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“Storia dell’Inquisizione”, il libro di M. Centini sulla storia del tribunale dell’Inquisizione

Il libro, documentato e sorretto da una bibliografia scientifica e da fonti d'epoca, illustra in modo divulgativo la storia e gli aspetti del tribunale ecclesiastico dell'Inquisizione che già dal Duecento si estese in Europa, istituito con l'intento di individuare e giudicare eretici, streghe e altre categorie ritenute 'pericolose' con il ricorso a varie pene: da quelle spirituali a quelle fisiche, fino alla pena di morte.

di Agostino Raso
9 Giugno 2021
TEMPO DI LETTURA: 4 MIN

Il libro “Storia dell’Inquisizione. I metodi e i processi del tribunale di Dio” di Massimo Centini edito da Diarkos esamina le fasi principali della storia del tribunale dell’Inquisizione con le questioni ad esso collegate e i loro risvolti storici, sociali, religiosi e antropologici.

Il termine inquisizione deriva dal latino inquisitio, ossia indagare, fare indagini. Una procedura ignota al diritto romano, che si basava sulla formulazione di un’accusa da parte dell’autorità giudiziaria, anche se mancavano denunce o accuse dei testimoni. Formalmente, un processo intentato basandosi non sull’accusa levata dalla parte lesa , ma sulla base di un’indagine dell’autorità religiosa o secolare, è da considerare un processo inquisitorio.

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Il tribunale dell’Inquisizione

Vi è una diffusa convinzione che il tribunale dell’Inquisizione fosse una struttura basata sull’abuso e la repressione violenta, mirata a eliminare tutte quelle espressioni religiose eterodosse, ritenute eretiche e quindi fuorvianti per la fede cristiana, destinate cioè a sfaldare l’omogeneità della Chiesa romana. In ragione di questo status nel parlare quotidiano il termine inquisizione ha assunto una valenza atta a indicare un uso della giustizia non sempre obiettivo, se non addirittura illegale, certamente strutturato con modalità atte a mettere in una condizione di inferiorità l’imputato, fino a lederne diritti e dignità.

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Anche in ragione di tale consuetudine, vi è la tendenza ad assegnare al tribunale dell’Inquisizione una fisionomia in gran parte scollegata dalla realtà. La lotta all’eresia, alla stregoneria  e a tutte quelle espressioni ritenute blasfeme, se non diaboliche, erano perseguite dalla Chiesa, ma anche dai protestanti e dai laici: con modalità che potevano essere diverse, ma sempre condividendo metodi repressivi.

L’accettazione nei confronti dell’interpretazione soggettiva della spiritualità e della fede venne meno a partire dalla fine del XIII secolo, con la diffusione dei movimenti ereticali che minacciavano seriamente l’autorità del clero. A rendere quindi “necessaria” l’Inquisizione fu quindi la lotta serrata all’eresia: fino al XIII secolo, le eresie erano state contrastate solo sul piano dottrinale e con mezzi spirituali, ma la situazione dovette necessariamente evolversi  sotto la pressione delle reazione anticlericali, che passarono dal dissenso sulla dottrina alla critica eversiva dell’assetto istituzionale.

Bisogna prendere atto che la storia dell’Inquisizione è molto complessa e non può semplicisticamente essere mutilata adagiandosi sugli stereotipi, a favore o contro che siano, specialmente oggi che una serie di studi approfonditi è riuscita a smantellarne una gran parte. L’analisi deve essere effettuata liberandosi dal peso dell’immaginario popolare. Gli storici provvisti di onestà intellettuale prendono atto che il tribunale dell’Inquisizione, a differenza di altre istituzioni, trascrisse, nella prevalenza dei casi e con cura quasi maniacale, le fasi dei procedimenti, offrendo al giudizio dei posteri i molteplici aspetti del proprio modus operandi.

In tale condizione è stato possibile ricostruirne le diverse procedure attraverso i verbali che oggi, quando disponibili, ci consentono di avere idee sufficientemente chiare del processo inquisitorio. Un processo condotto con atteggiamenti giuridici deprecabili se letti attraverso la nostra cultura, ma ritenuti giusti e razionali nel periodo storico in cui venivano applicati.

Parlare di questo tribunale senza contestualizzarne l’opera non consente una valutazione precisa: l’Inquisizione non fu certo un’istituzione unica e invariata nel tempo. Quella medievale si mutò fino a giungere a quella romana e poi vi furono inquisizioni per così dire ‘locali’ finalizzati a reprimere le diverse forme di eresia e dell’alterità religiosa, espressa sia sul piano del culto che su quello culturale.

La ricostruzione delle vicende del tribunale dell’Inquisizione è stata in gran parte basata sui documenti relativi alle azioni giuridiche effettuate in un arco di tempo compreso tra il XIII e il XVII secolo. Sono fonti i processi, le sentenze, gli editti, le lettere, i libri contabili e tutti quei documenti relativi all’opera e alle relazioni del tribunale dell’Inquisizione presenti negli archivi vescovili e statali a cui vanno aggiunti quelli conservati nei fondi della Congregazione del Sant’Uffizio e dell’Indice.

Gli studi sull’Inquisizione

Gli studi sull’Inquisizione marcano pesantemente le ideologie degli autori e del periodo in cui sono state realizzati: in alcune pubblicazioni si trovano descrizioni parossistiche sia tra i difensori sia tra gli accusatori, alimentando un dibattito destinato a mantenersi sempre molto attivo.

La mancanza di conoscenza e gli intenti di carattere ideologico, in larga misura, hanno contribuito alla formazione della cosiddetta “leggenda nera” dell’Inquisizione, il cui peso ha condotto alla demonizzazione del noto tribunale, anche in assenza di fonti precise. Le radici vanno ricercate in una sistematica propaganda denigratoria effettuata contro la Chiesa romana dalle potenze europee protestanti, a partire dal XVI secolo.

Un’ulteriore fase di attacco si registrò con l’Illuminismo che, in linea con la propria impostazione ideologica, vedeva nell’Inquisizione solo quanto gli serviva per attaccarla e sostenere i propri assunti. Fu un’operazione che ebbe comunque risvolti positivi poiché portò alla luce, in un’ottica laica, aspetti etici, morali, e naturalmente giuridici non sempre valutati nella giusta misura dagli attacchi dei protestanti.

Ma ebbe anche la colpa di non prendere in debita considerazione il ruolo devastante di quelle correnti eretiche che travolsero con manifestazioni belligeranti, in alcuni casi criminali, le comunità cristiane, anche quando queste non erano necessariamente dei capisaldi del cristianesimo.

Quella degli illuministi fu una presa di posizione determinata anche dalla volontà di ribellarsi contro la censura e l’Indice dei libri proibiti, ritenuto giustamente, un affronto alla libertà intellettuale di cui i philosophes francesi costituivano la più vivida espressione.

Nella nutrita bibliografia sull’Inquisizione abbiamo così una serie di opere che hanno enfatizzato le vicende più truculente, con risvolti vicini all’horror con tonalità in alcuni casi pittoresche: tutto ciò non ha posto in evidenza l’effettiva fisionomia di un tribunale ecclesiastico, contrassegnato da oggettive complessità intrinseche, con fasi non sempre facilmente afferrabili. Di contro, vi è una storiografia filocattolica che propone un’interpretazione opposta, anche in questo caso non obiettiva, con inquisitori quasi santi e procedure moderate.

In generale va detto che la verità non sta né dalla parte della demonizzante l’Inquisizione, né da quella che la difende a spada tratta e l’assolve da tutti gli abusi. Come sempre la verità sta nel mezzo. La comprensione può giungere dal presupposto che tutti gli inquisitori non erano tutti uguali; erano uomini e come tali figli del loro tempo, dominati dai loro caratteri, dalle loro certezze, ma anche dalle loro paure e passioni.

Se non tutti gli inquisitori furono dei sanguinari, ve ne furono altri che invece ebbero atteggiamenti disumani, quasi criminali, nei confronti degli accusati. Uomini “di Dio” che dimenticarono ogni precetto del cristianesimo, perché resi sordi e ciechi dalla loro folle ricerca del peccato da perseguire, a ogni costo e senza pietà.

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Massimo Centini, Storia dell’Inquisizione. I metodi e i processi del tribunale di Dio, Diarkos

Agostino Raso

Agostino Raso

Ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Storiche. Medioevo, Eta' Moderna, Eta' Contemporanea presso l'Università degli studi di Roma La Sapienza e il Master di II livello "Esperto in comunicazione storica: televisione e multimedialità'" presso l'Università degli studi di Roma Tre. E' socio dell'Istituto Ugo Arcuri per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea in provincia di Reggio Calabria (istituto associato all'Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Rete degli istituti per la storia della resistenza e dell'età contemporanea). Autore del libro "Rivolta fascista o di popolo? I partiti politici di fronte alla rivolta di Reggio e la strage di Gioia Tauro". Caporedattore di Fatti per la Storia, cura i rapporti con le case editrici. Fa parte del Comitato-Scientifico.

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