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Il mito dell’uomo alla continua ricerca di superare se stesso
“È strano: proprio quando penso di essere andato il più lontano possibile, scopro che posso spingermi ancora oltre”, così parlava Ayrton Senna, indimenticato campione del mondo di Formula 1, descrivendo il suo personale rapporto con il mito della velocità.
Per Ayrton Senna la vittoria era un obbligo, quasi una strada segnata da Dio. È stato infatti il primo pilota ad introdurre il mistico in una disciplina nella quale il confine tra la vita e la morte è sempre stato labile. Gilles Villeneuve ha vinto infinitamente meno di Senna, solo sei Gran Premi, ma come Ayrton seppe entrare nel cuore della gente, facendo innamorare milioni di appassionati e quell’Enzo Ferrari che raramente si affezionava ai suoi piloti, arrivando ad amarlo quasi come un figlio. Gilles diceva testualmente:
“Questo è uno sport in cui si rischia la pelle: ti può succedere oggi, e domani ti può succedere di nuovo. Quando uno rischia la vita così, non dovrebbe farlo per qualcosa di molto importante? Sì, guai altrimenti! So bene che un giorno o l’altro finirò per avere un tremendo incidente: ma cosa può esserci di più importante del correre più veloce di chiunque altro?”
Due grandi Campioni, due miti impossibili da cancellare, due personaggi indimenticabili, i padri racconteranno le gesta ai propri figli di questi due uomini, sì perché di uomini si parla: l’uomo che si relaziona con la velocità. L’uomo è per sua natura perennemente insoddisfatto, nel suo senso più positivo, in quanto grazie all’insoddisfazione l’uomo compie uno slancio verso qualcosa che è fuori di lui, che lo porta al suo essere dinamico e in perenne miglioramento.
Lo slancio verso il continuo superamento di sé stesso, da sempre riscontrabile nella Storia, è molto evidente nell’amore che l’uomo prova per l’automobile, sin da quando essa è nata, e del fascino che esercita su di lui. “Pensi di avere un limite, così provi a toccare questo limite. Accade qualcosa. E immediatamente riesci a correre un po’ più forte, grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione, al tuo istinto e grazie all’esperienza, puoi volare molto in alto” (Ayrton Senna).
Il Vate e l’automobile
Interessante è il rapporto tra Gabriele D’Annunzio e l’automobile, da lui assegnata all’emisfero femminile come i suoi rapporti con le più celebrate bellezze dell’epoca. D’Annunzio, il Poeta che per primo canta l’inno della “Rapidità”, è tra i primi a credere nel futuro dell’automobile e a subirne il fascino, soprattutto dopo aver assistito nel 1907 al circuito della Coppa Florio a Brescia.
Da quelle giornate vissute con intensa curiosità tra motori e macchine, nasce il suo romanzo “Forse che sì Forse che no” dove la protagonista è l’auto che viene esaltata con prosa addirittura mitologica. Forse che sì Forse che no è il Romanzo dell’Automobile, dell’Aereo e della Velocità, un’opera modernista dove la macchina viene quasi glorificata: dall’iniziale corsa precipitosa verso Mantova della macchina rossa lanciata verso una furibonda gara mortale, alla folle corsa verso Firenze e verso l’amata Isabella s’ intravede la volontà del Poeta di creare occasioni in cui i personaggi sono lanciati verso la morte, poi vinta dalla quasi gridata “volontà di vivere”.
La volontà, quindi, è l’unica difesa che arma l’uomo, una volontà temeraria, perfetta, rude, tesa, cieca, vacillante, disperata, e vittoriosa! Quella stessa volontà di giungere, di piangere e di vivere che può essere disarmata solo dall’amore e dal suo turbinio: è l’amore a sfidare la morte compagna di ogni gioco che valga la pena di essere giocato. L’amore e l’amicizia sono i protagonisti nel romanzo: è l’uomo al centro, è lui che sospinge la macchina, senza l’uomo la macchina è una carcassa inanime.
Dal punto di vista puramente sportivo, D’Annunzio considera l’automobilista alla stregua di un macchinista di treno, mentre invece ammira moltissimo i piloti di gara che definisce “omini veloci”: una visione “superoministica” profondamente influenzata dal pensiero di Nietzsche. Nel Vate l’esaltazione della velocità è una concezione di vita; quindi, il conducente ha un solo comando: CORRERE!
A differenza del Vate, per Enzo Ferrari da Modena era la macchina e il suo motore che contavano più dell’uomo/pilota: quell’Enzo Ferrari che nel 1929 crea la Società anonima scuderia Ferrari, divenuta insieme con la moglie Laura Ferrari Spa nel 1947, un genio che riesce a battere in campo aperto, con una piccola fabbrica, colossi mondiali dell’auto quali Ford, General Motors, Mercedes, Toyota, Porche, divenendo il più grande e carismatico costruttore di auto sportive e da competizione del mondo.
La febbre della velocità
Sono le 13,52 di sabato 8 maggio 1982 e siamo in un bosco di pini nel Belgio orientale dove sorge la pista di Zolder. Mancano solo otto minuti al termine dell’ultima sessione di prove di qualificazione del Gran Premio del Belgio di Formula 1, in programma il giorno successivo. Cielo plumbeo dopo la pioggia del mattino, pista comunque asciutta. Come tutti i piloti che si rispettino, Gilles Villeneuve attende l’ultimo momento per uscire dai box Ferrari ed inanellare un giro veloce per essere più avanti agli altri nella griglia di partenza del giorno dopo, ma soprattutto essere con la sua Ferrari numero 27 davanti a quella del suo compagno di squadra Didier Pironi. Perché?
Facciamo un salto indietro di due settimane, torniamo per un momento al Gran Premio di San Marino a Imola del 25 aprile, quando le due Ferrari di Villeneuve e Pironi viaggiano al primo e secondo posto all’ultimo giro di un Gran premio che ha visto solo 14 vetture prendere il via. Al box Ferrari sin dal 45mo giro (su 60 previsti della gara) è stato esposto il cartello “SLOW” che in termini tecnici vuole essere un invito ai propri piloti di mantenere le posizioni così come sono in quel momento, ma Pironi disattende queste indicazioni, alla curva della Tosa (poi ribattezzata curva Villeneuve) sorpassa il compagno di squadra con una manovra che alla folla assiepata lungo il tracciato appare molto aggressiva, e taglia il traguardo per primo, con Villeneuve secondo e inferocito contro il compagno.
Gilles si sente tradito da un pilota che considerava amico, tanto da non voler salire sul podio per la premiazione, convinto poi dalla moglie Joanna, ma poi sceso dal podio senza scambiare una parola con Pironi, prende il suo elicottero e torna nella sua casa di Monaco. Villeneuve è un pilota che si dedica totalmente a ciò in cui crede: alle corse, alla famiglia, agli amici, per questo è infuriato con Pironi, si sente tradito! Neanche Enzo Ferrari riesce a calmarlo e così si arriva all’otto maggio.
Quindi Gilles scende in pista negli ultimi otto minuti di prove cronometrate per battere il tempo del suo compagno, non vuole sentire ragioni. La sua Ferrari numero 27 ha pista libera, esce dalla chicane dietro i box e si lancia alla massima velocità nella discesa prima della curva fatale a sinistra. Nella discesa intravede la March bianca di Jochen Mass che procede lentamente, mentre lui affronta la curva in quinta piena, decidendo di passarlo sulla destra.
Ma anche Mass vedendo arrivare Gilles al massimo della velocità negli specchietti, decide anche lui con la sua March di spostarsi a destra: incomprensione fatale, la ruota anteriore sinistra della Ferrari tocca la posteriore destra della March! La Ferrari di Gilles decolla verso l’alto, fa un paio di giri della morte, sfiora il guard-rail, fa un altro giro su sé stessa, i sei punti di attacco delle cinture cedono e Gilles viene catapultato fuori dalla macchina come un proiettile umano.
Ha ancora il seggiolino attaccato dietro alla schiena e da un’altezza di 5 metri atterra brutalmente in terra, battendo la testa duramente contro un paletto di legno che sostiene la rete di recinzione. È il momento fatale! Un irreale silenzio scende sulla pista, fin quando lo speaker del circuito comincia a gridare, in preda ad un attacco di isterismo: un terribile incidente ha coinvolto una Ferrari.
Anche se immediatamente soccorso e trasportato in elicottero al più vicino ospedale, Gilles ha riportato ferite gravissime alla testa e la rottura delle vertebre cervicali: Gilles Villeneuve muore nella serata alle 21,12, tra lo sconforto generale di giornalisti e addetti ai lavori.
Dopo la tragedia di Zolder, Enzo Ferrari si chiuse in un “silenzio assordante”, lui che nel 1980 aveva persino baciato quel piccolo uomo che tanto gli ricordava Tazio Nuvolari. Disse il Drake (così era soprannominato il Commendator Ferrari in riferimento al corsaro Francis Drake) in un’intervista: “Amo pensare che la Ferrari può costruire piloti tanto quanto macchine. Alcuni dicevano che Gilles era pazzo. Ma io dissi: lasciate che provi”. Gilles era il meno esperto e meno conosciuto dei settanta piloti che lo avevano preceduto in Ferrari: infatti quando venne scelto per sostituire Lauda quella decisione era sembrata ai più molto strana; invece, era in linea con il modo di fare del Commendatore. Ferrari e Gilles erano due spiriti molto simili, tanto che Enzo arrivò ad amare Villeneuve come un figlio, come mai era accaduto ad alcun pilota che aveva guidato le sue auto!
“È stato un campione di combattività…gli volevo bene” (Enzo Ferrari).
“Gilles Villeneuve mi è sempre piaciuto. Mi piaceva tutto di lui, anche se non condividevo i rischi che era solito correre. Era il tipo più pazzo che io abbia mai incontrato in Formula 1” (Niki Lauda).
Gilles non faceva giochi politici. Lui era un Fenomeno, il pilota più veloce al mondo, uno dei pochi che si era potuto permettere di dare del “tu” all’Ingegner Ferrari. Enzo spesso era stato criticato di “caricare” troppo i suoi piloti, un “agitatore di uomini” quando a lui non sembrava che andassero abbastanza forte per portare le sue macchine alla vittoria. Non con Villeneuve, ma come per esempio con Peter Collins, il quale, secondo lui, il matrimonio gli aveva attenuato la voglia di andare più veloce degli altri.
Collins, il signore della formula 1, così soprannominato per aver ceduto la sua Ferrari a Fangio durante la gara del Gran Premio di Monza per fargli vincere il mondiale del 1956, nel 1958 sta per vincere il mondiale inanellando una vittoria dietro l’altra, quando sul circuito del Nurburgring in Germania esce di strada e rimane ucciso. Come con Eugenio Castellotti e la sua relazione amorosa con Delia Scala: anche in questo caso Ferrari riteneva penalizzante per il suo pilota questa relazione, stimolandolo a superare il record sul giro appena conseguito dalla Maserati sul circuito dell’aerautodromo di Modena.
È il 14 marzo del 1957, la sua Ferrari tocca un cordolo, decolla, carambola e si va a fermare sulla tribunetta del Circolo della Biella, deserta di spettatori in quel momento. Castellotti morirà poco dopo in ambulanza. Come il marchese spagnolo Alfonso de Portago, anche lui innamorato di una bella attrice: Linda Christian, e anche qui Ferrari interviene sul pilota spingendolo a correre la Mille Miglia del 1957.
Alfonso de Portago sta andando al massimo della velocità sulla sua Ferrari, manca pochissimo alla meta di Brescia e quindi alla vittoria, quando a causa degli pneumatici ormai usurati avviene lo scoppio di una delle gomme che fa decollare la sua auto contro gli alberi e contro le persone ai bordi della strada all’altezza di Guidizzolo: è una strage! Oltre a de Portago e al suo copilota, muoiono nove persone, tra cui cinque bambini. La Mille Miglia non verrà più corsa se non con auto storiche e senza competizione. Per Enzo Ferrari una gogna mediatica che lo vedrà assolto giuridicamente solo nel 1961.
Il mito della velocità
La lunga avventura della Formula 1, iniziata nel lontano 1950, è piena di grandi emozioni, ma soprattutto di grandi uomini come Gilles Villeneuve e Alfonso de Portago, come Peter Collins ed Eugenio Castellotti, come Tazio Nuvolari e Alberto Ascari, come Ayrton Senna che sempre ad Imola il primo maggio del 1994 subirà la stessa triste sorte.
La Formula 1, che è l’espressione più assoluta della febbre della velocità, è una disciplina che si può amare oppure odiare nello stesso istante, che colpisce soprattutto perché oltre alla vittoria ci si può giocare il destino: impossibile darne una definizione, se non come qualcosa che palpita con un ritmo costantemente in linea con i tempi, metafora di un progresso mediato dallo sport, dallo spettacolo, comunque dal rumore dei motori.
Metafora nella quale l’UOMO resta SEMPRE CENTRALE e INDISPENSABILE!
Consigli di lettura: clicca sul libro e acquista la tua copia!
- ROBERTO BOCCAFOGLI, Ferrari, Un sogno nato nella neve, Worldwide – SEP Editrice, Milano, 1997.
- OTTO GRIZZI, Ferrari, Realtà e leggenda, Giunti Editore, 2008.
- GERALD DONALDSON, Gilles Villeneuve: la vita di un pilota leggendario, Edizione italiana a cura di Pino Allievi, 1990.
- GABRIELE D’ANNUNZIO, Forse che sì forse che no, Mondadori, Milano, 1966.