CONTENUTO
Oggetto del libro “Fascismo e antifascismo” di Alberto De Bernardi (Donzelli editore) è l’uso della categoria “fascismo” e “antifascismo” nel dibattito storiografico e nel discorso pubblico, quindi nella retorica giornalistica e nella polemica politica.
Si pone in essere un’articolata critica alle tendenze onnicomprensive di lettura dell’attualità politica sotto il paradigma della contrapposizione fascismo\antifascismo, che si traduce in “una sovraesposizione dell’uso pubblico della storia”: fine ultimo del suo lavoro è, infatti, quello di creare un “percorso” al termine del quale il lettore “avrà acquisito una preziosa cassetta degli attrezzi, utilissima per leggere il presente fuori dagli stereotipi, dai riflessi condizionati, dalle retoriche”.
Ricordando il concetto quasi ovvio dell’irriproducibilità della storia e indossando gli abiti dello storico che ha come compito “quello di ricordare all’opinione pubblica di non confondere possibili somiglianze tra eventi attuali e altri del passato”, De Bernardi si scaglia contro le tendenze ad individuare un “fascismo eterno” – Ur-fascismo secondo la celebre definizione di Umberto Eco – che “rimane un concetto dai contorni sbiaditi” perché “costruito intorno ad un’interpretazione del fascismo dai fondamenti storiografici molto labili e discutibili” e contro la sua più diretta conseguenza – l’Ur-antifascismo – che si “dibatte in contraddizioni maggiori” poiché “il tentativo di definire una sorta di antifascismo originario risulta ben più difficile”.
In realtà nel mirino dello storico più che Eco si trovano quelle tendenze, ora semplicistiche ora ammuffite, pronte ad individuare un carattere antropologico insito nel nostro carattere nazionale e a concepire il fascismo come un’entità polimorfa, quasi che fosse non un prodotto storico ma metafisico, una categoria dello spirito più che un’esperienza storica, un germe che si può sedimentare ovunque.
L’interpretazione del fascismo
Alberto De Bernardi ricostruisce l’itinerario storico nel quale questa coppia di opposti ha dominato la vita politica e civile dell’Italia, assumendo di volta in volta connotazioni e significati assai diversi. Si parte dalle origini, tra il 1920 e il 1924, in cui le due parole entrano nel lessico della politica italiana ed europea; si prosegue con gli anni trenta, l’epoca dell’egemonia del fascismo in Europa e della sconfitta dell’antifascismo; si passa poi agli anni tra il 1943 e il 1948 con il collasso del fascismo e la nascita della Repubblica fondata sulla Resistenza e sulla Costituzione antifascista; si ricostruisce lo scontro tra fascismo e antifascismo negli anni del terrorismo e dell’«attacco al cuore dello Stato»; per arrivare infine alla crisi della prima Repubblica, da cui prende le mosse una lunga fase dominata dal “post”, tra cui anche il post-fascismo e il post-antifascismo, alla ricerca irrisolta di una nuova identità repubblicana.
Poiché l’autore è uno storico, ci offre un’interessante ricostruzione di come l’interpretazione del fascismo abbia giocato nella evoluzione dello spirito pubblico fin dagli anni della dittatura, e del ruolo che l’antifascismo ha svolto nella ricostruzione del sistema politico fin dagli anni dell’esilio e della Resistenza. E’ un lavoro storiografico che mira a chiarire alcune questioni che, trascinatesi lungo tutti gli anni del dopoguerra, sono ancora presenti tra di noi.
La suggestione del ritorno del fascismo
C’è una differenza strategica tra il considerare ciò che accade come la ripetizione di ciò che è già accaduto e considerarlo invece qualcosa di nuovo. Se un fenomeno è nuovo abbiamo il compito di capirlo, di rintracciarne precisamente i caratteri di novità, per fondare su questi una strategia di contrasto e costruire un discorso alternativo. Se invece obbediamo alla suggestione dell’eterno ritorno, non c’è da costruire nulla, se non evocare la paura e l’indignazione.
Ci riporta, secondo l’autore, a una sorta di riflesso condizionato dell’opinione di sinistra, quello di mettere in un calderone tutte le espressioni di destra e usare l’eterno ritorno del fascismo come unica chiave di lettura per ogni processo politico che avvenga a destra.
Molto rappresentativo il caso di Umberto Eco, che parla addirittura di fascismo eterno, o di Ur-fascismo, fascismo originario, che è sempre tra noi sotto mentite spoglie e dev’essere smascherato (“è possibile eliminare da una regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere come fascista”). Va da sé che un argomento come questo autorizza a ribellarsi a qualunque cosa, dichiarandola fascismo senza l’onere della prova.
La crisi della democrazia
E tuttavia la larga percezione di un ritorno del fascismo dev’essere spiegata. De Bernardi la spiega riferendosi alle assonanze tra due crisi della democrazia. Viviamo oggi una crisi della democrazia così come l’abbiamo vissuta negli anni Venti. E’ questa la grande suggestione del ritorno, della storia che si ripete. In realtà, sottolinea l’autore, si tratta di crisi assai diverse, dovute a cause diverse.
Oggi è la crisi della globalizzazione, che sta rompendo il patto socialdemocratico, cioè il rapporto tra sviluppo economico e emancipazione sociale, patto del quale hanno fatto pienamente parte, attraverso il Welfare, i lavoratori e i loro rappresentanti. Questo patto era reso possibile da una crescita economica che oggi, con la concorrenza di altri paesi prima poveri e talvolta sfruttati, come la Cina, l’India, la Corea, non è più possibile.
Allo stesso tempo, i paesi emergenti che hanno adottato il sistema economico occidentale non hanno però adottato anche la democrazia: nel mondo ci sono diversi casi di paesi i cui sistemi politici sono democrazie illiberali quando non vere e proprie dittature. E queste forme di democrazia illiberale si stanno introducendo anche in Europa. Allora è questo il vero pericolo, non il fascismo. Un pericolo peraltro più sfuggente e infido, proprio perché non ha i connotati evidenti del fascismo.
L’analisi dell’antifascismo
Altrettanto interessante l’analisi della categoria di antifascismo, nella quale vengono messe in luce le ambiguità e le responsabilità della tradizione comunista, che spiega molte cose di ciò che è avvenuto in tempi più lontani come anche in tempi più recenti.
Dal punto di vista storico è vero che l’antifascismo sta alla base della repubblica e del suo sistema politico. Tuttavia la posizione del Pci, che da un lato trovava nell’antifascismo la sua unica legittimazione, dall’altro però lo piegava a una prospettiva di lotta anticapitalista, non solo improbabile ma anche del tutto contraddittoria con le alleanze di cui l’antifascismo storico era costituito, è alla base della fragilità politica della costruzione della democrazia italiana.
E’ il tema ben noto della doppiezza del Pci: compiutamente integrato nel sistema democratico, ma insieme parte di uno schieramento internazionale contraddittorio con quello e tale da perpetuare nella cultura comunista la prospettiva di una società “altra”. Doppiezza che è durata sino a Berlinguer e che ha il suo posto tra le cause dell’attuale fenomeno populista.
Hai voglia di approfondire l’argomento? Clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche di Alberto De Bernardi