CONTENUTO
Lugal-Zaggesi, il conquistatore di Sumer
All’inizio del XXIV secolo a.C., la Mesopotamia è la regione del mondo più densamente abitata e, insieme all’Egitto e alla valle dell’Indo, quella in cui lo sviluppo sociale e tecnologico ha fatto più strada. Come abbia fatto a diventarlo è stato illustrato nel precedente articolo, che contiene anche una bibliografia in merito.
La troviamo popolata da numerose città stato. Si tratta di grandi insediamenti con decine di migliaia di abitanti in grado di realizzare, attraverso elevata specializzazione e organizzazione del lavoro, opere di pubblica utilità quali canali, bacini irrigui, palazzi e mura e gestire grandi opifici di trasformazione di materie prime (molitura dei cereali, tessitura, produzione di mattoni, fonderie).
Il “collante” che mantiene la società coesa è religioso e si basa sulla profonda convinzione che la città e il territorio circostante siano donati agli abitanti dalla divinità protettrice. Questo dio poliade è l’unico vero padrone della terra e dispone dei suoi frutti attraverso il Sommo Sacerdote, che quindi è capo civile e religioso al tempo stesso (Ensi). Sotto di lui vi sono il prefetto (sabra) e il capo dell’amministrazione templare (sagga) da cui dipendono uno stuolo di funzionari: il capo contabile (sadubba), quello del “catasto” (sadu), il “capo del granaio” (kaguru), il “capo delle acque” (gugallu) e tanti altri di minore importanza.
Il compito di questi burocrati è coordinare le attività dei lavoratori, distinti in “asserviti” (eren), che devono assicurare al Tempio 15 giorni di lavoro al mese (o versare la corrispondente parte di prodotto realizzato), e “portatori” (unga), dipendenti a tempo pieno del Tempio. I primi sono artigiani e operai specializzati, compresi anche i piccoli proprietari terrieri; i secondi soprattutto contadini e allevatori e più in generale mano d’opera non specializzata.
Gli unga e le loro famiglie sono raggruppati in bitum, le “Case”: strutture che organizzano le attività e distribuiscono le razioni di cibo e vestiario necessarie per il sostentamento dei lavoratori e delle loro famiglie, compresi i non produttivi, cioè bimbi, vecchi e malati.
La crescita della popolazione e l’affinamento delle tecniche di irrigazione diventano elementi di tensione e conflitto. Da un lato infatti ogni città mette a coltivazione terre sempre più lontane, fino a invadere quelle dei vicini. Dall’altro, in una terra in cui l’acqua è abbondante solo nelle aree raggiunte dal Tigri e dall’Eufrate, se le città più a monte aumentano i canali e i bacini di raccolta artificiali finiscono per penalizzare quelle a valle.
Nelle città, quindi, cresce l’importanza di chi è in grado di condurre in battaglia la propria gente, cui viene attribuito il titolo di Lugal, “Grande Uomo”. È fatale che tra la guida religiosa e quella militare si apra una contesa per la supremazia all’interno della città: con l’inasprirsi dei conflitti la seconda prevarrà sulla prima.
Inizialmente i conflitti hanno come obiettivo solo la soluzione dei contrasti locali e non quello della conquista e della sottomissione dei vinti, che mantengono la propria indipendenza. Le cose cambiano però intorno al 2350 a.C.
Lugal-Zaggesi all’epoca è il Signore di Umma, una delle città più importanti della bassa Mesopotamia e da secoli rivale della vicina Lagash (uno dei capolavori dell’arte sumera, la “Stele degli Avvoltoi” immortala Eannatum re di Lagash durante una battaglia vittoriosa contro le truppe di Umma). Approfittando dei disordini sorti nella rivale, dove una rivolta ha portato il debole Urukagina al potere, Lugal-Zaggesi muove guerra a Lagash.
Questa volta non si limita a ridefinire i confini a favore della propria città: invade Lagash e ne annette la maggior parte del territorio. Inizia quindi una guerra di espansione che in venticinque anni lo porta a sottomettere Ur, Larsa, Nippur e quindi Uruk, la più importante e antica delle città sumere. Assume il titolo di Signore di Uruk, poi volge la sua attenzione a settentrione. Il nord, per la bassa Mesopotamia, ha un nome: Kish.
Quattromila e trecento anni fa il Tigri e l’Eufrate seguivano un corso molto diverso da quello attuale. Più o meno a metà del loro tragitto il ramo principale del secondo confluiva nel primo e solo alcuni rami minori continuavano un percorso solitario per sfociare nel Golfo Persico. Le città della bassa Mesopotamia sono tutte situate su questi due corsi d’acqua; la maggior parte, Uruk compresa, lungo i rami minori dell’Eufrate.
La città di Kish è ubicata anch’essa su uno di questi rami, ma più a nord, in prossimità del punto da dove essi si separano dal corso principale; in una posizione, quindi, che le consente di influire sulla quantità d’acqua che giunge alle città meridionali. Ne abbiamo testimonianza letteraria dall’epopea di Gilgamesh, re di Uruk, che affronta Kish per una questione attinente i lavori di manutenzione della rete di canali comuni ai due insediamenti. Questa volta la situazione è capovolta: è Lugal-Zaggesi, re di Uruk e signore di 50 città, che minaccia Kish e la posta in gioco non è il controllo delle risorse idriche o qualche appezzamento di terra, ma la sua indipendenza.
Lugal-Zaggesi riesce nel suo intento, sconfigge Ur-Zababa, Lugal di Kish, e diventa l’uomo più potente dell’intera Mesopotamia. La sua influenza si estende anche alle città del nord – Mari, Ebla, Nagar, Eshunna, Tutub, tanto da affermare che il suo dominio “si estende dal Mare Inferiore a quello Superiore”, cioè dal Golfo Persico al Mediterraneo.
Mai nessuno aveva fatto tanto e alcuni storici ritengono che quello di Lugal-Zaggesi possa essere considerato il primo “impero” della Mesopotamia e della storia. Ma non sembra che ce ne siano i presupposti, perché il dominio di Lugal-Zaggesi a nord di Kish è poco più di una influenza commerciale. Inoltre, manca un vero apparato centrale di controllo del territorio: nel solco della tradizione sumerica, le città asservite mantengono l’indipendenza, pur dovendo accettare la supremazia (la “Lista dei Re” usa il concetto di “regalità”) del vincitore. In ogni caso la situazione è destinata a cambiare velocemente.
Sargon di Akkad il Grande, la nascita di un mito
A Kish emerge un nuovo personaggio, Sharru-kin. Il nome è di origine semita, traducibile in “il Re legittimo” o “Il Re che porta la stabilità”. Lo stesso titolo verrà ripreso da alcuni sovrani assiri posteriori, indicati nella Bibbia come Sargon. Da qui il nome con cui è conosciuto: Sargon di Akkad o Sargon il Grande.
Le sue origini sono avvolte nel mistero. Le fonti in nostro possesso lo vogliono figlio illegittimo di una alta sacerdotessa, una Entu, votata alla castità. Lei lo abbandona alle acque dell’Eufrate dalle quali viene salvato grazie all’intervento di un nukarribun, un giardiniere, di Azupiranu, un piccolo villaggio mai localizzato. In che modo il figlio adottivo di un plebeo di un insediamento secondario, per di più di origini semite, possa diventare il re di una delle città più importanti della Mesopotamia non è chiaro.
Secondo un componimento epico di età paleo babilonese (di un millennio circa più tardo), diventa un alto funzionario di Ur-Zababa a cui la dea Inanna (Ishtar) rivela in sogno la sconfitta del suo signore. Sargon corre ad avvertirlo, ma il re sospetta di lui e decide di farlo assassinare: lo manda come ambasciatore da Lugal-Zaggesi, latore di una missiva in cui c’è la richiesta di uccidere il messaggero. Ma la dea veglia su di lui e lo aiuta a uscire dai guai… purtroppo il poema ci è arrivato in frammenti e non è chiaro come.
Forse la leggenda ha un fondo di verità e Sargon è entrato in contatto con Lugal-Zaggesi e quindi ha tradito Ur-Zababa, chissà. Fatto sta che Sargon diventa signore di Kish, scende in guerra contro il re di Uruk, sostiene – dicono i testi – 34 battaglie contro gli eserciti di 50 città e vince. Lugal-Zaggesi finisce in catene. La bassa Mesopotamia ha un nuovo padrone: Sargon.
Sotto il profilo militare, è una impresa che ha dell’incredibile. In assenza di cavalli (che verranno addomesticati solo qualche secolo più tardi) gli eserciti mesopotamici sono formati principalmente da falangi di coscritti, unga sottratti al lavoro coatto e mandati in guerra. L’armamento principale è costituito da lance e scudi talmente pesanti che per sostenerli sono assicurati al collo del fantaccino con una cinghia di cuoio. Ovvio che in queste condizioni l’esercito più numeroso ha alte probabilità di vittoria e Sargon parte svantaggiato.
Si dimostra però un grande innovatore. Cambia i paradigmi della guerra introducendo su larga scala guerrieri di professione, forse mercenari, contrapponendo al numero l’abilità e l’esperienza. Inoltre, è probabile che a lui si debba l’introduzione dell’arco composito (la prima rappresentazione scultorea di questi archi risale a pochi decenni dopo e raffigura proprio il nipote di Sargon, Naram-Sin, mentre ne impugna uno), particolarmente efficace contro falangi lente e compatte. Uniti a un notevole acume strategico, questi elementi gli consentono la vittoria.
Ma è solo l’inizio. Sargon porta a compimento il progetto che forse era già di Lugal-Zaggesi, riunendo sotto le sue insegne le popolazioni sumere del sud e quelle semitiche del nord. I suoi eserciti arrivano fino a Mari, forse a Ebla, (conquistata, se non da lui, dai suoi successori). Senza ingaggiare battaglia riceverà la sottomissione delle popolazioni montane fino alla “foresta di cedri” (identificabile come la catena dei Monti Nur, in Turchia) e alle “montagne di argento” (il Tauro). Il controllo di Sargon si estende dunque veramente dal Mare Inferiore (Golfo Persico) a quello Superiore (Mediterraneo).
La propaganda reale si adegua alla nuova situazione: Sargon fa erigere in tutte le città dell’impero monumenti a ricordo delle sue vittorie, così da presentare il sovrano e il suo progetto imperiale ai vecchi e nuovi sudditi. In esse si proclama “re della totalità” (šar kiššatim), esplicitando l’obiettivo di creare un “impero universale”, che unisca tutte le genti del mondo conosciuto.
Per farlo serve un forte potere centrale. Rompendo con la tradizione preesistente, Sargon sostituisce i capi delle città-stato con propri uomini di fiducia, che mantengono il nome di Ensi (solo lui può fregiarsi del titolo di Lugal) ma sono solo governatori. Ancora più dirompente, inizia un processo di trasferimento al sovrano (e ai suoi seguaci, funzionari e guerrieri) delle terre amministrate dal tempio cittadino.
Ovviamente i vecchi proprietari non ne sono felici e piccole o grandi rivolte scoppiano un po’ dappertutto, sia a nord che nel meridione. Anche a Kish, che viene punita per il suo “tradimento” con la distruzione delle mura e con il trasferimento della capitale in una città di nuova costruzione: Agadè in sumero o Akkad in semitico, traducibile in “Corona di fuoco”, in onore della dea Inanna/Ishtar.
Non conosciamo l’esatta ubicazione della nuova capitale, ma sappiamo che si trovava a nord di Kish. Lontana, quindi, dal sud a predominanza sumera. Sarà forse per questo che il semitico diventa la lingua ufficiale, anche scritta. Dopo quasi duemila anni di predominio ininterrotto, in poche lustri anche al sud l’uso del sumero è limitato alle sole funzioni religiose.
Gli storici chiamano “accadico” la nuova lingua e “Accadi” i seguaci di Sargon; ricordiamoci che non si tratta di un nuovo popolo, ma della rete di funzionari e guerrieri di diversa etnia presente, oltre che nella città di Akkad, su tutto il territorio dell’impero.
Nel consolidare le molte anime del vasto territorio che ormai controlla (circa una volta e mezza l’Italia), mostra una grande sensibilità politica, specie verso le ricche città meridionali, le più penalizzate dal nuovo ordine E poiché la religione è sempre stata il principale legame e collante della società mesopotamica, egli la sfrutta ai propri fini. Assume il titolo, già di Lugal-Zaggesi, di “sacerdote-unto di An” (dio del Cielo), patrono di Uruk e fa nominare sua figlia Enheduanna Alta Sacerdotessa (En) del dio lunare Nanna nella città a lui dedicata, Ur.
Mostra molta attenzione anche alle esigenze del commercio. Così consolida i legami con regioni lontane: a Dilmun (Bahrain), Magan (Oman), legate alla Mesopotamia da antica tradizione commerciale, sono state trovate testimonianze di insediamenti commerciali mesopotamici. Sempre per difendere gli interessi dei mercanti intraprende l’ultima sua grande spedizione contro il regno elamita di Awan e contro il regno di Barakhshi, entrambi situati oltre i Monti Zagro, sull’altopiano itraniano.
Dopo 56 anni al potere (dal 2335 al 2279 a.C.) il grande re scompare. Ma esce dalla storia per entrare nella leggenda: le sue imprese saranno esaltate in decine di opere letterarie; grandi re assiri assumeranno il suo nome per reclamarne l’eredità. Nell’immaginario dei popoli che abitano la Mesopotamia, per almeno i due millenni successivi Sargon diventa il mito del re invincibile, secondo solo agli Dei. La sua fama supera i confini di quello che era stato il suo impero e la leggenda delle sue umili origini – il bimbo abbandonato alle acque del fiume – diverrà archetipica, influenzando culture vicine (l’ebraica con Mosè) o più lontane, come quella latina con il racconto mitico della fondazione di Roma.
La dinastia accadica
Sargon il testimone ai figli e nipoti, alcuni dei quali rivaleggeranno con lui per ingegno e per fama.
La figlia Enheduanna non si limita a rappresentare il padre quale somma sacerdotessa di Ur. Donna colta e raffinata, crea un centro di potere parallelo a quello del padre, sostenendone in ambito religioso le istanze imperiali. Tra le molte composizioni letterarie che le vengono attribuite – facendone la prima autrice identificabile nella letteratura mondiale – troviamo una serie di inni dedicati agli dèi poliadi di trentacinque città mesopotamiche, chiaro tentativo di inglobare i vari culti in un unico sistema integrato e funzionale al nuovo impero. La sua azione è talmente efficace che per i cinque secoli successivi il controllo del sommo sacerdozio di Nanna a Ur sarà uno degli obiettivi di chiunque lotti per la sovranità della regione.
Naram-Sin, nipote di Sargon, è un’altra figura di spicco della dinastia. Come il nonno è un grande stratega: sconfigge più volte gli elamiti (occupandone una delle città più importanti, Susa), i Lulla dei Monti Zagros, Ebla e Nagar a nord. Dove non può arrivare con le armi, lo fa con la politica: concede sua figlia Taram-Agade in sposa al re di Urkesh, capitale del regno hurrita della regione del Tauro e cementa l’alleanza con il regno di Markhasi, situato nell’altopiano iraniano tra il regno dell’Elam e la valle dell’Indo, facendo sposare il figlio Shar-kali-sharri con una principessa locale e creando così una alleanza in funzione anti-elamita.
Sul fronte interno le cose non vanno così bene. L’organizzazione costruita dal nonno è fragile, le città non sopportano il peso (anche economico) del governo accadico e le ribellioni sono frequenti. Naram-Sin si trova ad affrontare quella che è alla storia come “la grande rivolta”. Si verifica nella seconda metà del suo regno: una coalizione di città, che include tutti i principali centri della regione (Adab, Apiak, Borsippa, Dilbat, Eresh, Isin, Kazallu, Kiritab, Kutha, Lagash, Nippur, Sippar, Shuruppak, Tiwa, Umma, Ur), compattatisi in due gruppi sotto la guida di Kish e Uruk, cerca di sbarazzarsi della dominazione accadica. Naram-Sin è accerchiato, ma costringe i suoi avversari a una rapida campagna militare e in meno di un anno li sconfigge, riaffermando la sua supremazia.
Ha sbaragliato i nemici interni ed esterni e realizzato quell’”impero universale” che Sargon il Grande aveva immaginato. Naram Sin è perfettamente consapevole di quanto ha creato e di essere stato il primo a riuscirci. Conia per sé stesso il titolo di “Re delle quattro parti del mondo”, e si proclama dio vivente, la divinità poliade della città di Akkad. Del resto, si giustifica, è una città “nuova” costruita dagli uomini e non donata dagli dèi. Nessuno aveva mai osato tanto. Non lo fa però solo per vanità: ponendosi allo stesso livello degli dèi, si eleva definitivamente sopra gli Ensi che governano le singole città e che delle divinità sono i servitori.
Con Naram-Sin la dinastia di Akkad raggiunge il suo apice. Già nella prima metà del regno di suo figlio Shar-kali-sharri si hanno i primi sintomi di cedimento, a causa della crescente instabilità politica interna a cui si aggiunge la crescente pressione degli Elamiti, il cui sovrano Puzur Inshushinak riconquista Susa e compie razzie sui confini orientali.
Sono però i Gutei a dare il colpo di grazia. Si tratta di una popolazione semi nomade dedita alla pastorizia, stanziata sui monti Zagros, a est della Mesopotamia che scende nell’alluvio forse a causa di un prolungato periodo di siccità e carestie. Approfittando della situazione di caos e di anarchia propria dell’ultimo periodo della dinastia sargonica, le loro tribù soggiogano le ricche città meridionali; Akkad sopravvive, ma il suo regno non si estende oltre i confini della città.
Il potere torna ai Sumeri
I Gutei mantengono il potere solo per una cinquantina d’anni. Fioriscono infatti Uruk, sotto Utu-khegal (2120-2112 a.C.), e Lagash, sotto Gudea. Il primo sconfigge i Gutei e li respinge sulle loro montagne, poi si schiera con Ur, governata dal fratello Ur-Namma, e sottomette anche Lagash.
Ur diventa il nuovo centro del potere, dando origine a quella che gli storici chiamano “III Dinastia di Ur” (facendo riferimento, per quest’ultimo termine, alla Lista Reale sumera che ne annovera due precedenti, risalenti all’epoca delle città-stato). C’è chi parla di “rinascita sumerica” ma il termine è impreciso, se si considera che signori di Ur adotteranno, perfezionandola, la gestione centralistica propria dell’impero accadico, assumeranno gli stessi titoli e alcuni di loro arriveranno a farsi divinizzare come Naram-Sin.
Quella che si tenta di realizzare è invece una efficace sintesi ideologica e culturale tra le istanze di autonomia delle città-stato sumeriche e la concezione accadica che prevede un forte potere centrale costruito intorno alla figura del Re e supera quindi la dimensione cittadina.
La differenza principale rispetto alla dinastia accadica sta in una diversa concezione dello stato centrale. Sargon perseguiva un sogno di “Impero universale” esteso fino ai “quattro angoli del mondo”. I re di Ur recuperano invece il concetto sumerico di kalam, “terra di Sumer” corrispondente alla Mesopotamia meridionale, fino a Kish compresa. Questo è lo spazio assegnato loro dagli dèi e distinto dal kur, cioè da tutto ciò che è all’esterno. Il primo è da proteggere, non da espandere; dal secondo bisogna guardarsi.
I due esponenti più importanti della dinastia sono Ur-Numma e suo figlio Sulgi, Il primo riesce con una serie di campagne militari a respingere i Gutei sui Monti Zagros e a ricacciare gli elamiti oltre Susa, che riconquista; il secondo si dedica al compito di riformare il territorio. Egli suddivide il kalam in 15 province, con una città come capitale provinciale. A nord-ovest e a sud-est, nel kur, vengono stabilite ampie fasce-cuscinetto sulla quale il sovrano ha solo un controllo indiretto, assicurato da alleanze più o meno forzose spesso cementate da matrimoni regali o da presidi militari.
Ogni provincia è retta da un Ensi, un governatore, scelto tra i notabili locali, con compiti amministrativi e religiosi (è colui che garantisce il collegamento tra la popolazione e il dio poliade). Così facendo i sovrani di Ur ripristinano la macchina burocratica che aveva permesso lo sviluppo delle città sumere, ma questo è il massimo di autonomia che concedono. Accanto agli Ensi creano una rete di Sagina, comandanti militari selezionati tra funzionari provenienti da altri territori e persino stranieri (hurriti, elamiti, amorrei) con chiari compiti di controllo sull’attività degli Ensi.
In ambito economico la politica persegue la massima centralizzazione. Sulgi (affinando un progetto già impostato da Naram-Sin) introduce un sistema di tassazione valido per tutto l’impero, basato – altra innovazione sostanziale – su un unico sistema di pesi e misure. Buona parte delle risorse prodotte dalle città vengono trasferite in giganteschi bala (centri di raccolta) gestiti direttamente dal potere regio, in sostituzione delle bitum asservite ai Templi. Nei bala i beni vengono trasformati e poi smistati in tutto l’impero, a seconda delle esigenze.
I sovrani di Ur – Sulgi soprattutto – intervengono profondamente anche in ambito culturale, sempre con l’obiettivo di rafforzare il potere centrale però valorizzando e preservando la tradizione sumerica. Così da un lato reintroducono il sumero come lingua ufficiale (almeno scritta), dall’altro regolamentano la trasmissione della conoscenza istituendo scuole scribali controllate dallo stato in cui vengono preparati i nuovi funzionari che devono occuparsi della gigantesca macchina burocratica. Creano inoltre il primo codice legislativo della storia, in cui gli aspetti basilari del diritto civile e penale sono regolamentati in modo sorprendentemente moderno, facendo ampio uso di sanzioni pecuniarie per quei reati che nel più famoso Codice di Hammurabi, più tardo di quasi tre secoli, prevedono la legge del taglione.
Si tratta di uno sforzo poderoso volto a fornire solide fondamenta a uno stato che vuole essere fortemente centralizzato senza trascurare le autonomie cittadine, ma non sarà sufficiente: la III dinastia di Ur è anzi destinata a durare meno dell’impero accadico.
Durante tutto il periodo di Ur III nelle aree della Mesopotamia meridionale si assiste all’espansione di una nuova etnia: gli Amorrei. Il nome indica l’ovest geografico e in effetti si tratta di una popolazione seminomade stanziata da almeno mille anni nella steppa desertica siriana. In questo periodo, forse spinti dalla stessa lunga siccità che aveva costretto i Gutei a scendere dai Monti Zagros, si spostano con i loro ricchissimi greggi nelle zone meno secche dell’alluvio mesopotamico.
Dapprima la convivenza è pacifica – come peraltro lo era stata per almeno duemila anni quella tra i sumeri e i semiti stanziati nel centro nord – ma durante il regno di Shu-Sin, penultimo della dinastia, la pressione dei nuovi arrivati si fa insostenibile e sfocia in scontri armati. Per contenerli, il sovrano fa erigere una muraglia (chiamata “il deterrente di Amurru”) che taglia in due la pianura: è la prima di una lunga serie che giunge fino ai tempi nostri, e come tutte quelle che seguiranno si rivela totalmente inutile. Le scorrerie si intensificano e come sempre gli Elamiti ne approfittano per attaccare i confini orientali. La coesione interna si sfalda.
Durante il regno di Ibbi-Sin si assiste alla progressiva defezione dei centri urbani, che si rifiutano di versare le tasse allo stato centrale. Il fenomeno dapprima periferico si estende alle aree interne del kalam fino a interessare le grandi città meridionali comprese Umma, Uruk e Lagash. Senza l’apporto delle loro tasse il sistema collassa e quando le truppe del re elamita Kindattu entrano in Ur e catturano Ibbi-Sin non fanno altro che sancire un crollo che è già avvenuto.
Con la caduta della III dinastia di Ur i sumeri escono di scena, anche se la loro lingua verrà utilizzata ancora a lungo nelle cerimonie religiose e il bagaglio delle conoscenze acquisite in duemila anni di storia non andrà perduto. Dopo un breve periodo di anarchia, nuovamente dominato da città indipendenti, saranno proprio gli Amorrei a salire al potere, iniziando un periodo di prosperità economica che durerà diversi secoli e determinerà l’ascesa di una nuova città: Babilonia.
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- Giovanni Pettinato – I Sumeri – Bompiani 2007;
- Marc Van De Mieroop – A History of the Ancient Near East ca. 3000-323 b.C. – Wiley 2016;
- Lorenzo Verderame – Introduzione alle culture dell’antica Mesopotamia – Mondadori 2017;
- Davide Nadali e Andrea Polcaro – Archeologia della Mesopotamia antica – Carrocci editore 2018;
- Franco D’agostino – I Sumeri – Hoepli 2020;
- Lucio Milano (a cura di) – Il vicino oriente antico – EncycloMedia Publishers;
- Paolo Gentili – Sargon, re senza rivali – Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze Storiche del Mondo Antico.