CONTENUTO
La legione romana: età monarchica e riforma serviana
In età arcaica gli scontri tra i popoli del Lazio si configurano come scontri circoscritti tra gruppi a volte ancora seminomadi o stanziati in villaggi rurali e sono svolti più che altro per bande, con un armamento ancora rudimentale e senza protezioni difensive come scudi e corazze.
Ancora nella prima epoca regia permane un fondamento guerriero basato sul predominio gentilizio, in cui le gentes più abbienti e prestigiose, possono armarsi in modo migliore e assicurare la sicurezza del resto della popolazione circondandosi di numerosi clientes subalterni armati alla leggera; spesso anche guerre di più ampio respiro sono condotte secondo questa logica (un esempio è la guerra della gens Fabia contro Veio, vista quasi come affare privato di una sola famiglia).
Inizialmente l’ordinamento, voluto secondo la tradizione già da Romolo, è quello con un’organizzazione in tre tribù (Tities, Ramnes, Luceres) a loro volta suddivise in dieci curie le quali forniscono ognuna 100 fanti e 10 cavalieri, per un totale quindi di 3000 fanti e 300 cavalieri (detti celeres).
Già Tarquinio Prisco decide di raddoppiare gli effettivi dei cavalieri ma è con la riforma serviana, attuata da Servio Tullio (e che si realizzerà compiutamente solo in età repubblicana), che si assiste ad un cambiamento di mentalità le cui cause sono da ricercare negli accresciuti livelli di ricchezza e negli sviluppi tecnologici e quantitativi nella produzione del metallo lavorato.
Con queste trasformazioni si rende necessaria una riorganizzazione dell’esercito fondata sulla ricchezza così da rendere centrali quegli elementi che possono permettersi, grazie alle loro disponibilità economiche, un armamento migliore, innalzando in questo modo la qualità complessiva delle truppe; si approda così ad un’impostazione militare sul modello oplitico che già stava prendendo piede in Grecia e in parte tra gli Etruschi.
L’ordinamento centuriato prevede quindi una divisione in classi basate sul censo, calcolato utilizzando l’asse, moneta bronzea romana. Ciascuna classe deve fornire un certo numero di centurie cioè unità composte da 100 fanti, per un totale di 193, secondo il seguente schema:
– prima classe: richiede un patrimonio minimo di 100.000 assi e deve assicurare 18 centurie di cavalieri (compresi quelli che non potendo permettersi i cavalli li ricevono dallo Stato, il cosiddetto equo publico) più 40 centurie di iuniores (di età compresa tra i 18 e i 46 anni, il vero nucleo combattente) e 40 centurie di seniores (soldati più anziani che formano le riserve);
– seconda, terza e quarta classe: con un censo minimo rispettivamente di 75.000, 50.000, 25.000 assi che forniscono ciascuna 10 centurie di iuniores e 10 di seniores;
– quinta classe: con un censo minimo di 11000 assi che forniscono 15 centurie di iuniores e 15 di seniores.
A queste 188 centurie se ne affiancano due di soldati tecnici e del genio provenienti dalla prima classe, 2 di musici che invece provengono dalle tre classi intermedie e infine una di capite censi, i proletari senza un capitale, che accompagnano l’esercito con varie funzioni di supporto e, poiché sprovvisti di armamento, raccolgono durante la battaglia le armi di caduti e feriti per rimpiazzarli.
L’armamento in questo periodo consiste, per le classi di censo superiori, in quello tipico dell’oplita greco con elmi di tipo dorico, oplon (lo scudo tondo o ovaleggiante), armatura pesante e spada (di tipo greco come kopis a lama dritta o xyphos a lama ricurva). Via via che si scendeva di censo, l’armamento diveniva sempre più leggero con armature che potevano essere semplici lastre metalliche fissate al busto, corpetti di cuoio o addirittura non presenti e armi offensive di qualità inferiore, sostituite per le truppe più leggere con armi da getto di vario tipo (fionde, frombole).
La legione romana: periodo repubblicano e legione manipolare
L’esercito centuriato di stampo oplitico resiste e si perfeziona per tutta la prima fase repubblicana, rimanendo il fulcro centrale della fase espansionistica di Roma tra V e IV secolo a.C. ai danni di Veio e poi della Lega Latina.
E’ durante le guerre sannitiche, svoltesi a più riprese tra il 343 e il 290 a.C., che il sistema mostra i primi segni di crisi: la rigidità dell’esercito oplitico se da un lato assicura coesione, solidità e forza d’urto allo schieramento e risulta quindi superiore nelle battaglie campali, si dimostra però troppo macchinosa di fronte al più flessibile esercito sannita, in particolar modo nei territori appenninici e centro-meridionali caratterizzati da conformazioni più impervie.
I romani, mostrando una caratteristica propria di tutta la loro storia (e non solo in ambito militare), apprendono ciò che può risultare utile dai loro avversari assorbendo le caratteristiche più vantaggiose delle forze sannite, riorganizzando di conseguenza l’esercito: nasce così la legione manipolare, che si perfezionerà poi durante le guerre pirriche e ancor più durante la seconda guerra punica.
La nuova unità tattica diviene il manipolo composto da 120 uomini, con la legione è composta da 30 di essi, con il seguente inquadramento:
– 10 manipoli di hastati, i soldati più giovani, così chiamati dalla lancia in dotazione (hasta) ma che ben presto viene sostituita dal pilum un giavellotto “copiato” dai sanniti ma forse già mutuato in precedenza dalla realtà etrusca. Completano l’equipaggiamento uno scutum ovale, l’elmo (il più utilizzato è quello di tipo Montefortino di origine celtica), un’armatura che può essere di vario tipo (da semplici placche di metallo fino alla lorica hamata, la cotta di maglia) e la spada, il cui modello più diffuso è quello La Tene B di origine celtica, nonostante permanga il diffuso utilizzo di spade di importazione greca come kopis e xyphos. Esse verranno sempre più sostituite dal celebre gladio hispaniense a partire dalla seconda guerra punica in poi. Infine viene portato anche un corto pugnale chiamato pugium;
– 10 manipoli di princeps, soldati più esperti e di età maggiore, forniti di un equipaggiamento simile ma di qualità migliore e più omogeneo (ad esempio le cotte di maglia sono la regola);
– 10 manipoli di triarii, i soldati più anziani ed esperti che fungono da riserva e i cui manipoli sono di soli 60 uomini e che mantengono un armamento in stile oplitico con robuste lance (hastae) ed equipaggiamento pesante.
Ogni manipolo è poi diviso in due centurie ognuna comandata da un centurione (il centurione di quella posizionata a destra detto prior è di grado più alto rispetto all’altro detto posterior e comanda l’intero manipolo). Essi sono coadiuvati da un optio, un secondo in comando che si posiziona in fondo alla centuria e ha il compito di tenere i legionari nei ranghi ed evitare eventuali diserzioni tramite l’uso di un bastone.
A completare i quadri di comando superiori abbiamo 6 tribuni militari in ogni legione di cui uno è di grado massimo rispetto agli altri.
Alla fanteria pesante di linea si aggiungono i velites, i fanti leggeri, non inquadrati in manipoli e centurie ma formalmente aggregati in numero di 40 a ciascun manipolo per un totale di 1200. Essi hanno un armamento composto prevalentemente da armi da lancio come il pilum, fionde e plumbatae (dardi corti e pesanti) e un equipaggiamento difensivo privo di armatura e composto solamente dal parma, un piccolo scudo rotondo.
Infine la cavalleria, composta da 10 turmae (squadroni) di 30 uomini ciascuna, per un totale di 300 effettivi. La cavalleria non è una specialità dei romani, sia perché essi non apprezzano il combattimento a cavallo sia a causa di limiti tecnici fra cui la mancanza della staffa, sconosciuta ancora per molti secoli nel mondo romano, il che rende il cavaliere troppo instabile e privo della forza d’urto tipica di una cavalleria pesante.
Per queste ragioni è un reparto con tipici compiti di cavalleria leggera: azioni di disturbo, protezione dei fianchi della fanteria e tentativo di aggiramento di quelli avversari e inseguimento in caso di ritirata dei nemici. Il totale delle truppe è quindi di circa 4200 uomini ma nei fatti la grandezza della legione varia dai 3000 ai 5000 effettivi.
All’esercito regolare si aggiungono i contingenti forniti dagli alleati (soci) italici, in numero più o meno equivalente agli effettivi delle legioni, ai quali per i motivi sopra esposti sono richiesti soprattutto reparti di cavalleria e altri reparti specializzati.
Con la progressiva espansione territoriale si moltiplicheranno i popoli sottomessi a Roma sia come province che come regni clienti, i quali affiancheranno e sostituiranno i contingenti inviati dai soci italici (i quali peraltro diventeranno cittadini romani al principio del I secolo a.C.).
Questi contingenti risulteranno spesso cruciali per colmare il bisogno di truppe specializzate in determinati settori di cui l’esercito romano era lacunoso (alcuni esempi degni di nota possono essere la cavalleria numidica e i frombolieri delle Baleari, truppe leggere armate di fionda che fornivano del fuoco a distanza per scompaginare le linee avversarie).
Tali truppe ausiliarie si integreranno sempre più all’esercito durante le guerre civili e saranno poi regolarizzate, come vedremo, da Augusto.
La disposizione tipica in battaglia di questo periodo è su tre linee, disposte a scacchiera, con la prima linea formata dai manipoli di hastati, posti a distanza l’uno dall’altro in maniera tale che i vuoti siano riempiti dalla seconda linea dei principes e questa allo stesso modo davanti ai triarii in terza linea.
Le prime due linee si alternano nell’assalto delle linee nemiche, con la prima che viene sostituita dalla seconda quando i soldati sono stanchi; durante il primo assalto gli hastati scaricano sugli avversari salve di pila, i quali sono costruiti in modo da piegarsi o rompersi dopo l’urto cosicché anche quando colpiscono gli scudi nemici li rendono inutilizzabili perché rimangono incastonati in essi.
I triari subentrano solamente nel caso che le prime due linee non riescano ad avere ragione dell’avversario e soprattutto se esse ripiegano: in questo caso i triari hanno il compito di coprire la ritirata reggendo l’urto nemico, compito per il quale sono più consoni grazie all’impostazione e all’armamento pesante di stampo oplitico (infatti l’espressione “res ad triarios redddit” cioè “ridursi ai triari” è l’equivalente nel linguaggio comune del nostro “arrivare alla frutta”).
Ai lati dello schieramento si dispongono la cavalleria e le truppe ausiliarie, mentre i velites sono posizionati davanti agli hastati con il compito di primo approccio dell’esercito nemico per provare a scompaginarne le fila con rapide incursioni e l’utilizzo delle loro armi da getto per poi ritirarsi dietro le linee amiche, in seconda battuta potevano anche servire per colmare i vuoti nello schieramento, rinforzare le linee dei manipoli o aiutare i triari nel proteggere la ritirata con azioni di disturbo.
Infine per completare il quadro occorre segnalare che le legioni sono sotto il comando dei consoli (o una per ogni console quando l’esercito è diviso oppure a giorni alterni in caso siano entrambe schierate insieme). Quando poi il numero di legioni col tempo andrà accrescendosi esse saranno affidate ad altri magistrati cum imperio (come pretori e anche proconsoli e propretori cioè ex consoli o ex pretori).
La riforma Mariana
Della grande riforma dell’esercito intrapresa da Gaio Mario a cavallo tra II e I secolo a.C. abbiamo già delle precedenti avvisaglie: già Scipione l’Africano durante la seconda guerra punica adotta la coorte, unità tattica che può agire autonomamente ed è formata da 3 manipoli (i quali peraltro nel corso del tempo si erano accresciuti numericamente fino ad avere anche 160 effettivi); in secondo luogo per quanto riguarda l’arruolamento, può capitare che nei momenti di maggior pericolo per Roma si armassero i capite censi a spese dello Stato e delle famiglie più ricche (un esempio è stato dopo la battaglia di Canne) e inoltre le riforme graccane provano ad inserire un rimborso e la distribuzione di terre ai cittadini-soldati poiché con le guerre che si fanno più lunghe e protratte (non più solo nel periodo estivo), oltre che sempre più lontane da Roma, si creano forti problemi per i contadini che sono costretti ad abbandonare i loro terreni per anni e al ritorno si vedono sottratte le loro proprietà ormai in disuso dai ricchi latifondisti.
Mario quindi dopo le pesanti sconfitte subite contro le popolazione germaniche dei Cimbri e dei Teutoni, in un momento di bisogno e di carenza di nuove reclute, imposta la sua riforma iniziando ad arruolare non più cittadini-soldato che servono nell’esercito legati dal dovere verso lo Stato romano, ma soldati professionisti che intraprendono la vita militare come carriera retribuita e professionale, formando legioni stabili le quali non vengono congedate alla fine delle ostilità (inizialmente saranno i capite censi e i proletari urbani, poi qualsiasi cittadino di ceto umile che voglia intraprendere la vita militare come alternativa e come possibilità di fare carriera).
I soldati ricevono un regolare salario e un appezzamento di terra o una liquidazione in denaro al momento del congedo, oltre alle spartizioni dei bottini di guerra concesse dai generali durante le campagne militari. Anche per questo la riforma legherà in maniera sempre più stretta i soldati ai loro generali, e questa come si vedrà sarà una delle maggiori cause della fase di guerre civili dell’ultimo periodo repubblicano.
Con Mario si perfeziona anche il passaggio dal sistema dei manipoli a quello delle coorti come unità basilare della legione, in numero di 10 e composte da 480 uomini (anche se i manipoli resteranno in uso come unità tattica almeno fino alla fine della Repubblica visto che Cesare ne cita l’utilizzo nel De bello gallico).
Il sistema dei manipoli viene riecheggiato nei nomi dei quadri di comando, idealmente infatti le coorti, numerate in ordine progressivo, sono divise in 3 manipoli e quindi in 6 centurie con i centurioni che hanno un ordine gerarchico in base al manipolo di appartenenza secondo il seguente schema, in ordine crescente:
“Hastatus prior, hastatus posterior, princeps prior, princeps posterius, pilus prior, pilus posterius; il centurione primus pilus, cioè quello della prima coorte, era il più importante della legione, di solito un veterano con diversi anni di servizio, ed era ammesso ai consigli degli ufficiali maggiori.”
Infine l’unità minima, come numero di elementi, è il contubernia, di 8 uomini, che abitano all’interno di una singola tenda o alloggiamento all’interno dell’accampamento (10 contubernia perciò formavano una centuria di 80 uomini).
In questo periodo i soldati cominciano a travasare parte del loro senso di appartenenza verso la Res Publica per la cui difesa, accrescimento e prestigio combattono, con un forte senso di attaccamento sia al loro generale, come detto in precedenza, che alla loro legione, oltre che un sentimento di cameratismo con i membri dei reparti e del contubernia (che sfocia anche in una sorta di “rivalità” con le altre legioni).
E’ in questo periodo che assume sempre più significato il simbolo della legione (di solito un animale) e l’aquila d’oro introdotta proprio da Mario: perdere una di queste insegne in battaglie era considerato un’onta molto grave per la legione, che veniva spesso sciolta.
Lo schieramento tattico rimane quello su tre linee (triplex acies) con 4 coorti in prima linea e 3 nelle altre due ma ci sono testimonianze (ad esempio in Cesare9 di schieramento su due linee (duplex acies) di 5 coorti ciascuna; ovviamente a seconda delle necessità, date ad esempio dal terreno o dal tipo di avversario, lo schieramento poteva essere anche modificato e stravolto a seconda della sensibilità tattica del generale.
La legione romana: la nascita del principato e l’alto Impero
Dopo il periodo di lunghe guerre civili durato a più riprese per circa 50 anni e culminato con la battaglia di Azio nel 31 a.C., l’esercito subisce una nuova riforma con Augusto (Riforma augustea dell’esercito).
Innanzitutto egli riduce il numero delle legioni, spesso ridotte e decimate nell’organico, accorpandole e portandole dalle circa 60 esistenti dopo la fine della guerra con Antonio a 25 (di ciò abbiamo una testimonianza nel nome di alcune legioni rinominate Gemina poiché nate appunto dalla fusione di due legioni preesistenti). Le stime numeriche per questo periodo parlano di circa 150 mila legionari a cui si aggiungono come vedremo a breve altrettanti ausiliari (peregrini e barbari).
In secondo luogo la ferma viene fissata a 16 anni più 4 come riservisti (evocati, cioè veterani) ma già dallo stesso Augusto gli anni di servizio saranno aumentati a 20 più 5 da evocati.
La paga è stabilita in 225 denarii cioè 900 sesterzi più una liquidazione in terre o denaro al momento del congedo, se avvenuto con onore (honesta missio). Il salario verrà incrementato a più riprese nel corso del tempo giungendo a 300 denarii con Domiziano alla fine del I secolo d.C. e ulteriormente (anche per far fronte alla dinamica inflazionistica che colpirà l’economia già dalla fine del II secolo d.C.) dagli imperatori della dinastia dei Severi; rispetto a questa paga base c’erano una serie di ufficiali della legione che ricevevano stipendi più alti: essi potevano essere sesquiplicarii (paga una volta e mezzo più alta rispetto al normale) o duplicarii (paga doppia).
Bisogna considerare che da questo stipendio ai legionari vengono sottratte le spese per il proprio equipaggiamento e per il sostentamento; solo con Marco Aurelio verrà istituita una forma di annona militare per il vettovagliamento dei soldati a spese dello stato e con Settimio Severo essa si regolarizzerà e vi si aggiungerà anche la spesa per l’equipaggiamento e l’armamento dei soldati.
L’equipaggiamento offensivo rimane simile a quello repubblicano con l’introduzione di nuovi modelli di gladio come il tipo Pompei e il tipo Magonza, per quanto riguarda l’armatura prende sempre più piede la lorica segmentata con cui il legionario romano è più presente nell’immaginario collettivo: essa viene pensata dopo la disfatta di Carre subita dalla cavalleria dei Parti, formata da cavalieri sia pesanti che leggeri armati con arco, e si dimostrerà molto più efficace sia contro le frecce che contro i fendenti portati dal basso verso l’alto tanto che durante le campagne daciche di Traiano verrà aggiunta ad esse anche una manica segmentata per proteggere il braccio dai colpi delle falci tipicamente utilizzate dai Daci.
Nonostante la permanenza del tipo Montefortino anche in tutta la prima fase imperiale, i modelli più diffusi saranno l’elmo imperiale di tipo gallico e poi italico (simile al primo ma più rinforzato sulla calotta e con ampie tese sul collo, anch’esso pensato per il confronto con le falci daciche).
Augusto poi stabilizza le truppe ausiliarie, retaggio del periodo tardo repubblicano, inquadrandole in coorti inizialmente quingenarie (500 uomini) a cui in un secondo momento si affiancheranno anche quelle miliarie (1000 uomini). Esse, affidate a comandanti di rango equestre, possono essere di tre tipi:
– Peditatae, cioè composte di soli fanti;
– Alae di cavalleria, numericamente formate da 16 turme di 30-32 uomini se quingenarie o da 24 turme se miliarie;
– Equitatae, cioè miste di fanti e cavalieri.
Le corti ausiliarie sono composte da peregrini (cioè i non cittadini sottomessi all’impero e che vivevano all’interno dei suoi confini) o anche da barbari se non sottomessi comunque soggetti all’autorità e all’influenza romane e che nelle fasi più avanzate dell’Impero stipuleranno accordi con Roma fornendo periodicamente contingenti di reclute (un esempio sono i cavalieri sarmati che vediamo nel film King Arthur, liberamente ispirato al personaggio storico-leggendario di Re Artù); il nome delle coorti ausiliarie spesso riecheggia la provenienza dei suoi membri.
Alcune sono equipaggiate similmente ai corrispettivi reparti romani ma più spesso dispongono di un equipaggiamento più economico, diverse inoltre sono specializzate e possiedono quindi armamenti peculiari (i sagittarii ad esempio, reparti di arcieri, oppure abbiamo notizia di un reparto reclutato nelle province orientali e montato a cavallo di dromedari).
Le paghe degli ausiliari sono più variabili ma comunque più basse (si suppone anche della metà) rispetto a quelle dei legionari e il congedo avviene dopo 25 anni al termine dei quali il milite ausiliario riceveva una tavoletta bronzea che ne attestava l’ottenuta cittadinanza. Infine si segnala l’esistenza, a partire dal II secolo d.C., di numeri cioè unità reclutate direttamente tra i barbari, comandate dagli stessi loro re o capi tribali e che avevano un equipaggiamento e un modo di combattere autoctoni.
Con Augusto si inizia a regolarizzare la carriera all’interno delle gerarchie dell’esercito dando spazio anche al ceto dei cavalieri nato e accresciutosi in età repubblicana. La legione era affidata solitamente ad un legatus legionis di rango senatorio e al di sotto di esso troviamo i 6 tribuni militari di cui 5 erano detti angusticlavi ed erano di rango equestre mentre il più alto in grado era detto laticlavius ed era di rango senatorio (solitamente era la prima tappa della carriera militare per i giovani rampolli delle famiglie aristocratiche prima di intraprendere le tappe delle magistrature civili del cursus honorum).
Le coorti e le alae ausiliarie erano affidate a comandanti di rango equestre come già segnalato in precedenza. Infine bisogna considerare la creazione di altre truppe presenti in particolar modo nell’Urbe con compiti specifici:
– le coorti pretoriane, che assolvono al compito precipuo di guardia dell’imperatore e sono inizialmente 9 perché la legge vieta che all’interno del pomerio (cioè il confine di Roma) stazioni un’intera legione ma vengono portate a 10 probabilmente già sotto Tiberio. Settimio Severo le riforma con legionari pannonici a lui fedeli e ne raddoppia gli effettivi (peraltro stanziò a loro rinforzo una nuova legione nei Castra Albana a pochi chilometri da Roma).
Sono comandate dal Prefetto del Pretorio, nominato dall’imperatore stesso, una figura che spesso assumerà poteri notevoli all’interno dei giochi di potere della corte imperiale. I pretoriani saranno sciolti definitivamente da Costantino, perché rei di essersi schierati con il rivale Massenzio durante la battaglia di Ponte Milvio;
– le coorti urbane sono truppe a disposizione del senato e per la difesa dei senatori, comandate dal Prefetto dell’Urbe che era appunto di rango senatorio. Anch’esse inizialmente sono in numero di 3 furono poi portate a 5 e trasformate in miliarie (cioè di 1000 uomini) dall’imperatore Claudio;
– le 7 coorti di vigiles col compito di polizia per reati comuni e soprattutto per il controllo e la prevenzione dei frequenti incendi che scoppiavano in città;
– nel tempo si sono venuti inoltre a creare dei corpi di guardie personali dell’imperatore; inizialmente abbiamo i germani corporis custodes di Cesare, truppe scelte dopo la conquista della Gallia tra i migliori e più fedeli guerrieri batavi (popolo stanziato grosso modo negli attuali Paesi Bassi), i quali perdono prestigio già con Augusto e vengono infine sciolti da Nerone. Traiano poi ricreerà una guardia simile, gli equites singulares augusti, scelti tra i migliori cavalieri dell’Impero e sciolti anch’essi insieme ai pretoriani da Costantino.
La legione romana nel Tardo Impero
Tra la fine del II e la prima metà del III secolo d.C l’Impero subisce una profonda crisi, al cinquantennio di lotte intestine compreso tra il 235 e il 285 d.C. noto come periodo dell’anarchia militare contribuisce con decisione quel legame sempre più stretto tra le legioni e i propri comandanti, di cui si è parlato in precedenza.
Con Gallieno si hanno i prodromi di quella che sarà la riforma dell’esercito sotto Diocleziano e poi Costantino; Gallieno infatti per primo crea un comitatus cioè un reparto di truppe, in particolar modo di cavalleria, al seguito dell’imperatore e che gli permettono di poter intervenire celermente dove ce ne fosse bisogno.
Con Diocleziano, Costantino e poi sempre più nel IV secolo d.C si va conformando una situazione che vede l’esercito diviso nel modo seguente:
– truppe presentali, cioè alla presenza dell’imperatore, le elité dell’esercito;
– truppe comitatensi, evolutesi in particolar modo dalle vexillationes, già utilizzate dai tempi di Marco Aurelio, quelle coorti “prese in prestito” da alcune legioni per prendere parte alle campagne militari o intervenire in altri scenari dove vi era bisogno della presenza di maggiori truppe, senza sguarnire totalmente la zona di provenienza; esse formano eserciti stanziati nelle città e pronti ad intervenire sui confini o durante le eventuali campagne offensive;
– truppe limitanee, stanziate lungo i confini dell’Impero (in teoria le truppe meno esperte e preparate oltre che equipaggiate in maniera più scadente, anche se studi recenti tendono a ridimensionare questa ipotesi);
– le scholae palatinae istituite da Costantino con i compiti prima afferenti ai pretoriani, da lui sciolti.
Le unità pur se ancora formalmente esistenti come legioni si riducono di numero in maniera significativa già con Diocleziano (per i limitanei si pensa fossero composte da 1000-1500 uomini che potevano arrivare a 3000 per le comitatensi).
Per l’equipaggiamento si consolida una tendenza già presente tra il II e il III secolo d.C. ma ora istituzionalizzata cioè la presenza di fabricae imperiali specializzate; per contenere i costi di queste ultime l’equipaggiamento subisce un calo qualitativo ma esso muta anche a causa delle diverse esigenze tattiche: il pilum viene progressivamente sostituito da altre armi da lancio come le plumbatae, l’elmo di tipo imperiale cede sempre più il posto a modelli conici più semplici come lo Spangenhelm, il gladio viene abbandonato in luogo della più lunga spatha, prima utilizzata prevalentemente dalla cavalleria, lo scutum è sostituito da modelli ovali e di qualità e costo inferiori e infine si ritorna anche all’utilizzo di lance più corte e robuste più simili al vecchio modello oplitico.
Nonostante ciò sembra ormai smentito il luogo comune che vuole l’esercito tardoantico molto inferiore rispetto al suo corrispettivo altoimperiale, se pensiamo che ad esempio ancora nella seconda metà del IV secolo coglie vittorie importanti e schiaccianti come quella di Argentoratum (Strasburgo) ad opera dell’imperatore Giuliano l’Apostata.
Solo dopo Adrianopoli si assiste ad un progressivo decadimento dovuto anche alla barbarizzazione degli elementi che lo compongono, che va letta non più come in precedenza come presenza di ausiliari prima e come affiancamento di reclute barbare in reparti romani poi ma come vero e proprio arruolamento in blocco di contingenti, gruppi e tribù che vengono inseriti in blocco come intere unità e rimangono legati ai loro comandanti e al loro modo di combattere senza mai integrarsi realmente nell’esercito romano.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Luigi Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere. La formazione di un ordinamento giuridico, Il Mulino 2009.
- Francois Jacques e John Scheid, Roma e il suo impero. Istituzioni, economia, religione, Editori Laterza, 2005.
- Yann Le Bohec, Geopolitica dell’Impero Romano, LEG Biblioteca, 2014.