CONTENUTO
Perché invadere la Russia?
Nel primo decennio dell’800, il problema più grande per Napoleone è rappresentato dall’Inghilterra, nemica giurata della Francia. Se i francesi hanno il dominio di terra, gli inglesi possiedono il mare e questo, per Napoleone, significa l’inibizione di parte del commercio francese. Per ovviare a questa situazione (e per colpire i suoi avversari), Napoleone comincia a tessere tutta una serie di accordi con gli altri paesi europei, affinché i loro porti evitino di avere contatti con gli inglesi, al fine di fiaccare lo strapotere britannico salvaguardato dalla loro potente flotta, la Royal Navy.
Tra i tanti accordi, vi è quello stipulato con la Russia nel 1807 (il “Trattato di Tilsit”), dove per l’appunto l’imperatore Alessandro I, oltre ad essere diventato alleato di Napoleone, si impegna a chiudere le comunicazioni portuali con l’Inghilterra. Tutto ciò in teoria, perché dal 1810 la Russia rinnova i contatti marittimi con gli inglesi, resasi conto delle mancate opportunità commerciali ed economiche dettate dal non esportare legname (e non solo); la situazione venutasi a creare inizia a non essere gradita da Napoleone, che anzi comincia a notare da parte russa un atteggiamento palesemente nemico e non più da alleato.
Inoltre, tra Napoleone e Alessandro I vi sono altre tensioni di fondo: alla Russia non piace la politica espansionista della Francia e i confini dell’impero francese e dell’impero russo hanno una notevole vicinanza territoriale. Su queste premesse si colloca un altro fatto: già Ivan IV “il terribile” (sovrano di Russia del XVI sec.) definì Mosca come la “terza Roma” e che “mai se ne sarebbe vista una quarta”; idea abbracciata dallo stesso Alessandro I che si ritrova, di contro, a doversela vedere con un Napoleone avente come scopo quello di rendere la Francia una “quarta Roma”, in palese contrasto con l’idea di Russia dello zar.
Si evince da queste affermazioni come lo scontro tra i due imperi non sarebbe stato solo di carattere politico – economico, ma anche ideologico. Tradotto in termini concreti, Alessandro I ha il timore di poter perdere il trono qualora non si svincolasse da Napoleone.
Le intenzioni del sovrano francese sono quindi chiare e già nel 1810 iniziano a concretizzarsi. Tra i personaggi più vicini a Napoleone vi era il Duca di Vicenza Armand Augustin Louis de Caulaincourt che, conoscendo bene i russi (essendo stato ambasciatore a San Pietroburgo), sconsiglia di entrare in guerra contro di loro, immaginando il tipo di scontro a cui andrebbero incontro le truppe napoleoniche: fuga dell’esercito russo al fine di fiaccare l’esercito francese al fine di logorarlo lentamente, data la quasi impossibilità di poter sconfiggere i francesi andandogli incontro.
Una tattica che si sarebbe posta in netto contrasto con quella di Napoleone, che invece cerca la singola battaglia in cui annientare l’esercito russo, essendo Bonaparte sicuro della propria superiorità tattica e numerica. Arrivati al 1812, Napoleone comincia ad ammassare un esercito immenso, circa 600.000 uomini, che alle ore 22.00 circa del 22 giugno[1] attraversa il fiume Neman, aprendo di fatto le ostilità nei confronti di Alessandro I. Napoleone non vuole distruggere la Russia, bensì “costringerla” a rispettare i patti presi in precedenza.
Oltre il confine: dal Neman a Vitebsk
La “Grande Armée”, dopo aver superato il fiume Neman, si ritrova di fronte ad un paesaggio desolato, senza la minima ombra dell’esercito russo. La strategia di Alessandro I è già in atto: evitare lo scontro diretto con i francesi, senza disdegnare, almeno in questa prima fase, di trovare una risoluzione pacifica allo scontro. Cosa che porta Napoleone a credere che i russi siano terrorizzati da lui, e questo comporta il rifiuto di qualsiasi trattativa pacifica da parte francese.
Non essendoci traccia dell’esercito russo, Napoleone continua ad avanzare con parte del suo esercito (altri due distaccamenti avanzano separati dai reparti di dell’imperatore francese) e nel mentre cerca di destabilizzare il territorio nemico con la propaganda: promette ai contadini russi l’eliminazione della schiavitù, essendo loro castigati ad ogni disapprovazione nei confronti della classe elitaria. La tattica non ha successo, poiché il popolo russo, tanto legato alla propria terra, vede in Napoleone un invasore, al pari dei tatari che invasero la Russia seminando distruzione secoli addietro.
La prima importante tappa francese è l’arrivo a Vilnius, dove ancora una volta non vi è la presenza dei soldati russi (escludendo le piccole scaramucce avvenute lungo la strada). Qui Napoleone crea un punto di appoggio in cui organizza ospedali per malati e feriti, centri di raccolta per vettovaglie e centri di posta e comunicazione. Inoltre si uniscono al suo esercito circa 30.000 soldati polacchi, credendo che Napoleone li avrebbe aiutati ad ottenere l’indipendenza dalla Russia (Vilnius fa parte del Regno di Polonia prima di venire assorbita dai russi); una promessa percepita mantenibile dato che viene creato realmente un governo provvisorio autonomo a Vilnius.
A questo punto siamo tra giugno e luglio e i francesi già hanno le prime importanti perdite per via
principalmente dei problemi legati ai rifornimenti, al caldo torrido alternato a piogge torrenziali e per via delle
diserzioni. Le difficoltà accentuano sin dal passaggio del Neman: la pioggia incessante, il caldo, le malattie, la dissenteria, le diserzioni e in più la tattica della “terra bruciata” adottata dai russi, non permette ai francesi un adeguato approvvigionamento di viveri, tant’è che manca persino il foraggio per gli animali, portando questi alla morte con conseguente ridimensionamento dei reparti di cavalleria e artiglieria.
Il 27 luglio Napoleone arriva a Vitebsk (Bielorussia) dove ad attenderlo vi è la tanto ricercata armata russa che occupa l’altopiano in cima alla città. Smanioso di affrontare il nemico, Napoleone si prepara ad attaccare il giorno successivo, ma la mattina di quel giorno si accorge che l’armata russa, capitanata dal feldmaresciallo Barclay, ha lasciato il campo nella notte, ritirandosi ordinatamente. Questo perché Barclay pensava che non avrebbe ricevuto in tempo i rinforzi dell’armata del generale Bagration.
Napoleone sa che i russi sono diretti a Smolensk ma preferisce stabilirsi a Vitebsk per far riposare l’esercito, constatando che dell’immensa Grande Armée sono rimasti “solo” 225.000 soldati circa[2]. Avverrà proprio a Smolensk il primo, importante scontro tra l’esercito di Alessandro I e la Grande Armée di Napoleone.
Le battaglie di Smolensk e di Borodino
A Vitebsk Napoleone ha due opzioni: o aspettare lì per attendere l’anno seguente i rinforzi prima di avanzare, oppure continuare ad inseguire i russi fino a Mosca. La prima opzione sembra di certo quella più ragionevole, ma il problema è che l’esercito, rimanendo inattivo per altri 7 mesi, si sarebbe disgregato:
E’ un’armata d’attacco e non da difesa, un’armata da movimento e non da posizione [la Grande Armée][3]
Così sceglie di avanzare e il 13 agosto parte da Vitebsk alla volta di Smolensk convinto di affrontare l’armata nemica, avendo intuito un possibile ricongiungimento delle armate di Barclay e Bagration. La sua intuizione risulta fondata.
Sono le 6.00 di mattina del 16 agosto e finalmente sta per avere inizio la battaglia di Smolensk. Napoleone decide di effettuare un attacco diretto sulla città da più lati forte di 140.000 soldati, con la sua l’artiglieria posta su un’altura per supportare l’assalto. Dal lato opposto, l’esercito russo conta circa 130.000 soldati, divisi in due aree di difesa: Bagration difende i corsi d’acqua per evitare aggiramenti nemici e tagliare un eventuale avanzata diretta su Mosca, mentre Barclay difende la città.
Dopo una giornata di bombardamenti in cui “la città ricordava l’eruzione del Vesuvio”[4], lo scontro in città avviene il giorno successivo ed è estremamente cruento e selvaggio, ma arrivati al 18 agosto, Smolensk viene abbandonata dall’esercito russo e i francesi occupano vittoriosi la città, con cavalleria e parte della fanteria all’inseguimento dei russi in ritirata verso Mosca.
Barclay è sostituito da Alessandro I con il generale Kutuzov, quest’ultimo divenuto quindi comandante supremo di tutte le forze russe. Esso ha carta bianca su come affrontare Napoleone, ma deve rispettare solo un obbligo: non trattare con il nemico per nessuna ragione.
Napoleone sceglie di lasciare Smolensk il 25 agosto per dirigersi verso Mosca, ma a sbarrargli la strada vi è Kutuzov che lo attende, insieme a Barclay e Bagration, nei pressi del villaggio di Borodino, a 125 km da Mosca. La scelta del campo da parte russa non è casuale, perché Alessandro I vuole preservare l’integrità della sua capitale evitando un assedio e così una seconda Smolensk.
A Borodino i russi costruiscono tre ridotte[5] e il loro esercito, composto da 140.000 uomini, viene schierato su un fronte di circa 10 km. I francesi possono schierare 110.000 uomini, a testimonianza che la grande superiorità numerica avuta da Napoleone fino a quel momento non c’è più. Il 7 settembre la battaglia ha inizio e dopo circa 14 ore di scontri, in cui le ridotte passano da uno schieramento all’altro in continuazione, i francesi dominano il campo. Vengono meno di 28.000 uomini francesi e 45.000 uomini russi.
La battaglia di Borodino è un evento senza vincitori e senza vinti: Kutuzov non pretende di annientare i francesi, ma ha come scopo quello di rallentare e fiaccare l’esercito napoleonico, obiettivo che raggiunge nonostante la sconfitta militare. Napoleone invece conquista la vittoria militare, ma non il suo obiettivo primario: quello di annientare totalmente l’esercito russo. Ma adesso la strada per Mosca è finalmente aperta.
L’arrivo a Mosca: una città in fiamme
La pace è a Mosca. Quando i grandi aristocratici russi vedranno che siamo padroni della loro capitale, ci ripenseranno. Se io dessi la libertà ai contadini, che ne sarebbe delle loro grandi fortune? La battaglia aprirà gli occhi a mon frére Alessandro, e la presa di Mosca aprirà gli occhi al suo senato[6]
Questo è ciò che Napoleone ripete più volte dopo la battaglia di Borodino (o della Moscova per i francesi), facendo intendere la sua sicurezza nel poter far scendere a patti Alessandro I, una volta conquistata la sua capitale storica, Mosca. Mentre i francesi pensano ai feriti nel post battaglia, Kutuzov, in ritirata verso Mosca, manda un bollettino in cui informa lo zar della vittoria. Un’affermazione non del tutto veritiera come abbiamo avuto modo di analizzare poco fa.
Oltretutto i piani sono cambiati: Kutuzov non si trattiene più a Mosca per difenderla, bensì l’abbandona per ritirarsi verso sud, ricompattando così l’esercito in vista di un prossimo scontro. Questa intenzione è appoggiata anche dal governatore di Mosca, Rostopčin, nonostante l’inimicizia che scorre tra i due.
Rostopčin però non si limita ad abbandonare la città, ma incarica la polizia e il personale amministrativo di bruciare Mosca quando Napoleone entrerà, in maniera tale da creargli una “trappola di fuoco” e lasciandogli così il nulla. In più, per enfatizzare il caos, ordina di liberare tutti i malviventi dalle prigioni. L’intenzione di abbandonare Mosca non fa piacere a nessuno, tantomeno ad Alessandro I, ma in quel momento lo scopo non è salvare una città, ma salvaguardare l’integrità dell’impero.
Il 14 settembre Napoleone entra a Mosca, trovandola vuota e disordinata. Si calcola che siano rimasti in città solamente 10.000 – 30.000 moscoviti, quindi più di 200.000 russi lasciano la città [7]. Oltre a questa desolazione, si aggiungono due problemi: il primo consiste negli incendi appiccati che creano non pochi problemi logistici all’esercito francese. Il secondo problema che sopraggiunge è di ordine militare, poiché molti soldati della Grande Armée cominciano a non mantenere più la disciplina, cosa a cui Napoleone tiene molto dato che la reputa fondamentale per mantenere un esercito integro ed efficiente.
Per via della situazione caotica venutasi a creare, c’è una cascata di conseguenze negative, tra cui la rivolta dei contadini nei confronti dei francesi; l’intenzione di incendiare volontariamente Mosca non è resa pubblica da Alessandro I, che fa passare la distruzione della sua capitale come un evento perpetrato da Bonaparte. Questo accentua l’astio del popolo russo nei confronti dell’invasore.
I contadini, appoggiati dai cosacchi, attaccano le vie di comunicazione francesi, organizzano imboscate ai medesimi e non collaborano nell’acquisizione del cibo. La situazione diventa difficile per Napoleone, così cerca di negoziare una pace con Alessandro che però tarda ad arrivare. Così l’imperatore francese comincia a prendere in seria considerazione l’opzione della ritirata.
Una ritirata disastrosa
Fino all’ultimo Napoleone confida in una risoluzione pacifica del conflitto, prendendo addirittura in considerazione il continuare ad avanzare per arrivare fino a San Pietroburgo (dove si trova Alessandro I), ma la situazione è troppo complessa per essere portata avanti, così sceglie di ritirarsi facendo lo stesso tragitto dell’andata.
E’ il 19 ottobre quando Bonaparte abbandona la città per tornare indietro. Partito da Mosca con 110.000 soldati (più svariate migliaia di civili), i problemi non attardano ad arrivare. Il gelo e le difficoltà negli approvvigionamenti cominciano a decimare i francesi, in più l’esercito russo inizia ad inseguirli. Vi sono continue scaramucce tra la retroguardia francese e l’avanguardia russa che destabilizzano il morale dei napoleonici.
Il 9 novembre, la Grande Armée (o ciò che ne rimane) raggiunge Smolensk e qui si rifocilla per proseguire la ritirata già il 14 novembre, ma per farlo deve passare il fiume Beresina. Intanto Kutuzov è determinato a catturare Napoleone per porre fine all’invasione, così si lancia all’inseguimento dei francesi con migliaia di uomini: il generalissimo è al comando di 60.000 soldati, il generale Čičagov può contare su 27.000 uomini e Wittgenstein li segue da nord con 40.000 soldati. I russi sono pronti a creare uno sbarramento sul fiume Beresina.
Il ponte che permette ai francesi il passaggio del fiume si trova nei pressi del villaggio di Borisov, ma Kutuzov lo fa distruggere. Consapevole di ciò, Napoleone decide di far ricostruire il ponte ma, in contemporanea, cerca di individuare altri punti di guado in maniera tale da poter attraversare il fiume. Questi vengono individuati nei pressi del villaggio di Studienka e così viene avviata la costruzione di ben due ponti.
La tattica di Napoleone è quella di far credere a Kutuzov di voler attraversare il ponte principale (Borisov) distrutto precedentemente, in maniera tale da distogliere la sua attenzione dagli altri due ponti appena costruiti (Studienka) e dal quale il grosso dell’armata sarebbe passata per aggirare i russi. La strategia di Bonaparte ha successo, anche se i ritardatari vengono lasciati indietro poiché al passaggio dell’armata napoleonica, i ponti sono distrutti per evitare un ulteriore inseguimento da parte dei russi. Nonostante il successo della ritirata, quella della Beresina è una delle più disastrose battaglie dell’epoca contemporanea.
Solo dopo questa battaglia, Napoleone viene a conoscenza del fatto che a Parigi il generale Malet ha tentato un colpo di Stato per rovesciarlo, diffondendo la notizia della sua morte. E’ il 5 dicembre quando Napoleone decide di lasciare parte dell’esercito per velocizzare il suo ritorno a Parigi ed evitare così di essere spodestato. Il problema è poi risolto con la fucilazione del traditore.
I pochi superstiti dell’esercito napoleonico sono diretti a Vilnius, ma il loro arrivo in città (8 dicembre) è il giorno in cui ci si rende tristemente conto che oramai non esiste più nessuna Grande Armée. Il disfacimento si è compiuto. La città viene messa a soqquadro da truppe affamate e disperate e alla fine, tirando le somme, dei 600.000 uomini partiti, ne tornano in Francia solo 10.000[8].
Perché il fallimento della campagna?
Nell’immaginario collettivo, il principale motivo del fallimento della campagna di Russia è il freddo. Ciò è vero, ma solo in parte, poiché non sono solamente le rigide condizioni climatiche a sconfiggere la Grande Armée. Di certo, una volta arrivato l’inverno, il grosso nemico dell’esercito diventa il freddo. Per esempio, durante la ritirata da Mosca non si bada molto ad occuparsi del vestiario adatto ad affrontare il gelo e questa negligenza costa cara. Basti pensare che poco prima di arrivare a Vilnius (nel mese di dicembre), muoiono per le bassissime temperature (-40 gradi circa) ben 20.000 uomini in pochissimo tempo.
All’estremo opposto si colloca il caldo torrido del viaggio di andata. Sin dal passaggio del fiume Neman, l’esercito francese deve fare i conti con le alte temperature. Un nemico che, al pari del gelo, porta alla capitolazione per sfinimento vari soldati. Non bisogna infatti scordare che l’esercito non è composto solo da francesi, ma anche da italiani, spagnoli ecc. che sono in marcia già da molto prima del 23 – 24 giugno (passaggio del Neman) e che quindi non sono nel pieno della loro forma.
Altro fenomeno un po’ lasciato in disparte è quello delle diserzioni. Questo grande esercito è formato prevalentemente da giovani soldati poco abituati alle fatiche della guerra e che spesso non esitano a lasciare il proprio posto per ritornare nei loro paesi d’origine. Oltretutto, a seguito delle analisi effettuate sugli scheletri dei giovani soldati, sono state confermate le tutt’altro che rare “fratture del coscritto”: fratture spontanee delle ossa dei piedi determinate dai centinaia di chilometri percorsi. In più, questi ragazzi di neanche 20 anni devono trasportare grossi pesi in continuazione, rendendoli zoppi per la deformazione degli arti inferiori non ancora completi per via dell’età.
A questo riguardo, il dottor Larrey (responsabile dei servizi medici dell’esercito) dirà con cognizione di causa:
E’ pericoloso sottoporre ragazzi tanto giovani alle fatiche e alle vicissitudini della guerra[9]
Oltre a questo genere di inconvenienti, sopraggiungono altri problemi, destinati ad intensificarsi sempre più: la dissenteria, il tifo, la “febbre da trincea” o “febbre quintana” (poiché caratterizzata dal provocare una febbre molto alta di durata compresa tra i 5 e i 6 giorni)[10], il malassorbimento nutrizionale (dettato molto dalle condizioni climatiche avverse), il problema degli approvvigionamenti, la tattica della “terra bruciata” applicata dai russi e la mancanza di una cartografia adatta ad impostare qualsiasi piano di movimento (la cartografia del territorio russo è approssimativa e poco precisa)[11].
Escludendo le tre importanti battaglie che vedono coinvolto l’esercito francese, il grosso problema del continuo dissanguamento della Grande Armée sono anche i piccoli ma continui scontri. All’andata, l’avanguardia francese si scontra spesso con la retroguardia russa. Al ritorno, è l’avanguardia russa a scontrarsi con la retroguardia francese. Particolarmente insidiose sono le truppe cosacche che combattono per i russi. Dalle testimonianze si apprende come questi reparti di cavalleria leggera siano particolarmente avvezzi al tendere imboscate, sono pochi ma micidiali, letali e soprattutto rapidi nelle azioni di attacco. Cavalieri talmente abili che lo stesso Napoleone dirà di loro:
Non riuscirei ad immaginarmi un cosacco senza cavallo. Sono talmente abituati a cavalcare che penso si siano scordati come si cammina.
Tutti questi elementi contribuiscono a distruggere l’esercito di Napoleone, ricordandogli di quanto sia difficile, se non impossibile, invadere una terra tanto ostile quanto quella della Russia.
[1] A. ZAMOYSKI 2013, Marcia Fatale. 1812. Napoleone in Russia, UTET, pp. 130-133. I numeri della “Grande Armata” sono discordanti analizzando le varie fonti. Per approfondire questo aspetto, vedasi tale saggio. [2] A. MUHLSTEIN 2007, Napoleone a Mosca, Bruno Mondadori, pp. 15-36 [3] Ibidem, p. 42 [4] Moltissime sono le testimonianze che paragonano la città all’eruzione del Vesuvio. Lo stesso Napoleone scrive ciò nel suo rapporto successivo alla battaglia. [5] Particolare fortificazione che prevede una trincea scavata frontalmente, un’area rialzata su cui si posiziona l’artiglieria e una linea retrostante in cui vi è la fanteria. [6] R. RIEHN, 1812: Napoleon’s Russian Campaign, McGraw Hill, 1990, pp. 254-254. (Dalle memorie di Caulaincourt, t.I, p. 433). [7] A. MUHLSTEIN, Napoleone a Mosca, Bruno Mondadori, 2007, pp. 101-113 [8] In generale le fonti, quando si tratta di numeri, sono spesso discordanti tra di loro, quindi nell’articolo si riporta una media degli effettivi appartenenti ai vari eserciti. [9] J. MARCHIONI, Place à Monsieur Larrey, chirurgien de la Garde impériale, Acted Sud, 2003, p. 275 [10] Febbre delle trincee – Malattie infettive – Manuali MSD Edizione Professionisti (msdmanuals.com) [11] A. MUHLSTEIN, Napoleone a Mosca, Bruno Mondadori, 2007, pp. 3-14I libri consigliati da Fatti per la Storia
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- Adam Zamoyski, Marcia Fatale. 1812. Napoleone in Russia, UTET, 2021
- Anka Muhlstein, Napoleone a Mosca, Bruno Mondadori, 2008
- Evgenij Viktorovic Tarle, 1812: la campagna di Napoleone in Russia, Res Gestae, 2012
- R. Riehn, 1812: Napoleon’s Russian Campaign, McGraw Hill, 1990
- J. Marchioni, Place à Monsieur Larrey, chirurgien de la Garde impériale, Acted Sud 2006