’è però un problema: secondo la Costituzione il presidente non può essere rieletto per un secondo mandato, e il suo è in scadenza. Ha però tutto il tempo di agire strategicamente, gestendo la situazione dall’interno.
E quale modo migliore se non quello di proporre un’abrogazione della nuova legge elettorale, la stessa legge che egli stesso ha silenziosamente promosso? Un dietro front? Probabile, ma appare ancora più probabile l’ipotesi di una strategia ben studiata, meditata forse già dal principio, già dalla sua carcerazione. Col senno di poi, è lecito pensare che l’intero percorso del Presidente, gli scritti in cui si lodano le azioni dello zio, l’esporsi a favore della classe operaia, la rinuncia al ruolo di parlamentare per “la tranquillità della Francia” sia tutta una mise-en-scène.
Tutte le sue azioni si mostrano giuste e quella giustezza non può che essere ottenuta attraverso una corretta analisi degli eventi e un’intelligenza fuori dalla norma. L’errore che fanno i suoi oppositori è proprio quello di sottovalutarlo e di non comprendere subito quanta astuzia si nasconda dietro quell’uomo volutamente mediocre, sempre moderato e mai fuori luogo. Quello che Thiers ritiene essere «un crétin», o che Hugo dispregiativamente chiama «le Petit», sarebbe di lì a poco diventato il nuovo imperatore dei francesi.
La notte del 2 dicembre 1851, dopo aver fatto arrestare molti oppositori, il Presidente fa affiggere pubblicamente un proclama nel quale dichiara sciolta l’Assemblea nazionale. Invita poi il popolo a scegliere tra lui e l’Assemblea stessa. Viene quindi annunciato un plebiscito in cui si deve ristabilire la durata del mandato presidenziale, estendendolo da quattro a dieci anni. Inutile smuoversi per farlo decadere: l’organizzazione è impeccabile e poi ha dalla sua gran parte del popolo, ormai retrospettivamente prepato a credere che l’Assemblea sia la causa del malessere della Francia.
Il plebiscito del 20 dicembre conferma Napoleone presidente decennale e dà avvio alla creazione di una nuova Costituzione che ricalca quella dell’anno VIII dell’altro Napoleone. Nel mentre, si prepara un nuovo plebiscito: quello del novembre del 1852; qui la Francia diventa impero e il 2 dicembre (anniversario del golpe), Luigi Napoleone Bonaparte assume il titolo di Napoleone III, imperatore dei Francesi.
Napoleone III imperatore dei francesi: un impero ventennale
Karl Marx dedica molta attenzione a Napoleone III e al suo colpo di stato. Analizza il putsch in una serie di articoli intitolati Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Il 18 brumaio, ricordiamolo, è la data in cui il generale Napoleone Bonaparte realizza il suo colpo di stato.
Nei suoi articoli Marx smentisce Hegel e ci dice che i grandi fatti della Storia non possono ripetersi due volte perché se si ripetono la prima volta si palesano come tragedia, la seconda come una farsa. Ma l’impero di Napoleone III durerà comunque venti anni, quindi tanto farsa non fu.
Sicuramente l’intenzione del nuovo imperatore è quella di emulare il suo famoso predecessore, e infatti i riferimenti a suo zio sono molto evidenti: il colpo di stato, i consensi suffragistici unanimi per rafforzare la sua immagine e il suo potere, un forte carisma, una spiccata capacità di parlare alle masse. Il suo unico obiettivo, dagli anni della carboneria e dei moti italiani, è quello di concentrare il potere nelle sue sole mani, senza doverlo spartire con nessuno e la Costituzione del 1852 gli consente di farlo. La Camera è mera comparsa perché può solo discutere le leggi che propone l’imperatore, non può né respingerle né emanarle; è Napoleone III che nomina i senatori, è lui che decide tutto. Controlla perfino la stampa.
Bonapartismo o Cesarismo sono i termini usati da Marx in riferimento alla politica autoritaria del nuovo imperatore, una politica basata sulla mobilitazione delle masse, soprattutto contadine. È la massa la chiave di volta dell’architettura del suo impero, ed è grazie all’appoggio della massa che può resistere così a lungo. Questo Napoleone III lo capisce osservando gli eventi da lontano, osservando le rivoluzioni passate, tutte nate perché i sovrani e i governi non hanno considerato il popolo.
La politica del nuovo imperatore, quindi, alterna fasi di dispotismo a fasi in cui il dispotismo rallenta. Durante le fasi di rallentamento Napoleone III concede l’amnistia agli esiliati politici, attenua la censura, rende le università sempre più laiche. Un occhio di riguardo è concesso soprattutto ai più poveri grazie a una serie di leggi interessanti che aprono la strada al moderno welfare state: il diritto allo sciopero, la fondazione di un Istituto di maternità e di mutuo soccorso, l’abolizione delle galere, la costruzione di case per invalidi civili.
Con Napoleone III la Francia vive quel take off industriale che la fa competere con le grandi potenze europee e che aumenta il tasso di occupazione. Moderni istituti di credito, come il Credit Mobilier, la costruzione di una fitta rete ferroviaria nazionale, la costruzione di maestosi palazzi, di spazi verdi, di strade ampie e non più dissestate. Parigi così come la vediamo oggi è il frutto dell’opera di Napoleone III e del suo Prefetto della Senna, il barone Georges Haussmann, che in tempi record (diciassette anni!) rende la capitale una delle più affascinanti città europee.
La necessità di Bonaparte di dare vita a una genesi di modernizzazione matura durante la sua permanenza in Inghilterra; la bellezza di Londra, le ampie vie, gli spazi verdi e ariosi sono alla base di questa necessità, che accresce ancor di più quando, da imperatore, si rende conto di quanto arretrata sia Parigi non solo rispetto a Londra ma alle numerose città che durante il suo lungo allontanamento dalla Francia ha avuto modo di visitare.
Attraverso i grands travaux Napoleone III vuole sicuramente potenziare la sua popolarità ma non possiamo trascurare altre motivazioni, che sono ben più pragmatiche e che hanno a che fare con le esperienze del 1848 e del 1851. Demolendo gli antichi quartieri medievali, che con le loro viuzze strette e concentrate sembrano essere ad hoc per la strategia delle barricate, e sostituendoli con nuove arterie più spaziose, l’imperatore ha modo di avvantaggiare l’esercito per permettergli di disporsi più massicciamente (magari anche attraverso la cavalleria) e di agire, o reagire, con maggiore enfasi e celerità in caso di rivolte.
La conseguenza più importante di questa trasformazione è che migliaia di operai dovranno trasferirsi nei quartieri periferici perché non hanno la possibilità di fare fronte agli alti affitti del centro. Con questa pur geniale opera urbanistica vengono in breve tempo a crearsi due città in una: una città ricca in cui si percepisce tutto il senso di grandeur, abitata da uomini che non sono nemmeno tutti parigini ma che vedono in Parigi la meta giusta per poter coltivare i propri affari, e una città povera, abitata dai veraci parigini, costretti a emigrare nelle periferie per lasciare spazio ai ricchi.
Ma se con le demolizioni l’imperatore e il suo Prefetto pensano di eliminare i luoghi più rivoluzionari, alla fine finiscono con il crearne di nuovi, molto più pericolosi. Infatti, concentrare gli operai nei quartieri periferici finisce con il favorire la loro totale aggregazione, quindi l’invigorimento di quella identità di classe che è alla base della loro unione e della loro unità, una bomba a orologeria che esploderà proprio il 18 marzo 1871, quando i comunardi, sulla scia di una Francia ormai martoriata dal nemico prussiano, mostrano tutta la loro compattezza e si rovesciano contro una città che non sentono più loro perché fondamentalmente ne sono stati esclusi.
Il crollo del Secondo Impero e la nascita della Repubblica
Se la longevità dell’Secondo Impero fosse dipesa dalla sua politica interna, certamente sarebbe durato ben oltre i famosi vent’anni. Se l’Impero crolla e per l’incapacità del suo imperatore di gestire nel migliore dei modi i rapporti di diplomazia internazionale.
Quella di Napoleone III è una posizione che cambia spesso, molto mobile, ma che gli consente di sedere al tavolo dei grandi congressi e di determinare alcune delle decisioni più importanti prese in questo particolare momento storico. Nel 1856, con la guerra di Crimea, interviene insieme alla Gran Bretagna per difendere l’impero ottomano dalla Russia; nel 1866 interviene in Messico occupando la capitale e spodestando il presidente indio del continente, Benito Juárez, poi reinsediato dopo la fucilazione del suo sostituto, Massimiliano d’Asburgo, fratello dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe; finanzia la costruzione del Canale di Suez inaugurato nel 1869; appoggia l’Italia contro l’Austria, salvo tirarsi indietro con la firma dell’armistizio di Villafranca, l’11 luglio del 1859.
Ma la Francia ha i suoi buoni motivi per tirarsi indietro. L’esercito sta subendo gravi perdite e i prussiani si stanno disponendo lungo i confini francesi perché accusano l’esercito franco-sardo di aver attaccato un paese membro della Confederazione germanica, di cui la Prussia stessa fa parte. Questa ostilità si scatena il 19 luglio del 1870, con la guerra franco-prussiana e si conclude con il definitivo tracollo dell’Impero napoleonico a Sedan.
La guerra scoppia perché il cancelliere tedesco Otto von Bismarck è convinto che sconfiggendo la Francia possa stingere a sé gli Stati tedeschi del sud esercitando così la sua influenza sull’Europa continentale. Ma la guerra è un’occasione vincente anche per Napoleone, che avrebbe così l’opportunità di glorificare il suo impero, ormai agli sgoccioli.
La sconfitta militare e la morte di Napoleone III
Più che una guerra quella si rivela una folgorante parata trionfale dell’esercito di Von Moltke, e dopo appena un mese di duri combattimenti Napoleone III viene annientato a Sedan. Il governo perde l’Alsazia e la Lorena ed è costretta a pagare 5 miliardi di franchi ma in cambio si libera di Napoleone III e proclama la Terza Repubblica.
Fatto prima prigioniero dai prussiani e poi esiliato a Londra, Napoleone III muore a causa di una malattia il 9 gennaio del 1873. Ad oggi la sua tomba la si può visitare recandosi all’abbazia di San Michele, a Farnborough, nel Regno Unito.
Note:
[1] N.L BONAPARTE, Extinction du paupérisme, trad. it. mia, Pagnerre Éditeur, Paris 1844, p.11-12. [2] D. STERN,Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Franco Cardini, Napoleone III, Sellerio editore, Palermo, 2010
- Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, a cura di Michele Prospero, Editori Riuniti, 2016.
- Jacques Rougerie, Paris libre 1871, Seuil, 2004.