CONTENUTO
Come la Storia può far capire il Presente
L’indagine, all’interno della Storia, di tracce di fenomeni che riteniamo si stiano ripercuotendo o possano ripercuotersi nella nostra attualità o nel futuro prossimo è un valido esercizio intellettuale, poiché capace di mostrarci come spesso l’umanità tenda a spaventarsi o a rimanere terribilmente spaesate da processi che crede di “non aver mai visto nella Storia” e che in verità sono in atto già da tempo o addirittura si sono mostrati già ripetute volte nel corso degli eventi.
Esso è però anche un esercizio pragmatico, utile al fine di rintracciare soluzioni, problematiche e questioni già verificatesi e di trarne quindi – nel limite imposto dalla contestualizzazione dei fenomeni nelle loro precise contingenze storico-sociali – strumenti d’azione per il presente. Quella sui robot e le Intelligenze Artificiali è però solo la più recente evoluzione, dovuta al progredire delle tecnologie a disposizione, di un dibattito che accompagna la società sin dall’inizio della Rivoluzione Industriale.
Fra i vincoli che gli storici ritengono siano alla base, attraverso il loro superamento, dello scoppio della Prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra, durante la seconda metà del ‘700, troviamo proprio quello tecnologico, risolto grazie al modello di Filatoio Meccanico realizzato da Richard Arkwright.
L’Inghilterra si trova così a marciare a tappe forzate verso una progressiva rottura di nuove barriere, come il vincolo energetico, sopperito dall’invenzione del motore a vapore ed il vincolo energetico, la cui primizia di risorse di carbone sul territorio inglese è una felice coincidenza, arrivando a trasformarsi in pochi anni nella prima vera società industriale.
L’intera conformazione della società inglese vira presto verso una cultura imprenditoriale totalmente orientata a sfruttare il più possibile le nuove possibilità di ottimizzazione e l’ingente aumento delle capacità di produzione, orientandosi verso una politica di sfruttamento e depauperazione dei ceti lavorativi, sempre più schiacciati fra lo strapotere dell’ascendente borghesia e i processi di automazione di grandi settori della manodopera.
Robert Owen, ex-industriale e sindacalista dell’epoca, fra i primi teorizzatori di una forma di socialismo utopico descrive con queste parole la società del suo tempo:
“La generale diffusione delle manifatture in tutto il paese genera un nuovo carattere nei suoi
abitanti; e dato che il carattere si forma in base ad un principio del tutto sfavorevole alla felicità individuale o generale, produrrà i mali più deplorevoli e duraturi, a meno che la vera tendenza non venga controbilanciata dalle interferenze e dalla direzione del governo.”
Una denuncia i cui toni potrebbero essere non dissimili anche se pronunciata ai nostri giorni, indicativa di una società tesa all’alienazione degli individui e ad una frattura fra innovazione tecnologica ed esigenze dell’uomo. Così ben presto le nuovissime macchine per l’industria tessile diventano le principali imputate verso cui esplode la condizione di impotenza e subordinazione economico-sociale dei ceti popolari inglesi agli inizi del XIX secolo.
La rivolta luddista nell’Inghilterra del XIX secolo
Nella notte dell’11 marzo 1811 una folla di framework-knitters (lavoratori di calze e maglie al telaio) distrugge più di sessanta telai nei pressi di Nottingham. Nei giorni seguenti la rivolta cresce rapidamente, il bilancio di macchinari offesi sale a più di duecento: il popolo inglese è in guerra per scacciare dalla propria patria quel nuovo nemico cigolante, tanto innocuo all’apparenza, quanto più dirompente di un’epidemia o di un’invasione d’oltremanica.
Le incursioni sono compiute al grido di “Ned Ludd ci ordina di farlo”. Secondo una tradizione popolare nel 1779 un giovane di nome Ned Ludd avrebbe distrutto un telaio meccanico in segno di protesta ed i rivoltosi hanno recuperato la sua figura, trasformandolo in una sorta di patrono dei lavoratori vessati dalle condizioni economiche imposte dalla borghesia e svantaggiati dai progressi tecnologici della Rivoluzione Industriale. La rivolta si protrae fino al 1812, crescendo di numero e di consenso.
Il Governo di Sua Maestà decide quindi di reagire, promulgando la Frame Breaking Bill, una legge che introduce addirittura la pena di morte per
“[…] coloro che distruggono o danneggiano telai per calze o per pizzi o altri macchinari o strumenti usati nella manifattura del lavoro a maglia su telaio o di qualsiasi articolo o merce su telaio o simile macchinario”.
Neppure lo spettro della forca riesce però a placare il sentimento riottoso dei luddisti, che godono sempre più di maggiore approvazione anche in diverse fasce della popolazione. Lord Byron, celebre poeta e scrittore, nel 27 febbraio dello stesso anno, pronuncia un infuocato discorso in favore dei rivoltosi e figura fra i primi sottoscrittori del disegno di legge “Per prevenire le frodi e gli abusi nella manifattura di maglie a telaio” presentata dal United Commitee of Frameworks-Knitters, il comitato sindacale nel quale si sono riuniti i luddisti.
La rivolta è ormai un vasto movimento insurrezionale di dimensione nazionale, complice anche l’intervento legislativo del Parlamento volto a svuotare di efficacia la legge presentata dal sindacato dei lavoratori a telaio. La paura dell’avvento delle macchine spinge ulteriori categorie ad unirsi al movimento di protesta, come i cimatori ed i tosatori, preoccupati dalla recente introduzione nell’industria laniera e cotoniera della garzatrice meccanica.
Il Paese è sull’orlo della guerra civile, verso i luddisti si opta per il pugno di ferro. Una serie di arresti e condanne capitali sembrano stroncare il movimento. Strascichi di “attentati alle macchine” luddisti proseguono in maniera più isolata anche negli anni successivi, soffrendo però i nuovi cambiamenti storico-politici del tempo : le associazioni dei lavoratori, ma soprattutto la diffusione dei primi movimenti di stampo proto-socialista iniziano a calcare la scena mondiale, lasciando via via sgonfiarsi il fenomeno luddista.
Il XX secolo, l’industria di massa e la catena di montaggio
Se il movimento dei seguaci di Ned Ludd vede pian piano il suo tramonto, il processo innescato dalla Rivoluzione industriale spinge, invece, la sua influenza fino al secolo successivo, in un processo di continuità innovativa, tecnologica ed industriale che, fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, porta ad avanzamenti economico-sociali tali da condurre l’umanità verso una vera e propria Seconda Rivoluzione Industriale.
Le sempre maggiori implementazioni tecnologiche, nonché l’evoluzione dei sistemi di trasporto e logistica allarga considerevolmente lo spazio delle transazioni commerciali, aumentando così la richiesta di produttività ed il conseguente aumento di energia. Fra il 1870 ed il 1913 la produzione di energia mondiale aumenta da 1674 milioni di megawattora a 10.840 milioni.
I macchinari automatizzati vedono un’enorme crescita, fruendo di sempre maggiori fonti di energia e giovando, soprattutto, dell’invenzione della centrale elettrica, grazie alle conoscenze portate alla luce da scienziati come Benjamin Franklin, Alessandro Volta, Faraday, Ampère e Ohm: le macchine sono così svincolate dalla necessità di trovarsi nello stesso luogo della fonte di produzione energetica, grazie alla possibilità dell’elettricità di essere trasportata senza perdite considerevoli di energia.
Al contrario della Prima Rivoluzione Industriale, il cui avanzamento tecnologico era originato dallo stimolo verso la scienza prodotto da isolate personalità di grande ingegno, nella Seconda il rapporto fra Scienza e Tecnologia diventa sistematico, tanto che le industrie diventano fra le prime fonti di finanziamento dei laboratori scientifici. La spinta data dai nuovi avanzamenti scientifico-tecnologici apre la strada ad un nuova rimodulazione della vita industriale. La meccanizzazione dei processi produttivi interessa nuove aree ed integra ancor di più i processi di automazione all’interno dell’industria.
I cambiamenti dovuti a questi processi rivoluzionano alcuni mercati, come quello della moda: Isaac Singer mette in commercio un prototipo di macchina da cucire e con moderne operazioni di pubblicità riesce rapidamente ad imporre un macchinario capace di offrire nuove prospettive di produttività.
Gli stessi principi alla base della macchina per cucire vengono presto applicati per la sperimentazione di nuovi macchinari analoghi da sfruttare in ulteriori comparti dell’industria tessile, aprendo alla massificazione ed alla produzione in serie del mondo dell’abbigliamento. Inoltre l’innovazione nel campo della lubrificazione, la sostituzione del ferro con l’acciaio ed una maggiore precisione nella costruzione delle parti mobili, conducono ad un incremento della capacità di produzione delle macchine, imponendo una nuova organizzazione dei processi industriali.
In America vengono teorizzati i primi modelli di un’industria altamente integrata fra uomo e macchina, arrivando a quella che si definisce catena di montaggio. La coesistenza delle risorse umane e tecniche permette infatti di calibrare con estrema precisione i tempi di assemblaggio e produzione, risparmiando tempo ed aumentando i livelli di efficienza.
La necessità di controllare la complessità organizzativa dei nuovi processi industriali meccanizzati, esempio della grande modernità che essi esprimono, porta alla ricerca di modalità sempre più lineari e cadenzate. I ritmi incessanti di produzione producono inoltre un effetto innovativo a cascata, richiedendo il necessario avanzamento anche degli elementi di logistica utili a trasportare i materiali (nastri trasportatori, tubi, pompe, silos e gru).
Gli operai vengono assorbiti sempre più all’interno delle catene di produzione, in un sistema nel quale essi sono funzionali solamente a compiere gesti semplici e ripetitivi, cadenzati dal ritmo imposto dai macchinari. La ratio è quello della produzione maggiore nel tempo minore possibile, così da ampliare il ritorno economico dell’attività.
Il primo ad implementare integralmente e sfruttare con successo la catena di montaggio è l’industriale Henry Ford. In questo modo vede la luce la prima automobile di massa, il modello T, di cui in circa vent’anni verranno venduti più di 15 milioni di esemplari. Il “fordismo” diviene così il paradigma organizzativo industriale, per eccellenza, emulato in tutto il mondo.
Il mondo post-fordista e le conseguenze attuali
Anche il sistema fordista presenta però le sue criticità, perdendo il suo potenziale economico verso la fine degli anni ’60 e risentendo del progressivo aumento della frustrazione della manodopera, sprofondata in un processo produttivo così meccanico da essere divenuto alienante. Ancora oggi il rapporto fra umanità e macchine, in particolare nel settore del lavoro, risulta una questione dirimente per la società.
Se da un lato la tecnologia e la progressiva automazione dei processi produttivi ha generato forti avanzamenti politico-economici, traghettando la nostra civiltà verso gradi di benessere generali più prosperi, ciò non certifica però la contestuale difficoltà dei ceti manifatturieri a trovare posto in questa società, soffrendo l’incedere del processo di meccanizzazione.
L’evoluzione tecnologica, in particolare quella legata alla gestione dei dati ed alle intelligenze artificiali hanno però allargato il bacino di potenziali “vittime” di un processo continuo che dalla Prima Rivoluzione Industriale risalente alla metà del XVIII secolo continua ad offrire soluzioni tecnologiche e capacità svolte in precedenza dagli umani.
Oggi anche il lavoro del “colletto bianco”, espressione del tentativo post-fordista di salvaguardare i rapporti di forza e pacificazione sociale instaurati dal fordismo, è messo a repentaglio dal progredire delle capacità di apprendimento ed azione delle macchine. Ancor di più anche lavori come il medico rischiano di cedere il passo a tentativi di fornire soluzioni e consulti personalizzati da piattaforme on demand ed in prospettiva anche i mestieri creativi, da sempre considerati salvi dall’incedere dell’automazione oggi sono messi in discussione dalle potenzialità già enormi, ma ancora in larga parte inesplorate del machine learning.
Il fenomeno luddista nacque infatti, per parole dei loro stessi contemporanei, come nella citazione precedente di Robert Owen dalla mancanza di controllo da parte delle autorità governative e dalla concentrazione delle nuove tecnologie in una sola parte, quella al vertice, della popolazione. Egualmente il fenomeno fordista si infranse contro la sottomissione del ceto lavoratore al sistema meccanizzato, alla sua integrazione in un mondo automatico, cadenzato, lontano dalla vita di chi le macchine le metteva a disposizione.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia, clicca sul titolo e acquista la tua copia su Amazon!
- L. Salvadori – C. Villi, Il luddismo. L’enigma di una rivolta, Iduna, 2018
- L. Caracciolo, A. Roccucci, Storia Contemporanea. Dal mondo europeo al mondo senza centro, le Monnier Università, Mondadori Education, 2017. (Capitolo 5. L’Era dell’Industrializzazione, par. 2. “Grande repressione e Seconda Rivoluzione Industriale”; par. 3 “La meccanizzazione del lavoro”.)
- Frame Breaking Bill, The Statutes of the United Kingdom of Great Britain and Ireland, Volume 22