“La via italiana al totalitarismo” di Emilio Gentile (Carocci editore) è un volume sui rapporti fra partito e Stato nel regime fascista, esaminati come un aspetto fondamentale per comprendere l’originalità e la specificità del fascismo come “via italiana al totalitarismo”, rispetto agli altri esperimenti di dominio totalitario effettuati nel periodo tra le due guerre in Russia e in Germania. Una delle poche opere complessive sulla storia del partito fascista e sul suo ruolo nell’attuazione del totalitarismo, inteso come esperimento di dominio politico.
Il titolo del libro vuol dare risalto alle condizioni storiche propriamente italiane nelle quali ebbe origine e si affermò l’esperimento fascista. L’interpretazione del fascismo come “via italiana al totalitarismo” deriva dall’analisi dei fatti, dei comportamenti, delle organizzazioni e delle istituzioni del regime fascista. Allo stesso modo si potrebbero definire il bolscevismo e il nazionalsocialismo, rispettivamente, la “via russa” e la “via tedesca” al totalitarismo. Il totalitarismo non era l’obiettivo del loro esperimento, ma la via per realizzare la loro concezione della vita e della politica. In questo senso il fascismo fu la “via italiana al totalitarismo”.
Il libro si compone di tre parti: la prima parte è un’ampia rassegna storiografica degli studi e delle interpretazioni del fascismo come partito e regime, dalla metà degli anni venti fino alla metà degli anni novanta del secolo scorso; la seconda parte riguarda la storia del partito e il ruolo che esso ha avuto come artefice e protagonista dell’esperimento totalitario. La terza parte contiene una sommaria rassegna critica delle principali reazioni suscitate da questo libro, alla quale segue una valutazione critica del giudizio di Hannah Arendt sul fascismo e sul totalitarismo, mentre il capitolo conclusivo propone alcune considerazioni sull’eredità del totalitarismo fascista dopo la fine del fascismo.
Il fascismo manifestazione del totalitarismo
La peculiarità del regime fascista, come Stato di partito, è stata argomento di molte discussioni, che hanno investito, dopo la fine del fascismo, anche la sua definizione come manifestazione del totalitarismo e, più in generale, la questione della natura del fenomeno totalitario. Considerata quasi estinta all’inizio degli anni ottanta, la questione del totalitarismo fascista è tornata all’attenzione degli studiosi negli ultimi due decenni del secolo scorso, specialmente dopo la fine dell’impero sovietico, ed è tuttora materia di ricerche di riflessioni e di discussioni sia in Italia sia all’estero.
Il concetto di totalitarismo è nato dall’esperienza del fascismo ed è da questa esperienza che gli antifascisti trassero gli elementi essenziali per definire la novità e la natura di questo fenomeno: il partito antidemocratico militarmente organizzato, la pratica della violenza sistematica e istituzionale contro gli avversari, il monopolio del potere e della politica, l’imposizione dei miti fascisti come una religione politica integralista e intollerante, l’istituzione del culto del duce, la costruzione di uno “Stato-partito” che sottometteva le istituzioni statali al comando del capo del partito fascista; l’organizzazione e la mobilitazione delle masse sotto il controllo del regime.
Tutte le teorie del totalitarismo, elaborate dagli antifascisti negli anni trenta e quaranta, si riferivano ai caratteri affini fra bolscevismo, fascismo e il nazionalsocialismo. Nessuno studioso escludeva allora il fascismo dal totalitarismo. L’esclusione dal totalitarismo avvenne nel 1951 con la pubblicazione del libro di Hannah Arendt Le origini del totalitarismo. La studiosa non considerava totalitario il fascismo perché non aveva avuto le caratteristiche che secondo la sua teoria, costituivano l’essenza del totalitarismo, ossia il predominio del partito sullo Stato e il terrore di massa.
Negli anni sessanta, gli storici Alberto Aquarone e Renzo De Felice si richiamarono esplicitamente all’opera di Arendt per negare il carattere totalitario dello Stato fascista e per sostenere che Benito Mussolini aveva realizzato una dittatura personale sulla base di un compromesso con le istituzioni tradizionali dello Stato monarchico, lasciando immutata la struttura fondamentale del vecchio regime. La conseguenza storica di questo compromesso è stata la “liquidazione politica” del partito fascista, privato di potere e trasformato dal duce in un immenso apparato burocratico.
La banalizzazione e la defascistizzazione retroattiva del fascismo (come definita dall’autore), che consiste nel privare il fascismo dei suoi attributi storici, della sua originalità e peculiarità come partito e come regime, hanno portato alla rimozione del fascismo dal fenomeno del totalitarismo.
Il totalitarismo come esperimento
Il totalitarismo va considerato come un esperimento continuo di dominio politico. Il totalitarismo ha un carattere dinamico, è un processo continuo che non può essere considerato compiuto in nessun particolare stadio della sua attuazione. In questo senso, il totalitarismo del bolscevismo, del fascismo, del nazionalsocialismo non designa un progetto comune o una meta comune, ossia il regime totalitario, verso la quale erano diretti i tre partiti, ma designa un metodo comune, ossia l’esperimento totalitario, adoperato dai tre partiti per raggiungere ciascuno la sua specifica meta, definita dai loro rispettivi orientamenti culturali, ideologici e sociali.
Il metodo comune non implica una meta comune: le affinità fra gli esperimenti totalitari non implicano la loro assimilazione in un identico fenomeno. Per tale motivo, l’interpretazione che Gentile dà del totalitarismo si differenzia dalla maggior parte delle teorie del totalitarismo tuttora prevalenti, che basano la loro definizione principalmente sulla nozione istituzionale di regime totalitario, a sua volta ricavata principalmente dalle somiglianze fra regime nazista e regime stalinista.
All’origine dell’esperimento totalitario vi è un partito rivoluzionario come promotore e artefice, che considera irrevocabile la conquista del monopolio del potere, non ammette la possibilità di esistenza per altri partiti e altre ideologie e concepisce lo Stato come un mezzo per realizzare i suoi progetti di dominio e rigenerazione. Il presupposto fondamentale del regime totalitario è un movimento rivoluzionario di massa, con un’ideologia integralista e la vocazione alla conquista del monopolio del potere politico.
Il regime totalitario è un sistema politico fondato sulla simbiosi tra Stato e partito e su un complesso di potentati istituzionali, governati da una nuova aristocrazia di comando, scelti dal capo del partito, che sovrasta con la sua autorità carismatica l’intera struttura del regime. Il sistema politico totalitario funziona come un laboratorio dove si sperimenta una rivoluzione antropologica per la creazione di un nuovo tipo di essere umano.
Il fascismo, dunque, fu un esperimento totalitario che si venne gradualmente attuando nelle organizzazioni e nelle istituzioni del regime, attraverso un rapporto complesso e spesso conflittuale tra il partito fascista e l’apparato tradizionale dello Stato monarchico, nel continuo lavoro di costruzione dello Stato fascista.
Se lo Stato fascista rimase un edificio incompiuto, soprattutto per le disastrose vicende belliche che ne provocarono il crollo definitivo, incompiuto non fu l’esperimento totalitario, ossia il metodo di azione del partito fascista, da questo messo in opera fin dalla sua formazione come partito-milizia, come squadrismo e movimento di massa militarmente organizzato, e sviluppato con sempre maggiore consapevolezza e integralismo dopo la conquista del potere, per tutto il corso del Ventennio.
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La via italiana al totalitarismo di Emilio Gentile