CONTENUTO
Il contesto storico: dalle guerre lombarde alle guerre d’Italia
Tra Quattrocento e Cinquecento, Venezia è una repubblica retta da un regime oligarchico di famiglie patrizie. È forte, prospera, con la sua fiorente economia mercantile e marinara che può beneficiare dei traffici provenienti dall’Oriente attraverso la Via della Seta. Dopo la caduta di Costantinopoli (1453), è attenta a mostrarsi accondiscendente con i Turchi, per importare e distribuire in Europa spezie e altre merci preziose. Finzione che dura solamente una decina di anni: negli anni ‘60 e ‘70 del Quattrocento è già in conflitto con gli Ottomani nella Guerra turco-veneziana (1463-1479).
Nel frattempo, l’apertura delle rotte atlantiche portoghesi induce la città lagunare a guardare con interesse ai propri domini di terraferma, come Padova, Verona e Vicenza (politica dell’interramento), centri entrati nell’orbita veneziana già nei primissimi anni del XV secolo. Ma lo sguardo sempre più rivolto ad ovest getta le premesse per lo scontro con il Ducato di Milano nelle Guerre di Lombardia (1423 – 1454), in conseguenza delle quali Venezia ottiene Bergamo e Brescia, e il confine con la potenza milanese viene fissato sul fiume Adda.
La pace di Lodi (1454), che mette fine al conflitto, stabilizza il quadro politico delineato dando inizio a un periodo di relativo equilibrio tra gli stati principali della penisola uniti nella Lega Italica (Repubblica di Venezia, Ducato di Milano, Firenze, Stato della Chiesa e Regno di Napoli). Dopo la morte quasi contemporanea nel 1492 dei due tra i più abili uomini fautori del dialogo diplomatico nella penisola, Lorenzo de’ Medici e Innocenzo VIII, l’Italia sperimenta la calata delle potenze straniere nelle Guerre italiche (1494 – 1559), diventando oggetto di conquista di Francia e Spagna. Da quel momento in poi, l’ambita penisola non sarà più indipendente: è l’inizio della lunga fase di dominio straniero, destinata a durare circa quattro secoli.
Le premesse: i territori di Cesare Borgia e la forza della Serenissima
Dopo aver deposto la porpora cardinalizia in seguito alla morte del fratello, nel 1498 Cesare Borgia, figlio illegittimo di papa Alessandro VI, inizia ufficialmente la sua carriera politica e militare. Gonfaloniere degli eserciti papali, Il Valentino -come è chiamato- instaura il proprio dominio in Romagna e in alcuni centri del marchigiano, come Forlì, Imola, Faenza, Rimini, Cesena e Camerino, rendendo difatti i possedimenti della Chiesa di Roma avamposti personali della famiglia Borgia.
Con la scomparsa del padre nel 1503, l’epopea fulminea di Cesare viene però intaccata alle sue basi: il successore al soglio pontificio, papa Giulio II, acerrimo nemico dei Borgia, priva Cesare del titolo e in un primo momento guarda con piacere alla sottomissione delle signorie spodestate di Romagna e di parte delle Marche alla Repubblica di Venezia, pur di allontanare il <<pericolo Cesare>>.
La manovra è però transitoria: il tentativo di ristabilire il controllo papale sui territori romagnoli si annuncia con la richiesta di restituzione alla santa Chiesa di Roma delle città conquistate da Venezia. Al rifiuto della Serenissima, si preannunciano le premesse del conflitto. Nell’arco di un paio di anni, Giulio II riesce a riconquistare Bologna e Perugia. Nel 1507, rinnova la richiesta di restituzione dei territori romagnoli. Ancora più seccamente di prima, il senato veneziano oppone il suo diniego.
Nel febbraio del 1508, Massimiliano d’Asburgo chiede pretestuosamente a Venezia il permesso di passare attraverso i suoi territori per l’incoronazione imperiale a Roma. È l’occasione per tentare l’invasione del Cadore, la provincia più settentrionale della Repubblica, ma Venezia non tarda a reagire, e il suo esercito, guidato da Bartolomeo d’Alviano, stermina in poco tempo la potenza tedesca.
È chiaro che serve una coalizione per contrastare la potenza della Serenissima: la stipula della Lega di Cambrai (città francese al confine col Belgio) nel dicembre del 1508 unisce le maggiori potenze europee che intendono spartirsi i domini veneziani. Sacro Romano Impero, Francia, Spagna, Stato della Chiesa, Regno di Napoli e di Sicilia, Ducato di Ferrara, Ducato di Savoia, Marchesato di Mantova, Regno di Ungheria: tutti contro Venezia, unico stato degno di essere paragonato agli altri stati europei, ma soprattutto una repubblica, nome che già compromette le basi per l’agognato sviluppo dell’assolutismo moderno.
La Lega di Cambrai: la rivoluzione militare e le forze in campo
Gli anni tra Quattrocento e Cinquecento conoscono lo sviluppo dell’artiglieria, di nuove tecniche costruttive e di fortificazioni all’italiana. Anche l’aumento degli effettivi degli eserciti provoca un circolo vizioso capace di favorire a sua volta una rivoluzione finanziaria e affermazione delle grandi monarchie europee. Infatti, assieme alla Svizzera, l’Italia diventa un vero e proprio laboratorio di esperimenti militari.
L’archibugio rientra in questo periodo tra i primi esperimenti di arma da fuoco. Il cannone franco-borgognone, inoltre, poiché creato in un’unica colata di bronzo, scongiura il pericolo di vedere le parti cedere durante il colpo. La sua introduzione induce molte città a ispessire le proprie cinte murarie.
Il declino della cavalleria pesante a vantaggio di fanteria e artiglieria relega in un ruolo accessorio la nobiltà, che da sempre si era riconosciuta nei valori cavallereschi. La necessità di reinventarsi porta gli strati sociali più facoltosi ad acquisire le tecniche e le competenze per entrare negli apparati amministrativi statali in veste di funzionari. Sul campo bellico, invece, la compattezza dei gruppi di fanteria favorisce l’incremento di uno spirito di corpo e di orgoglio professionale, in cui rientrano anche reclute provenienti dalle zone più povere (come i tercios spagnoli e i lanzichenecchi tedeschi).
Anche l’architettura muraria italiana cambia aspetto: dalle alte mura medievali, funzionali a contrastare le armi bianche che avevano una gittata in altezza, si passa ad un’architettura bastionata orizzontale con schema di difesa poligonale. La moltiplicazione degli angoli protettivi della cinta conferisce al perimetro delle mura una conformazione irregolare: il colpo da fuoco dei cannoni può venire così mitigato e la direzione dei proiettili deviata. (1)
Nella guerra di Cambrai, Venezia può contare su un esercito di soldati mercenari e di reparti di cernide, milizie territoriali costituite da contadini che annualmente svolgevano gli addestramenti militari. Nella prima fase del conflitto, il comando è affidato ai due cugini Orsini, Niccolò di Pitigliano e Bartolomeo d’Alviano. I loro disaccordi tecnici saranno decisivi per gli esiti del primo grande scontro tra le forze veneziane e quelle della Lega: la battaglia di Agnadello.
La battaglia di Agnadello e la scomunica di Venezia
Nell’aprile del 1509, Luigi XII di Francia lascia Milano per dirigersi verso i territori veneti, superando il fiume Adda e occupando Treviglio. Il doge di Venezia, Leonardo Loredani, suggerisce all’esercito di non attaccare sull’Adda, mentre il senato ordina di spostarsi sull’Oglio. Mentre una parte dell’esercito a seguito del Pitigliano si ritira verso Brescia, il restante, comandato da Bartolomeo, marcia verso Agnadello, dove si era attestata una parte dell’esercito francese.
D’Alviano pagherà cari sia il rischio che l’irruenza: nonostante la mossa a cuneo che gli consente di sfondare le linee francesi, la mancanza di truppe tramuta l’azione in una tragedia (14 maggio 1509). I transalpini, attaccando alle spalle, massacreranno circa ottomila veneti. Gli ultimi valorosi superstiti, circa ottocento ravennati, piuttosto che arrendersi alle forze di Luigi XII si lasciano trucidare. Il 16 maggio anche Bartolomeo D’Alviano è fatto prigioniero.
Davanti all’impossibilità momentanea di fronteggiare dignitosamente le forze avversarie, la Repubblica di Venezia libera dall’obbligo di fedeltà i domini di terraferma (la conquista dell’entroterra era avvenuta infatti per adesione da parte delle città). Caravaggio, Bergamo, Brescia, Cremona e Crema aprono le porte ai francesi, mentre Padova, Verona, Vicenza, Bassano e Feltre si arrendono agli emissari dell’imperatore austriaco.
Nel frattempo, il papa Giulio II aveva lanciato una scomunica contro Venezia, invadendo la Romagna e conquistando Ravenna grazie all’appoggio di Alfonso I d’Este, che annette il Polesine. Gli aragonesi del Meridione riconquistano i porti pugliesi di Venezia.
Il caso di Treviso e Padova: la fedeltà a Venezia
Anche Treviso ha nel frattempo organizzato un consiglio cittadino con nobili e popolani, chiedendosi se sia il caso di consegnarsi allo straniero alla stregua delle altre città venete. È infatti oramai prassi che il commissario inviato da Massimiliano d’Asburgo, il celebre umanista vicentino Giangiorgio Trissino, ottenga il consenso delle città all’occupazione imperiale.
In un primo momento, i nobili trevigiani si recano a Padova, già occupata, per offrire l’arresa della città. Il consenso non è unanime, e le fonti parlano di un certo nobiluomo Francesco Rinaldi, che si dichiara pentito già sulla strada del ritorno. Ma gli imperiali non entreranno a Treviso. Durante l’assenza dei nobili, Marco Pellicciaio da Crema aveva guidato la resistenza della città con uno sparuto gruppo di popolani, correndo per Treviso con il figlio e alcuni amici, sventolando la bandiera di San Marco.
La strenua opposizione di Treviso al nemico e l’ancora sua più sorprendente fedeltà a Venezia, che pure aveva lasciato la possibilità alle città di slegarsi dall’unione repubblicana, resta un raro esempio di impavidità e coraggio, dimostrando come attorno alla città lagunare -lasciata sola a fronteggiare le più grandi macchine belliche d’Europa- ruoti ancora un felice margine di consenso.
Treviso sarà da quel momento in poi un punto di importanza strategica: tutte le truppe venete prima dislocate a Mestre sono ora spostate lì, e nella città il popolo fa a gara per dare alloggio ai soldati; chiese e conventi si aprono per accogliere i rifugiati. La città viene fortificata con mura, bastioni di terra e fossati. I borghi vicino alla vecchia cinta muraria sono spianati, per fare spazio a nuovi terrapieni interni che rinforzino le nuove costruzioni e permettano di attutire i colpi di cannone.
Anche Conegliano, nel trevigiano, sebbene sempre a margine nella guerra di Cambrai, non cambia fronte: sotto la loggia del palazzo comunale diversi nobili e popolani rinnovano la loro fedeltà a Venezia. Il podestà si procura anche di fare una colletta con i nobili della città per rifornirsi di armi da fuoco per resistere all’assalto degli imperiali, che però non avverrà. (2)
I lanzichenecchi tedeschi stabilitisi a Padova non hanno vita facile: numericamente insufficienti, non riescono a difendere la città dalla sollevazione dei cittadini padovani, in aiuto dei quali accorrono alcuni distaccamenti di cavalleria veneziana guidati dal provveditore Andrea Gritti (futuro doge dal 1523 alla morte). Padova torna sotto la Serenissima il 17 luglio 1509, riuscendo anche a respingere la controffensiva tedesca nel settembre dello stesso anno, grazie all’efficace opera di fortificazione delle vecchie mura che si avvale di uno straordinario contenuto tecnico per l’epoca, resistendo ai temibilissimi colpi di bombarda imperiali.
Scioglimento della lega di Cambrai e il cambio di alleanze
A causa di una carenza di uomini tra le fila veneziane e del pericolo di troppe armate straniere in Italia, il 24 febbraio 1510 la Lega di Cambrai viene sorprendentemente sciolta e la scomunica contro Venezia ritirata. Gli accordi tra papa Giulio II e la città lagunare prevedono la cessione della Romagna al pontefice e un’alleanza contro l’invasore francese attestato in Lombardia.
Approfittando degli attriti con Alfonso d’Este per via del controllo sulle saline, Giulio II rivolge la sua attenzione alla conquista del Ducato di Ferrara, alleato francese, ma riuscirà ad annettere allo Stato pontificio solo Modena, Reggio, Parma e Piacenza. I mercenari svizzeri arruolati dal papa per attaccare Milano sono però corrotti dal re francese e si ritirano presto nei loro territori d’origine.
Con il settentrione sgombero, Carlo II d’Amboise, a capo dell’esercito francese, può quindi marciare su Bologna, apertamente ostile al papato, ricevendo in cambio una scomunica. All’interdetto ad Amboise, la Francia risponde con un concilio convocato nella città di Tours, in cui si dichiara illegittimo il coinvolgimento del papa negli affari temporali dell’Italia. La forzata marcia pontificia verso Bologna fa cadere Sassuolo, Concordia e Mirandola nelle mani papali, ma la città felsinea mal tollera il cardinale lasciato da Giulio II, il cui assassinio apre le porte della città ai francesi nel maggio 1511.
La Lega Santa: guerra alla Francia
La presa francese di Concordia, Castelfranco e Bologna costringe il papa ad asserragliarsi a Ravenna (1511). A quel periodo risalgono gli accordi con la confederazione elvetica che sanciscono il rafforzamento della Guardia svizzera pontificia (ancora oggi è presente nell’araldica della milizia lo stemma dei Della Rovere, casato d’origine di Giulio II).
Ancor più rilevante è la stipula della Lega Santa (ottobre 1511), che in breve tempo isola la Francia, che potrà contare solamente sull’appoggio ferrarese. Alla Lega aderisce Venezia, la Spagna, l’Inghilterra di Enrico VIII e dal 1512 anche il Sacro Romano Impero.
Lo scontro tra Francia e Spagna nella battaglia di Ravenna (aprile 1512) tocca l’acme del conflitto. Sebbene la vittoria della Francia, le perdite e l’efferatezza della battaglia segnano l’inizio del decadimento della sua macchina bellica. Si narra che il duca di Ferrara bombardasse entrambi gli schieramenti dicendo «non importa, sono tutti stranieri e perciò nemici degli Italiani». (3)
La Francia lascerà l’Italia, e Venezia ne approfitterà per rioccupare i possedimenti dell’entroterra veneto e lombardo, mentre il papa riconquista Rimini, Ravenna, Bologna, Reggio, Modena e l’intera Romagna. Un altro contingente di mercenari svizzeri invade la Lombardia, mentre una dieta a Mantova pone sul trono meneghino Massimiliano Sforza, che subito aderisce alla lega antifrancese.
Anche Brescia, Legnago, Crema e Novara si arrendono alla Lega. Solo l’imperatore Massimiliano si rifiuta di restituire però i territori veneti alla Repubblica di Venezia, e stringe inaspettatamente un accordo con Giulio II per escludere Venezia dalle ripartizioni territoriali: è un altro ribaltone politico.
Il Trattato di Blois
Il trattato di Blois (marzo 1513) segna una svolta nella guerra contro la Lega Santa. In cambio dell’appoggio lagunare, i francesi liberano il veneziano Bartolomeo d’Alviano, catturato nella battaglia di Agnadello. Davanti a un debole Massimiliano Sforza, Milano viene riconquistata dai francesi, ma solo per un breve periodo, perché la sconfitta nella battaglia di Novara contro gli svizzeri e le incursioni inglesi nel nord della Francia convincono Luigi XII a rinunciare momentaneamente alla Lombardia. Venezia è lasciata da sola.
Nonostante un attacco congiunto lungo le direttrici nord-sud, Padova resiste però all’assedio degli imperiali e degli spagnoli, costringendo Massimiliano a ritirarsi a Verona (sarà l’ultima città a tornare sotto dominio veneziano). Neanche l’ipotesi di muoversi in direzione di Chioggia e di Mestre per attaccare direttamente Venezia si rivela utile: la città è troppo fuori mano e gli spagnoli non hanno imbarcazioni in grado di attraversare la laguna.
La Lega non riesce però ad approfittare delle vittorie. Nel giro di due anni, tra 1513 e 1515, muoiono sia papa Giulio II (a cui subentrerà Leone X de’ Medici) e Luigi XII di Francia (a cui succederà il genero, Francesco I). Quest’ultimo recupererà il ducato di Milano sconfiggendo gli svizzeri nella battaglia di Marignano (settembre 1515), mentre Leone X deve riconsegnare al re francese anche Parma e Piacenza, e al duca di Ferrara Modena e Reggio.
Il trattato di Noyon del 1516
La fine del conflitto è dichiarata con il trattato di Noyon, firmato da Francesco e Carlo I di Spagna (futuro Carlo V imperatore) nell’agosto 1516: esso riconosce il dominio francese su Milano e quello spagnolo su Napoli. Venezia recupera il resto dei possedimenti imperiali in Lombardia, ma Cremona rimane definitivamente sotto il Ducato di Milano.
La mappatura geo-politica ricalca sostanzialmente il precedente status-quo. Milano, brevemente sotto dominio francese, passerà definitivamente sotto gli Asburgo di Spagna nel 1559, diventando per l’imperatore Carlo V un decisivo punto di congiuntura tra l’eredità spagnola e quella imperiale. Venezia, dal canto suo, setacciando il quadro di consenso dei suoi domini dell’entroterra, esce più che mai a testa alta da un conflitto nel quale si è confrontata con le più grandi potenze europee dell’epoca.
La concretezza momentanea e tattica delle fugaci alleanze della guerra di Cambrai rivela un quadro complicato da cui si originano gli influssi sociali e culturali che faranno dell’Italia una piccola Europa in un piccolo, ma ambitissimo, Stato.
Note:
(1): Carlo Capra, Storia moderna (1492 – 1848), Le Monnier Università, pag. 77.
(2): Conferenza ‘La lega di Cambrai’ a cura dello storico Tarcisio Zanchetta, presso il Museo del Piave di Caorera di Vas (BL), 16 marzo 2012.
(3): Marco Pellegrini, Le guerre d’Italia: 1494-1530, Bologna, Il mulino, 2009, pp. 128 – 129.
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- Angiolo Lenci, Il leone, l’aquila e la gatta. Venezia e la guerra di Cambrai. Guerra e fortificazioni dalla battaglia di Agnadello all’assedio di Padova del 1509, il Poligrafo, Vicenza 2002.
- Tarcisio Zanchetta, Le mura di Treviso della repubblica veneta, Michael Edizioni, 2017.
- Sante Rossetto, Il baluardo della Serenissima. La guerra di Cambrai (1509-1517) dalla sconfitta alla riconquista, CanovaStoria, 2020.