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La trama di Morto Stalin se ne fa un altro
Il film del 2017, scritto e diretto da Armando Iannucci, si presenta sin da subito come una commedia ironica e di satira politica su Iosif Stalin, la sua politica e le gerarchie del suo governo.
La pellicola si apre la sera del 28 febbraio del 1953 in una sala da concerto in cui una giovane pianista che successivamente si scoprirà aver perso famiglia e amici proprio per colpa di Stalin, suona il concerto di Mozart n. 23. Una telefonata di Stalin giunge nel gabbiotto di Radio Mosca che sta trasmettendo in diretta il concerto mozartiano e viene ricevuta dal direttore impaurito e dai modi maldestri che, davanti alla richiesta di Stalin di avere una registrazione del suddetto concerto, si trova spiazzato perché l’esecuzione non è stata registrata.
Temendo quindi il peggio blocca il pubblico che si accingeva a lasciare il teatro e fa rieseguire interamente tutto il concerto per poterlo così registrare. Intanto Stalin nella sua dacia sta rivedendo con Lavrentiy Beria (capo dei servizi segreti sovietici), la lista nera dei dissidenti al Regime che quest’ultimo consegna successivamente all’esercito il quale si mette subito all’opera prelevando dalle proprie abitazioni e fucilando tutti quelli segnati.
Appena fuori dalla sala in cui si trovano Stalin e Beria, Nikita Khrushchev (primo segretario del comitato centrale sovietico), racconta con punte ironiche le sue vicende belliche a Vyacheslav Molotov (segretario degli affari interni) e Georgy Malenkov (il vice di Stalin).
Sin da queste scene iniziali trapela la paura messa in atto dal regime staliniano, il timore di rischiare il gulag o altre terribili conseguenze, per un qualsiasi – anche minimo – errore come il telefonare dopo 18 e non 17 minuti o l’aver fatto una battuta che non è stata trovata divertente dal capo del PCUS.
Nella notte di quel 28 febbraio del 1953 dopo che Stalin è rimasto da solo nei suoi appartamenti e ascolta il vinile del concerto registrato, lo coglie la morte in seguito ad un ictus. Solo l’indomani le più alte gerarchie del PCUS vengono a sapere della tragica notizia e giungono quanto prima. Tra quest’ultimi, rappresentati come delle macchiette, inizia una corsa al potere e alla sopravvivenza che va dal grottesco all’ironico e al tragico.
Georgy Malenkov viene inizialmente designato come successore, è presentato come uno scemo, incapace di agire e di capire realmente la situazione. Nikita Khrushchev e Lavrentiy Beria sono invece i più agguerriti, quest’ultimo in particolare è rappresentato come un uomo violento, senza scrupoli, stupratore e carnefice senza pietà, approfittatore del suo ruolo politico.
Nessuno dei ministri che compongono il Comitato generale (ai quattro già nominati si aggiungono Lazar Kaganovich ministro del lavoro, Anastas Mikoyan ministro del commercio e Nicolaj Bulganin ministro della difesa) fa una bella figura. Nessuno collabora ma invece si ostacolano e si incolpano a vicenda, l’ipocrisia, la brama di potere, e l’egoismo regnano sovrano. Le esigenze del popolo sono l’ultima delle preoccupazioni, e il fermo degli arresti e delle esecuzioni presentato da Beria è unicamente una misura opportunista e populista che non riuscirà tuttavia a salvarlo.
Egli infatti che sembra essere il più forte e potente tra tutti, sarà invece il primo a morire. Proprio su questa morte si chiude il film che dal punto di vista temporale analizza unicamente la settimana successiva alla morte di Stalin, lasciando intravedere allo spettatore i cambiamenti che giungeranno. Dopo un periodo di governo collettivo, nel 1956 Krushchev prenderà il potere destituendo gli altri membri del Comitato.
Morto Stalin se ne fa un altro: tra storia e finzione
Il film non essendo un documentario presenta una versione romanzata. Alcuni elementi non sono pertanto rispondenti ai fatti storici. Molotov, ad esempio, non era il ministro degli esteri quando Stalin morì dal momento che era stato allontanato da tale incarico nel 1949; e non avvenne nessun massacro di civili a Mosca durante il funerale.
Le notizie riguardo alla morte di Stalin si sanno principalmente dalle parole di Kruscev il quale raccontò l’evento ad alcuni suoi stretti collaboratori e al giornalista dell’Epoca, Kessel, proprio in occasione del decimo anniversario della morte di Stalin nel 1963.
Rispetto alla pellicola, Kruscev raccontò che la telefonata che lo portò a recarsi immediatamente alla dacia di Stalin non giunse la mattina ma la notte. Insieme a lui giunsero le altre sette più importanti autorità sovietiche, nel film non è presente Voroscilov (capo dell’Armata Rossa) ma che invece si presentò la notte come tutti gli altri.
Non è quindi Beria ad arrivare per primo. Inoltre l’accesso alla camera dove venne trovato Stalin era chiusa da porte blindate, fu Molotov ad ordinare che venisse forzata ed aperta. La dacia era infatti una struttura quasi inacessibile, sorvegliata da militari caucasiani e nel percorso per arrivarvi erano disseminate mine. Gli ultimi anni del capo del PCUS sono infatti caratterizzati da una spiccata diffidenza anche verso i suoi più stretti collaboratori.
Relativamente ai numerosi “errori” o “licenze cinematografiche” che son state denunciate al regista da noti storici come Richard Overy che al riguardo scrisse un articolo su «The Guardian» (1), o Samuel Goff, docente all’Università di Cambridge (2); lo storico Jean-Jacques Marie osservò invece come il film descrivesse bene “l’atmosfera che regnava ai vertici tra Stalin e i suoi collaboratori […] un misto di paura, terrore e odio reciproco.” (3).
Quello su cui si sofferma maggiormente il film, portandolo all’estremo con toni cinici e con l’obiettivo di suscitare ilarità, è il clima di paura costante messo in atto da Stalin. Gli anni Trenta con le grandi purghe e i gulag, e la politica di forte contrasto contro forme di opposizione alle scelte del partito furono sicuramente anni molto difficili per l’URSS e il clima di terrore era reale.
Così come veritiera è la lotta di potere che seguì alla successione di Stalin. Questo, afferma il regista difendendosi dalle accuse, era il fine ultimo del film, far in modo che “il pubblico sentisse il tipo di ansia […] che le persone avevano quando iniziarono a parlare di come erano le loro vite quotidiane all’epoca dei fatti narrati nel film.” (4).
Il cast del film Morto Stalin se ne fa un altro
Il film, riadattamento del romanzo a fumetti di Fabien Nur e Thierr Robin, dal punto di vista scenografico è molto curato, le immagini dall’alto del funerale, così come quelle della città di Mosca, il popolo con le bandiere rosse che giunge nella capitale per vedere Stalin, tutte suggeriscono la grandezza dell’URSS. Curata risulta anche la colonna sonora, completamente musica classica, una scelta che richiama Kubrick.
La produzione è britannica e questo probabilmente incide sul taglio di parte che sebbene le licenze artistiche, sicuramente non è filosovietico, La distribuzione venne vietata in Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Moldavia poiché la pellicola fu considerato un atto di screditamento dell’URSS.
Il trailer del film Morto Stalin se ne fa un altro
Note:
1. R. Overy, Carry on up the Kremlin: how The Death of Stalinplays Russian roulette with the truth, «The Guardian», 18 ottobre 2017, <https://www.theguardian.com/film/2017/oct/18/death-of-stalin-russian-roulette-with-truth-armando-iannucci>
2. S. Goff, The Death of Stalin: a black comic masterpiece? Con’t make me laugh, «The Calvert Journal», 23 ottobre 2017. <https://web.archive.org.org/web/20180512013925/http://www.calvertjournal.com/opinion/show/9122/the-death-of-stalin-review-iannucci-buscemi-russell-beale>
3. Contenuti extra del DVD Morto Stalin se ne fa un altro, sezione “dalla storia al film”, Mustag Entertaintment, 2018.
4. T. Scott, Armando Ianucci on “Death of Stalin” Political Satire and Trump’s Funeral, «Rolling Stone», 10 marzo 2018. <https://www.rollingstone.com/movie-features/armando-iannucci-on-death-of-stalin-political-satire-and-trumps-funeral-127384/>
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- B. Souvarine, Stalin, Adelphi, Milano, 1983.
- R. A. Medvedev, Stalin sconosciuto, Editori Riuniti, Roma, 1983.