CONTENUTO
La Prima Guerra Mondiale, o Grande Guerra, si svolge tra il 1914 e il 1918, contrapponendo le forze dell’Asse a quelle dell’Intesa. Il conflitto segna definitivamente il passaggio dalla guerra rinascimentale a quella moderna. La svolta tecnologica e produttiva iniziata con la rivoluzione industriale raggiunge il proprio apice in questo periodo con l’introduzione di armi in grado di consentire un’eliminazione meccanizzata del nemico. Sono 65 milioni le persone che prendono parte al combattimento in tutto il mondo, provenienti da 70 nazioni diverse. Di queste, alla fine del 1918 sono 21 milioni quelle rimaste ferite e 9 milioni quelle cadute.
La morte nella Prima guerra mondiale
La vera protagonista della Prima guerra mondiale è senza dubbio l’artiglieria, essa mostra il proprio potenziale già nelle guerre napoleoniche, ma è con l’introduzione del fordismo nelle fabbriche, tecnica che aumenta la produzione grazie all’uso della catena di montaggio, che si può produrre un elevato numero di pezzi.
In questo modo tutti gli eserciti hanno tra le proprie fila obici di nuova generazione e, grazie alle grandi industrie, dispongono di un numero pressoché illimitato di proiettili. Questo consente un bombardamento costante delle linee nemiche. I soldati sono totalmente indifesi di fronte a queste macchine della morte, l’unica speranza che ha il fante è di raggomitolarsi il più possibile, aggrappandosi alla terra come fosse un istinto primordiale.
E’ quindi frequente, mentre si percorre una trincea, trovare corpi di soldati dilaniati dalle granate nemiche, una delle più micidiali chiamata “Shrapnel” al cui interno contiene sfere di piombo pronte a schizzare da ogni parte al momento dell’esplosione. Stando ai calcoli si stima che circa l’80% dei caduti sia dovuto al lavoro dell’artiglieria.
Un’altra micidiale arma introdotta in quegli anni è quella chimica, usata per la prima volta dai tedeschi nella battaglia di Ypres del 1915, tant’è che il gas impiegato in quello scontro prende il nome di iprite. Le conseguenze sono terribili, il gas colpisce soprattutto occhi e polmoni provocando immediata cecità e comportando un lento soffocamento che può protrarsi per giorni prima che giunga la morte. Proprio ad Ypres sorge un cimitero che raccoglie i resti dei 54,896 inglesi morti durante quello scontro.
A fine conflitto si registrano 90,000 morti totali dovuti agli effetti dei gas asfissianti, la maggior parte tra le fila russe, poiché l’esercito dello zar dispone di poche maschere protettive.
Se la vita in trincea per un soldato è terribilmente desolante ciò che davvero terrorizza anche i più duri è l’assalto: al fischio dell’ufficiale si salta fuori dalla trincee percorrendo il più velocemente possibile la terra di mezzo e tentando di occupare la sponda nemica, tutto sotto il fuoco incessante delle mitragliatrici. Per citare uno degli attacchi più famosi della Prima guerra mondiale, nel primo giorno della Battaglia della Somme i soli inglesi perdono più di 57,000 uomini.
La cosa che più scava dentro gli animi è l’attesa dell’assalto, momenti in cui, essendo consapevoli di andare incontro ad una carneficina, il pensiero principale è quello di scambiare il proprio indirizzo con i compagni; i sopravvissuti scriveranno alle famiglie dei caduti. Si stima che le lettere recapitate ogni giorno al fronte siano 12 milioni, arrivando a fine guerra ad un totale di 2 miliardi di lettere ricevute dai soldati in trincea. Così Emilio Lussu, autore di “Un anno sull’altipiano“, ricorda l’esperienza al fronte:
“La vita in trincea, anche se dura, è un’inezia di fronte ad un assalto. Il dramma della guerra è l’assalto“.
I rischi per i soldati in trincea
Non tutti i reparti sono soggetti a queste continue stragi, servire nell’artiglieria per esempio significa correre rischi decisamente minori. Agli “imboscati”, così erano ironicamente chiamati, non viene chiesto di lanciarsi all’attacco tra reticolati e colpi di mitragliatrice. Essi svolgono ciò che nella Prima guerra mondiale è più vantaggioso: la difesa. Il loro compito durante l’offensiva si limita al supporto della fanteria tramite il bombardamento.
Rispetto alle memorie dei fanti impegnati in prima linea, quelle lasciate dagli artiglieri raccontano una situazione meno ansiosa, senza il pensiero costantemente puntato all’attacco successivo.
Roberto Gandini nel 1915 scrive:
“Non posso che dirmi fortunato ad essere d’artiglieria, che oltre ad essere molto meno in pericolo, si è sempre messi un po’ meglio in tutto”.
L’artiglieria occupa un quinto dell’esercito italiano, circa 600.000 uomini, e perde ogni anno il 4% dei suoi effettivi, a differenza del 39% riportato dalla fanteria.
La presenza della morte in trincea
La morte in trincea avviene nell’anonimato, la cosa più disumanizzante di questa guerra sono le migliaia di vite dilaniate dagli scoppi delle bombe a cui non è più possibile dare un volto.
Quando si parla di anonimato non ci si riferisce solo all’impossibilità di riconoscere un corpo sfigurato ma anche alla quotidianità con cui si muore. Dopo i primi mesi di combattimento il soldato è ormai consapevole che il suo turno può arrivare da un momento all’altro. La morte è costante, l’impossibilità di seppellire i morti fa sì che essi subiscano il processo di decomposizione nella terra di mezzo sotto gli occhi degli stessi soldati, i quali non possono recuperare i morti essendo sotto il tiro dei cecchini appostati sul fronte opposto.
Carlo Pastorino ricorda[i]:
“Non era possibile prenderli e sotterrarli. Si scomponevano lì, alla pioggia e al vento, sulla desolata montagna. Nel solo tratto dove il mio sguardo poteva aggirarsi, ed era molto breve, ce n’erano trentaquattro o trentacinque“.
Sui 650,000 caduti avuti dall’esercito italiano ben 200.000 non sono identificabili.
Una visione diversa
È però importante sottolineare come il rapporto con la morte dell’epoca sia diverso da quello odierno. Innanzitutto il trapasso è visto come qualcosa di naturale e umano mentre ai giorni nostri è qualcosa da nascondere a tutti i costi. Questa visione è favorita dal maggiore tasso di mortalità che rende quotidiana la vista dei cadaveri, tenendo anche conto che spesso si spira tra le mura domestiche.
Inoltre, la propaganda in quei tempi è fortissima. Il nemico viene dipinto come un essere malvagio e il sacrificio è ritenuto necessario al fine di combatterlo, la morte è quindi maggiormente accettata. Il giornalista e reduce Marco Silvestri afferma[i]:
“Quella routine giornaliera, quell’abitudine alla morte come un evento non più frequente della peste nera in Roma al tempo dell’imperatore Comodo, e quindi accettato come un rischio quasi normale dell’esistenza“
I numeri dei morti della Prima guerra mondiale
La Prima Guerra Mondiale è la più grande carneficina mai perpetrata, in grado di colpire tanto nel fisico quanto nell’animo. Le perdite ammontano a circa 37 milioni di morti, di cui 9 milioni di caduti tra i soli militari. Le vittime civili sono circa 10 milioni, frutto sia dell’occupazione nemica che dei bombardamenti. Si stima che il solo blocco navale attuato dagli Alleati nei confronti della Germania abbia causato quasi un decimo dei morti civili, arrivando a far morire di stenti 750.000 persone.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia sulla morte nella Prima guerra mondiale, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- Andrea Rebora, Morire nella Grande Guerra, Prospettiva editrice 2011.
- Martin Gilbert, La grande storia della Prima guerra mondiale, Mondadori 1998.