CONTENUTO
Ideologia democratica alla base del mazzinianesimo
Per comprendere da vicino il pensiero di Mazzini bisogna soffermarsi in primis su quel processo che, secondo gli storici, porterà all’unità dello Stato italiano, all’indipendenza e all’identità nazionale: il Risorgimento. Tale nome allude al riscatto da una condizione di servitù o di decadenza morale, ad una rinascita culturale e politica. In verità, il termine Risorgimento allude ad un’esperienza di unità sconosciuta all’Italia del primo Ottocento. Infatti, per trovare un chiaro esempio di unione politica bisognerebbe risalire fino ai tempi dell’Impero romano o all’età dei Comuni, seppur in circostanze e contesti differenti.
I primi decenni dell’Ottocento sono caratterizzati non solo da insurrezioni e moti rivoluzionari, ma anche da un acceso dibattito politico e culturale sui mezzi da impiegare per unire l’Italia. Una polemica intensa, aspra, che continuerà a condizionare la vita politica anche dopo il raggiungimento dell’unità. Sono due le principali correnti che vediamo contrapporsi: quella moderata (destra risorgimentale) e quella democratica (sinistra risorgimentale).
Per i moderati il raggiungimento dell’unificazione nazionale può essere garantito solo attraverso il sostegno dei sovrani e deve avvenire in modo graduale; secondo i democratici, invece, dopo il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta che avevano mostrato l’inaffidabilità dei sovrani, bisogna puntare sul coinvolgimento del popolo, e di conseguenza il nuovo stato dovrà essere una repubblica democratica.
Giuseppe Mazzini si colloca tra gli intellettuali della cosiddetta “sinistra risorgimentale”. Fin da subito è interessato alle questioni politiche, con una visione democratica e fortemente patriottica; aderisce ad una società segreta, la Carboneria, nel 1827. Circa tre anni dopo è arrestato e posto davanti alla scelta di un esilio o il confino in un piccolo paese del Piemonte, sceglie l’esilio e si reca a Marsiglia. È proprio durante l’esilio francese che entra in contatto con le correnti più democratiche d’Europa e con i maggiori esponenti dell’emigrazione democratica, tra tutti Filippo Buonarroti.
Dopo il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta, Mazzini comprende che la struttura, i metodi e le strategie della Carboneria sono poco efficaci per ottenere la tanto desiderata unità nazionale, infatti queste sono segnate da alcuni errori di fondo. In particolare, secondo l’intellettuale genovese, bisogna eliminare la segretezza del programma che costituisce un forte limite poiché rende impossibile il coinvolgimento popolare, il quale, invece, è estremamente necessario.
La Giovine Italia
Mazzini assiste in prima persona all’esito fallimentare delle insurrezioni. Poiché intuisce che la Carboneria sia poco modificabile, decide di fondare una nuova organizzazione politica, la Giovine Italia, con l’intenzione di unire il paese liberandolo dal governo dispotico dei sovrani.
L’organizzazione, che nasce in Francia nel 1831, adotta come vessillo la bandiera tricolore e si pone l’obiettivo di far diventare l’Italia «una, libera, indipendente e repubblicana». Tale organizzazione, anziché nascondere ai propri iscritti i suoi scopi ultimi, rende noti e propaganda apertamente i suoi princìpi fondamentali, svolgendo così un’opera di continua educazione politica.
Dunque, Mazzini propone un chiaro programma politico che si fonda sull’idea di un’Italia indipendente, unitaria e repubblicana; per questo motivo viene considerato il degno erede della tradizione giacobina. Egli, infatti, non ammette alcun compromesso con il principio monarchico e rifiuta ogni soluzione di tipo federalistico, pur preservando ampie autonomie per i comuni.
Per tale ragione, secondo Mazzini, la via per raggiungere l’unità e l’indipendenza è l’insurrezione di popolo, di tutto il popolo, senza distinzioni di classe. Nel manifesto della Giovine Italia Mazzini afferma:
«I mezzi dei quali la Giovine Italia deve servirsi per raggiungere lo scopo sono l’educazione e l’insurrezione. Questi due mezzi devono usarsi concordemente e armonizzarsi».
E ancora
«l’educazione, cogli scritti, coll’esempio, colla parola, deve conchiudersi sempre alla necessità e alla predicazione dell’insurrezione».
Egli ritiene inoltre necessario formare la coscienza politica del popolo persuadendolo che l’inevitabile metodo insurrezionale sia l’unica strada per giungere all’indipendenza nazionale. Dunque educazione e insurrezione non devono essere fini a se stesse, ma sono l’una condizione dell’altra. Bisogna infatti predicare l’insurrezione che, a sua volta, conduce al principio di educazione nazionale.
Così la Giovine Italia si afferma all’interno del panorama politico italiano come un fatto nuovo ed estremamente rivoluzionario. Questo accade sia perché si discosta dall’elitarismo delle società segrete, sia perché assume sempre più la forma dei partiti moderni. In poco tempo la nuova organizzazione arriva a contare diverse migliaia di aderenti, anche se concentrati a livello geografico e sociale.
Infatti, la maggior parte degli iscritti si contano in Lombardia, Liguria, Toscana, nello Stato Pontificio, meno in Piemonte, quasi nessuno nel Regno delle Due Sicilie. A livello sociale gli aderenti provengono dalle classi medie e popolari urbane, pochi sono i consensi tra le fila dell’alta borghesia e quasi nessuno tra i contadini. Un illustre personaggio storico che aderisce alla Giovine Italia, ma che poi ne prenderà le distanze a causa delle posizioni radicali di Mazzini, è Giuseppe Garibaldi.
La religiosità romantica
La religiosità di Mazzini è tipicamente romantica e ben diversa dalla visione cristiana tradizionale. Ad esempio, la rivelazione di Dio è sempre e costantemente in divenire, secondo la concezione romantica del progresso. Di conseguenza, per Mazzini, risulta inconcepibile che la rivelazione possa concretizzarsi solo in un evento storico come quello dell’Incarnazione di Gesù Cristo, o meglio che è avvenuta anche in quell’evento, ma non si è realizzata solo in quel momento.
Pertanto Dio si identifica con lo spirito presente costantemente nella storia e, in ultima analisi, si realizza nella stessa umanità. Gli ideali di libertà e di progresso umano vanno vissuti come una fede religiosa. All’interno della Storia, gli individui e i diversi popoli sono chiamati da Dio a contribuire al bene dell’umanità: mentre gli individui devono adempiere ai doveri personali, i popoli – come strumenti di un disegno divino – devono realizzare la loro missione storica. È proprio da qui che deriva la celebre espressione mazziniana «Dio e popolo».
Se la Roma dei Cesari aveva unificato politicamente l’Europa e aveva dominato il mondo con la forza delle armi, la Roma dei papi l’aveva assoggettata sotto un’unica autorità religiosa per mezzo della forza dello Spirito, ora si assiste all’avvento della terza Roma, quella del popolo, con il compito di illuminare il mondo e centro di una nuova unità morale e sociale di tutti i popoli della terra.
Questa, dunque, è la missione storica dell’Italia: impugnando la bandiera delle nazioni oppresse, sarebbe dovuta essere d’esempio al mondo, cercando di abbattere i due pilastri principali del vecchio ordine su cui poggiavano il sistema politico e religioso, l’Impero asburgico e lo Stato pontificio.
Mazzini è un severo critico dell’individualismo settecentesco e, di conseguenza, sostiene il principio di associazione o associazionismo: l’individuo, per raggiungere la libertà, deve essere parte integrante della famiglia, al di sopra della quale si considera la nazione che, associandosi con altre nazioni, forma l’umanità. Come gli individui anche i popoli devono associarsi per cooperare al bene comune.
Come si è visto, la visione di Mazzini è profondamente spirituale. In una tale concezione fondata sui valori dell’idealismo romantico e sulla tensione verso l’unità, non c’è posto per teorie materialistiche, “economicistiche”, né per tematiche legate alla lotta di classe. Di conseguenza si può notare un’esplicita e totale avversione alla concezione materialista di Marx. Inoltre egli considera pericolosa qualsiasi teoria o principio – come la lotta di classe – che possa provocare una rottura dell’unità spirituale del popolo e che tenda a dividere la collettività nazionale.
Va precisato che Mazzini non è totalmente disinteressato alla questione sociale ma, al contrario, è attento ai problemi e favorevole a intraprendere le riforme. Tuttavia difende il diritto di proprietà come base dell’ordine sociale. Dunque, la questione sociale andrebbe risolta attraverso il principio di associazione: infatti si impegna nella fondazione di alcune cooperative e nella garanzia dei diritti degli operai.
Mazzinianesimo: pensiero e azione
«Quale è dunque il da farsi? Predicare, Combattere, Agire».
Con queste parole Mazzini conclude il secondo capitolo di un opuscolo pubblicato in francese nel 1835 e intitolato Fede e avvenire. Secondo Mazzini, infatti, il pensiero teorico non va mai separato dall’azione concreta. È necessario pensare ma anche agire. È proprio da qui che trae origine una sua celebre formula «pensiero e azione». Nonostante ciò, i limiti e le debolezze principali del pensiero mazziniano si rivelano proprio nell’azione. Mazzini e i suoi seguaci non aspettano le condizioni favorevoli per mettere in atto i loro progetti e organizzano, tra gli anni Trenta e Quaranta, una serie di insurrezioni in Italia.
Nel 1833 viene scoperta una congiura in Piemonte, dove la Giovine Italia è riunita, ma si assiste a decine di arresti e a più di venti condanne a morte. L’anno successivo, nel 1834, viene bloccato sul nascere un progetto rivoluzionario che si sarebbe dovuto concretizzare in contemporanea a Savoia e a Genova. Il fallimento disastroso delle spedizioni, seguìto dall’arresto di alcuni mazziniani nel regno Lombardo-Veneto e in Toscana, rappresenta un duro colpo sia per il prestigio di Mazzini, sia per la credibilità nei confronti dei suoi seguaci, ma soprattutto per l’attività della Giovine Italia.
In questi anni Mazzini viene privato di molti dei migliori collaboratori e, in pochi mesi, è costretto ad affrontare alcune difficoltà personali (come l’espulsione dalla Francia e dalla Svizzera), compresa una profonda crisi di coscienza, nota come «tempesta del dubbio». Infatti, è proprio dagli scritti di quel periodo che emerge tutta la disperazione per aver sacrificato tante vite, tra cui quelle di veri amici come Jacopo Ruffini, in tentativi destinati al fallimento.
Dopo qualche tempo egli riesce a superare tale crisi, convincendosi che la vita è una “missione” da compiere nonostante le gravi e impreviste difficoltà, e che la “santità” della causa per cui si lotta giustifichi anche i sacrifici più dolorosi. Sempre nel ’34, insieme ad altri esuli, cerca di dar vita alla Giovine Europa, un’iniziativa che ha un valore simbolico più che operativo. Riuscirà nel 1840 a rifondare la Giovine Italia e a riprendere i contatti con i gruppi clandestini operanti nel paese.
I tentativi insurrezionali dei seguaci del mazzinianesimo
Negli anni ’43 e ’45 si assiste ad altri tentativi di insurrezione che falliranno miseramente, come nel caso di due moti nello Stato pontificio, e nello specifico, nella Romagna. Un altro episodio emblematico avviene in Calabria, in cui fallisce una spedizione organizzata dai due giovani fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali della marina austriaca e membri della Giovine Italia, i quali sperano di far sollevare le masse contadine contro il governo borbonico.
La popolazione però rimane indifferente e i due fratelli vengono catturati e uccisi insieme ad altri compagni. In verità, bisogna precisare che, né i moti nello stato pontificio né l’insurrezione in Calabria erano stati organizzati da Mazzini, il quale si era dissociato esprimendo un parere negativo sull’opportunità di queste iniziative. Il tramonto definitivo di quelle insurrezioni contribuisce ad alimentare l’insoddisfazione e le aspre critiche nei confronti dei metodi mazziniani, inoltre aumentano in modo esponenziale le polemiche da parte dei moderati, i quali lo accusano di influenzare, attraverso il suo credo rivoluzionario, l’intera gioventù italiana spingendola ad un inutile sacrificio.
Andando avanti con gli eventi, dopo la fine Prima guerra di indipendenza e dopo la breve parentesi della Repubblica Romana, mentre l’immagine del Regno di Sardegna si rafforza grazie alla politica cavouriana, che si propone di realizzare l’unità nazionale sotto la guida di Casa Savoia e di affidarsi alla diplomazia e alle armi di questa, ulteriori iniziative insurrezionali dei democratici falliscono miseramente. Nonostante le continue sconfitte, Mazzini e i mazziniani non cambiano strategia, rimanendo fortemente convinti che l’unità italiana potrebbe scaturire da un moto insurrezionale e potrebbe attuarsi solo attraverso la ripresa del processo rivoluzionario.
Gli anni 1851 e 1852 si contraddistinguono per il forte controllo e la repressione ad opera dell’Impero asburgico. La polizia austriaca inferisce duri colpi all’organizzazione: si assiste a numerosi arresti e molte condanne capitali emanate dai tribunali militari. A Belfiore, vicino Mantova, vengono impiccati nove patrioti. Nel 1853 Mazzini ritiene di poter tentare, con un colpo clamoroso, l’insurrezione a Milano. Circa duecento, tra operai e artigiani assalgono con armi precarie i posti di guardia austriaci; il moto però è facilmente represso con conseguenti arresti e nuove condanne a morte.
Il più celebre tentativo di insurrezione in quegli anni è stato quello guidato da Carlo Pisacane, la spedizione di Sapri, nel Regno delle due Sicilie. Secondo Pisacane è necessario che l’Italia meridionale offra il terreno più adatto per la rivoluzione; bisogna dunque fare leva sulle misere condizioni dei contadini soprattutto del sud, e sfruttare le caratteristiche di paese arretrato con una borghesia debole per avviare il processo rivoluzionario.
Così, nel giugno del 1857, Pisacane si imbarca a Genova con alcuni compagni dopo aver sequestrato un piroscafo di linea, se ne impadronisce e lo dirige verso l’isola di Ponza, sede di un carcere borbonico. Dopo aver liberato circa trecento detenuti, sbarca a Sapri con l’intento di innescare una rivolta, ma il suo progetto svanisce miseramente, trasformandosi in una vera e propria tragedia. Manca soprattutto la tanto attesa e sperata adesione dei contadini.
Questi ultimi collaborano inaspettatamente con l’esercito borbonico nella repressione della rivolta. Vedendosi perduto, tradito dalle stesse forze su cui aveva posto tutte le sue speranze, e gravemente ferito, Pisacane si uccide per non cadere prigioniero. Il fallimento dei tentativi rivoluzionari convince sempre più l’opinione pubblica italiana che vi è una sola strada per il riscatto nazionale: la via moderata e filosabauda proposta da Cavour.
Il rapporto tra Mazzini e Garibaldi
I due si incontrano per la prima volta a Marsiglia nel 1833, due personalità differenti, due uomini che non possono immaginare l’autorevolezza che avranno tra i loro contemporanei e soprattutto la forte risonanza che avranno nei secoli successivi. Nonostante i numerosi conflitti e i contrasti per le differenti vedute, risultano evidenti l’assoluto rispetto e la reciproca influenza che contraddistinguono il rapporto tra i due. Sebbene in passato la rappresentazione popolare parlava di un legame molto stretto tra Garibaldi, Mazzini e la Repubblica, i due uomini ebbero un rapporto continuo ma tormentato. Si può certamente affermare che Garibaldi è l’incarnazione pratica delle idee mazziniane, ma non solo.
Inizialmente Garibaldi aderisce alla Giovine Italia motivato dal comune obiettivo di liberazione nazionale dallo straniero, sostenuto dagli ideali di giustizia sociale, di democrazia repubblicana e di fratellanza tra i popoli. Egli tornato dall’America Latina, nella quale lottò energicamente per la libertà di quelle terre, mantiene rapporti saldi e continuativi con Mazzini.
Il momento di massima convergenza tra i due è la breve esperienza della Repubblica Romana (9 febbraio – 4 luglio 1949) per la costante presenza di Garibaldi a sua difesa. I repubblicani, dopo aver affidato i pieni poteri ad un triunvirato formato da Mazzini, Armellini e Saffi, organizzano una resistenza contro le truppe francesi, chiamate in aiuto da papa Pio IX. Nonostante una difesa accorta ed efficace, nella quale si distingue lo stesso Garibaldi, le truppe francesi, spagnole e borboniche attaccano Roma che cade sotto i colpi di forze militari sicuramente meglio equipaggiate ed organizzate.
Negli anni successivi i rapporti cominciano ad incrinarsi sia per i differenti punti di vista, sia per la scelta strategie da utilizzare concretamente. Come afferma lo storico Paul Ginsborg, mentre Mazzini accentua l’importanza di una insurrezione generale da innescare nelle città, per contro Garibaldi è a favore della campagna e del mare aperto come il terreno più adatto alle sue tattiche di guerriglia. Le città non devono essere ignorate, anzi, la loro conquista deve rappresentare l’apice dell’insurrezione e la loro difesa un’arte.
Ma Garibaldi, durante la sua lunga carriera militare, è sempre alla ricerca di spazio, di una superficie aperta dove poter sfruttare al massimo il suo genio di capo guerrigliero. Contrariamente a Mazzini, Garibaldi crede moltissimo nei poteri assoluti del capo e dice spesso che quando la nave corre pericolo di naufragare è dovere del capitano prendere saldamente e coraggiosamente il timone in mano.
La spedizione dei Mille porta un’enorme popolarità a Garibaldi che, a differenza di Mazzini, mira in primo luogo all’indipendenza e all’unificazione italiana. Garibaldi è democratico e monarchico al tempo stesso, ma critico verso Mazzini, del quale non sopporta l’astratto dottrinarismo e l’intransigente dogmatismo, come risulta da un suo scritto : «Io conosco le masse italiane meglio di Mazzini perché sono sempre vissuto in mezzo ad esse; Mazzini, invece, conosce solo un’Italia intellettuale».
Proprio la scelta di appoggiarsi ai Savoia non è condivisa da Mazzini, il quale ha sempre combattuto l’idea di rivolgersi ai sovrani per raggiungere l’unità e l’indipedenza dell’Italia. Inoltre Mazzini non vede di buon occhio l’avvicinamento di Garibaldi alla politica di Cavour.
A tal proposito è opportuno ricordare una lettera scritta da Garibaldi nel 1854 e rivolta a Mazzini, dalla quale emerge un Garibaldi più moderato e politico rispetto agli anni della gioventù, che spiega a Mazzini la scelta di appoggiare il Regno di Sardegna come guida del processo di unificazione nazionale, esponendo i seguenti motivi: il governo piemontese sembra essere l’unica forza in grado di riunire attorno a sé le diverse anime del movimento patriottico; la distanza dei contadini dalla causa patriottica impedisce l’avvio di una rivoluzione popolare; infine il raggiungimento dell’indipendenza deve avere la priorità rispetto alla forma politica del futuro stato.
Ciò che vuole evidenziare Garibaldi in primis è la necessità di appoggiarsi ad un’entità statale già esistente, sfruttando la sua organizzazione militare e la sua ambizione per raggiungere l’obiettivo dell’unità d’Italia. Inoltre Garibaldi mostra il suo scetticismo nei confronti degli ideali democratici e repubblicani per ottenere l’indipendenza italiana, ritenendo utopistica la possibilità di una rivoluzione condotta dalle masse e considerando impossibile coinvolgere i contadini nel movimento di liberazione e indipendenza.
Garibaldi sembra prevedere ciò che accadrà pochi anni più tardi in seguito alla spedizione di Sapri. Ed infine il tentativo di Garibaldi è quello di convincere Mazzini ad anteporre le esigenze dell’azione ai discorsi politici, sulla forma del futuro stato italiano, considerati frivoli. La lettera, infatti, si chiude con la richiesta a Mazzini di abbandonare l’eccessiva radicalità nelle sue posizioni e la pregiudiziale repubblicana, sostenendo invece la causa dell’indipendenza sotto la monarchia sabauda.
Seppur Garibaldi da un lato è consapevole che sta chiedendo a Mazzini di assumere una posizione inconciliabile con tutto ciò che aveva sostenuto per tutta la vita, è anche consapevole del prestigio di cui ancora gode il fondatore della Giovine Italia presso numerosi patrioti italiani.
Nonostante le divergenze e le incomprensioni, i due vedono realizzarsi alcuni dei loro programmi politici. La Seconda guerra di indipendenza e l’impresa dei Mille portano alla proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861. Mazzini, ovviamente, non risparmia aspre critiche alla decisione di consegnare a Vittorio Emanuele II, senza alcuna contropartita, tutte le terre conquistate da Garibaldi.
Dunque, da un lato Garibaldi rappresenta per l’Italia e per tanti popoli l’eroe romantico per eccellenza, sempre pronto all’avventura seguendo l’istinto, la passione per la politica, e i sentimenti, dall’altro lato Mazzini brillante pensatore, illustre intellettuale, è uno tra i primi politici democratici europei, che dedica l’intera vita al perseguimento degli stessi ideali con una visione più politica e proiettata – con maggior lungimiranza – verso un futuro di democrazia repubblicana. Quest’ultima in Italia vedrà la luce solo al termine della Seconda guerra mondiale, con la nascita della Costituzione della Repubblica Italiana.
L’eredità del pensiero di Mazzini
Come è stato ampiamente detto, Mazzini muove da un intento pedagogico educativo: egli infatti vuole educare il popolo a quello che ritiene essere un concetto giusto di religiosità. Mazzini, inoltre, è fortemente critico sulla questione italiana e sui difetti che vede indissolubilmente legati al popolo italiano. A tal riguardo insiste molto sull’educazione del popolo, la quale risulta essere l’unica strada per giungere ad una democrazia compiuta.
In questo modo però si corre il rischio di spingere Mazzini verso un’interpretazione elitaria e paternalistica. In molte epoche storiche, infatti, alcune entità politiche, compreso il fascismo, hanno tentato di appropriarsi di Mazzini. Va ricordato però che i partiti fondati sugli ideali di Mazzini, come il Partito d’azione e il Partito repubblicano sono rimasti minoritari nel panorama italiano.
Le idee di Mazzini hanno ispirato i momenti più alti della storia nazionale fra i due secoli, Ottocento e Novecento; basti pensare sia a una larga parte del Risorgimento, sia a quello che viene chiamato il “secondo” Risorgimento, cioè la Resistenza. Ancora oggi Mazzini è inevitabilmente oggetto di studio e la sua figura è all’origine di numerosi dibattiti: ad esempio, il rapporto tra Mazzini e il nazionalismo conduce gli storici a sostenere interpretazioni contrastanti.
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- G. Mazzini, Antologia degli scritti politici, a cura di G. Galasso, Il Mulino, Bologna 1961.
- G. Mazzini, Dal Concilio a Dio e altri scritti religiosi, a cura di A. Panerini, Claudiana, Torino 2011.
- G. Mazzini, Dei doveri dell’uomo, a cura di M. Scioscioli, Editori Riuniti Univ. Press., Roma 2011.
- G. Belardelli, Mazzini, Il Mulino, Roma 2011