CONTENUTO
di Luca Vinotto
L’alba della civiltà: i popoli mesopotamici
Quando nel 331 a.C. Alessandro Magno prese possesso nella città di Babilonia, gli abitanti dichiararono con orgoglio che la loro civiltà risaliva all’inizio dei tempi. Non avevano torto, per lo meno se facciamo coincidere “l’inizio dei tempi” con l’inizio della Storia.
È probabile che considerassero Alessandro e i suoi come gli ennesimi barbari conquistatori. Del resto, la Grecia di Alessandro era nata dodici secoli prima, mentre loro utilizzavano la scrittura cuneiforme già da quattromila anni, abitavano da millenni in città popolate da decine di migliaia di abitanti e per primi avevano sviluppato sofisticate tecniche di irrigazione e controllo delle acque, nuovi metodi di costruzione (compreso l’arco a tutto sesto), posto le basi della matematica, della geometria e dell’astronomia, inventato il carro e l’aratro seminativo, la rotazione delle colture e molto altro ancora.
I motivi per cui proprio in Mesopotamia la civiltà si sviluppa prima che altrove sono sempre state oggetto di dibattito tra gli studiosi. Ma c’è un elemento sul quale tutti concordano: la presenza di popolazioni diverse che convivono nella stessa regione, ispirandosi e completandosi a vicenda, assimilando l’una le conoscenze e la cultura dell’altra e viceversa, è un elemento catalizzatore fondamentale di questo processo.
Del resto, la Mesopotamia e più in generale la Mezzaluna Fertile (che comprende anche la striscia costiera sul Mediterraneo orientale e l’antico Egitto) gode di una posizione geografica unica, costituendo il punto di incontro tra il continente africano, quello europeo e l’asiatico, e quindi è un crocevia naturale di flussi migratori.
Proviamo quindi a capire quali sono le popolazioni coinvolte in questo processo di sviluppo della civiltà. Con una importante premessa: che, per un periodo così antico, il concetto di popolo come “gruppo umano” caratterizzato da caratteri somatici, culturali e linguistici comuni ha una importanza relativa.
Non vi è ancora una netta differenziazione tra “stanziali” e “nomadi” e l’elevata mobilità favorisce il mescolarsi di gente di provenienza diversa. Per cui si può parlare di predominanza locale di una popolazione piuttosto che di un’altra, ma non di un territorio di appartenenza.
Nonostante quel che comunemente si pensa, gli archeologi ci dicono che fu la parte nord della Mesopotamia la prima a essere abitata dall’uomo, non quella meridionale. Fin dal XII millennio a.C. popolazioni di lingua semita si installano in numerosi villaggi lungo il corso dell’Eufrate.
Si tratta di piccoli nuclei dediti alla caccia e alla raccolta, spesso nomadi o seminomadi; nel X millennio a essi si affiancano i primi villaggi di agricoltori, dapprima lungo la fascia pedemontana dei Monti Zagros, una catena che si estende parallela al corso del Tigri dall’Anatolia al Golfo Persico, e quindi in tutto l’alluvio.
Gli abitanti della Mesopotamia
Nei tre millenni successivi i villaggi si moltiplicano, spesso per gemmazione, e si ingrandiscono. Compaiono i primi casi di allevamento della capra e del maiale, insieme al cane i nostri compagni di più lunga data. Nascono le prime forme di differenziazione sociale, basate soprattutto sull’età; le pratiche religiose si fanno più complesse e compaiono accanto a quelle dei comuni mortali le prime abitazioni degli Dei, i templi.
Nasce l’arte della lavorazione dell’argilla. I villaggi sono in contatto l’uno con l’altro e si sviluppano le prime forme di commercio. Nasce così la cultura Hassuna. Ad essa si affianca, con caratteristiche simili, la cultura Samarra, che per prima sviluppa forme arcaiche di irrigazione artificiale e poi quella Halaf, che sviluppa la tecnica di lavorazione della ceramica.
Con la cultura Ubaid (tra il VII e VI millennio), complice il progressivo ritiro delle acque del Golfo Persico, si assiste all’occupazione da parte dell’uomo della Mesopotamia meridionale. L’area è pianeggiante, il terreno fertile e grazie al Tigri e all’Eufrate l’acqua vi abbonda, ma il clima arido, la salinizzazione del suolo e le periodiche inondazioni dei fiumi rendono necessarie opere di irrigazione che coinvolgono intere comunità.
Durante i lavori è necessario coordinare gli sforzi di molti individui e provvedere al loro sostentamento: il Tempio diventa così, da semplice luogo di preghiera, un centro di comando e di raccolta e conservazione delle risorse agricole. Il surplus di produzione, frutto delle più ampie coltivazioni, alimenta un commercio che ormai coinvolge regioni anche lontane. La lavorazione del metallo, rame soprattutto, si intensifica e assume un ruolo sempre più importante. Questa nuova organizzazione sociale si estende progressivamente nel nord della Mesopotamia sostituendosi alle preesistenti.
Mesopotamia: i Sumeri
In questo periodo, forse intorno al 4500 a.C., fa la sua comparsa un’altra etnia, che si affianca e amalgama con quella semitica: i Sumeri. Ho usato il termine “comparsa” non a caso, perché le circostanze che hanno determinato la loro presenza in quella regione sono ancora avvolte dal mistero. L’unica cosa che sappiamo sulla base dei primi testi scritti è che la loro lingua era profondamente diversa da quella parlata dalle popolazioni semite, per cui si ritiene che non fossero autoctoni, ma siano arrivati attraverso un processo di migrazione.
Anche sulla loro provenienza il dibattito è ancora aperto. Gli studiosi propendono per considerarli originari o della valle dell’Indo o delle coste africane di Dilmun (attuale Bahrein). Secondo alcuni autori sarebbero fuggiti dalle regioni costiere dell’India, sommerse dal progressivo innalzamento delle acque dell’oceano conseguente alla fine dell’ultima glaciazione. È una tesi affascinante (ma tutta da confermare) che spiegherebbe il racconto del Diluvio Universale, elaborato dai Sumeri e poi ripreso dalla civiltà ebraica.
In ogni caso, si stabiliscono nella Mesopotamia meridionale dove ben presto diventano l’etnia dominante (a quanto ne sappiamo senza ricorrere a metodi cruenti, ma anzi convivendo pacificamente con i semiti) e danno un impulso fondamentale allo sviluppo della civiltà umana, favorendo la nascita delle prime città e della parola scritta.
Ciò che differenzia una città da un villaggio non è solo la presenza di un maggior numero di esseri umani in un’area circoscritta. La città mesopotamica è il luogo in cui si svolgono una quantità di funzioni specializzate, legate al suo ruolo di centro politico ed economico di un territorio più vasto. Coordinate dal potere centrale, masse di lavoratori sono sottratte permanentemente al lavoro nei campi e impiegate nella realizzazione di opere di interesse comune (canali di irrigazione, edifici pubblici, opere di difesa).
Questo rende necessaria l’amministrazione centralizzata di almeno una parte dei beni prodotti dalla comunità e la loro redistribuzione a chi, svolgendo mansioni diverse, non può contribuire direttamente alla loro realizzazione. La città presuppone, insomma, una organizzazione sofisticata e ben strutturata, con gerarchie e ruoli definiti e accettati dalla comunità.
La civiltà dei Sumeri
Il primo centro abitato con queste caratteristiche è Uruk, sviluppatasi intorno al 3800 a.C. e che viene definitivamente abbandonata solo nel 200 d.C., diventando quindi una delle città più longeve della storia. Situata su uno dei rami con cui l’Eufrate all’epoca si gettava nel Golfo Persico, nel suo periodo di massima espansione (2900 anni prima di Cristo) è circondata da imponenti mura lunghe 9,5 chilometri che racchiudono un’area abitata di 5,5 kmq: dimensioni più che doppie rispetto a quelle raggiunte nel 500 a.C. dall’Atene di Temistocle e pari alla metà di quelle che la stessa Roma imperiale raggiungerà ben 3.000 anni dopo.
Accoglie, oltre a edifici pubblici imponenti (alcuni più ampi del Partenone ateniese), diversi opifici, tra cui una fonderia che occupava un gran numero di lavoranti, segno di elevata specializzazione e organizzazione del lavoro. Sappiamo che i suoi abitanti svolgevano diversi mestieri: oltre al contadino, al pastore e al pescatore troviamo muratori, vasai, fabbri, birrai, tagliapietre, e anche barbieri, fabbricanti di feltro, argentieri, medici, aruspici e oracoli.
L’amministrazione occupa funzionari e scribi con diversi gradi di responsabilità e le attività religiose sono gestite da sacerdoti di rango e con compiti ben differenziati. Alla loro testa c’erano i sanga – capi delle amministrazioni templari – gli shabra, cioè “prefetti” e a capo della città l’En, massima autorità religiosa.
I mercanti, anche loro funzionari al servizio della città, svolgono un ruolo fondamentale perché con loro viaggiano non solo i prodotti di Uruk ma anche le tecniche e le conoscenze sviluppate nella città e il suo stesso modello organizzativo. In questo modo, prima lungo il corso dell’Eufrate e poi in tutta la piana mesopotamica si creano, spesso all’interno di insediamenti semiti preesistenti, vere e proprie colonie urukite. È un fenomeno di enorme importanza per lo sviluppo della regione e il periodo in cui si verifica (dal 3800 al 3100 a.C.) viene giustamente definito periodo di Uruk.
Con il commercio si diffonde anche la conoscenza della parola scritta. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la scrittura non nasce dalla mente geniale di un sapiente alle prese col problema di conservare e tramandare le sue conoscenze, ma dalle necessità ben più prosaiche del mercante che deve rendere conto delle merci di cui è responsabile.
Fin dal IV millennio il carico viaggia accompagnato da sigilli in argilla che ne garantiscono l’integrità (cretulae). Una loro evoluzione, datata intorno al 3400 a.C., è la bulla, costituita da un involucro di argilla contenente piccoli simboli rappresentanti la merce detti token (sfere, coni o dadi integri o forati realizzati in pietra osso o argilla, il cui tipo e numero indica l’entità del carico). Sulla bulla viene impresso il sigillo che ne garantisce l’autenticità; in caso di contestazioni, la si rompe per verificare la concordanza tra i simboli contenuti e la merce effettivamente ricevuta. L’idea è ingegnosa, ma a ogni controllo la bulla va rotta e quindi rifatta.
Nasce quindi l’idea di sostituire i token con dei simboli incisi sulla superficie della bulla, che si appiattisce fino a diventare una tavoletta di argilla grande come il palmo della mano. I simboli, dapprima pittografici, diventano sempre più stilizzati e impressi usando un semplice stilo di legno dalla punta smussata che lascia sull’argilla dei piccoli segni a forma di cuneo.
I simboli aumentano di numero e diventano sempre più sofisticati, il loro significato ormai condiviso in tutta la Mesopotamia. Presto il loro utilizzo travalica quello meramente contabile: nasce il primo sistema di scrittura, chiamato dagli archeologi cuneiforme. Verrà utilizzato per più di 3.000 anni non solo nella piana mesopotamica, ma anche dalle popolazioni dell’altopiano iraniano, dell’Anatolia, della Turchia, della Siria e della Palestina perché ben adattabile alle diverse lingue parlate.
Intorno al 3100 a.C., per ragioni ancora oggetto di studio, la vasta rete di relazioni commerciali e politiche di Uruk entra in crisi e le sue colonie vengono abbandonate. Ma il suo retaggio rimane vivo: il modello urbano, la scrittura, le tecniche e l’organizzazione sociale vengono fatte proprie dalle popolazioni locali che le adattano ai loro usi e costumi. Inizia il così detto Periodo Protodinastico (3100 – 2330 a.C.).
Mesopotamia: i conflitti nel periodo Protodinastico
In Sumer insediamenti preesistenti diventano vere e proprie città-stato e punti di riferimento dell’intera regione: per citarne solo alcuni, Ur, Nippur, Lagash, Eridu, Umma, Adab, Shuruppak a sud e Kish, Akhshak, Sippar, Eshunna, Tutub più a nord. Come già per Uruk, il nuovo modello sociale si basa sulla profonda convinzione che ogni città sia l’abitazione di una specifica divinità, che l’ha fisicamente costruita all’inizio dei tempi.
È il dio, quindi il vero proprietario della terra, dei pascoli, degli opifici e delle abitazioni, che egli ha concesso agli abitanti della città affinché possano soddisfare i loro fabbisogni. A questo concetto è legato al ruolo del Tempio, che rappresentando il volere del dio può disporre dei frutti del lavoro dell’uomo e funge quindi da collettore e ridistributore del surplus di produzione non necessario per il sostentamento. In questo contesto la proprietà privata esiste ma in via solo marginale.
È ovvio quindi che il potere civile coincida con quello religioso e che l’autorità politica coincida con quella religiosa. La produzione è organizzata in “Case”, comunità sottoposte al controllo pubblico formate da decine o centinaia di famiglie che coltivano la terra, allevano le greggi e producono i tessuti per il Tempio e in cambio ricevono razioni di cibo e vestiti sufficienti a sfamare anche gli improduttivi (i bambini, i vecchi e i malati).
Grazie all’apporto della religione il legame tra individuo e città di appartenenza è estremamente solido, molto superiore a quello etnico: non esiste una contrapposizione tra sumeri e semiti, ma tra abitanti di una città piuttosto che di un’altra. Ciò anche perché con la crescita della popolazione e la necessità di mettere a coltura nuove terre le città si trovano a competere per le aree di confine, creando tensioni che sfociano in vere e proprie guerre.
L’emergere dei conflitti determina una ulteriore evoluzione del modello di città-stato. Le città hanno bisogno di una guida militare (Lugal, “Grande Uomo”) che – sulla base delle fonti in nostro possesso – sembra venga scelta da assemblee popolari in una sorta di primitiva elezione democratica. È fatale che tra la guida religiosa e quella militare si apra una contesa per la supremazia all’interno della città: lentamente la seconda prevarrà sulla prima.
L’eredità di Uruk non è però limitata alla piana mesopotamica dai cui confini si fanno avanti nuovi attori. A oriente, gli urukiti avevano stabilito una loro colonia nel preesistente insediamento semita di Susa, situato alle pendici dei monti Zagros. Dopo il 3100 Susa, ormai una città indipendente, cresce in dimensioni e importanza e costituisce, insieme ad altri due centri dell’altopiano iraniano, Ashan e Awan, una federazione destinata a diventare uno stato indicato dai testi mesopotamici come Elam.
La regione dell’Elam – Haltamti in lingua locale – è separata dalla piana mesopotamica dalla catena dei Monti Zagros a nord ovest e da una estesa zona paludosa a sud ovest; questi ostacoli naturali alle comunicazioni favoriscono l’emergere di una cultura a sé stante, con una lingua orale e scritta diversa da quella sumera.
Gli elamiti mantengono una politica ambigua nei confronti della Mesopotamia. Vi sono testimonianze di numerose loro incursioni a scopo di saccheggio, a cui fanno da contraltare le spedizioni degli Ensi mesopotamici in territorio elamita. Certo è che non verranno mai meno i commerci, anzi l’esigenza di tutelare i propri mercanti è spesso il motivo dichiarato degli scontri.
Anche nella parte settentrionale della Mesopotamia si assiste a un fiorire di vecchi e nuovi insediamenti. Tra questi, Mari, Ebla e Nagar, tre città di lingua semitica, assumono importanza soprattutto come centri commerciali fino a costituire veri e propri regni.
Mari viene fondata nel V millennio sulle sponde dell’Eufrate, nella Mesopotamia settentrionale e nel protodinastico rappresenta uno degli snodi dei traffici carovanieri tra la Mesopotamia e il Mediterraneo. I rapporti con le città sumere del sud sono sostanzialmente pacifici, anche se non mancano sporadici scontri, come quello che intorno al 2500 a.C. vede Mari sconfitta da Lagash.
È invece in perenne conflitto con Ebla, anch’essa interessata al controllo dei traffici commerciali tra Mesopotamia, Anatolia e Mediterraneo. Quest’ultima, situata più a nord, alle pendici dei Monti Tauros, in base ai documenti in nostro possesso sembra aver subito a lungo la dominazione del vicino, a cui doveva periodicamente “donare” decine di chili d’oro e d’argento.
Nagar invece si mantiene equidistante tra i due litiganti, limitandosi a temporanee alleanze con Mari o con Ebla a seconda dei suoi interessi in gioco. Mentre le altre due sviluppano usi, costumi, dialetti specifici, Nagar mantiene stretti rapporti con il sud Mesopotamia.
Mesopotamia: Hurriti, Lullubi e Amorrei
Ancora più a nord emerge un’altra città: Hurkesh. I suoi abitanti parlano una lingua completamente diversa sia dai dialetti semitici della Mesopotamia settentrionale che dal sumero: sono gli hurriti, che occupano i monti Tauros. Le prime fonti scritte in lingua hurrita risalgono al I millennio a.C., ma abbiamo evidenza della loro presenza fin dal protodinastico grazie ai documenti rinvenuti in numerosi centri della Mesopotamia che attestano l’esistenza di persone con nomi hurriti occupate soprattutto nell’allevamento delle greggi e nella lavorazione dei metalli.
Probabilmente all’epoca occupano villaggi distribuiti nelle numerose valli della catena montuosa, dedicandosi alla pastorizia. Sono anche provetti ceramisti i cui prodotti vengono esportati fino in Egitto. Dovevano essere anche guerrieri valenti, poiché sono uno dei pochi popoli che i sovrani sargonidi non affrontano con le armi, preferendo una politica di alleanze matrimoniali.
Vicini litigiosi degli Hurriti sono i Lullubi che vivono sui Monti Zagros, a est del Taurus, probabilmente fin dal IV millennio. Non ci sono giunti esempi di loro scritti, per cui quel che sappiamo di loro lo dobbiamo alle scarse informazioni desumibili dai testi mesopotamici. Ne risulta il quadro di una popolazione distribuita in villaggi montani e dedita alla pastorizia, spesso autrice di razzie ai danni delle popolazioni mesopotamiche.
La steppa desertica a ovest dell’Eufrate (nell’attuale Siria centrale, per intenderci) è abitata fin dal 4000 a.C. dalla popolazione seminomade degli Amorrei. Divisi in piccole tribù dedite alla pastorizia, gli Amorrei trascorrono la parte più fredda e piovosa dell’anno spostandosi con le greggi nella steppa semidesertica e quella secca e calda in villaggi vicino all’Eufrate e ai suoi affluenti, spesso in prossimità delle città o dei villaggi a esse collegati. Il rapporto tra popolazioni seminomade e sedentarie è ambivalente.
I due gruppi sono economicamente complementari, essendo specializzati i primi nella produzione di prodotti derivanti dalla pastorizia e i secondi nell’agricoltura e nell’artigianato, per cui gli scambi sono di beneficio per entrambi. Ma lo stile di vita li allontana, poiché per gli abitanti delle città gli insediamenti urbani rappresentano la civiltà e chi è fuori – nel kur, il mondo selvaggio – non può che essere malvagio.
Sono testimoni di questo sentimento numerose tavolette che riportano accuse di furti, assassini e brigantaggio a carico dei nomadi Amorrei. A dispetto della loro cattiva reputazione, durante il Protodinastico si registra la presenza di allevatori, mercanti, persino generali Amorrei in molte città mesopotamiche, specialmente del nord a testimonianza del buon livello di integrazione di quelle genti.
Sumeri, semiti, amorrei, hurriti, elamiti… lingue e dialetti si confondono nella terra tra i due fiumi – e forse è proprio questo elemento, insieme alla magnificenza della Etemenanki, la grande Ziqqurat di Babilonia, che ispirerà più di mille anni dopo il mito ebraico della torre di Babele.
Ma le città-stato di cui abbiamo parlato intrattengono rapporti diplomatici e commerciali anche con genti molto più lontane, perché la piana alluvionale mesopotamica è povera di materie prime che solo i mercanti possono procurare. Sono stati trovati reperti risalenti al Protodinastico che attestano traffici con Meluhha, come veniva chiamata la civiltà della valle dell’Indo, da dove si importano lapislazzuli e altre pietre dure, Magan, l’area attualmente occupata dagli emirati Arabi Uniti e dallo Yemen, da cui arrivano diorite e rame e di cui vengono magnificate le possenti navi in grado di trasportare fino a 20 tonnellate di merce; Dilmun, l’odierna isola del Bahrein, che funge da scalo commerciale per il legno e il rame proveniente probabilmente da regioni africane.
Verso nord, i Monti Tauros degli hurriti forniscono argento, rame e stagno, ma sono già fiorenti i commerci anche con Ugarit in Siria e con Tiro, Byblos e Sidone, situate nell’attuale Libano, l’antica Terra dei Cedri, da cui ne giunge il pregiato legname. Né i traffici commerciali si fermano sulle sponde del Mediterraneo, perché vi sono collegamenti anche con Cipro e con l’Egitto, da cui si importa l’oro.
Ecco il quadro di un sistema basato sulle città stato, fieramente indipendenti e litigiose, ma unite da comuni conoscenze scientifiche, un pantheon condiviso nonostante specificità locali e soprattutto una lingua scritta universalmente conosciuta, il sumero. Ma anche questa situazione è destinata a cambiare presto: con Sargon di Akkad sta per iniziare l’età degli imperi.
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- Marc Van De Mieroop, A History of the Ancient Near East ca. 3000-323 b.C., Wiley 2016
- Lorenzo Verderame, Introduzione alle culture dell’antica Mesopotamia, Mondadori 2017
- Davide Nadali e Andrea Polcaro, Archeologia della Mesopotamia antica, Carrocci editore 2018
- Franco D’agostino, I Sumeri, Hoepli 2020
- Lucio Milano (a cura di), Il vicino oriente antico, EncycloMedia Publishers
- Mario Liverani, Paradiso e dintorni, Laterza Editore 2018