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“La storia contesa” di Luca Falsini

Il libro di Luca Falsini pubblicato dalla Donzelli Editore affronta il problema dell'uso della storia per demonizzare l’avversario e non per comprendere il nostro tempo

di Agostino Raso
31 Maggio 2021
TEMPO DI LETTURA: 4 MIN
copertina "La storia contesa"

CONTENUTO

  • Uso pubblico della storia
  • Uso politico della storia
  • Destoricizzazione e Delegittimazione
  • Nuova comunicazione storica

“La storia contesa. L’uso politico del passato nell’Italia contemporanea” di Luca Falsini analizza come la Storia oggi sia oggetto di usi e abusi strumentali,  e come essa sia utilizzata per demonizzare l’avversario e non per comprendere il nostro tempo.

Uso pubblico della storia

Negli ultimi trent’anni la Storia è caduta nelle maglie del revisionismo e del sensazionalismo, deriva che nulla ha a che vedere con il rigore del suo metodo scientifico. Parte della colpa, secondo l’autore, è della politica, che ha fatto dell’uso pubblico della storia uno strumento elettorale. L’autore presenta una lunga casistica di come gli eventi nazionali dell’ultimo secolo siano stati oggetto di una narrazione fuorviante. Dal Risorgimento al fascismo, di cui ancora si nega la forma totalitaria, dalla Resistenza fino alla caduta del Muro di Berlino.

Il 1989 assurge a data iniziale delle riflessioni contenute nel libro, perché segnò l’inevitabilità di un ripensamento identitario che coinvolse un numero rilevante di italiani e che mise in discussione una fetta consistente dei principi e dei valori che avevano dato vita al patto costituente. L’antifascismo, la Resistenza, la guerra civile e il socialismo reale finirono cosi al centro della discussione che nei primi anni novanta si aprì sul sistema politico italiano e sull’identità nazionale.

Nel confronto presero la parola molti studiosi, storici, politologi e filosofi, ma anche un numero non indifferente di opinionisti che, pur muovendosi fuori dagli ambiti scientifici, riuscirono, grazie soprattutto al supporto mediatico, a influire grandemente nella formazione del senso comune storico. Furono quelli gli anni del moltiplicarsi degli agenti di storia e dell’esplosione dell’uso pubblico della storia.

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Uso politico della storia

Anni in cui si palesarono tanto la forza quanto i limiti del racconto mediatico, cosi strettamente legato al sensazionalismo, alla immediatezza del messaggio e alla semplificazione comunicativa. Furono quelli, ancora, gli anni in cui gli storici si accorsero che la storia percepita dagli italiani era sensibilmente diversa da quella che per anni avevano insegnato nelle aule universitarie.

Ciò li portò a ragionare sulla necessità di ripensare gli strumenti del proprio lavoro, di aggiornarli tenendo conto delle esigenze poste da un pubblico sempre più in grado, attraverso le tecnologie, di accedere alla conoscenza storica, anche e soprattutto a quella non mediata dagli specialisti. Furono, soprattutto, anni in cui la competizione politica fu così forte da produrre una impennata dell’uso politico della storia.

Se l’uso pubblico, nell’accezione proposta da Nicola Gallerano, rappresenta la fase di costruzione del racconto storico ad opera dei non specialisti – siano essi i media, la scuola, i musei, il cinema, la fotografia ecc. – che non comporta necessariamente un giudizio di valore negativo, l’uso politico ne rappresenta il risvolto deteriore, quello in cui la storia viene distorta e manipolata per mere finalità politiche ed elettorali.

Destoricizzazione e Delegittimazione

“Destoricizzazione delle coscienze giovanili” e “delegittimazione del discorso storico”sono espressioni che riecheggiano nelle riviste specialistiche, ove gli storici cercano di capire e spiegare come sia possibile che l’argomentazione storica sia oggi così fortemente delegittimata rispetto al passato, al punto tale che i giovani (non solo loro, purtroppo) non sembrano più avere alcuna remora nell’esprimere il proprio palese disinteresse per essa.

Per quanto uno storico possa impegnarsi nella trasmissione del proprio sapere, infatti, la sua forza comunicativa non sara mai in grado di competere con quella di altri agenti di storia – la televisione, internet, la pubblicità, i social media – che si rivolgono a una comunità ricettiva potenzialmente illimitata. Questi agenti sono dei grandi costruttori di memoria e di identità. Non si curano molto della trasmissione della conoscenza, quanto di creare senso comune, che raramente coincide con la conoscenza storica.

Per queste ragioni, tali agenti sono l’obiettivo prediletto dei manipolatori politici. La loro proposta rinvia quasi sempre a tesi storiografiche deboli, semplici e immediate, che enfatizzano continuamente i caratteri sensazionalistici ed emotivi della scoperta, dello scoop, del nuovo, meglio ancora se nuovo perché rimosso. Tratti comuni sono il rifiuto della complessità e il ricorso ad aneddoti o a dettagli insignificanti dei quali non ci si cura più di tanto di verificare se siano storicamente accertabili.

Nuova comunicazione storica

Per queste ragioni lo storico, oggi, deve saper andare oltre le tradizionali forme di comunicazione, cercando di arrivare lì ove si muove il mondo dei non specialisti. Ciò significa, però, scendere a patti con la propria professione e accompagnare, senza abbandonare, le ricerche lunghe con lavori più agili, che meglio si prestano alla comunicazione semplificata che ricerca il lettore.

Significa offrire un qualcosa in più sul piano delle emozioni, per far uscire il racconto storiografico dall’universo asfittico cui sembra costringerlo il filologismo esasperato. Significa, ancora, interrogarsi sul “fare storia”, aprirsi alle tecniche e alle potenzialità dei nuovi agenti che direttamente o indirettamente si sono fatti produttori di storia: i musei, la televisione, internet, le librerie, le edicole, la radio, i monumenti. E allora serve che lo storico lavori sul linguaggio, sullo stile e sulla struttura dei testi e impari l’uso di fonti meno consolidate, come la fotografia, le fonti orali e le immagini.

La storia non è più terreno esclusivo degli specialisti. Il consumo della storia induce un sempre maggiore rinnovamento culturale, che va accompagnato con sobrietà senza alimentare steccati e gerarchie. Prendere le distanze, alzare i muri invocando la mitica figura dello storico professionale, sarebbe del tutto inutile e illusorio. Meglio riconoscere i limiti e le contaminazioni del sapere storico e farne un elemento di identità consapevole.

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La storia contesa. L’uso politico del passato nell’Italia contemporanea di Luca Falsini

Agostino Raso

Agostino Raso

Ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Storiche. Medioevo, Eta' Moderna, Eta' Contemporanea presso l'Università degli studi di Roma La Sapienza e il Master di II livello "Esperto in comunicazione storica: televisione e multimedialità'" presso l'Università degli studi di Roma Tre. E' socio dell'Istituto Ugo Arcuri per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea in provincia di Reggio Calabria (istituto associato all'Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Rete degli istituti per la storia della resistenza e dell'età contemporanea). Autore del libro "Rivolta fascista o di popolo? I partiti politici di fronte alla rivolta di Reggio e la strage di Gioia Tauro". Caporedattore di Fatti per la Storia, cura i rapporti con le case editrici. Fa parte del Comitato-Scientifico.

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