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Verso la rivolta di Milano
Da Londra, dove si trova in esilio, il patriota Giuseppe Mazzini continua nella sua instancabile opera di animatore della causa italiana. Ha infatti allacciato contatti con altri rivoluzionari europei arrivando a fondare il “Comitato centrale democratico europeo” che sarebbe dovuto servire a coordinare l’attività rivoluzionaria nei diversi paesi. L’esule italiano è anche entrato in polemica con Karl Marx e Friedrich Engels che lo accusano di negare l’esistenza di classe.
Nel Lombardo-Veneto l’attività di propaganda portata avanti con tenacia da Giuseppe Mazzini trova terreno particolarmente fertile. I patrioti del Risorgimento, dopo aver assaporato nel 1848, anche se per poco, la libertà dal giogo austriaco, non vogliono rassegnarsi a vedere soffocata ogni loro aspirazione dall’opprimente apparato poliziesco rimesso in piedi dal generale Radetzky.
Nel 1852 la rete cospirativa che si era creata subisce durissimi colpi. Il 27 gennaio viene arrestato il dirigente del comitato rivoluzionario mantovano, il sacerdote Enrico Tazzoli; sulla base delle carte sequestrate a quest’ultimo si procede con l’arresto di un centinaio di persone nelle principali città del Lombardo-Veneto.
I sovversivi sono tutti portati a Mantova dove vengono sottoposti a una serie di processi davanti al tribunale militare. Dieci persone sono condannate a morte e tra questi vi è anche Tazzoli.
La Rivolta antiaustriaca di Milano del 1853
A questo punto Mazzini crede che sia arrivato il momento ideale per innescare in Lombardia la miccia di una sollevazione rivoluzionaria; giunto a Lugano clandestinamente prepara i dettagli per l’insurrezione.
Il 6 febbraio 1853 a Milano, verso le 16.45, circa un migliaio di uomini, tra artigiani ed operai, armati solo di coltelli e pugnali assaltano i posti di guardia e le caserme austriache, sperando anche in un improbabile ammutinamento dei soldati ungheresi. Le forze scese in campo, però, male armate e organizzate, falliscono miseramente nell’impresa; inoltre, la borghesia, che aveva partecipato pochi anni prima alle “Cinque Giornate”, questa volta rimane del tutto indifferente al moto.
Dopo il fallimento si mette come sempre in moto la macchina repressiva austriaca; centinaia di rivoltosi vengono imprigionati e quindici di loro impiccati nel mese di febbraio. In seguito all’ennesimo fallimento piovono su Mazzini una valanga di critiche non solo dallo schieramento dei moderati ma dai suoi stessi seguaci.
A tutte le accuse Mazzini reagisce riaffermando la sua fede nei metodi insurrezionali e cospirativi; egli annuncia, inoltre, la nascita del Partito d’Azione, un movimento che avrebbe dovuto raccogliere, secondo le sue speranze, tutti quegli uomini disposti ancora a lottare per raggiungere gli obiettivi dell’unità e dell’indipendenza italiana.
Karl Marx sulla Rivolta di Milano del 1853
In un articolo sul New York Daily Tribune dell’8 marzo di quell’anno, intitolato I moti di Milano, Karl Marx rimprovera a Giuseppe Mazzini e ai suoi seguaci l’eccessiva sicurezza che ripongono nei confronti delle rivoluzioni spontanee e senza un’adeguata organizzazione. Tale impostazione aveva reso inutile l’eroismo degli milanesi:
“L’insurrezione di Milano è significativa in quanto è un sintomo della crisi rivoluzionaria che incombe su tutto il continente europeo. Ed è ammirevole in quanto atto eroico di un pugno di proletari che, armati di soli coltelli, hanno avuto il coraggio di attaccare una cittadella e un esercito di 40.000 soldati tra i migliori d’Europa. Ma come gran finale dell’eterna cospirazione di Mazzini, dei suoi roboanti proclami e delle sue tirate contro il popolo francese, è un risultato molto meschino. È da supporre che d’ora in avanti si ponga fine alle “revolutions improvisées”, come le chiamano i francesi. In politica avviene come in poesia. Le rivoluzioni non sono mai fatte su ordinazione”.