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Le origini della mafia siciliana
Per riuscire ad apprendere al meglio i motivi per cui il fascismo cerca, in tutti i modi, di sconfiggere la mafia in Sicilia, è doveroso addentrarsi nelle radici da cui, molto probabilmente, è nato il fenomeno mafioso. Le fonti scritte ci attestano che la “mafia” esce allo scoperto, all’incirca, nel 1838. È l’anno in cui il procuratore borbonico Pietro Cala Ulloa redige un documento in cui parla apertamente, per la prima volta, dell’esistenza di “sette” governate da un unico capo che vengono definite “governi nel Governo”.
Ultimamente, però, gli studiosi vogliono porre come anno definitivo per la nascita della mafia il 1812. Perché? Perché è l’anno in cui viene abolito definitivamente il sistema feudale. Il sistema feudale consiste in un insieme di poteri e diritti esercitato su un pezzo di territorio. I padroni del feudo gestiscono l’economia, la giustizia e le persone che ci vivono e lavorano per i rispettivi padroni. Questo sistema viene utilizzato per tanti secoli in varie parti d’Italia, ma soprattutto permane nella zona mediterranea.
È per questo motivo che l’abolizione del suddetto metodo porta la mafia a compiere i primi passi per addentrarsi definitivamente nella cultura isolana. Continuando a garantire il sistema feudale e promettendo terre e protezione ai contadini, la macchina mafiosa diventa così il “governo” da ascoltare e a cui fare riferimento per continuare a vivere seguendo i propri metodi e tradizioni.
Sono anche gli anni della diffusione del brigantaggio: fenomeno sviluppatosi nel Sud Italia fino alla fine del XIX secolo per contrastare la fame e altri aspetti sociali di cui i governi si sono sempre tenuti lontani. Molti studiosi tendono a far coincidere la nascita della mafia con il brigantaggio proprio per alcune caratteristiche comuni tra cui: la provenienza da uno strato sociale povero e l’utilizzo incessante della violenza.
In realtà, la mafia non è nata dai ceti bassi come siamo abituati a credere, ma è nata dalla nobiltà, l’unica classe sociale in grado di mantenere il potere locale. Il problema mafioso è assai molto complesso da studiare e comprendere, ma grazie agli storici come, ad esempio, Salvatore Lupo siamo in grado oggi di affermare che la mafia, come ogni fenomeno sociale, muta la sua forma per convenienza. Per questo motivo, possiamo parlare di vecchia mafia e nuova mafia.
Per vecchia mafia si intende quella mafia “nobile”, controllata dai ceti sociali più alti, quella più silenziosa e nascosta. Per nuova mafia, invece, si intende il fenomeno mafioso nato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e che ancora oggi persiste: s’intende una mafia molto più esposta, superficiale e pretenziosa.
Cesare Primo Mori: il prefetto di ferro
L’idea principale di Benito Mussolini è quella di fascistizzare interamente l’Italia. Perciò, nei primi anni del potere, il Duce si concentra molto sulla cosiddetta questione meridionale perché è un buon motivo sia politico che di propaganda. Inoltre, il passaggio da vecchia a nuova mafia è sempre più evidente e ciò compromette il progetto politico del fascismo.
Il regime, quindi, cerca di far leva il più possibile sulla mentalità sicula grazie ad un progetto agrario di propaganda. Perché? Perché il mondo agrario è la preda prediletta della mafia. Lo scopo del fascismo risulta, quindi, quello di far comprendere ai siciliani l’importanza dello Stato e della sua presenza. Ecco che allora Mussolini gioca la sua carta: il generale Cesare Primo Mori.
Mori nasce a Pavia nel 1872 e fin da giovanissimo studia all’Accademia militare di Torino. Dopo svariati lavori nel campo delle forze dell’ordine, nel 1924 viene mandato nella città di Trapani, in Sicilia, per due motivi: il primo è connesso alla vittoria elettorale dei socialisti nella medesima città e il secondo è per la mafia, molto diffusa nella zona del trapanese.
Mori viene scelto da Mussolini proprio per il suo carattere autoritario e così devoto alla madre patria. E infatti, una delle prime cose che compie il generale è proprio quella di stendere e pubblicare un programma d’azione. Il progetto è suddiviso in ben 10 punti salienti in cui Mori spiega dettagliatamente le mosse da compiere per sconfiggere definitivamente la mafia.
Nello stesso anno, 1924, da Trapani viene spostato a Palermo, un’altra importante zona contaminata dalla mafia. È proprio in questa città che il generale mette in atto alcune azioni scritte nel suo programma. Dopo aver emanato varie ordinanze e aver rilasciato interviste alle principali testate giornalistiche della Sicilia, Mori attua un colpo molto grosso: l’Assedio di Ganci del 1926. Grazie al duro lavoro del Servizio Interprovinciale di Pubblica Sicurezza, un corpo speciale costituito dallo stesso Mori, a Ganci si è consumato uno degli assedi antimafia più celebri della storia. È proprio qui che si delineano le caratteristiche del lavoro del prefetto di ferro: prendere in ostaggio donne e bambini, umiliare e torturare gli arrestati.
Un aspetto da non sottovalutare e che, forse, potrebbe essere utile ancora oggi, è l’importanza che Mori ha sempre attribuito alla scuola e alla formazione delle nuove generazioni. Uno dei tanti progetti che il generale avrebbe voluto attuare riguarda proprio la costruzione di “case – famiglia” per i bambini e ragazzi vaganti per le strade di periferia, dove è sempre stato più semplice entrare nelle organizzazioni criminali.
Nonostante i metodi barbari e poco consoni al rispetto dell’essere umano, Cesare Mori è ricordato proprio per la grande pressione mediatica nei confronti di questa prima campagna antimafia nella storia.
I processi della prima campagna antimafia
Durante il mandato del prefetto di ferro gli arrestati per “associazione a delinquere” sono sottoposti a vari processi che per la prima volta si svolgono a Palermo. Dal 1926 fino al 1932, a causa dell’elevato numero di arrestati, i processi sono circa cinquantasei. Anche durante questo periodo, il potere delle istituzioni prevale sui diritti dell’uomo, causando un mal funzionamento del sistema giudiziario e di conseguenza poche condanne. Ancora una volta, la mafia vince contro lo Stato portando il regime a compiere una seconda campagna antimafia negli anni Trenta.
Mori viene congedato definitivamente il 16 luglio del 1929. Si dedicherà alla scrittura di uno dei suoi libri più conosciuti: Con la mafia ai ferri corti. Ancora oggi è un libro molto importante per scoprire lati della mafia che ancora non si conoscono. Il testo viene pubblicato nel 1932, dieci anni prima della morte del prefetto, il 5 luglio del 1942 ad Udine, che chiude dietro di sé una delle pagine più celebri della lotta contro la mafia.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- C. Duggan, La mafia durante il fascismo, Rubbettino, 2007.
- S. Lupo, Storia della mafia, Donzelli, 2016.
- M. Patti, La mafia alla sbarra. I processi fascisti a Palermo, Istituto Poligrafo Europeo, 2014.
- M. Vigna, Brigantaggio italiano. Considerazioni e studi nell’Italia Unita, Interlinea, 2020.
- A. Petacco, Il prefetto di ferro. L’uomo di Mussolini che mise in ginocchio la mafia, Mondadori, 2016.