CONTENUTO
Berlino: declinazioni di una ricostruzione
Il tema della memoria in Germania e nella sua capitale è sostanzialmente segnato da diverse dicotomie e da una parola chiave che forse – meglio di qualsiasi altra cosa – riassume il senso delle politiche di memoria finora adottate dai diversi cancellieri: ricostruzione.
Di ricostruzione si parla alla caduta del Muro, in merito ai poderosi progetti di riqualificazione cittadina del cosiddetto Planwerk Innenstadt, il piano di rinnovamento cittadino studiato dall’allora responsabile ai lavori presso il senato di Berlino, Hans Stimman. Tale piano prevedeva la ristrutturazione di intere aree decadenti della ex Berlino est – caratterizzate perlopiù da vecchi prefabbricati in rovina (Plattebauten) -, la riprogettazione degli spazi di Potsdammer Platz – che da centro cittadino si era trasformata in terra di nessuno – a opera di alcuni ricchi investitori, e il mantenimento del patrimonio culturale, nella fattispecie porzioni di Muro, che secondo la visione di Stimman avrebbero dovuto essere preservate ad memento tanto nella loro location originale, quanto in aree predisposte alla loro conservazione.[i]
Di ricostruzione si parla anche riferendosi agli studi sulla memoria collettiva: gli studiosi Etienne François e François Schulze, nel teorizzare i Luoghi di Memoria riferibili al passato nazionale tedesco (Erinnerungsorte)[ii] e creando perciò un modello più adattabile alla Germania, puntarono con forza il focus su quanto il loro scopo non fosse quello di glorificare una nazione – cosa che peraltro sarebbe stata quantomeno difficile – bensì di ricostruire. Ricostruire identità, pacificarsi col proprio passato.[iii]
Tuttavia di ricostruzione si può parlare anche in termini demo antropologici, se con essa intendiamo una ricostruzione della propria memoria nazionale. Diversi musei della capitale, proprio in merito alle politiche di conservazione del patrimonio culturale di cui faremo cenno a breve, hanno aperto i battenti col preciso scopo di preservare memoria. Esemplificativi sono i casi del DDR Museum, del Museo di Checkpoint Charlie e del centro visitatori della Stiftung Berliner Mauer: nel primo caso, l’esposizione è concentrata su oggetti e pratiche del quotidiano della ex Repubblica Democratica tedesca; nel secondo caso, su eventi maggiormente legati ai trent’anni di “vita” del Muro; nel terzo, su una ricca e articolata raccolta di testimonianze delle vittime del regime e delle loro famiglie.
Infine si potrebbe parlare di ricostruzione anche a livello politico e sociale. La capitale tedesca, più di ogni altra, ha dovuto fare pesantemente i conti con gli anni della divisione che di fatto hanno lasciato in eredità un’unica città, ma due culture differenti. L’Ostalgie – spesso oggetto di critica e non pienamente compresa – si presenta tanto come strenua ricerca di un passato ormai andato perduto, quanto come costruzione di una “contro-memoria” alla quale fare riferimento. Il sogno dei cittadini dell’est di fare parte del mondo libero e dell’economia di mercato, si è di fatti scontrato con un occidente che, per forza di cose, ha imposto la propria costituzione (Grundgesetz) e il proprio modello economico (Modell Deutschland) e che nel corso degli anni, forse non è riuscito a soddisfare pienamente desideri e aspettative degli ex cittadini orientali.
Dall’altra parte della lente, anche i cittadini dell’Ovest, hanno dovuto fare i conti con un’immissione imponente nella loro parte di Paese e – perché no, anche nelle loro certezze – di nuovi tedeschi (tedeschi come loro di nascita, ma non tedeschi come loro in termini di identità e cultura nazionale) coi quali, fondamentalmente, fino al giorno prima non vi era stato alcun tipo di rapporto. Se è di ricostruzione – in molte sue declinazioni – che stiamo parlando, pare proprio che la strada da percorrere sia stata in salita e non priva di variabili.
La città e le sue contrapposizioni
Si è fatto anche cenno, in precedenza, alle dicotomie che segnano il tema della memoria e dell’identità nazionale. La prima a cui si può fare riferimento è quella tra Machtversessenheit e Machtvergessenheit. Con questi due termini – in realtà presi in prestito da un discorso del presidente federale Richard Von Weizsäcker – si intendono l’ossessione del potere che caratterizzò la Germania nella prima parte del ventesimo secolo – con le catastrofiche conseguenze che tutti ben conosciamo -, e il suo esatto opposto ovvero l’oblio del potere – sentimento che pervase in particolar modo il settore occidentale, schiacciato – al termine della guerra – dai sensi di colpa per la vergogna nazista e in cerca di una risposta per la divisione del Paese. (Ad est, al contrario, nessuno si sarebbe posto lo stesso problema, dal momento che l’avvento del Comunismo, secondo le intenzioni, aveva denazificato il settore orientale, lasciando la questione nazionalsocialista in mano agli abitanti dell’ovest.)[iv]

Una seconda dicotomia, strettamente legata alla precedente è quella che contrappone normalizzazione e cultura della contrizione (Kultur des Shuldeneingeständnisses): il focus si è spesso spostato tra questi due modelli, i quali puntano l’attenzione l’uno sul dolore tedesco (Deutsches Leid) e che tende a considerare le nuove generazioni come non più portatrici del peso della colpa, e l’altra sul senso di responsabilità che deve ancora oggi caratterizzare i cittadini nel rapportarsi col proprio passato perché non si ripetano più simili sciagure.[v]
A tal proposito, la terza e ultima dicotomia, quella tra Vergangenheitsbewältigung – scesa a patti col passato, e Vergangenheitsaufarbeitung, che col passato invece rappresenta il lavorio ancora in atto, rappresenta il punto finale di questo discorso: in un Paese dapprima ossessionato dalla smania di potere tanto da arrivare a desiderare di dimenticarlo e dove ancora non si riesce a stabilire quale sia la misura del senso di colpa da portarsi sulle spalle, pare evidente che il passato nazionale non possa essere ancora consegnato ai libri di storia, ma che al contrario, ci sia ancora molto su cui lavorare.
Politica storica: tra educazione civica e studi di memoria
Questa costante attività di rielaborazione del passato ci introduce in un altro aspetto importante del presente articolo: quello riguardante la politica storica della città di Berlino. Ogni cancelliere a partire da Helmut Kohl – che traghettò la Germania verso la riunificazione -, a finire con Angela Merkel (si termina volutamente qui poiché i pochi mesi di cancellierato di Olaf Scholz ancora non ci consentono una visione chiara della sua idea), ha lasciato il suo contributo in merito alla questione memoriale anche se è stato proprio con la Merkel che questa stessa questione si è finalmente chiarita in molti suoi aspetti.
Quella che per Kohl era infatti una partita da giocare quasi esclusivamente sul campo della normalizzazione e che, al contrario, per Gehrard Schroeder si giocava sul senso di responsabilità dei cittadini tedeschi, con Angela Merkel si fuse accorpando ambedue le visioni. A voler rappresentare graficamente questo problema si potrebbe sfruttare la figura di un cono al cui vertice troviamo la cosiddetta Geschichtspolitik, la politica storica adottata dalla città di Berlino, e alla cui base troviamo le due grandi direttrici in cui Merkel la divise: da un lato si parla di Erinnerungskultur – cultura del ricordo – una forma di political literacy da adottarsi, per i berlinesi e in linea generale per ogni cittadino tedesco, come base di una buona educazione civica e politica; dall’altra troviamo la Politik des Gedenkens, politica di memoria a carico dello stato e delle istituzioni che si impegnano nel tramandare e ricordare i fatti tramite eventi e commemorazioni.[vi]
Lo stesso Gesamtkonzept del 2006, il grande piano studiato dal senato di Berlino in memoria del Muro, rientra a pieno titolo in questo ordine di idee: scopo del Gesamtkonzept, così come si legge dagli atti della sua approvazione in senato, datata 20 giugno 2006, è quello infatti di individuare – all’interno della città – alcuni luoghi simbolo per la commemorazione delle vittime (tra cui spicca la Gedenkstätte Berliner Mauer, sita in Bernauerstrasse), nonché decidere come gestire le porzioni di Muro rimaste in piedi (famosissima la East Side Gallery) e costruire un percorso memoriale – il famoso Mauerweg – lungo tutto il tragitto percorso dal Muro, fuori e dentro il perimetro urbano.
A ben pensare, le linee guida del Gesamtkonzept non differiscono da quelli che erano stati i principi del suo predecessore, il Planwerk Innestadt: già nei primi anni novanta, infatti, l’ambizioso piano di riqualificazione cittadina aveva tra i suoi capisaldi quello del mantenimento degli heritage e dell’assoluto rispetto per la memoria cittadina, ben lontani dal rischio di gentrificazione che ad oggi coinvolge molte città europee, Berlino compresa, e che rischia di trasformare i luoghi di memoria in meri parchi di divertimento per famiglie benestanti e turisti poco interessati a conoscere la storia.

A tal proposito, percorrere la strada dei Memory Studies, potrebbe essere un buon punto di partenza perché una città come Berlino si difenda questo rischio: gli studi sulla memoria storica sono di fatti una disciplina relativamente nuova, che può potenzialmente ridisegnare nuove frontiere nello studio della storia.[vii] Materia di interesse è infatti la memoria, ma declinata in tutte le sue sfumature, partendo da aspetti prettamente psicologici e finendo a discipline di diversa natura come l’antropologia, la sociologia, la filosofia e il diritto. Un sempre maggior interesse, nel dibattito storico, sul tema della memoria storica – individuale e collettiva, privata o istituzionale – mette infatti sul tavolo nuovi temi, apre nuovi scenari e induce a nuovi progetti.
Questa nuova frontiera nello studio di tali problematiche, oltre ad essere estremamente interessante dal punto di vista disciplinare, può rivelarsi anche molto funzionale: per esempio, nel caso della città di Berlino, la sua storia così gravosa la rende – a mio parere – drammaticamente diversa rispetto ad altre capitali europee. Il suo fascino e la sua complessità architettonica e culturale risiedono infatti nella comprensione degli eventi storici che l’hanno segnata: non per nulla, come citato poco sopra, diventano molto apprezzabili e di grande interesse e rilevanza nell’ambito dei Memory Studies, le iniziative e le esposizioni di diversi musei della città, che proprio della memoria fanno la loro cifra.
Il loro lavoro, accompagnato da quello di svariate fondazioni e associazioni cittadine (Geschichtewerkstätten), difende il patrimonio culturale materiale e immateriale; preserva il ricordo; radica memoria e cultura nazionale. Se – per parafrasare Pierre Nora – il reale ambiente di memoria si perde, altro non resta da fare se non difendere ciò che ne rimane costruendo e preservando Lieux de Mémoire che ci ricordino da dove veniamo e che soprattutto, ci siano di indicazione per dove stiamo andando.
Una bellissima citazione della scrittrice Christa Wolf, a conclusione di questo articolo, ben ci aiuta a comprendere il clima di disperazione di una città destinata a dividersi e che, dopo anni di sofferenza, merita che le proprie memorie e la propria identità vengano difese, comprese e tramandate.
“Un tempo, le coppie d’amanti prima di separarsi cercavano una stella, su cui i loro sguardi la sera potessero incontrarsi. Che cosa dobbiamo cercare noi? «Il cielo, almeno non possono dividerlo» disse Manfred beffardo. Il cielo? Tutta questa cupola si speranza e di anelito, di amore e di tristezza? «Sì invece» disse lei piano. «Il cielo è sempre il primo a essere diviso.» (C. Wolf, “Il cielo diviso” – 1963)
Note:
[i]D. Bocquet, Il muratore che ha dominato la scena di Berlino di quindici anni in “Il giornale dell’architettura” (2007, n. 45), p. 28
[ii]Per “Luoghi di Memoria” si fa riferimento agli studi dello storico francese Pierre Nora il quale li definisce come ‹‹tutto ciò che di materiale e immateriale (facente riferimento al passato di quel Paese N.d.A.) viene condiviso da un popolo perché diventi elemento distintivo della propria identità nazionale.››
[iii]Il progetto sugli Erinnerungsorte venne introdotto dai due studiosi proprio in questi termini durante la sua presentazione presso il centro studi Marc Bloch di Berlino, nel 1995.
[iv]R. Wittlinger, German National Identity in the Twenty-First Century, (Basingstoke, PalgraveMcmillan, 2010) p. 4
[v]R. Wittlinger, The Merkel Government’s politics of the past, in: “German Politics and Society” (2008, Uscita n.89, Vol. 26, n.4), p. 11
[vi]H.M. Harrison, After the Berlin Wall and the making of the new Germany, (Cambridge, Cambridge University Press, 2019), p. 18.
[vii]T.V. Pushkareva, Estudios de la memoria en el conocimiento sociohumanista: la génesis del nuevo.
paradigma, in: “Espacios” (2019, Vol. 40, n. 35) p. 23
Un bel video, creato per Focus Junior, che spiega molto bene la storia di Berlino divisa anche ai ragazzi, si trova alla pagina https://www.youtube.com/watch?v=h-2qPoUtOi4
De “Il cielo diviso” è stato girato anche un film, datato 1964, rigorosamente in lingua tedesca. Si rimanda alla recensione e a un breve podcast di commento al sito https://www.filmtv.it/film/43507/il-cielo-diviso/
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- Funder, A., C’era una volta la DDR, di B. Amato, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2020 [2004].
- Ricoeur, P., La memoria, la storia, l’oblio, di G. Grampa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003.
- VV., Heritography. Per una geografia del patrimonio culturale vissuto e rappresentato, Aracne, Aprilia (LT), 2021.