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L’identità italiana in cucina: recensione del libro di Montanari

“L’identità italiana in cucina” è il titolo completo del saggio scritto da Massimo Montanari, edito dalla Laterza, che tratta della storia della cucina italiana e di come questa ad un certo punto sia diventata identità nazionale.

di Giulia Cesarini Argiroffo
25 Giugno 2025
TEMPO DI LETTURA: 6 MIN
Alberto Sordi, scena tratta dal film "Un americano a Roma", Pubblico Dominio

Alberto Sordi, scena tratta dal film "Un americano a Roma", Pubblico Dominio

CONTENUTO

  • Introduzione al libro di Massimo Montanari
  • Trama del libro: “L’Identità italiana in cucina”
  • Recensione del libro “L’Identità italiana in cucina”

Introduzione al libro di Massimo Montanari

Questo libro, dopo l’introduzione, si struttura in undici capitoli e, alla fine, per ulteriori approfondimenti si suggeriscono dei “Percorsi di lettura”. L’obiettivo di ciò che si prefigge di affrontare l’autore con questo piccolo saggio, si racchiude nelle righe che seguono:

“[…] Parte integrante di questa cultura erano i modelli alimentari e gastronomici, elemento decisivo, sempre delle identità collettive. Su di essi punteremo la nostra attenzione, per verificare come l’esistenza di un sentire comune, di stili e di gusti condivisi ci autorizzi a parlare di un <<paese Italia>> […] fin dai secoli centrali del Medioevo, quando l’Italia era di là da venire e da pensare ma già esistevano italiani che tali si sentivano, e si rappresentavano, con assoluta chiarezza e senza alcuna ambiguità. […]”.

Trama del libro: “L’Identità italiana in cucina”

La cucina che oggi si definisce italiana comincia a formarsi nella penisola durante i primi secoli del Medioevo, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Ciò determina una prima fase di scontro culturale tra i barbari e gli Antichi Romani. Nella seconda fase le tradizioni, gli stili di vita e i valori alimentari delle varie popolazioni che finiscono per vivere nella penisola italica “agro-pastorale” s’integrano. Inoltre la religione cristiana che si diffonde sempre più in Europa accelera tale fenomeno.

Nella penisola italica popoli diversi si sovrappongono alla preesistente popolazione degli Antichi Romani, a sua volta già con una molteplicità di stirpi che condividono la medesima cultura. Da questo intreccio di persone nascono gli italiani e la loro cultura gastronomica. In generale la penisola italiana, che nel Medioevo è una realtà frammentaria e disomogenea, si fonde creando l’identità politica e culturale in un modo definibile come “di rete”. Una caratteristica del territorio italiano è l’importanza della centralità della città, nonostante la sempre maggiore rilevanza delle campagne e delle zone rurali con abbazie o castelli.

Nobili e borghesi concentrano in città i loro interessi e creano un sistema di dominio sulle risorse economiche ed anche alimentari delle campagne. Ciò che accomuna le signorie dell’epoca è che i centri maggiori sono in grado d’imporre un dominio sui minori costruendo una gerarchia fra la città capitale e le altre. Quindi si allargano le prospettive economiche, politiche, del potere cittadino e ciò ha conseguenze anche in campo gastronomico.

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Ciò nonostante resta immutato il modello della ‘rete’ che unisce un insieme di realtà politiche diverse rendendole in varia misura omogenee sul piano culturale, grazie alla circolazione di persone, idee e merci anche alimentari. Quindi la campagna produce, ma è la città che controlla l’economia rurale attraverso la proprietà dei cittadini concentrando ogni prodotto gastronomico sul mercato urbano denominandolo. In fine il mercato cittadino distribuisce il prodotto in uno spazio commerciale e quindi culturale e su questa circolazione si fonda la condivisione di gusti e di pratiche alimentari.

Dunque nel Medioevo diventare un punto nodale che intercetta i circuiti commerciali ed essere un luogo di partenza e di arrivo di prodotti gastronomici apprezzati garantisce ad una città fama, reputazione ed un buon nome. Bisogna però considerare che il modello di rete urbana non è lo stesso in tutta la penisola italiana. I ricettari di cucina che dal XIV secolo iniziano ad apparire nella penisola italiana costituiscono delle testimonianze della circolazione dei prodotti, dei gusti e dei saperi legati al cibo. Nel Medioevo si affermano due principali gruppi o famiglie, una di discendenza meridionale (Liber de coquina) e l’altra di discendenza toscana.

Questi due testi si considerano i progenitori dell’alta cucina italiana e presi come modelli da molti autori di ricettari successivi. In particolare i loro numerosi adattamenti alle situazioni locali non contraddicono la realtà di fondo di una cultura che appare diffusa e condivisa, seppure destinata ad un ristretto pubblico cioè quello delle corti aristocratiche (proteso sul ricettario meridionale) ed a quello dell’alta borghesia (proteso sul ricettario toscano). La cultura popolare per la costruzione del modello alimentare italiano è molto importante. Questa si configura come una sorta di connivenza fra le culture dei ceti dominanti, dei borghesi e dei nobili, con quella dei ceti subalterni. Infatti alcuni dei piatti poveri vengono nobilitati, come con delle spezie esotiche costose e di lusso.

In breve, la peculiarità della tradizione alimentare italiana è il risultato di un’integrazione fra cultura popolare e di élite a questo si aggiunge l’organizzazione tra la città e la campagna. Quest’ultima si configura come uno spazio di scambio culturale, sociale ed economico, mentre la città si presenta come un luogo d’ibridazione e di contaminazione. Quindi l’alta cucina e la cucina popolare si confrontano quotidianamente, si mescolano e s’imitano a vicenda. I ricettari italiani ed i modelli alimentari da essi proposti sembrano riportare una cultura socialmente diffusa. Inoltre nel corso dei secoli nuovi prodotti stranieri entrano nel patrimonio culturale italiano.

In Italia si verificano un susseguirsi di carestie e crisi agricole che porta ad una conseguente fame dilagante tra la popolazione delle campagne in continua crescita. Ciò spinge tra il XVII-XVIII il ceto rurale a coltivare piante che rendono molto di più in termini di quantità, per scongiurare nuove penurie, anche se ciò comporta uno scadimento qualitativo dei pasti. Inoltre l’avvio al capitalismo agrario fa sì che si punti alle eccellenze agrarie di alta qualità per la vendita.

In generale le identità culturali si creano nel tempo, mediante il confronto e lo scambio. Esse infatti si costruiscono storicamente, nella dinamica quotidiana dall’intreccio di persone, esperienze ed idee differenti. L’insieme degli ingredienti di una pietanza, presi singolarmente, hanno spesso origine diversa e per rintracciarne le radici è necessario scavare nello spazio e nel tempo per comprendere come storie differenti alla fine si siano incrociate a formare nuove identità culturali. Molti miti gastronomici italiani si rafforzano oppure talvolta addirittura si costruiscono con l’integrazione che si realizza fra le abitudini domestiche, il commercio dei generi alimentari e la ristorazione pubblica. Soprattutto in America.

Pellegrino Artusi pubblica nel 1891, “La scienza in cucina”, un ricettario nazionale che unifica il più possibile gli usi gastronomici del Paese e ha successo. I lettori inviano lettere all’autore con suggerimenti, precisazioni e proposte. Così Artusi e il suo pubblico instaurano un fitto rapporto di corrispondenza. Pertanto tale manuale grazie alla sua natura interattiva si configura come un’opera collettiva su cui tutt’oggi discutere e riflettere. Artusi ha saputo guardare non solo alla storia tradizionale italiana ma pure alle abitudini che si affermano nel Novecento.

Alla fine dell’Ottocento l’Italia è un Paese povero, con un bilancio alimentare insufficiente. Pertanto elevato è il numero delle persone che emigrano. Nel primo decennio del Novecento, però, la dieta alimentare nel complesso migliora grazie al decollo industriale. La tragedia della Prima Guerra Mondiale, nonostante la situazione drammatica della trincea, consente a molte persone di confrontarsi con realtà culturali diverse. Anche così la condivisione di un modello alimentare italiano si allarga a ceti sociali diversi. Il confronto fra le tradizioni culinarie si fa addirittura nei campi di prigionia.

La crisi alimentare dovuta alla Seconda Guerra Mondiale in Italia è talmente profonda da prolungare le sue conseguenze oltre un decennio la fine del conflitto. Nel paese la rivoluzione del mondo contadino seppure devastante, non ha completamente eliminato le tracce del passato. Oggigiorno si afferma sempre più il ritorno alla dimensione territoriale e stagionale del cibo e ad una riscoperta delle tradizioni, quindi ad un gusto e ad una moda con cui le industrie attuali si devono confrontare. La cosiddetta “cucina regionale” è un’invenzione che risponde ad un’esigenza politica, commerciale e turistica ma non culturale. La dimensione della “regione” è una realtà storica entro confini artificiali e politici piuttosto che culturali.

Alberto Sordi, scena tratta dal film “Un americano a Roma”, Pubblico Dominio

Recensione del libro “L’Identità italiana in cucina”

Questo libro fa effettivamente riflettere sull’identità italiana in cucina. In particolare su ciò che si crede di conoscere e si dà addirittura per assodato, quando invece tutto questo spesso non corrisponde all’effettiva realtà. Alla luce della lettura di questo breve saggio si evince quanto gli stereotipi e le invenzioni commerciali riescano a costruire molte delle identità, o presunte tali, di un Paese e di come ciò succeda molto più di quanto si possa pensare. Questo è accaduto sempre, come dimostra il libro. Inoltre ciò fa riflettere sul fatto che tale fenomeno sia attualmente molto amplificato. Tanto più, come fa presente il libro, che oggigiorno in campo gastronomico si tende a dare sempre più risalto ai valori tradizionali. I richiami alle consuetudini alimentari infatti possono corrispondere effettivamente alla realtà oppure essere inventati a fini commerciali in maniera da aumentare i profitti.

Quindi questo libro induce a riscoprire, volendo anche grazie alle letture consigliate dall’autore alla fine del testo, parte delle tappe che hanno creato una cucina tra le più famose al mondo e le proprie tradizioni. Infatti l’identità gastronomica di un Paese si fonda sulla propria storia, o meglio, sull’insieme delle narrazioni che a loro volta sono, o almeno dovrebbero essere, il frutto d’un insieme di esperienze, conoscenze, scambi, idee, saperi, trasformazioni e valori comuni sia a livello locale che nazionale della popolazione.

In conclusione, questo saggio induce a riflettere sull’identità alimentare italiana nel passato, presente e futuro. Tutto ciò perché il libro propone di raccontare fatti in una prospettiva storica con l’esposizione di eventi del passato che nel contempo si ripercuotono anche ai nostri giorni. Questo consente di comprendere le ragioni alla base di tali consuetudini alimentari. In fine invita ad immaginare quali potrebbero essere gli scenari futuri dell’identità italiana in cucina.

Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!

  • Massimo Montanari, L’identità italiana in cucina, Editore Laterza, 2013.
Letture consigliate
Giulia Cesarini Argiroffo

Giulia Cesarini Argiroffo

Si è laureata magistrale in Teorie della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma Tre, dalla sua tesi è stato tratto un saggio pubblicato su una rivista accademica specializzata in semiotica. Successivamente ha frequentato presso l’Università LUISS Guido Carli-Business School un Master in Marketing Management ed un Master in Digital Marketing & Social Media Communication. Lavora nell’ambito della comunicazione, del marketing, della divulgazione culturale e dell’editoria. La storia la incuriosisce, l’affascina e l’appassiona. Questo, soprattutto perché “historia magistra vitae” (la storia [è] maestra di vita) ed in quanto “non si finisce mai di imparare”, tanto più sull’umanità.

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