CONTENUTO
1945-1948: finita una guerra se ne prepara un’altra?
La posta in gioco, nell’immediato dopoguerra, è il futuro assetto dell’Europa e dei paesi liberati, rispettivamente, dall’Armata Rossa e dalle forze angloamericane e i loro alleati, in primis i vari movimenti partigiani. Iosif Stalin, coerentemente con la sua impostazione politica marxista-leninista, vede la contrapposizione tra i due blocchi capitalista e socialista e un futuro conflitto tra essi come inevitabili, ma è abbastanza pragmatico da adattare la tattica al contesto in cui si trova, così come ha fatto, in maniera spregiudicata, firmando il patto di non-aggressione con la Germania dopo il fallimento dei negoziati con le potenze democratiche(1).
Nel gennaio del 1947 De Gasperi torna in Italia con un forte prestito da parte degli USA. Il 5 giugno viene annunciato il piano Marshall, rifiutato il 2 luglio dall’URSS (inizialmente non ostile) (2). Nel marzo del 1947 viene enunciata la cosiddetta “dottrina Truman”, fondata sul contenimento dell’espansione di quello che viene definito espansionismo sovietico. Nel maggio, in Italia, si consuma l’allontanamento delle sinistre dal governo.
Le celeberrime elezioni del 18 aprile del 1948, nelle quali è ormai noto l’intervento statunitense a sostegno della Democrazia Cristiana e in funzione anticomunista, vedono lo scudo crociato ottenere la maggioranza assoluta. L’Italia si colloca fermamente nel campo atlantico. Come è possibile che, in questo contesto, un movimento che nascerà evidentemente vicino alle posizioni dell’URSS raggiungerà consensi e partecipazione anche oltre il “naturale” bacino elettorale delle sinistre?
Stalin, temendo una rinascita del militarismo tedesco, nuovamente indirizzato verso oriente, vuole una Germania unita, neutrale e demilitarizzata, trovando la netta opposizione delle potenze occidentali. L’introduzione di una nuova valuta e la proclamazione della Repubblica Federale Tedesca (RFT) sotto l’egida statunitense nelle ex zone di occupazione occidentali porta i sovietici ad attuare il blocco di Berlino, che durerà fino al maggio del 1949. A questo atto di forza fa seguito la proclamazione della Repubblica Democratica Tedesca (RDT). Nel frattempo, i paesi sotto l’influenza sovietica aderiscono al COMECON, patto di mutua assistenza economica che risponde al piano Marshall.
A metà dello stesso anno, viene ratificato il Patto Atlantico che darà vita alla NATO come alleanza politico-militare ad egemonia statunitense. Il corrispettivo sovietico, il Patto di Varsavia, nascerà solo sei anni dopo, in risposta all’ingresso della RFT nella NATO. Non stupisce, quindi, che nei sondaggi dell’epoca una parte non irrilevante degli italiani attribuisse agli USA o ad entrambe le superpotenze la responsabilità principale nell’aumento delle tensioni internazionali (3).
Come si lotta per la pace? Da Stalin al prete “scomodo”
Come dirà Palmiro Togliatti a proposito della campagna contro la bomba atomica, la mobilitazione dei Partigiani della Pace “non è soltanto pacifista e umanitaria, ma antimperialista e antiamericana, né bisogna questo carattere farlo scomparire”(4). Questo carattere è abbastanza evidente che il filosofo Norberto Bobbio noterà polemicamente, nel 1952, come “i Partigiani della Pace affermassero di volere la pace tra due contendenti “dichiarando sin dall’inizio […] che uno dei due ha ragione e l’altro torto[…]”. (5)
I Partigiani della Pace nascono, come vedremo, su impulso sovietico. In Italia i principali promotori saranno il PCI e, in misura minore, il PSI. Per i comunisti, la “lotta per la pace”, superate alcune resistenze interne dalla “vecchia guardia” del partito, diventa la direttiva centrale della propria linea politica, alla quale vengono legate le lotte economiche degli operai e degli impiegati, le lotte dei contadini, la difesa dell’occupazione, la lotta al riarmo, la difesa delle libertà democratiche e la necessità di dare applicazione ai più avanzati principi costituzionali. In particolare, le iniziative per la pace vengono viste come utili ad avvicinare nuovi strati sociali: i ceti medi (professionisti, impiegati…), le donne (da poco diventate anche formalmente un soggetto politico con il diritto di voto) e specialmente le casalinghe, la gioventù (importante perchè soggetta alla leva militare).
Uno degli obiettivi dei Partigiani della Pace è di diventare un movimento che, sebbene egemonizzato dalle forze comuniste e, in misura minore, dai socialisti, sia capace di avere una vita propria, stabilire contatti e penetrare in ambienti politici e sociali tendenzialmente ostili ai partiti di sinistra e all’Unione Sovietica. Il movimento produce la propria stampa: centinaia di opuscoli e bollettini, spesso dalla vita breve, fioriscono in tutta italia. Schemi di conversazione per gli attivisti, una iconografia comune, parole d’ordine utilizzate da Milano alla Sicilia contribuiscono a dare ai Partigiani della Pace una fisionomia riconoscibile.
La propaganda insiste sull’importanza dell’indipendenza nazionale in chiave anti-statunitense, anti-tedesca e anti-europea, per quanto riguarda i progetti di integrazione economica e militare, letti sempre in chiave filo-atlantica. Nei discorsi, manifesti e volantini delle sinistre, dei sindacati, dei comitati della pace, l’Unione Sovietica e i paesi del nascente blocco orientale (“a democrazia progressiva” o popolare) sono alla testa delle forze mondiali che lottano per la pace, contro l’aggressività delle potenze capitaliste, in primis gli USA.
Secondo la stampa social-comunista, il governo democristiano e clerico-fascista, asservito allo straniero, porta avanti una politica di divisione e di odio, fortemente antipopolare e che punta a mantenere i privilegi di pochi. Non sfugge alla feroce critica anche la cultura pop statunitense, considerata portatrice di valori corruttori, dal cinema ai fumetti e alle riviste, da Topolino a Grand Hotel (6). Al contrario, viene difesa la cultura “nazionale e popolare”, rappresentata da film “democratici”, da capolavori come Ladri di biciclette (1948) (7) e registi come Giuseppe de Santis, iscritto al PCI, noto soprattutto per Riso amaro (8).
Alle donne, organizzate nel PCI, nelle sezioni dell’Unione Donne Italiane (UDI) o nei comitati della pace, viene affidato un ampio intervento nei quartieri popolari e nelle borgate, dove si teme particolarmente la propaganda delle parrocchie. Il ruolo delle militanti e attiviste per la pace non è esente da contraddizioni. Se per molte è indubbiamente una delle prime (dopo la Resistenza), se non la prima esperienza di partecipazione politica, che coinvolge talvolta anche donne di tendenza democristiana o poco politicizzate, dall’altro lato le dirigenti femminili del movimento, come Ada Alessandrini, importante dirigente dell’UDI, non sono sempre tenute nella dovute considerazione dai dirigenti uomini (9).
La retorica propagandistica legata a queste iniziative va comunque contestualizzata nella società del dopoguerra, ancora fortemente patriarcale e agricola, che vede forti differenze sociali ed economiche tra diverse zone del paese, tra diversi quartieri delle città e negli stessi territori. Non stupisce, quindi, che gran parte della propaganda si rivolga alle donne come “madri, sorelle, spose, lavoratrici” (10), viste come “naturalmente” amiche della pace. Alle donne spetta, così, difendere la loro famiglia dal punto delle condizioni di vita e, naturalmente, dai pericoli di una nuova guerra. (11)
Anche i giovani e le giovani hanno un ruolo importante nella lotta per la pace. La Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI), a cui si accompagna l’organizzazione giovanile socialista, rinasce nel 1949: oltre al lavoro tra i giovani proletari, la lotta per l’indipendenza nazionale, la pace e la libertà è la direttiva centrale del suo intervento politico (12). A ogni comitato della pace, invece, si deve associare una “giunta giovanile”, con lo scopo di avvicinare giovani di ogni corrente politica in un movimento “patriottico” che faccia della lotta contro lo straniero, ieri tedesco, oggi americano, la sua bandiera.
Questi giovani hanno il compito di avvicinare i loro coetanei nelle associazioni cattoliche e perfino quelli del MSI, considerati sensibili ad alcuni di questi temi, a cui far comprendere i loro errori politici. La lotta contro il pericolo di nuove guerre unisce anche i futuri soldati di leva ai reduci delle guerre precedenti e le loro associazioni, anch’esse importanti nella strategia del PCI e dei Partigiani della Pace. In occasione delle grandi campagne per la pace, i giovani militanti e attivisti compiono uscite in massa di ciclisti, distribuiscono la stampa, organizzano comizi volanti, lanciano palloncini e volantini nei cinema.
Il Movimento non punta solo ai giovani cattolici. Nell’Italia di Don Camillo e Peppone, c’è anche Roma città aperta, nel quale un prete e un comunista vengono fucilati insieme. Con uno spirito simile, i Partigiani della Pace cercano contatti con movimenti, associazioni, singoli esponenti del clero che possano percorrere un pezzo di strada insieme a loro, sulla base della comune volontà di pace e dal rifiuto di iniziative politiche e alleanze militari percepite come aggressive.
A questo appello risponde, tra gli altri, Andrea Gaggero, una figura degna di una serie Netflix. Prete genovese di origine operaia, vive arresti e deportazione da parte dei tedeschi e conosce così diversi esponenti comunisti, ai quali si avvicina nel dopoguerra, per poi partecipare da protagonista alle attività dei Partigiani della Pace. Per questo suo attivismo “scomodo” si attirerà le ire delle gerarchie vaticane, fino a perdere la tonaca da prete, indossando finalmente il “vestìo da omo”.
Nessun terreno di lotta viene tralasciato: anche le associazioni legate al PCI e, in parte minore, al PSI vengono mobilitate per la battaglia in difesa della pace. Queste reti associative portano avanti iniziative in ogni ambito della società, dagli eventi culturali e aggregativi (ARCI), alle iniziative sportive (UISP), da quelle improntate all’antifascismo (ANPI) a quelle delle donne (la già citata UDI) e dei contadini (ANC), fino all’Associazione per l’Amicizia Italia-URSS. Dopo il ventennio fascista, la rinascita di questo tessuto sociale organizzato fornisce un importante spazio di socializzazione politica, di avvicinamento nei confronti di intellettuali e personalità più o meno lontane dalle sinistre, ma è anche un modo per combattere l’associazionismo delle parrocchie sul loro stesso terreno. Del resto, il celebre slogan di Pietro Secchia è “Una sezione per ogni campanile”.
1949: “Noi imponiamo la pace”. Il congresso di Parigi, la petizione contro la NATO e i “cinque punti”
La risposta sovietica a quella che Mosca percepisce come aggressività del mondo occidentale (e capitalistico) è quella di postulare la necessità di organizzare un movimento “per la pace” che riesca coinvolgere le più ampie masse possibili. Lo scopo è ostacolare, così, il processo di integrazione politico-militare guidato dagli USA e la repressione dei partiti comunisti occidentali, nella convinzione che si possa così ritardare un nuovo conflitto per la quale l’URSS non è pronta e che potrebbe, del resto, avere conseguenze devastanti per l’umanità. Fino a metà del 1949, infatti, gli USA sono l’unica potenza ad avere la bomba atomica.
Se questo è lo scenario europeo, la situazione italiana non è meno tesa ed incandescente: l’irrigidimento dei blocchi internazionali si riflette nell’irrigidimento della situazione politica, economica e sociale del Paese. L’Italia sta cercando di lasciarsi alle spalle le rovine della guerra, ben descritte dal cinema neorealista, ma la sua voglia di rinascita economica, civile e democratica muore, simbolicamente, sotto i proiettili della strage di Portella della Ginestra, il 1 maggio 1947.
L’anno seguente, il 14 luglio, uno studente siciliano spara diversi colpi di pistola al segretario comunista Palmiro Togliatti, attentato che provocherà uno sciopero generale e scontri in tutto il paese. Il PCI accusa il governo di fomentare un clima da guerra civile. Molti ex partigiani di sinistra vengono epurati da polizia, esercito, apparati dello Stato, subiscono licenziamenti nelle fabbriche, vengono perseguitati da apparati giudiziari in forte continuità con il periodo fascista. Il PCI collega la “democrazia bloccata” alla volontà di preparare il paese a una nuova guerra, stavolta contro il paese del socialismo e i paesi a “democrazia progressiva”.
Tra il 1947 e il 1948, diverse inchieste testimoniano come gli italiani siano, al pari degli statunitensi, i più pessimisti sui rischi di una nuova guerra entro 10 o 15 anni. Dal 25 al 28 agosto del 1948, nella città polacca di Wroclaw, si svolge il Congresso Internazionale degli Intellettuali per la Pace. Se da una parte l’iniziativa vede il ruolo egemone e il supporto organizzativo dell’URSS, ciò non vuol dire che non esista una sensibilità ai temi della pace, dell’amicizia tra i popoli, dell’uso pacifico dell’energia atomica. Il Congresso si apre con un messaggio di Albert Einstein e centinaia sono i nomi di scienziati, letterati, artisti che si incontrano a Wroclaw, provenienti da 45 paesi.
Molti di questi accompagneranno il percorso dei Partigiani della Pace. Alcuni tra i più importanti: il fisico Joliot-Curie, Pablo Picasso (che disegnerà la famosa colomba della pace), il filosofo György Lukács, lo scrittore Ilya Ehrenburg. La delegazione italiana non è da meno: Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Renato Guttuso, Carlo Levi, Natalia Ginzburg, Giulio Einaudi, solo per citarne alcuni. Molti di questi nomi accompagneranno per anni la storia del movimento.
Nell’aprile del 1949 si tiene a Parigi il Congresso fondativo dei Partigiani della Pace. In preparazione di questo importante evento, il PCI promuove una prima, grande azione propagandistica e organizzativa: si tengono assemblee nei quartieri, nelle strade, nei caseggiati. Le direttive affermano l’importanza di far eleggere dei delegati e di dar vita a organismi di massa, i comitati della pace, capaci di avere una vita propria e che includano anche esponenti di correnti politiche diverse, come indipendenti di sinistra, repubblicani e cristiani progressisti.
La delegazione italiana a Parigi è guidata da Pietro Nenni: il leader socialista è, in questi anni, fautore dell’unità d’azione con il PCI e sostenitore dell’Unione Sovietica, linea che provoca attriti e dibattito nel suo partito. In virtù di ciò e anche della sua capacità oratoria, Nenni viene scelto come presidente dei Partigiani della Pace italiani: a lui saranno affidati gli interventi più importanti nei congressi internazionali. Il comunista Emilio Sereni ha invece il ruolo di segretario del Movimento.
Il Congresso di Parigi vede una straordinaria partecipazione, circa 2000 delegati da oltre 70 paesi, provenienti da correnti politiche e anche religiose diverse. Si svolge simultaneamente anche a Praga, per via del rifiuto delle autorità francesi di consentire l’accesso ai delegati di alcuni paesi dell’Europa orientale e dell’Asia.
Il manifesto invita alla lotta contro il militarismo, il colonialismo, le spese militari, per l’autodeterminazione e l’amicizia tra i popoli. La differenza principale tra questo nuovo movimento e le precedenti esperienze pacifiste è il suo carattere militante e battagliero, di massa e non elitario: “Noi non domandiamo la pace, noi imponiamo la pace”. Il nome stesso richiama all’esperienza della Resistenza antifascista europea, rielaborata in chiave antimperialista e antiamericana. Picasso (iscritto al Partito Comunista Francese) disegna, per l’occasione, la sua celebre colomba della pace, che ancora oggi rappresenta, spesso rivisitata in chiave religiosa, uno dei simboli universali della pace.
Quasi contemporaneamente, agli inizi di maggio, viene lanciata una petizione contro l’adesione dell’Italia alla NATO, che raccoglie più di sei milioni di firme, nonostante misure repressive da parte delle questure di tutta Italia. Il PCI punta a migliorare questo risultato e a raccogliere nel “fronte della pace” numeri superiori agli elettori del Fronte Democratico Popolare nel 1948. Alla fine del 1949, il nostro paese ospita una riunione a Roma (28) del comitato mondiale dei Partigiani della Pace, che decide di lanciare una campagna nell’anno seguente.
1950: “La bomba atomica non chiederà la tessera”. L’appello di Stoccolma, il Congresso di Varsavia e la guerra in Korea
Il 1950 vedrà il culmine di queste mobilitazioni, in Italia e a livello globale. Già nei primi mesi viene lanciata la raccolta firme sui “Cinque punti”, ovvero impegni di pace che avrebbero dovuto trovare d’accordo chiunque, anche chi pensava che la guerra fosse inevitabile o che la pace l’avrebbero portata “Dio o Truman”. I cinque punti sono:
- Cessazione della corsa agli armamenti e “riduzione dei bilanci di guerra e degli effettivi militari;
- Proibizione delle armi atomiche;
- Cessazione delle guerre coloniali in corso (in Indonesia, Malesia , Vietnam ..) e avvio di negoziati diretti ed immediati;
- Cessazione della repressione contro i partigiani della pace;
- Firma, nel quadro dell’ONU, di un patto di pace tra le grandi potenze.
Questo appello viene promosso con grande impegno dalle sinistre, attraverso raccolte firme strada per strada, riunioni di caseggiato, iniziative di propaganda nei quartieri popolari come la “befana della pace”, spesso portate avanti dalle militanti e che non di rado coinvolgono anche donne non politicizzate o vicine alla DC. La campagna viene promossa anche in moltissimi consigli comunali e durante iniziative rivolte agli intellettuali. Anche la classe operaia si schiera per la pace e in modo ancora più diretto: in tutta Europa vengono organizzate proteste contro lo sbarco delle armi statunitensi. Anche in Italia si apre questo fronte di lotta, con risultati alterni, come dimostrano i casi di Livorno e Napoli.
Il ritmo delle campagne internazionali non accenna a diminuire, anzi. Già a marzo si riunisce a Stoccolma il neo-costituito Consiglio Mondiale della Pace (tuttora esistente) e lancia un nuovo appello mondiale, per molti versi il più ambizioso e sicuramente quello più noto: mettere al bando la bomba atomica. L’appello di Stoccolma è pensato per mettere d’accordo davvero tutti, dai comunisti ai monarchici:
“Noi esigiamo l’assoluto divieto dell’arma atomica, arma di intimidazione e di sterminio in massa delle popolazioni. Noi esigiamo la realizzazione di un rigoroso controllo internazionale per assicurare l’applicazione di questa decisione. Noi consideriamo che il governo il quale, per primo, utilizzerà contro qualsiasi paese l’arma atomica, commetterà un crimine contro l’umanità e dovrà esser considerato come criminale di guerra. Noi chiamiamo tutti gli uomini di buona volontà di tutto il mondo a sottoscrivere questo appello”.
La mobilitazione è ancora una volta imponente: si raccolgono le firme nei comitati della pace, nelle aziende, casa per casa. La stampa comunista dedica ampio spazio a competizioni tra sezioni e ai raccoglitori e raccoglitrici più abili. Una pubblicazione destinata ai militanti della federazione romana celebra una compagna di Trastevere, madre di 22 figli, che avrebbe raccolto da sola 1800 firme. L’appello viene discusso in molti consigli comunali e mozioni a favore vengono votate anche, in alcuni casi, da consiglieri democristiani o di altri partiti non di sinistra.
Se l’impostazione politica di Togliatti predilige le alleanze politiche e sociali, quella di Secchia, responsabile organizzazione del PCI, esalta il lavoro militante e punta a costruire una sempre più efficiente e capillare macchina di propaganda. I toni della propaganda comunista sono apocalittici: è in gioco, affermano, la salvezza dell’umanità. Sereni, durante un comizio, è molto chiaro: bisogna far firmare tutti perché “la bomba non chiede la tessera [di partito]”.
Del resto, questa paura sembra almeno in parte giustificata dagli eventi mondiali. Nel giugno del 1950 scoppia la guerra di Korea. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU vota una risoluzione che condanna la Korea del Nord come “stato aggressore”, nonostante manchi alla votazione il delegato sovietico, assente per protesta contro il mancato riconoscimento della Cina popolare.
I Partigiani della Pace denunciano l’intervento della coalizione multinazionale a guida statunitense come una rinnovata aggressione imperialista contro il popolo koreano, in lotta per la riunificazione del Paese e l’indipendenza nazionale dopo la spartizione post-1945. L’Unione Sovietica ha testato la propria bomba atomica nel 1949; tuttavia i comunisti affermano che, essendo una potenza di pace, non la userebbe mai.
Verso la fine del 1950, l’intervento delle truppe cinesi spingerà il generale MacArthur a sostenere la possibilità dell’uso dell’arma atomica contro la Cina e di puntare a liberare tutta la penisola koreana dalla presenza comunista. Questa eventualità non si realizzerà e MacArthur sarà destituito dal presidente Truman l’anno seguente. Intanto, in Italia l’appello di Stoccolma raggiunge il più grande successo di questi anni: 16 milioni di persone, circa un terzo degli italiani, firma per proibire la bomba atomica. I dati ufficiali sono ancora più strabilianti e parlano di 519 milioni di firme raccolte nel mondo. Se è lecito prendere questi numeri con delle cautele, specialmente per quanto riguarda la raccolta nei paesi socialisti, dai quali proviene la maggioranza delle firme, è indubbiamente il primo e, per certi versi, unico plebiscito mondiale di questo tipo.
L’attività dei Partigiani della Pace non lascia indifferenti i governi europei. Il secondo Congresso mondiale del movimento, considerato una quinta colonna comunista, non può svolgersi in Italia e anche il governo laburista inglese nega il visto a molti delegati “indesiderati”. L’evento si svolge quindi a Varsavia, preparato nuovamente, in Italia, da un gran numero di assemblee e iniziative, rivolte a tutti i gruppi sociali, in tutti i quartieri delle città, nei paesi, nelle aziende, nelle quali si discute del pericolo della guerra atomica.
Il II Congresso pubblica due documenti fondamentali, rivolti uno all’ONU e l’altra “ai popoli”, portando proposte legate alla propaganda di guerra, alla definizione di “aggressore” e soprattutto alla distensione internazionale. L’assemblea condanna inoltre la repressione subita dai Partigiani della Pace in molti paesi, dalle Americhe all’Africa passando per l’Europa occidentale.
Vedremo nella seconda parte l’apice del movimento per la pace e l’inizio del declino della partecipazione di massa, l’armistizio in Korea, l’inizio della distensione e l’eredità storica dei Partigiani della Pace.
Note:
1 – Elena Aga Rossi, 2007, p. 36-38.
2 – Vittoria Albertini, Storia del PCI, 2006, pp. 201-205.
3 – Furet, Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, p. 453 citato in Guiso, 2006, p. 296.
4 – IFG, APCI, 1950, direzione, riunione del 24-25 maggio, mf.190.
5 – Norberto Bobbio, Pace e propaganda di pace (1952), ora in Id., Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1955, pp. 72-83.
6 – Il Partito, 1/8/49.
7 – Il Partito, numero del 29/11/48.
8 – Il Partito, numero straordinario per il IV Congresso della fed. romana, FIG, APCI, Regioni e province (Roma 1951), mf.339.
9 – cfr Sondra Cerrai, (2011), cap. 5, “Le donne”, pp.113-134.
10 – Il Partito,bollettino della federazione romana del PCI, numero del 28/2/49.
11 – Vedi nota 12.
12 – Si veda ad es. la relazione di G. Modesti al C.F. della FGCI romana del 3/11/1950, FIG, APCI, FGCI (1950), mf.327, pp. 3048-3062.
13 – Cfr Guiso, 2006, cap. 2, par.8, pp.381-402.
14 – Cfr Sondra Cerrai (2011), Cap. 6, “I giovani”, pp.135-152.
15 – Verbale del C.E. della fed. romana del 23/6/51, FIG, APCI, Regioni e province (Roma 1951), mf.338, pp. 464-485.
16 – Cfr ib. Cap. 3, “I cattolici: strategie di infiltrazione, pp.68-89
17 – Ib. Cap 7, “Le associazioni fiancheggiatrici”, pp.153-173.
18 – Intervento di Secchia al V Congresso del PCI, citato in F. Dubla, DA GRAMSCI A SECCHIA- Il primato dell’organizzazione nella costruzione del PCI del dopoguerra (1945-51), Quaderni del Centro Studi “Pietro Secchia”, 2001.
19 – Andrea Guiso, La colomba e la spada, pp. 36-37.
20 – Cfr Davide Conti, Gli uomini di Mussolini, Einaudi, 2017.
21 – CFR. G. Gasparetti, Che cosa pensano gli uomini della possibilità di una guerra, in “Vita e pensiero”, novembre 1947, pp. 675-677; P. Luzzatto Fegiz, Il volto sconosciuto dell’Italia, vol. 1, Giuffrè. Milano 1956, pp. 676.677, citati in Marco de Nicolò, Emilio Sereni, la guerra fredda e la “pace partigiana”, Carocci editore, 2019.
22 – Sondra Cerrai, I partigiani della Pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico, Libreriauniversitaria edizioni, 2011.
23 – Dalla relazione di Aldo Natoli nel verbale della riunione della segreteria della fed. romana del 9/2/1948, FIG, APCI, Regioni e province (Roma 1948), mf. 184 p. 883.
24 – Sondra Cerrai, (2001), p.51.
25 – https://www.resistenze.org/sito/os/lp/oslpii10-020607.htm
26 – Il Partito, numero del 31/10/49, FIG, APCI. Si tratta di uno slogan dei Partigiani della Pace sovietici.
27 – Cfr Andrea Guiso, La colomba e la spada, Rubbettino Editore, 2006, cap. 2 “La nuova resistenza”, pp.39-74.
28 – https://www.youtube.com/watch?v=WuTy3Gk1rPM, dal canale youtube dell’Archivio Luce.
29 – Il Partito, numero del 13/2/50.
30 – Ruggero, “I partigiani della pace”, Vangelista, Milano, 1984.
31 – Il Partito, numero del 6/2/50
32 – il Partito, numero del 13/2/50
33 – Il Partito, numero del 23/1/50
34 – A. Guiso, 2006, pp. 230-251
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- Sondra Cerrai, I partigiani della Pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico, Libreriauniversitaria edizioni, 2011.
- Laura Tussi, I partigiani della pace, EMI, 2024.